Istituzioni e memoria storica a Milano

di Fabio Trazza

Posta e Giustizia
Due Istituti che si allontanano sempre di più dai cittadini per avvicinarsi quanto più possibile all’idea dello Stato repressivo

‘‘Per certi spiriti la Posta, e tanto più la Giustizia, son due mondi misteriosi circa l’essere loro, ma che han questo di buono: danno reazioni prevedibili, codificate anche secondo uno schema, al quale ogni coscienza può accedere. Basta quindi saperli prendere per il suo verso, e si arriva, nonchè ad ammetterli questi due mondi, ma a cavarne persino qualche profitto: i sentimenti più delicati, le situazioni più tese ne riscuoton balsamo di chiarificazione, o spillatico ai più soddisfacenti rattoppi. Così la lettera anonima e la minaccia di delazione sono i due grandi instituti che fiancheggiano Posta e Giustizia.’’

Carlo Emilio Gadda (La meccanica. Garzanti. pag. 28)

 

Parlare della Posta e della Giustizia, per come comunemente si intendono questi due istituti e per come comunemente si presentano ai cittadini e ne servono le loro necessità, ci porterebbe lontano e ci farebbe entrare in una serie di polemiche, che non vogliamo ripercorrere. Basti dire che in un recente convegno, al Circolo della Stampa di Milano, Vittorio Feltri ha avanzato la proposta, argomentandola per tutto il suo intervento, di eliminare la Posta, come ministero e come servizio, che, a suo dire, svolge solo la funzione di tenere in piedi posti di lavoro estremamente gravosi per la comunità. Oggi, sia per la presenza del telefono, del fax, del modem, e di quant’altro fornito dalla tecnologia, di fatto il grande e mastodontico edificio nazionale del sistema Posta, dovrebbe essere rivisto. Per non dire della Giustizia. Credo non ci sia oggi, se mai ci sia stato nel passato, qualcuno che si dichiari soddisfatto del sistema Giustizia. Ciò che tuttavia appare singolare in questa considerazione, sviluppata in margine ad un accostamento pensato da Gadda nell’economia di un suo romanzo, è proprio l’insolito accostamento di due mondi apparentemente distanti. Eppure l’apparizione fulminante, a fine periodo, di due elementi giustapposti, lettera anonima e minaccia di delazione, rendono immediatamente evidente e svelano con la forza e la brevità dell’intuizione il nesso inscindibile tra Posta e Giustizia. E’ di questo nesso che vogliamo discorrere. E sempre rimanendo ancorati alla riflessione su Milano, con la speranza di saper formulare qualche proposta per la vita di questa città. Milano è stata insignita, negli ultimi anni, di un titolo, questa volta purtroppo spregiativo, per indicare una pessima tendenza che nella città si era radicata: tangentopoli. E proprio per reazione alle pratiche di tangentopoli è sorta, proprio a Milano una forma di difesa, soprattutto giudiziaria, indicata con un termine dal sapore liberatorio: mani pulite. Sono, queste, cose note a tutti. Quello che, però, quasi a tutti è sfuggito, o da quasi tutti è stato dimenticato, è il volume di posta, che, proprio agli inizi di mani pulite, ha invaso il Palazzo di Giustizia di Milano. Sembrava quasi che i milanesi, con lettere e fax, spingessero i magistrati della propria città a far presto, a fare tanto, a fare tutto il possibile per liberarli di un peso ormai insopportabile. E’ di questo che vorrei si ragionasse, della massa di lettere recapitate alla giustizia a Milano. Non ho mai letto nessuna di queste lettere e penso che nessuno, al di fuori dei magistrati milanesi, abbia avuto la possibilità di leggerne un saggio. Anzi penso che neppure i magistrati competenti abbiano potuto leggerle tutte, tanta era la quantità e tante le urgenze da affrontare. Eppure, per esperienza con analoghe testimonianze dirette, nate da un’immediata reazione emotiva della popolazione milanese, conosco la natura di tali documenti e quanta vivace freschezza, o cupa tensione, si sia in essi sedimentata. Premetto che l’episodio, cui mi riferisco, e che ora brevemente riassumo, per proporzione, non può certamente essere paragonato a un fenomeno di massa. Tuttavia può darci un’idea della capacità reattiva che hanno gli abitanti di Milano e che nel nostro caso si riversa in questo apparente doppio canale, Posta e Tribunale. Nell’inverno del 1960 lavoravo, ed ero ancora studente liceale, in uno studio legale, e fu quello il mio primo lavoro a Milano, in via Cappuccini, 11. Lì operava, come avvocato, Bernardini, che da poco aveva abbandonato il ruolo di magistrato nel tribunale di Milano. Fu