L’Europa
e la ragione
L’agonia degli stati nazionali, iniziata con la seconda
guerra mondiale, é finita: un tempo troppo lungo per non pensare alla nascita
degli Stati Uniti d’Europa.
di Fabio Trazza
D : “Professor Majocchi (1), è ancora vero e attuale
il principio:«Fare l’Europa dipende da ciascuno di noi» ?”
R : “Più che mai! E’ un vecchio slogan dei federalisti, coniato nel 1963.
Era il tempo in cui, avviato il Mercato Comune il 1° gennaio 1958, si assisteva
ai grandi miracoli economici, che venivano chiamati francese, tedesco, italiano.
Invece era il miracolo economico europeo. L’Europa aveva trovato la giusta
dimensione del mercato per svilupparsi e crescere, con tassi di crescita doppi
rispetto a quegli degli Stati Uniti, tripli o quadrupli rispetto a quelli
della Gran Bretagna, che era rimasta fuori. In questa euforia generalizzata
ci si cullava nello sciocco mito che dall’unione doganale si sarebbe passati
all’unione economica e monetaria e da questa all’unione politica senza che
si dovesse muovere nulla. Invece noi federalisti, figli di Spinelli, eravamo
convinti che questo determinismo storico fosse ingenuo e che l’unione politica,
ma anche l’unione economica e monetaria, avrebbero implicato un salto di qualità,
un mutamento degli assetti di potere, che non si può compiere senza l’intervento
di un fattore soggettivo rivoluzionario, che in ultima istanza promuove un’azione
del popolo. Creare poteri nuovi, fare l’Europa dipende anche da te, da ciascuno
di noi, cioè dai cittadini, dalla politica anche.”
D : “ Già dal Manifesto di Ventotene (2) la prospettiva
dell’Europa poteva essere da molti giudicata utopistica, giacobina, rivoluzionaria.
Fuori dagli slogan, lo strumento vero dell’Europa unita era una strada che
potremmo definire costituzionalista (3). Invece fu contrapposta un’altra
tesi, che possiamo chiamare funzionalista (4). Al di là delle dispute,
potrebbe anche la tesi funzionalista rivelarsi efficace nel corso di alcuni
anni, per poi essere insufficiente a raggiungere il traguardo.”
R : “ Sì, le cose stanno effettivamente come ha detto lei. Il funzionalismo
è utile, perchè mette gli stati in condizione di gestire insieme un numero
crescente di funzioni. Tutto questo è nell’interesse stesso degli stati nell’età
dell’interdipendenza dei rapporti economici e sociali. Spinelli ricordava
che già nel periodo delle due guerre mondiali gli accordi fra gli stati erano
diventati sempre più numerosi. Attaccando un francobollo italiano, io convengo
con i francesi che essi recapiteranno questa lettera a Parigi, in condizione
di reciprocità. Con un accordo internazionale gestiamo insieme questi aspetti
del servizio postale. Così è nato il processo di integrazione europea e si
è sempre sviluppato. C’è una bellissima metafora di Roy Jenkins, che è stato
presidente della Commissione di Bruxelles: il saltatore in lungo fa una serie
di piccoli passettini, alla fine però deve spiccare il salto, se vuole passare
di là dal fossato. E quelli che raccomandano prudenza e calma, per non diventare
giacobini o rivoluzionari, dimenticano un’altra metafora di Spinelli: quando
si arriva sull’orlo dell’abisso, e bisogna passare dall’altra parte, colui
che fa il piccolo passo sprofonda, perchè proprio lì bisogna fare il salto.
Il salto vuol dire che sia ieri, quando eravamo in sei paesi dell’Unione,
sia oggi, che siamo in quindici, dovremmo avere un ministro degli esteri e
non sei o quindici. Naturalmente si intaccano molte incrostazioni di privilegi
e poteri, ma è necessario farlo, per costruire un nuovo assetto di potere.
Questo perchè ogni potere, quasi per necessità, tende ad essere conservatore.
Per rompere interessi ed inerzie del potere, in democrazia, non c’è altra
strada che dare la parola al popolo, al quale bisogna riconoscere il diritto
di redigere la costituzione di uno stato nuovo. Questa la posizione, costituzionalista
o costituente, che ha sempre sostenuto Spinelli, avendo di fronte il grande
presidente americano. Quando ha fatto la federazione americana, Hamilton ha
chiamato un’assemblea costituente a Philadelphia per fare la costituzione.
