Gli
Albanesi
di Fabio Trazza
Il ricordo di Altiero Spinelli sugli albanesi risale agli anni di Ventotene, 1939-1943, dove era stato confinato dal fascismo, e dopo sessant'anni esatti mantiene una tragica freschezza. Ancora oggi, infatti, conosciamo alcuni albanesi come «membri maschi adulti di una loro tribù di pecorari montanari, primitivi come selvaggi, per i quali la modesta vita di Ventotene appariva quasi sontuosa», e alcuni pochi altri come «intellettuali che hanno studiato nelle più famose università d'Europa, che parlano tre o quattro lingue oltre le loro due e che sono stati confinati per aver tentato di organizzare una resistenza nazionale». I primi hanno continuato a vivere come selvaggi, magari spinti da qualche loro vecchio capo, privo dell'antica fierezza, che mandano ragazzi e ragazze di quindici anni, e anche meno, a conoscere le fortune e le sfortune delle loro vite nelle nostre città, sicuramente troppo sontuose ai loro occhi. I secondi, sempre pochi, hanno continuato a vivere come intellettuali, magari spinti da qualche loro vecchio maestro, carico dell'antica cultura europea, come Lazar Fundo, che anche insieme a ragazzi e ragazze di quindici anni tentano di organizzare una resistenza nazionale, non più contro il fascismo di Mussolini, ma contro il nazionalcomunismo di Milosevic. Questi sono gli albanesi. E sono loro, uno tra i più piccoli popoli dell'Europa, a rischiare di essere schiacciati per la seconda volta da uno dei più grandi mostri generati dall'Europa: la pulizia etnica, che, badino bene i miei venticinque lettori, suona sinistramente simile a purezza razziale. Ma perchè non chiamare le cose e le persone con il proprio nome? Noi non vogliamo cadere nell'equivoco: è per questo che non parliamo di Kosovo, ma di albanesi. C'è molta differenza. Ricordate lo splendido ritratto di Lazar Fundo fatto da Spinelli? «Il più autorevole fra tutti gli albanesi. Passeggiava snello, dritto, bello, con i capelli biondi al vento, mormorando a bassa voce le parole di Platone che stava leggendo in greco, cercando presso i saggi antichi la serenità d'animo che il fallimento della sua esperienza comunista gli aveva tolta, e che non trovava da nessuna parte altrove». Avrete certamente notato che la prosa di Spinelli, così potente nel tratteggiare l'aspetto fisico del personaggio, si rivela ancora più efficace nel presentarne il tratto dell'animo, fatto di sensibilità e filosofia umanistica. Da questa semplice notazione, che può apparire di mera osservazione sulla tecnica linguistica, si capirà bene che non è il Kosovo in pericolo, ma l'animo degli albanesi, alla ricerca di una serenità dopo il fallimento della loro esperienza comunista. Niente equivoci linguistici, dunque, anche per evitare ben più gravi equivoci politici. Infatti: non è un gravissimo equivoco politico che tra tanti organizzatori di pubbliche e private manifestazioni, non ci sia stata una manifestazione espressamente contro Milosevic? ... Una! ... Magari organizzata a Milano. Avrebbe dato gloria alla nostra città e speranza agli albanesi. Invece per loro, oggi, la speranza viene solo dall'azione militare che le democrazie occidentali alleate nella Nato hanno intrapreso contro Milosevic. Perché le tante manifestazioni, che pure si organizzano dappertutto, anche a Milano, aldilà delle dichiarazioni e delle intenzioni, ottengono il solo effetto di far sperare Milosevic che la compattezza dell'alleanza militare possa essere facilmente incrinata e spezzata. E questo è un effetto che ad ogni costo bisogna evitare, perchè non si può lasciare neanche un attimo per riprender fiato a chi ha tentato e continua a tentare di distruggere il passato e il futuro di un popolo. Per chiarezza propongo ai miei lettori di considerare solo due fatti emblematici di tutto il conflitto: solo due fatti, per brevità, e per evitare di trattare la guerra come una grande fiera del massacro spettacolare che tutti ci offrono; e fatti emblematici, per la forza espressiva che in loro è racchiusa, e per la crudele innovazione che hanno introdotto nelle già efferate pratiche di guerra. Primo fatto: agli albanesi, risparmiati dalla morte, è stato sottratto ogni documento di riconoscimento personale, perchè morisse il loro passato e non potessero nel futuro rivendicarlo. Secondo fatto: ventidue albanesi, professori, sono stati uccisi davanti ai loro studenti, tentando di far morire così, negli stessi giovani, l'idea e il sogno del proprio futuro, che