Con
Junius e Ulisse dall'America all'Europa
Una piccola ricerca per capire un grande dibattito
di Fabio Trazza
"Quando ero nella clandestinità mi ero dato lo pseudonimo
di Ulisse, perché nel mio animo risuonavano ancora, da quando li avevo letti
per la prima volta sui banchi della scuola, i versi: «... Fatti non foste
a viver come bruti - ma per seguir virtute e conoscenza ...». Come l’eroe
dantesco potevo dire di me e de «li miei compagni» che «... dei remi facemmo
ali al folle volo ...». Ed ora il turbine mi si era levato contro; mi aveva
sommerso; il volo era finito. Tre mesi più tardi, fra quattro mura, compivo
vent’anni.” (1)
Così scrive di sè Altiero Spinelli, ricordando l’inizio del carcere, nel
1927, a cui fu condannato dal fascismo. Vi rimase dieci anni, poi nel 1937
fu confinato a Ponza e infine, nel 1939, entrò nel confino di Ventotene. Qui
Ulisse conobbe Junius e iniziò un altro viaggio, che lo avrebbe portato alla
scoperta dell’America. Quando l’Ulisse-Spinelli sarà liberato nel 1943, era
già formato per iniziare, con pochissimi altri, l’edificio, ancora oggi non
terminato, dell’unità europea. Ma chi era Junius? Il nome di battaglia di
qualche altro giovane che per combattere il fascismo era diventato comunista
e si era dato alla clandestinità? No, non era un nome di battaglia, ma uno
pseudonimo da giornalista. Non era marxista, anzi: un economista liberale.
E soprattutto non era uno studente che aveva finito il suo volo fra quattro
mura. Era un maestro che da quattro fondamentali colonne, come quelle del
Corriere della Sera, ottant’anni fa a Milano, nel 1919, appena finita la lunga
prima guerra mondiale, pensava a come tracciare i nuovi confini ideali entro
i quali far vivere i popoli in pace. Era Luigi Einaudi.
Dopo vent’anni, nel ’39, Ulisse, che ha già lasciato il partito comunista,
e si sente solo illuminista, incontra Junius, “che era anche lui un illuminista”
(2), attraverso le pagine di un libro. “Il loro autore aveva portato
dinanzi al tribunale della ragione il progetto della Società delle Nazioni,
l’aveva trovato del tutto inconsistente, e, rievocando la problematica costituzionale
dalla quale erano nati gli Stati Uniti d’America, aveva proposto una reale
federazione che unisse sotto l’impero di una legge comune i popoli che uscivano
dal bagno di sangue.
Ho spesso pensato negli anni successivi che veramente habent sua fata libelli
(3). Queste pagine erano cadute nell’indifferenza generale quando erano state
scritte, e l’autore stesso le aveva messe da parte non sentendo alcun bisogno
di approfondirle ulteriormente. Una ventina d’anni più tardi giungevano quasi
casualmente sotto gli occhi di due (4) che vivevano da dieci e più anni segregati
dal mondo e che ora stavano seguendo con ansioso interesse la tragedia che
aveva avuto inizio in Europa. Ed ecco quelle pagine non erano state scritte
invano, poichè cominciavano a fruttificare nelle nostre menti.(5)”
Da quel primo studio, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi sentono il bisogno
di approfondire il dialogo con Einaudi. Ernesto Rossi, come professore di
economia, aveva l’autorizzazione a corrispondere dal confino con Einaudi,
che invierà pochissimi libretti inglesi sul federalismo. Sono così gettate
le basi per la nascita del manifesto di Ventotene, che tanta importanza avrà
dopo la seconda guerra mondiale per l’Europa. Il debito nei confronti di Einaudi
è dichiarato dallo stesso Spinelli. E’ quindi indubitabile. Einaudi a sua
volta, nel 1919, aveva ridisegnato una nuova prospettiva fra gli stati, animato
da una puntuale e profonda conoscenza della cultura istituzionale e politica
degli Stati Uniti d’America.