In Europa è un pò più complicato, perchè invece di avere tredici ex Colonie,
ci sono vari Stati con grandi tradizioni. La procedura costituente, secondo
Spinelli, implica due momenti.
1 - Un trattato tra gli Stati, i quali hanno il potere di spogliarsi di poche
cose, per affidarle al potere europeo, mantenendo tutto il resto, che è anche
distribuito tra le regioni, le provincie, i comuni.
2 - Come si organizza poi questo potere europeo sulle materie decise dagli
stati, questo non è più compito degli stati, ma è compito di un organo rappresentantivo
del popolo europeo, previsto da una costituzione europea. E questa è una strada
che non è mai stata seguita, purtroppo!”
D : “Lei ha avanzato vere e proprie proposte tecniche per accelerare
la riforma delle istituzioni europee (5): il Parlamento elettivo, che
già esiste, è la prima camera; per realizzare la seconda camera sarebbe sufficiente
allargare il Consiglio europeo, l’attuale vertice dei capi di stato e di governo;
a queste due camere spetterebbe il potere legislativo e la funzione di controllo
sulla Commissione, vero e proprio organo di governo dell’Europa. In questo
quadro non sarebbe opportuno che i più alti organi di rappresentanza nazionale,
e non della sola maggioranza politica, penso al nostro presidente della repubblica,
avessero come dovere istituzionale quello di partecipare ai lavori della seconda
camera europea?”
R : “ E’ possibile. Io quando formulo queste proposte mi attengo al progetto
di trattato del parlamento europeo, approvato il 14 febbraio 1984, a seguito
dell’iniziativa di Spinelli. E’ un progetto che ha un vantaggio: appartiene
alla storia e si ispira ad una filosofia realistica. Spinelli diceva: certo,
si può fare la miglior costituzione possibile, però prendiamo ciò che esiste
già a livello comunitario e vediamo i piccoli ritocchi che sono indispensabili,
per rendere funzionanti queste istituzioni. Oggi la vera istituzione patologica
è il consiglio dei ministri. Somma in sè il potere legislativo (6)
e ha anche il potere esecutivo(7). Se noi diamo il potere esecutivo
alla commissione, che diventa il governo, il consiglio dei ministri potrebbe
diventare quello che negli Stati uniti d’America è la camera degli stati,
cioè il senato, che avrebbe esclusivamente il potere legislativo insieme al
parlamento europeo. I vantaggi sono evidenti: - non sarebbero più rappresentati
i governi, e cioè le maggioranze, ma gli stati, anche con i rappresentanti
dell’opposizione; - ci sarebbe la separazione tra potere legislativo ed esecutivo;
- terzo elemento importantissimo: il Consiglio dei ministri come all’epoca
dell’assolutismo, decide in segreto, e non sappiamo mai niente di quello che
succede, in una camera tutto è trasparente. - ultimo elemento: all’interno
del consiglio dei ministri, siccome sono appunto rappresentati i governi nazionali,
è chiaro che non si può mettere in minoranza uno stato, perchè questo potrebbe
non dare più i contributi alla comunità, minacciare ritorsioni o altro.”
D : “ Si avrebbe la secessione?”
R : “ Si, la secessione. Se invece lo stato, che ha già perso competenza sulla
moneta e su altro ancora, fosse rappresentato unicamente al senato, allora
si potrebbe votare a maggioranza. Cosa che nel Consiglio dei ministri, sulle
questioni importanti, non avviene mai. Neppure oggi.”
D : “ Sul retro delle nuove monete europee rimangono, quasi
come ombre della nazione, i simboli delle monete nazionali, ma ciò che è decisivo
è il fronte, dove c’è l’euro, che esprime la nuova sovranità. Ma chi è il
referente politico di tale sovranità?”
R : “ Io ritengo che l’euro sia una questione di straordinaria importanza,
ma non per le ragioni che si dicono normalmente, cioè l’euro ha creato questa
zona di stabilità che ci ha messo al riparo dalle turbolenze del sud asiatico.
