Gian Carlo M. Rivolta

La culla dei sogni

di Fabio Trazza

 

Anche dall'ultimo libro di Gian Carlo M. Rivolta, La culla dei sogni, Marsilio, 1999, pp.172, ci giunge l'eco della guerra, «con episodi a margine della prima e della seconda guerra mondiale, grotteschi del fascismo, momenti della persecuzione antisemita», come Rivolta stesso ama dire “al lettore” all'inizio del suo terzo libro per spiegare il modo in cui ha ordinato i suoi pezzi, o, per meglio dire, il «mazzetto delle sue pagine sparse».
Quest'ultimo termine, mazzetto, si addice molto bene al singolare modo di produrre letteratura di Rivolta. Un modo tenero e profondo al tempo stesso. Di una tenerezza, però, che scuote il lettore, e di una profondità che lo fa sognare. Come esempio, Il difensore di Ruth potrebbe essere uno di tali grotteschi. Ma la potenza espressiva è tale, che un goffo innamorato dell'autoritarismo, dinanzi alla sconfinata follia del dispotismo e della discriminazione razziale, sa trasformarsi in eroico difensore della più indifesa perseguitata. Un breve racconto che dovrebbe essere letto oggi in ogni aula scolastica, meglio di qualsiasi lezione sulla guerra, per spiegare che più delle manifestazioni pacifiste, vale un'altra scelta: la guerra non può mai essere fermata senza il coraggio individuale di opporsi ai persecutori e ai prepotenti, anche a costo della propria vita.
Ma chi è Gian Carlo M. Rivolta? Potrei dire: un grande. Ma mi trattengo, perchè essendo Rivolta uno dei venticinque lettori de il narratario, potrebbe apparire una definizione lusinghiera costruita per nobilitare i lettori di questo foglio. Diremo allora che Rivolta è uno scrittore che “scrive chiaro, che anche un somaro ci capisce!”. Queste parole gliele disse già l'omino di una copisteria, che a Milano gli batteva la tesi nella seconda metà degli anni cinquanta per la laurea in giurisprudenza alla Statale di Milano. Oggi Rivolta è cattedratico illustre di quell'Università, facoltà di scienze politiche, ma non vive di boria, vive per ricordare e per dimenticare. Ma vive anche per sognare. Ciò che vuol ricordare sono i passaggi discreti sulla terra, fatti di rettitudine semplice e schiva, di parsimonia rassegnata e lieta, di senso del dovere, di spirito di sacrificio. E' un'intelaiatura di valori, che, di per sè, colloca chi li nutre certamente in contrasto con il suo tempo. Ciò che vuol dimenticare sono le false luci e i rumori vani. E Rivolta scrive anche per sognare. Uno dei suoi sogni segreti è che Milano non si lasci più incantare da rumorosi illuminati come Alberoni, che con stile marinettistico e piglio donchisciottesco dissertano sull'amore, o altro, tanto l'argomento per loro è indifferente, lasciando tutti a bocca aperta e a cuore vuoto. Per riprendere questo sogno, si apra il libro a pag. 125: Una lezione di sociologia. Come sogno è molto bello, ma soprattutto è salutare per Milano. I ventuno pezzi, ordinati nel bel mazzetto di pagine, sono legati da due parentesi. L'apertura, per presentarci la difficoltà di vivere oggi a Milano, l'impossibilità di parlare, anche in famiglia, la necessità di rifugiarsi da qualche parte, per appartarsi tra le cose che ti parlano, le piccole cose del tuo piccolo mondo. La chiusura, per presentarci la speranza che un giorno un lettore prenda tra le mani la culla dei sogni, come premio alla fatica. «Il gioco di oggi avrà allora un nuovo senso». Speranza nobile e impegnativa.
Ma il senso del gioco è già qui. Perchè questa grande metafora del dialogo e della lettura, che Rivolta ha costruito, potrebbe essere assunta a metafora del secolo. Il nostro è anche il secolo della solitudine. Anche se le possenti e schiaccianti forze delle ideologie hanno tentato di compattare gli uomini del '900, creando le masse, hanno finito con il disperdere gli individui e render loro impossibile il dialogo. Il libro di Rivolta è questo: la testimonianza che siamo nati per dialogare, siamo però nati in un secolo e in una città che ce lo impedisce e la nostra scelta, se non vuol essere teatrale (all'Alberoni, per intenderci, che spara cento per fare un centro, e intanto fa rumore), ma morale, dev'essere di parlare con il nostro passato e con il nostro futuro.
Rivolta, mettendo i suoi ventuno pezzi tra parentesi, ha messo tra parentesi tutto il nostro presente, tra passato e presente. Questa operazione non è solo la risultante di tante spinte culturali, alcune inconsapevoli, e altre no, come il cristianesimo, ma anche l'effetto di una forza artistica letteraria, che trasferisce anche nella forma dello stile il senso dell'opera. Agli inizi del secolo abbiamo Gozzano e la sua aria, il suo respiro di dialogo con le cose. Ma con le cose che parlano di persone. Lo stile è apparentemente dimesso. L'opposto del roboante futurismo marinettistico, che parla delle cose, senza respiro. Ma delle cose che distruggono le persone. Rivolta oggi, alla fine del secolo, ripropone lo stesso stile di scrittore e di scrittura, quasi fosse gozzaniano. Un modo antico per fare moderno il futuro. Perchè il presente è già vecchio. Grazie Rivolta. E a tutti i miei venticinque lettori buona lettura. .

 


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