Pur conoscendo il testo su cui Spinelli ha incontrato Einaudi, essendo quel
contenuto tratto da articoli che Einaudi aveva pubblicato sul Corriere con
lo pseudonimo di Junius, anche per capire il peso che a tali articoli era
stato dato dal quotidiano milanese, sento la curiosità e il bisogno di verificare
cosa c’era sul Corriere pubblicato con la firma Junius nel 1919, ottant’anni
fa. Entro nel tempio del giornalismo, in via Solferino, a Milano. Salgo ai
piani alti, quelli della documentazione, e scopro nei microfilm che in quell’anno
sono stati pubblicati solo due articoli, a firma Junius, entrambi nell’edizione
del mattino: Fiume, la Società delle Nazioni ed il dogma della sovranità -
6 maggio 1919; I vinti ed i vittoriosi - 25 agosto 1919. Si tratta di articoli
molto lunghi e articolati, vere e proprie analisi dotte, pubblicate con la
massima evidenza in prima pagina.(6)
Penso che le parole di Einaudi che toccarono l’intelligenza, la ragione
e il cuore di Spinelli, furono queste: “Solo così può crearsi a poco a
poco l’organismo che irretirà i popoli del mondo tra vincoli infrangibili
e spogliandoli via via di una parte della loro sovranità li abituerà all’idea
di un potere sovrano superiore a tutti, al quale un giorno forse daremo il
nome di Stati Uniti del mondo. Ma quel giorno non verrà se oggi, in nome del
dogma della sovranità assoluta, noi ci rassegniamo a vedere conculcati gruppi
nazionali isolati”.(7) E furono scritte dopo un’analisi delle posizioni americane,
nello stesso articolo, da Einaudi, che concludeva: “fa d’uopo attraverso Wilson,
ritornare ad Hamilton: attraverso la nebulosa indistinta della Società delle
Nazioni, andare dritti alla meta finale che è la creazione di organi di governo
supernazionali”.(8) La ricerca è breve, ma quel che mi appare è
come un lungo filo ininterrotto, che attraversa tutto il novecento, filtra,
dalle pagine del quotidiano più diffuso, alle carceri più ristrette, quelle
per gli avversari politici, per riemergere infine oggi apertamente nella società,
quasi a riannodare una storia logica, culturale, politica, che aveva legato
la concezione dello stato, elaborata sulle sponde dell'Atlantico, tra europei
e americani, lungo un tempo ormai così tanto lungo, che molti hanno dimenticato
o vorrebbero fosse dimenticato.
Ho voluto così verificare il fondamento e la validità di un dibattito attualissimo
circa i rapporti tra l’America e l’Europa, precipitato in tanti titoli di
giornale, tanti dibattiti televisivi, tante frettolose analisi, che, dietro
una sorta di compassata neutralità, sembrano voler testimoniare con professionale
obiettività, che l’Europa si sta allontanando definitivamente dall’America.
I più spregiudicati, tra tanti esperti conoscitori della sensibilità europea,
sono pronti anche a testimoniare che gli Stati Uniti d’America sono accusati
di aver determinato il conflitto con Milosevic, per portare la guerra nel
cuore dell’Europa, indebolirne l’unità ed imporre un modello sociale costruito
sulla “orda degli erranti «sans papier» e senza patria,” e da qui un’opposizione
“contro il loro corteo di droga, mafia, prostitute e intellettuali cosmopoliti.”
(9) Non c’è nessuno degli autori di queste analisi che dice di condividerle,
ma solo di comunicarle ai lettori per testimoniare l’esistenza di “schematismi
e pregiudizi di un pensiero medio, di un immaginario diffuso e trasversale”
(10), riassumibile nel titolo in prima pagina L’Europa profonda che
odia l’America, pubblicato dal quotidiano la Repubblica l’11 aprile 1999.
Scendendo dall’archivio del Corriere, mi portavo nella mente l’idea che è
l’Europa meno profonda che odia l’America, pur imitandola. L’Europa profonda,
quella di Einaudi, quella di Spinelli, quella degli illuministi, di quegl'illuministi
dalle cui idee è nata la stessa America, non può che amare l’America, e senza
imitarla.
Note:
1) A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Società editrice il Mulino,
1984 e 1987, Nuova edizione 1988, op.cit., Clandestinità ed educazione sentomentale,
1924-1927, p.109.
2) A. Spinelli, in op.cit., Ventotene, 1939-1943, p.307.
3) [anche] i libri hanno il loro destino (citazione proverbiale derivata da
Terenziano Mauro, De Liberis, 258).
4) Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
5) A. Spinelli, in op.cit., Ventotene, 1939-1943, p.307.
6) Devo ringraziare quanti nel Corriere mi hanno permesso questa breve e rapida
ricerca. Soprattutto il giornalista Alberto Berticelli. Farebbe un gran bene
a tutti, e a Milano in particolare, rivisitare tante pagine ormai antiche
e nascoste nell'immenso patrimonio dell’archivio del Corriere. Come esempio:
oggi, per la scuola milanese e italiana, varrebbe molto di più un’articolo
storico, inquadrato e commentato, che cento inserti sulla scuola, vanto certo
del Corriere, guadagno incerto per il lettore.
7) Junius (Luigi Einaudi), Fiume, la Società delle Nazioni ed il dogma della
sovranità, in Corriere della Sera edizione del mattino, prima pagina - 6 maggio
1919.
8) ibidem.
9) Paolo Rumiz, la Repubblica, 11aprile 1999.
10) ibidem.
Copyright
(C) 1999 il Narratario. Direttore responsabile F. M. Trazza.