Lettura di due brevi periodi
tolti dal volume "Incontro alla Bibbia", edito dall'Ufficio
catechistico nazionale della Conferenza Episcopale Italiana: "Scopo
dell'incontro con la Bibbia è rafforzare la fede, nutrire la preghiera, dare
luce alla vita dei credenti... Il Padre incontra i suoi figli non per dare
notizie sul passato, ma per annunciare qualcosa che li riguarda...". Ecco
la Bibbia! Noi non siamo qui per conoscere uomini, i profeti, vissuti 2500 anni
fa ed oltre ma per incontrare uomini che ci comunicano le parole che Dio vuole
dirci oggi. La Bibbia, quindi, è la parola divina per noi, oggi. Ho predisposto
per voi uno schema, un po' strano per la verità, che spiega bene che cosa è la
"lectio divina", cioè uno dei modi di pregare più belli e più
antichi che il cristianesimo abbia conosciuto. Io vi inviterei a leggere questo
foglio con calma tenendo presente che si inizia dalla parte sinistra (lectio,
meditatio, oratio, contemplatio...). Questo modo di pregare dovrebbe prendere
1'avvio dalla lettura di un testo (lectio) e arrivare necessariamente a ispirare
1'azione (actio). Teniamo presente che la "lectio divina" è un tipo
di preghiera che richiede una lunga preparazione (dovremmo quasi conoscere a
memoria il testo) e molto tempo a disposizione.
PER UNA SERIA VITA CRISTIANA
Entriamo ora in argomento
incontrando un profeta intimo amico di Gesù: Giovanni il Battista. Lettura di
Mt. 3 , 1-10. Leggiamo questi versetti in quanto io credo che il profeta che di
solito ci immaginiamo corrisponda un po' a Giovanni il Battista, anche nel suo
aspetto fisico. Di conseguenza non riusciamo, ad esempio, a raffigurarci Isaia,
i cui testi leggiamo molte volte durante 1'anno liturgico, se non sulla
falsariga della descrizione del Battista fatta da Matteo, anche se magari sarà
stato molto diverso da lui.
Al v.7 si parla di farisei e
di sadducei. I farisei costituivano all'interno dell'ebraismo un gruppo
religioso che metteva in pratica non solo la "Torah" - la Legge - ma
anche la "Mishnah" - tutta la tradizione -, cioè tutti i commenti dei
maestri autorevoli alla Legge. Così , ad esempio, mentre la Torah stabiliva
1'obbligo di offrire ai sacerdoti la "decima" del grano e dell'orzo,
la Mishnah aveva esteso 1'obbligo stesso a tutti i prodotti della terra,
compresi i più insignificanti. Ricordo, per inciso, che il fariseo doveva
osservare ben 633 comandamenti. I farisei erano poco numerosi, ma presso il
popolo godevano la fama di santi. Fra di loro si trovavano i "dottori della
Legge" ai quali ci si rivolgeva per la soluzione di qualche controversia
riguardante 1'interpretazione della Torah e della tradizione. I sadducei
costituivano un altro gruppo religioso che, a differenza dei farisei, non
credeva nella risurrezione. Erano sostanzialmente gli appartenenti alle grandi
famiglie sacerdotali ed erano sostenitori dei romani pur di mantenere potere e
ricchezze. Mettevano in pratica la Legge ma non osservavano la tradizione.
Giovanni il Battista chiama "razza di vipere" i farisei e i sadducei e
si presenta nel nostro brano come un profeta un po' strano, eccentrico, che
abita nel deserto e che incita alla conversione. Lettura di Lc 3 .1-6 Notiamo
che i due evangelisti ci presentano due sottolineature diverse: Matteo ci invita
alla conversione citando solo un versetto del brano di Isaia (40,3), mentre Luca
motiva la necessità della conversione con il seguito del brano del profeta
(40,3-5): "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!". Ciascun evangelista
ha un suo progetto finalizzato alla migliore comprensione della comunità per la
quale scrive: Matteo si rivolge agli ebrei convertiti e Luca, invece, ai pagani
divenuti cristiani. E' bene sottolineare che le differenze tra i vangeli
sinottici non sono mai casuali. Con quali termini nella Bibbia vengono definiti
i profeti? A - La parola più usata - ben 309 volte- per indicare il profeta è
in ebraico "nabi" , corrispondente in greco a "prophetéses".