E’ vero, ma non è questa l’importanza rivoluzionaria. L’euro sarà importante
quando diventerà una moneta davvero corrente. Ogni volta che un cittadino
deve comperare un caffè, deve tirare fuori l’euro e si accorge di essere insieme
cittadino italiano e cittadino europeo. Cioè finisce il mito della nazionalità
esclusiva. E scopriremo che, come abbiamo i governi del comune, della regione,
dell’Italia, per i quali si vota, così si vota per un governo democratico
dell’Europa e così si può avere non soltanto una banconota e una politica
monetaria, ma anche, che è cosa ben più importante, una politica economica
europea. Non credo che si possa fare una moneta senza una politica economica,
che deve essere espressa democraticamente in Europa da un fatto elettorale,
da un governo europeo responsabile nei confronti dei rappresentanti dei cittadini.”
D : “ La carenza di politica estera europea unitaria e di un
esercito comune fanno sì che tutti i problemi non attinenti alle questioni
economiche non siano decisi nè dagli stati nazionali, nè dall’Europa, ma li
decidono altri, e sempre la Nato o gli americani. Basti pensare che una controversia
tutta europea, come lo scontro tra serbi e albanesi, è trattata in Francia,
a Rambouillet, ma dagli americani. Prima di arrivare alla sovranità sulla
politica estera comune e sulla difesa comune, non sarebbe il caso di costruire
il referente politico, cui debbano rispondere i governanti europei?”
R : “ Io sono assolutamente d’accordo con lei su questo. Del resto questa
era la strada indicata da Spinelli nel Progetto di Trattato per l’Unione.
Spinelli pensava alla riforma democratica delle istituzioni, per costruire
il governo democratico della federazione economica. Si rendeva perfettamente
conto che proporre oggi di devolvere la competenza militare alle istituzioni
europee avrebbe incontrato delle enormi difficoltà, perchè avrebbe voluto
dire in concreto affidare al presidente della commissione europea, il signor
Santer, che nessuno conosce, il controllo dell’armamento nucleare francese
e di quello nucleare britannico. Ora, la gente è disponibile ad affidare questo
potere al signor Santer, che non conosce neppure? Invece, facciamo il governo
democratico della federazione economica, con competenza di politica economica
generale, quando questa cosa diventa particolarmente importante e significativa,
noi avremo grandi candidati per la presidenza della commissione, come Delors,
Kohl. A quel punto diventerà più credibile affidare alla commissione europea
la competenza della politica estera e della politica militare.”
D : “ La possibilità di avere un’Europa unita democratica potrebbe
annullare i singoli rappresentanti nazionali alle Nazioni Unite e fare dell’Europa
un unico interlocutore che potrebbe testimoniare agli altri i propri specifici
valori?”
R : “ Senza dubbio. Lo spettacolo, che noi offriamo alle Nazioni Unite, o
al G7 o al G10, è uno spettacolo indecoroso. L’Unione viene invitata al G10,
ma sta lì sullo strapuntino il presidente della Commissione, in second’ordine
rispetto ai ministri nazionali. All’Onu la Germania si fa strada a gomitate:
«C’è la Francia nel Consiglio di sicurezza, ci voglio entrare anch’io». E’
evidente che contiamo molto di più se ne abbiamo uno solo che parli a nome
di tutti e parli a nome dell’Europa. Potrebbe così affermare certi valori
che sono frutto della nostra civiltà e dire che da noi non si accetta più
che si tagli la mano al ladro o si lapidi l’adultera, come in certi paesi
dove vigono altri principi, altri valori, appoggiati su testi sacri e religioni
ufficiali. Noi abbiamo un altro concetto dell’uomo, che discende dalla cultura
greca, latina, dal rinascimento, dall’illuminismo, dal cristianesimo, e che
intendiamo proporre al mondo.” D Lei ha definito lo stato nazionale “ferro
vecchio”9). L’espressione è molto utile perchè significa che è stato uno strumento
molto utile per un mondo vecchio, mentre oggi nel mondo nuovo occorrerebbe
uno strumento nuovo. R Sulla questione del ferro vecchio, ha detto bene lei:
lo stato nazionale ha dato forza e coesione alla comunità politica, ha garantito
la sicurezza e lo sviluppo economico. Parma e Piacenza non era il quadro della
rivoluzione industriale, necessitavano di un quadro più ampio. Lo stato nazionale
ha consentito all’Italia di fare la rivoluzione industriale. Oggi invece la
sicurezza ha una pluralità di livelli. Un livello mondiale: c’è sicurezza,
se c’è qualche decisione saggia sull’effetto serra, il buco dell’ozono ed
altri, che riguardano l’intero cosmo, come una politica di progressivo smantellamento
delle armi nucleari. C’è un livello europeo: c’è sicurezza, se c’è una politica
efficace nei confronti dei paesi rivieraschi del mediterraneo, che consenta
ai giovani di quei paesi di starsene là, perché saltano tutte le nostre strutture,
che non sono adeguate a ricevere un’immigrazione così massiccia e violenta.