ogni scuola, anche la più povera, porta in sè sempre e consegna a tutti i bambini e a tutti i giovani per tutto il loro tempo futuro. Mentre il primo fatto è stato ampiamente documentato da tanti organi di stampa e da tanti canali televisivi, anche se non sempre se ne è sottolineato il valore emblematico e tragicamente innovativo, del secondo, invece, a molti è sfuggita persino la notizia. Ho fatto una ricerca, per accertarne la fonte, e ho potuto constatare che a molti, anche addetti ai centri di documentazione della comunicazione, quindi esperti, la notizia era ignota. Ho potuto così constatare perchè una notizia così toccante e disperata sia passata inosservata. Innanzitutto è stata riferita da un solo quotidiano in tutta Italia, il Corriere della Sera. E poi non le è mai stato dedicato nè un titolo, un occhiello o un sottotitolo. Per documentazione dei lettori indico: gli estremi della pubblicazione: Corriere della Sera 26.3.99, p.2; 27.3.99, p.3; 30.3.99, p.3; la località: Goden, villaggio frontaliero tra Kosovo meridionale e Albania; le fonti: ministro albanese dell'informazione; osservatori Osce dislocati lungo il confine; conferma da Londra; Hashim Thaqi, uno dei firmatari di Rambouillet con dichiarazioni alla Cnn. Che nessun altro quotidiano italiano abbia potuto, saputo, o voluto, riportare la notizia non fa che sottolineare i meriti del Corriere della Sera nella completezza dell'informazione e riscattare l'informazione italiana dal degrado a cui, in queste circostanze, tanti illustri osservatori, commentatori e inviati speciali l'hanno ridotta. Un esempio per tutti: Lunedì 5.4.99, di sera, in orario di massimo ascolto, Lucia Annunziata in collegamento con Gad Lerner, per spiegare il fiume di albanesi ammassati alle frontiere dalle milizie serbe, sostiene che tutto quel fiume sarebbe stato ingrossato dalla Nato per rendere accettabili i bombardamenti ordinati su Belgrado, che altrimenti sarebbero apparsi, privi di giustificazione umanitaria, una fredda aggressione ad un paese sovrano. Neanche i portavoce ufficiali di Milosevic si son prodotti in una così acuta e creativa spiegazione. Ma contro gli inganni delle parole esistono le verità dei fatti e la potenza espressiva dei simboli che nei fatti si può riconoscere. E un alto valore simbolico possiede anche la stessa testimonianza di Spinelli: Lazar Fundo, vittima del fascismo, e poi del comunismo, rientra nella sua terra, per aiutarla, ed è sterminato. Appunto: che fine faranno gli albanesi che vorranno rientrare nella loro terra? Tutto dipenderà da quel che troveranno i nuovi Lazar Fundo al rientro nelle loro case. Non auguriamo certo loro di trovare mai le milizie di Milosevic, nè in stato di guerra, nè tanto meno in stato di pace: avverrebbe per loro quel che già fu fatto per il primo Lazar Fundo, l'amico di Altiero Spinelli, al quale insieme alla vita, fu tolta anche la possibilità di lavorare per costruire l'Europa al fianco di Spinelli. Lo ricordino quanti, nella loro azione politica, agiscono per segnare delle distanze tra alcuni paesi europei e alcuni paesi americani, tra le idee degli Stati Uniti d'Europa e degli Stati Uniti d'America. Il progetto di Spinelli non mirava a questo, anzi: voleva conoscere meglio quanto della storia e del dibattito americano sul federalismo era necessario far incontrare con la storia e il dibattito europeo, per far nascere l'unità e la democrazia in Europa. Ma, per concludere, abbandoniamo i simboli. Uno dei lettori de il narratario, tra i più autorevoli e attenti in assoluto, mi ha suggerito di ipotizzare l'efficacia che ne sarebbe derivata, se fosse stata investita per progetti di sviluppo a favore degli albanesi, la stessa cifra che sinora è stata spesa dalla Nato per l'azione contro Milosevic, pur considerando la sola voce eccedente le normali attività di servizio militare, che pure in ogni paese si fanno indipendentemente dalla guerra. Confesso che è un'impresa per me impossibile. Ma non la ritengo impraticabile, perchè, stimando in 5.000 miliardi il costo attuale sostenuto ad oggi dalla Nato, esistono certamente a Milano le energie e le strutture, anche istituzionali, per simulare l'efficacia economica di progetti mirati con investimenti di equivalente valore. Penso che anche solo un'ipotesi di studio di fattibilità per un'impresa di questa portata darebbe un segno di speranza a chi oggi in Europa ne ha più bisogno: gli albanesi.
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