Il termine greco deriva da 'pro" e da 'phemí" (=parlare).
"Pro" è una preposizione con diversi significati, come
"davanti" (da cui "parlare pubblicamente") oppure "al
posto di" (da cui "parlare a nome di qualcuno"). Potremmo quindi
dire, facendo una sintesi, che il profeta è colui che parla a nome di Dio
davanti al popolo. Il termine ebraico "nabi" ha una radice con due
significati: 1 ) far bollire, esalare, espandere e, in senso metaforico,
enunciare enigmi in modo insensato. Qui è facile ricordare la tragedia greca
con il culto di Dioniso, un dio - il Bacco dei latini - che a un certo momento
invasava le sacerdotesse, i sacerdoti, le baccanti e parlava attraverso loro; 2)
proclamare, chiamare. Allora, se lo intendiamo in senso attivo, il profeta è
colui che proclama, mentre in senso passivo è colui che viene chiamato.
Pensiamo alla descrizione di Giovanni Battista fornitaci da Luca (3,2) e che
rende molto bene questo significato "...la parola di Dio scese su
Giovanni...". Ciò significa che Giovanni non ha scelto, ma è stato
scelto; è stata la parola a pervaderlo. B - Altro nome ebraico adoperato ( 17
volte) è "hozéh" e significa "colui che ha delle visioni",
"il veggente". Questo termine va letto sia in senso positivo che
negativo. In senso negativo significa che colui che vede è matto oppure ha
assunto droga; in senso positivo indica colui che ha delle visioni mandate da
Dio. Potremmo definire il veggente con una parola della grande tradizione
cristiana: un mistico. I profeti, comunque, sono dei precursori. C - Un terzo
modo per definire in ebraico il profeta è "ro'éh", ossia "il
veggente", ed è sinonimo di "hozéh". Nella Bibbia, però, non
viene mai adoperato in senso negativo. Quando leggiamo questo termine sappiamo
che la visione avuta da un certo profeta costituisce un messaggio di Dio. Si
tratta di una persona che comunica con il divino, anche se non sappiamo come, e
che vede cose che noi non vediamo. Chi è e cosa fa il profeta in rapporto al
popolo? Nella Bibbia il profeta risulta sempre collegato al popolo. E' "somer",
il guardiano del gregge, cioè colui che fa la guardia del popolo a nome di Dio.
Con altro termine, ripreso dal gergo militare, è "sofeh", sentinella.
Secondo questo significato il profeta è colui che fa da sentinella al popolo e
lo avvisa quando si presenta un pericolo. E il nemico è il peccato del popolo.
Alcuni profeti fondarono delle scuole e vennero chiamati anche padri o madri, in
senso spirituale, e diedero così inizio a una stirpe-scuola profetica (come, ad
esempio, la grande scuola profetica di Isaia) lasciando un seme destinato a
svilupparsi. Allora il profeta in rapporto al popolo è un guardiano, una
sentinella, un padre o una madre. Chi è e cosa fa il profeta in rapporto a Dio?