Lo stesso per i paesi dell’Est europeo, dell’ex unione sovietica. C’è un livello
locale: c’è sicurezza, se in un singolo comune la politica, che è stata fatta
da altri, non trasforma quel comune in sede di prostituzione, violenza, droga.
La sicurezza si configura così’ diversamente da semplice problema di solo
confine. Quando è arrivata la nube di Chernobyl, noi avremmo potuto schierare
tutto il sistema di difesa del vecchio stato nazionale al Brennero: la nube
tossica sarebbe passata ugualmente sopra la testa di tutti i soldati, facendo
uno sberleffo. La sicurezza quindi era compromessa. Quindi lo stato nazionale
è stato un ferro utile, oggi è un ferro vecchio. Occorre il federalismo, cioè
una pluralità di livelli di governo, per consentire all’Italia, all’Europa
e al mondo la sicurezza. Spinelli diceva realizziamo la federazione in Europa,
per aprire la strada all’unificazione dell’intero genere umano: questo era
il grande obiettivo di Spinelli.
D : “ La formula federale dell’unità europea potrebbe determinare
un nuovo incontro con l’America, da molti vista come una sorta di gendarme,
con tutto ciò che il gendarme produce: simpatia e ribellione?”
R : “ Se l’Europa diventerà federata, la prima conseguenza sarà proprio il
risanamento delle relazioni atlantiche. Innanzitutto in quanto modelli federali
ci si intenderà più facilmente. L’Europa, diventando una potenza capace di
affrontare i suoi problemi di sviluppo e di sicurezza, potrà sollevare in
larga parte gli americani da certe responsabilità che essi hanno di gendarmi
del mondo. Lei ricordava prima il caso serbo e le trattative di Rambouillet:
sono gli americani che devono trattare queste questioni, perchè noi non abbiamo
il coraggio di assumerci queste responsabilità. Un ordine più sano sarebbe
una regionalizzazione delle competenze. Il Giappone deve occuparsi dell’Asia,
l’America dell’America latina, l’Europa dell’Africa. Però l’Europa non è un
soggetto politico.”
D : “ E’ possibile immaginare che la responsabilità nei confronti
del mondo e l’ipotesi di regionalizzazione delle responsabilità possano coincidere
con un farsi carico direttamente dei paesi nati dalla decolonizzazione?”
R : “ Sarebbe una cosa bellissima se potesse accadere, e spero che possa accadere.
Noi abbiamo la responsabilità della decolonizzazione in questo secondo dopoguerra:
i nuovi stati hanno imitato il modello europeo di statualità e il modello
giacobino napoleonico. Il Maghreb era una profonda unità: è nata l’Algeria,
la Tunisia, e avanti di questo passo, tracciando confini assolutamente arbitrari.
Noi davamo i soldi, loro compravano armi, e hanno fatto e fanno quello che
gli europei hanno fatto negli ultimi cinque secoli: massacrarsi fra di loro.
Del resto non si può proporre un modello federale, quando questo modello non
c’è. Il giorno in cui si facesse la federazione europea si potrebbe dire:
noi torniamo lì con lo stesso atteggiamento positivo con cui gli americani
sono rimasti in Europa nell’immediato dopoguerra e hanno promosso la ricostruzione
con il piano Marshall. Il piano era condizionato. Quattrini a un patto: che
non servano a rifare la Germania, la Francia, e quindi fra dieci anni la terza
guerra mondiale, ma devono essere gestiti in comune dall’Oece, da un’istituzione
che sia l’embrione della comunità, di una federazione economica europea, dicevano
gli americani. Noi dovremmo fare la stessa cosa. Spinelli mi parlava, in un
altro contesto, di questo Piano Marshall per l’Africa. Ormai la capacità di
assorbimento del mercato europeo è esaurita, non si può avere tre, quattro,
cinque frigoriferi per famiglia. Siamo ricchi di manufatti e poveri di materie
prime. E’ indispensabile avere buoni rapporti con i paesi produttori e dare
prestiti a lunga scadenza, per tenere attiva la domanda di questi manufatti.