lui che mi diede un pacco di lettere, perchè le ordinassi secondo un criterio che avrei dovuto io stesso trovare e suggerire. Fui sorpreso. Le lettere contenevano veri e propri messaggi di solidarietà per un magistrato, il Bernardini appunto, che poco tempo prima era stato coinvolto in un tumulto di piazza. In Piazza della Scala i manifestanti avevano riconosciuto la macchina di un alto magistrato milanese, mi sembra di ricordare si chiamasse Di Pietro, accompagnato dal Bernardini, e avessero capovolto la macchina tra insulti e, penso, anche percosse, perlomeno sull’automobile. Non ho mai capito se l’ira della piazza fosse contro Di Pietro, o contro Bernardini. Di certo fui colpito dal numero delle lettere che anonimi cittadini avevano voluto scrivere, per sodalizzare con il magistrato, vittima dell’irrazionalità, della volgarità, della malvagità. Vi risparmio tutte le nefandezze che furono scritte contro i sindacati e i comunisti, così venivano indicati i manifestanti. Io non conoscevo l’episodio. Lo vivevo attraverso queste lettere e mi apparivano i sentimenti di una città. Rimasi ancora più colpito e toccato quando lessi tre lettere, tre di numero, sulle centinaia che dovevo ordinare e catalogare, che, al contrario, sodalizzavano con i manifestanti e rimproveravano al magistrato un suo presunto atteggiamento antioperaio. Anche qui vi risparmio ciò che lessi e che potete immaginare possa essere scritto da chi si sente interprete dei sogni proletari e possa finalmente fare i conti con un nemico del popolo ben individuato e finalmente immobilizzato. Certamente, partendo da quell’esperienza, capì negli anni successivi che le tensioni a Milano, se dovessero essere misurate sul termometro della Piazza della Scala, anche se violente, si sarebbero tendenzialmente affievolite, fino a farle apparire quasi un gioco sociale. Pensate per esempio alle uova lanciate alla prima della Scala nella stagione del sessantotto, o alla esibizione del pelo femminile, fatta dagli animalisti nell’ultima prima, sempre in piazza della Scala, e paragonatele alla violenza, da cui nacquero quelle tre lettere. Se per un episodio così circoscritto, di cui nessuno forse conserva memoria, partirono tante lettere, immaginino i miei venticinque lettori quante ne debbano essere arrivate nella stagione di mani pulite. Forse venticinquemila. Ma se i lettori de il Narratario, da quando sono iniziate le pubblicazioni, sono ormai passati a duecento- cinquanta, immaginate voi quante possano essere diventate in totale le lettere, consegnate dalla Posta alla Giustizia. Ed ecco la questione. Che fine hanno fatto quelle lettere? Chi le conserva? Chi le ha catalogate? Chi le può consultare? E, soprattutto, che fine faranno? In quelle lettere è come depositata la coscienza di una città. Certo. Ci sono anche tre lettere fuori dal coro. Quella di Cagliari, quella di Gardini, quella di Moroni. Ma quelle le conosciamo. E le altre? Perchè non dobbiamo conoscerle? Non vorremmo che solo alcuni privilegiati o favoriti dalla sorte potessero leggerle. Sarebbe addirittura peggio se dovessero, solo alcuni, e senza alcun criterio, utilizzarle. E non penso ad oscure operazioni di raccolta a fini, che, per eleganza politica, potremmo anche definire di intelligence. E non penso neppure ad incoffessabili operazioni di raccolta a fini, che, per eleganza economica, potremmo anche definire di marketing editoriale. Penso piuttosto che la città abbia il diritto di conoscersi e specchiarsi nei momenti della sua comunicazione spontanea e, una volta ogni tanto nella storia, al di fuori delle mediazioni intellettuali, come avviene appunto nei momenti di crisi, o di incrinatura istituzionale. E se Milano non può esercitare oggi questo diritto, perchè si ritiene che quei documenti debbano essere coperti, per non infrangere ciò che, per eleganza sociologica, chiamiamo privacy, allora si predispongano tutte le misure perché quella testimonianza non vada distrutta e ritorni alla città. Potrebbe essere quindi maturo il tempo, se già non è scaduto, che la Città di Milano apra ufficialmente un dialogo con il Ministero della Giustizia, visto che quello della Posta il suo ruolo l’ha già fatto, per entrare in possesso di un patrimonio di inestimabile valore storico, da consegnare alle generazioni future per la conoscenza storica, sociologica e politica, e per la ricerca sulla propria memoria storica.

 


IndietroCopyright (C) 1999 il Narratario. Direttore responsabile F. M. Trazza.