Teniamo presente che senza il popolo e senza Dio non si ha il profeta. In
rapporto a Dio il profeta viene definito nell'Antico Testamento con tre termini:
I - uomo di Dio - Viene usato tipicamente per due personaggi - Mosè e Davide -
e poi applicato ai profeti. (Ricordo che tutti noi con il battesimo siamo
diventati profeti, re e sacerdoti) II - angelo di Jahve - "Angelo",
dal greco, significa "messaggero", "annunciatore" ; Quindi
il profeta è colui che annuncia i messaggi di Dio. Noi annunciamo il messaggio
divino a quante persone? III - servo di Jahve - In questa espressione
"servo" è inteso come colui che fa in pienezza, sempre, completamente
la volontà di Dio. Nella mia vita, quindi, non deve esserci nessun altro
padrone che il Signore. Togliamo, allora, dal nostro bagaglio mentale 1'idea che
il profeta sia colui che prevede il futuro. Infatti il profeta è colui che vive
in comunione con Dio. il quale gli affida i suoi messaggi perché li riporti
fedelmente al popolo. Caratteristiche della profezia biblica: 1 ) comunicazione
del mondo divino con il mondo umano attraverso un intermediario. Due mondi che
entrano in collegamento attraverso un uomo. Ne consegue che noi dobbiamo essere
collegamento tra Dio e il mondo di oggi. Da ciò discende 1'importanza per noi
del discernimento, ossia della capacità di capire il tempo in cui viviamo,
1'oggi, senza alcun rimpianto per il passato che non è certamente più glorioso
del presente; 2) illuminazione interiore in quanto la profezia non è frutto di
una ricerca del profeta. Vi ricordo che le illuminazioni interiori non sono
proprie dei profeti biblici; possono avvenire anche oggi, ma dobbiamo pregare
per averle; 3) messaggio non sollecitato, cioè non richiesto. Potremmo allora
dire che il profeta è un uomo chiamato a parlare ad Israele perché questo
popolo proceda nella fede e sia sempre fedele al Signore. Ma ciò che
caratterizza il profeta è 1'essere "uomo della Parola". Come abbiamo
detto prima, il profeta è uomo di Dio, angelo di Jahve e servo di Jahve. E
questo Signore si manifesta attraverso la Parola. Noi sappiamo dalla Bibbia che
la parola di Dio è ben diversa dalla nostra che viene pronunciata, ma di per
sé non produce effetto. Troviamo conferma dell'efficacia della Parola divina,
ad esempio, in Genesi 1,3 "Dio disse "Sia la luce!" e la luce fu.";
in Gv 5,8: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina."; e, ancora, in
Gv 11,43: "Lazzaro, vieni fuori!". La parola di Dio si realizza
sempre. Il profeta è 1'uomo della parola di Dio e non della propria. Di
conseguenza la parola del profeta, come quella divina, risulta efficace. E' una
Parola che distrugge, crea, sollecita, solleva, abbatte, secondo ciò di cui ha
bisogno il popolo. Ma la parola di Dio può anche venire meno. Ed in alcuni
episodi della Bibbia troveremo il profeta che non accetta il diritto di Dio di
tacere in quanto è un uomo con tutte le sue debolezze. Allora vedremo il
profeta che si sforzerà di inventare qualche parola spacciandola per la parola
di Dio e sarà così un profeta di menzogna. La Parola è veramente la
"signora" nella vita del profeta il quale vede la realtà, ma soltanto
Dio gliene rivela il senso profondo. II lezione I profeti - continuazione Nella
prima lezione abbiamo evidenziato alcuni elementi che qualificano il profeta, un
uomo che si impegna su vari fronti, che si confronta con diverse realtà. I
Confronto: con il popolo infedele alla legge di Dio. Da questo importante
elemento emerge la dimensione sociale dei profeti. Il popolo è infedele a causa
dell'idolatria e dell'inosservanza del comandamento dell'amore per il prossimo,
costituito in particolare dalle categorie deboli: vedove, orfani, stranieri. II
Confronto-scontro: con il sacerdozio, perché i sacerdoti utilizzano spesso il
culto a Jahve per i propri scopi (arricchimento, potere, ecc.). III Confronto:
con il re. I profeti non avevano remore nel parlare chiaro. Il re che è
infedele, che non pensa al bene del popolo, che non protegge la vedova, 1'orfano
e lo straniero, cadrà sotto la spada verbale del profeta. IV Confronto: con i
falsi profeti. Nella storia d'Israele troviamo molti profeti e molti falsi
profeti. Questi ultimi, per servilismo verso il re e i potenti oppure per
tornaconto personale, invece di ripetere le parole di Dio dicevano le proprie,
anche a scapito della sicurezza del popolo. Il profeta, quindi, è colui che
legge la storia non come un insieme di vicende umane ma come storia della
salvezza. In questa storia, apparentemente solo umana, Dio è presente e agisce
misteriosamente. Il profeta che coglie negli avvenimenti i segni della presenza
divina, se necessario, critica il presente e propone un futuro alla luce del
passato, cioè alla luce dell'Esodo. Il profeta si potrebbe definire un
"restauratore" in quanto vorrebbe cambiare radicalmente le situazioni,
ripristinare il potere divino, ritornare al tempo in cui Jahve era veramente il
Signore del suo popolo e in cui Dio era lo sposo fedele e il popolo la sposa
fedele. Si tratta di un "restauro" proiettato in chiave messianica sul
futuro. I generi letterari presenti nei libri dei profeti. I - gli oracoli,
ossia le parole pronunciate dal profeta che le ha ricevute direttamente da Dio.