Quindi aldilà della sicurezza, che consiste nel fatto di evitare che scoppi
la polveriera, con un piano Marshall europeo per questi paesi si potrebbe
aumentare la loro capacità di domanda e tenere attiva la nostra stessa domanda,
contribuendo a riassorbire il problema drammatico della disoccupazione.”
D : “ Milano ha avuto un ruolo importante nel cammino della
costruzione europea. Nel 1985 si è svolto un vertice dei capi di stato europei.
Ci si aspettava molto, però in effetti quello che è uscito è stato come un
topolino partorito dalla montagna. Siamo maturi per dare un giudizio storico
di quel vertice, o dobbiamo confermare che fu un topolino quello partorito
nel Castello Sforzesco?”
R : “ Credo che si possa confermare quel giudizio. Lì si poteva decidere di
fare la Federazione europea. In discussione c’era il progetto del Parlamento
europeo, cioè il Progetto Spinelli. C’erano due strade percorribili. Una,
quella che poi è stata percorsa, di considerare il progetto del parlamento
europeo come un progetto di riforma del Trattato di Roma, istituitivo del
mercato comune. Se lo si considerava una riforma del trattato esistente, bisognava
seguire l’articolo 236, che prevede una procedura molto precisa: anche a maggioranza
si può convocare una Conferenza intergovernativa, che dovrà decidere all’unanimità.
E noi sapevamo già da allora che Inghilterra, Grecia e Danimarca erano contro.
Quindi si convocava la conferenza intergovernativa per discutere di quel progetto,
alla fine si votava all’unanimità e il progetto non passava. L’altra strada,
che avrebbe consentito di superare le difficoltà, era una strada ugualmente
ragionevole. I federalisti l’avevano proposta, anche con una grande manifestazione
in Piazza del Duomo, dove c’erano centomila persone con tanti gonfaloni dei
Comuni. Ebbe per ultimo la parola il presidente del parlamento europeo, che
fece propria la proposta dei federalisti: il Progetto del Parlamento Europeo
non è una modifica dei trattati, ma è un nuovo trattato, che può essere sottoscritto
da cinque, sei, sette stati, che decidono di andare più avanti, come abbiamo
fatto sempre. Con lo Sme abbiamo fatto così. Con l’euro abbiamo fatto così:
siamo quindici paesi e solo undici si danno una moneta unica, ma la porta
rimane aperta a tutti gli altri. In quel caso lì, erano sette paesi, i sei
fondatori, Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, più l’Irlanda,
che erano disposti ad andare avanti. Lasciateci andare avanti, lasciateci
fare un’Unione, rimaniamo tutti nella Comunità e la porta resta aperta. Questa
strada non è stata seguita, perchè la signora Thatcher, premier inglese, si
è irrigidita molto e ha minacciato la rottura e gli altri non se la son sentita
di rompere con l’Inghilterra. Quindi siamo andati alla Conferenza intergovernativa
di Lussemburgo, le posizioni sono rimaste quelle che erano e il 1° dicembre
1985 è uscito l’Atto Unico, elemento di consolazione rispetto alla grande
speranza di fondare l’Unione europea. Quindi io manterrei quel giudizio.”
D : “ Si può dire che il voto per il parlamento europeo sia
stata la battaglia più grande vinta da Altiero Spinelli?”
R : “ Sì. Questa è una battaglia che i federalisti hanno cominciato nel ‘67.
I trattati, al 1° gennaio 1958, prevedevano che l’unione doganale si raggiungesse
in 12 anni, nel 1970. Invece nel ‘66 si è preso atto che le cose andavano
così bene e il processo di unione doganale si poteva concludere al 1° luglio
1966. Un anno e mezzo di vantaggio. Fatta l’unione doganale, bisognava continuare
sulla strada dell’unione economica e monetaria. Fare l’unione doganale si
può, l’unione economica e monetaria vuol dire toccare degli interesse forti,
costituiti, aggrappati, incrostati, sugli stati. Chiedevamo un salto politico:
bisogna fare un governo politico dell’unione economica e dell’unione monetaria.
