Alle origini dei valori civili
nota su Giuseppe Parini

di Fabio Trazza

Parini, nonostante tutto il dibattito aperto nel novecento sull’interpretazione critica della sua opera, rappresenta uno dei più saldi fondamenti culturali e civili della Milano moderna. La città lombarda vide nel ’700, attorno alle figure appunto di Parini, Verri, Beccaria, delinearsi una sorta di mappa dei valori civili, che avrebbero consentito l’ingresso nella modernità, non solo di Milano, ma dell’Europa. Le loro idee sulla società, sulla buona amministrazione dello Stato, e sulla funzione della giustizia penale, influenzarono positivamente l’intera cultura continentale, diffondendosi anche oltre. Stupisce che Milano dedichi spesso poca cura per i loro padri. Quasi che la modernità sia solo il risultato di prodotti tecnologici e di oggetti per la moda. Certo hanno fatto opera meritoria gli studiosi del Parini nel novecento, e primo fra tutti Ettore Bonora, a porre il problema di una reinterpretazione dell’opera pariniana, dal momento che nell’ottocento, grazie alla lettura di Foscolo, il Parini fu presentato quasi solo come il maestro dell’amor patrio. E, d’altra parte, sarebbe stato impossibile, in un’epoca di grande spinta risorgimentale, non leggere Parini così. Per quell’epoca era quella la lezione più urgente. Poi venne il novecento, e in particolare il secondo novecento, così timido e sospettoso nei confronti di quanti celebrano la moderazione nei costumi, la razionalità metodica nel lavoro, anche in quello artistico, e l’onestà di vita. E Parini assommava tutti questi aspetti, presentati per giunta in uno stile rigorosamente classicista. Han sottovalutato però, talvolta, i critici, che lezione di libertà stilistica abbia rappresentato l’uso dell’endecasillabo sciolto, dal Parini usato per la sua opera maggiore. Per fortuna non sono mancati gli studi di quanti hanno saputo leggere criticamente la lezione del Parini, presentandoci in termini positivi anche la problematicità e l’apparente frammentarietà delle sue stesure poetiche. Alludo a Dante Isella, grande curatore de Il Giorno, l’opera massima di Parini. Per inciso vorrei far notare che Isella è lo stesso sistematore dell’opera di Gadda. E proprio in questo itinerario critico di Isella si può rintracciare quasi la prova della continuità che lega l’epoca dei lumi, cui va iscritto il Parini, all’epoca dei tremolii, se non dei bagliori e degli oscuramenti, del novecento, cui va iscritto il nostro Gadda. Oggi almeno, in un’epoca in cui si parla di valori, addirittura organizzandoli in partito politico, al Parini va riconosciuto il merito di aver saputo presentarci una gerarchia di valori, con molta semplicità e senza enfasi, ma la cui mancata applicazione nella città, alla fine di quei pochi secoli che ci separano da lui, ha travolto Milano, decapitandola nelle persone dei suoi gruppi dirigenti.

‘‘Se io avessi a risuscitare, io per me, prima d’ogni altra cosa desidererei d’esser uomo dabbene, in secondo luogo d’esser uomo sano, dipoi d’esser uomo d’ingegno, quindi d’esser uomo ricco, e finalmente, quando non mi restasse più nulla a desiderare, e mi fosse pur forza di desiderare alcuna cosa, potrebbe darsi che per istanchezza io mi gettassi a desiderar d’esser uomo Nobile, in quel senso che questa voce è accettata presso la moltitudine.”

Giuseppe Parini (Dialogo sopra la nobiltà in L. Poma, Stile e società nella letteratura del Parini, Pisa, Nistri-Lischi, 1967, pp. 111-116)

Quanti oggi, anche tra i giovani, collocherebbero onestà e ricchezza nel rapporto indicato dal Parini, dovendosi escludere ormai l’utilità e il senso di una Nobiltà, comunemente indicata?

 


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