(Erano famosi anche nel mondo pagano gli oracoli, come, ad esempio, quelli di
Apollo delfico e della Sibilla cumana). Gli oracoli si suddividono in vari
sottogeneri letterari: 1 - le sentenze contro un privato. ' Lettura di Amos
7,16-17. Qui Amos polemizza con il sacerdote Amasia che lo accusa e lo scaccia
dal tempio di Betel. Il profeta si difende con una sentenza di condanna
pronunciata in nome di Dio contro Amasia e tutti i suoi parenti. Questo è un
esempio di sottogenere letterario che incontreremo spesso negli scritti
profetici; 2 - le sentenze contro Israele. Isaia 30,12-14 - lettura; 3 - le
invettive o i guai Abacuc 2,6b-7 e - inoltre - 9,12,15,19 - lettura; 4 -
1'azione giudiziaria, cioè un processo immaginario che Dio intenta contro il
popolo o una sua parte. Lettura di Osea 4,1-3 in cui è evidente 1'azione
sociale dei profeti; i peccati non sono soltanto contro Dio, ma anche contro
1'uomo; 5 - il dibattito (del Signore con gli accusati) Geremia 2,23-25 -
lettura Qui 1'accusata è Gerusalemme che Dio paragona a una cammella o a
un'asina nel deserto; 6 - la comparazione Lettura di Ezechiele 4,1-4. Abbiamo in
questo caso un paragone per far capire quale sarà la sorte della città di
Gerusalemme; 7.- 1'allegoria Ezechiele 17 - lettura Nel nostro capitolo vengono
usate delle immagini, in questo caso 1'aquila, per simboleggiare altre realtà;
8 -le lamentazioni (genere molto frequente). Amos 5,1-3 - lettura - Si tratta di
uno dei tanti lamenti sulla sorte di Israele; 9 -1'istruzione profetica. Lettura
di Michea 6,6-8 in cui si parla del culto autentico; 10 -le sentenze contro i
nemici di Israele Isaia 10,5-15 - lettura; 11 - gli oracoli di salvezza Isaia
40-55 - lettura; 12 - le esortazioni Sofonia 2,3 - lettura; 13- le escatologie,
cioè le visioni riguardanti i tempi ultimi. Lettura di Zaccaria 14. II - le
narrazioni-(genere letterario molto diffuso): 1 le vocazioni, cioè le chiamate.
Lettura di Geremia 1,4-10. In questi versetti leggiamo tutto quanto è stato
detto nella precedente lezione sui profeti. Si tratta di un brano stupendo che
dovrebbe essere attualizzato per ciascuno di noi: la nostra chiamata
battesimale, la chiamata al matrimonio ecc.. E' un brano che segna gli inizi
anche della mia vocazione: quando iniziavo a sentire "qualcosa" il
diacono con il quale mi sono confidato mi ha fatto avere un testo nel quale
veniva commentata la vocazione del profeta Geremia. Probabilmente la mia
esperienza ricalcava un po' quella del profeta, soprattutto riguardo alle paure.