E quindi noi pensavamo ad un rilancio politico dell’unificazione europea.
L’occasione ci è stata offerta dal fatto che nei trattati era prevista un’istituzione,
un parlamento, che scandalosamente non era eletto. Questo è uno scandalo in
democrazia. Abbiamo cominciato a batterci per l’elezione diretta del Parlamento
europeo. E’ stata una battaglia lunga, perchè l’abbiamo cominciata nel ‘67
e le prime elezioni europee sono state nel 1979. Dodici anni dopo.”
D : “ Certamente il clima politico di quegli anni favoriva
il dialogo tra le forze politiche, internazionali e nazionali. Invece qualche
decennio prima, in piena guerra fredda, come gli Usa non dialogano più con
l’Urss, così i democristiani chiudono con i comunisti, e viceversa. In quel
tempo Spinelli fu decisivo nel mantenere un collegamento con De Gasperi, dimostrando
che il dialogo rende di più di ogni difesa ideologica. Vorrei sapere da lei
se questa capacità di Spinelli è stata valorizzata sia dal fronte democristiano
e sia dal fronte comunista.”
R : “ Lei ha detto una cosa giustissima. La svolta europea del partito comunista
è del 1971, prima di allora i comunisti non ci credono, sono contro il progetto
di integrazione europea. Chi promuove tale svolta è Amendola, che è comunista
per sbaglio, come emerge chiaramente ne La mia scelta di vita. Un aristocratico,
un liberale, che era diventato comunista un pò come lo era diventato Spinelli,
perché per Amendola i comunisti erano il punto più forte di resistenza al
fascismo e Spinelli, ragazzino, era rimasto affascinato dall’internazionalismo
proletario come sistema per esorcizzare la guerra, era infatti stato colpito
dalla tragedia della prima guerra mondiale. Nè l’uno, nè l’altro erano profondamente
marxisti. Amendola poi sposa una parigina, é un europeo fino al midollo. Fatta
la svolta europea, Amendola guarda con interesse la vita di Spinelli, che
stimava moltissimo e che poi vorrà al parlamento europeo. Spinelli verrà presentato
dai comunisti, come candidato al parlamento europeo, nel 1979 e verrà eletto.
Questa scelta del partito comunista fu determinata da Amendola. Quando poi
Spinelli andò al parlamento europeo, a quanti gli chiedevano se era ritornato
comunista, rispondeva: “Non è vero che io son tornato comunista, è il partito
comunista che è diventato spinelliano”. Era una battuta, in cui c’era qualcosa
di vero, nel senso che il partito comunista aveva abbandonato le barricate
antieuropee ed era diventato favorevole al processo di integrazione europea
e, con Berlinguer, addirittura si è presentato su posizioni molto avanzate
all’interno delle forze politiche italiane nel sostegno alla battaglia costituente
di Spinelli e del parlamento europeo. Negli anni cinquanta, è verissimo quello
che lei ha detto, Spinelli, che veniva dal partito comunista ed era di cultura
laica, aveva in mente come obiettivo prioritario la federazione europea. Lui
diceva che era disponibile a fare l’unificazione europea non importa con chi,
anche col demonio. De Gasperi era ben lungi dall’essere il demonio, anzi era
di una statura straordinaria. Spinelli ha trovato in De Gasperi un rarissimo
uomo di governo, capace di ascoltare. E De Gasperi ha un ruolo nella storia
di integrazione europea assolutamente di eccezione, perchè seppe ascoltare
Spinelli. Lo testimonia La mia patria Europa, un libro che la figlia Maria
Romana Catti De Gasperi dedica alla battaglia del padre per l’Europa.”
D : “ L’Europa democratica nascerà sulle ceneri dello stato
nazionale, ormai ferro vecchio e per di più privato del diritto di batter
moneta. Ma la morte non è stata improvvisa, anzi è la conseguenza di una lenta
agonia, che comincia con la seconda guerra mondiale. Per capire il progetto,
che è stato fatto da alcuni individui per primi, Spinelli, Rossi, Colorni,
e poi tanti altri, chi in posizione chiave nelle istituzioni, chi nei movimenti,
è necessario scoprirne il senso. E come si guarda in un giovane, per capire
il senso che si sta costruendo nella sua vita, così é utile interrogarsi sul
senso che può avere questo modo di costruire l’Europa. Abbiamo parlato di
relazioni internazionali, ma resta il problema dell’identità e del senso delle
proprie scelte. Sicuramente la Federazione è un modello istituzionale. Però
la democrazia, cioè la capacità di decidere tutte le scelte, questa non pensa
che sia pericolosamente sottaciuta, come esigenza, e messa un pò da parte?”
R : “ Non c’è dubbio. Abbiamo parlato molto di Spinelli e del suo progetto
al parlamento europeo. Possiamo anche su questo tema trovare uno spunto nella
sua riflessione. Nel Trattato istitutivo della Comunità europea si dice chiaramente
che possono essere ammessi a partecipare alla vita della comunità soltanto
gli stati democratici. E Spinelli diceva: «Se la Comunità facesse domanda
di adesione alla Comunità, la sua domanda verrebbe respinta, perché non è
uno stato democratico». Uno stato è democratico, se i suoi cittadini votano
direttamente per il governo o per i propri rappresentanti, che eleggono il
governo. Il governo della Comunità non è eletto dai cittadini e non risponde
ai cittadini. C’è un filo che collega il popolo e il Parlamento. Ma qui il
filo si interrompe, perché la Commissione risponde ai governi, anzi è un segretariato
dei governi, e chi decide è il Consiglio dei ministri, che è un insieme di
governi, che non rispondono all’intierezza del popolo europeo. Uno risponde
ai tedeschi, l’altro ai francesi, l’altro agli italiani, ma non all’insieme
del popolo europeo. Cioè non è un governo democratico. Quindi si tratta di
fare una riforma democratica delle istituzioni comunitarie. Da un altro punto
di vista, c’è una grave crisi della democrazia nei nostri paesi e dipende
dal fatto che, come ha detto lei, un numero crescente di problemi ormai si
è dislocato a livello europeo e lì sono gestiti tecnocraticamente o attraverso
la cooperazione intergovernativa, cioè non con i metodi democratici. Dove
è rimasta la democrazia, cioè a livello della Francia, della Germania, dell’Italia,
ci sono ormai solo questioni di secondaria importanza da risolvere. Questo
è il pasticcio. Terza osservazione. Un numero crescente di funzioni viene
devoluto a livello europeo e questo non fa altro che aumentare il deficit
democratico, perchè vengono devolute là dove non c’è il controllo democratico.
Questo è il grande pasticcio. Quindi l’Europa non solo è lo strumento per
creare la democrazia europea, ma per rigenerare anche la democrazia a livello
dei nostri stati. Avendo consapevolezza che andiamo a eleggere il parlamento
italiano e il governo italiano per questioni importanti, ma non più importanti
come cento anni fa, con lo stesso spirito con cui noi andiamo a eleggere il
consiglio regionale o del nostro comune, perché l’Italia è ormai uno stato
intermedio nell’organizzazione federale del potere.”
D : “ Chi era Altiero Spinelli?”
R : “ Un eroe della ragione.”
Note:
1) Il Professor Luigi V. Majocchi è il titolare della Cattedra europea
Jean Monnet di Storia dell’integrazione europea nel Dipartimento storico-geografico
dell’Università degli Studi di Pavia.
2) Nell’inverno ‘40-’41, a Ventotene, dove erano confinati, Altiero Spinelli
propone ad Ernesto Rossi di scrivere insieme un «manifesto per un’Europa libera
ed unita». Due erano le idee originali: la federazione da ideale doveva divenire
azione e lo spartiacque tra progressisti e reazionari non era più la quantità
di democrazia o di socialismo, ma l’unità europea.
3) La federazione europea va costruita con il metodo costituente.
4) Per aggirare la resistenza degli stati nazionali e andare verso l’unità
in Europa, sarebbe sufficiente indurre gli stati stessi a gestire insieme
un crescente numero di funzioni.
5) Vedi in Asda Bocconi, Europa 1992, Il Sole 24 ore libri, 1990, pp.271-273.
6) La Commmissione propone, il Parlamento esprime un parere, il Consiglio
dei ministri formula le direttive e i regolamenti, cioè ha il potere legislativo.
7) perchè l’esecuzione dipende dal controllo del consiglio dei ministri.
8) Vedi in Asda Bocconi, Europa 1992, op.cit., pp.256-257.
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