Dio, che ci ha pensato dall'eternità, ci donerà tutto quanto è necessario per
realizzare in pienezza ciò che ci chiede; 2 -i sogni Lettura di Zaccaria 1,7 e
seguenti. Spesso ai profeti la volontà e la parola di Dio si manifestano
attraverso i sogni. Anche in una certa parte del Vangelo di Matteo i sogni hanno
un'importanza notevole (ricordiamo 1'angelo apparso in sogno a Giuseppe - Mt. 1,
20-21); 3 - le visioni Amos 7, 1-9 lettura; 4 - le audizioni Isaia 5,9 -
lettura; 5 - i racconti biografici e autobiografici lettura dei capitoli 26, 27,
28 e 29 di Geremia; 6 - le azioni simboliche Ezechiele 24, 15-21 - lettura A1
profeta Ezechiele viene richiesto da Dio di tenere un comportamento assurdo in
occasione della morte della moglie con lo scopo di far comprendere agli
Israeliti che, nonostante sia stato loro tutto distrutto e i loro figli siano
caduti di spada, essi continueranno nella condotta cattiva che li porterà alla
perdizione. Lettura di Osea 1,2-9. III - Le parole rivolte a Dio Lettura di
Geremia 20,7-18 - "Estratti diversi dalle Confessioni" Si tratta di un
brano bellissimo. Geremia è un uomo solo, è perseguitato: ha soltanto il
Signore. La vita di questo profeta ha avuto grandi slanci verso Dio e grandi
momenti di sconforto; egli, però, affermava "...nel mio cuore c'era come
un fuoco ardente...mi sforzavo di contenerlo ma non potevo..." (20,9); IV
un gruppo misto che comprende: 1 - le canzoni Lettura, come esempio, di Osea
6,1-3; 2 - gli inni Isaia 44 - lettura; 3 - le narrazioni storiche Isaia 36-39;
4 - le letture Lettura di Geremia 39.
I profeti sono persone
profondamente radicate nel popolo e hanno a cuore i deboli e gli oppressi dei
quali perorano le cause davanti al re. Dio ha chiamato questi uomini a calarsi
nell'umanità del loro tempo per cercare di migliorarla. Ci domandiamo se i
profeti della parola e i profeti scrittori abbiano avuto qualche punto di
riferimento precedente al loro tempo. Qualcuno prima di loro è stato indicato
come profeta ("nabì")? Si, ad esempio, Abramo. Si può discutere sul
fatto che questo termine gli sia stato applicato dopo la sua epoca, se durante
la riforma di Giosia oppure - prima ancora - quando vennero elaborati i grandi
testi. Appare, tuttavia, indubbio che grandi uomini come Abramo e Mosè abbiano
avuto caratteristiche profetiche. Ad Abramo viene attribuito il nome di
"profeta" per la prima volta nell'episodio che vede protagonisti Sara
e il re Abimelec (Genesi 20,7): "Ora restituisci la donna di quest'uomo:
egli è un profeta: preghi egli per te e tu vivrai.". Il termine profeta
viene usato per indicare Abramo nel suo gesto di preghiera. Infatti egli è
profeta perché prega; può pregare ed essere ascoltato. Abbiamo certamente
presente un'altra vicenda in cui Abramo prega ed è ascoltato e cioè quando Dio
decide di distruggere Sodoma e il patriarca-profeta intercede a favore di quella
città. III lezione I profeti - Inquadramento storico Dopo le conquiste della
terra promessa (1220 a.C. circa) nella quale rimanevano ampie zone occupate
dalle popolazioni indigene, le tribù d'Israele furono governate dai
"giudici". Il periodo del loro governo durò fino all'avvento della
monarchia con Saul (dal 1030 al 1010 circa) e fu caratterizzato da guerre di
conquista dei territori da parte delle singole tribù e da guerre di difesa dei
territori contro le popolazioni locali e confinanti. Si definirono in
quell'epoca i primi confini entro i quali undici delle dodici tribù (Levi,
infatti, non possedeva terra) stabilirono i loro rispettivi territori. Ultimo
giudice e primo profeta fu Samuele (che era anche sacerdote) che diede inizio,
su pressante richiesta del popolo è con il consenso di Dio, all'istituzione
monarchica in Israele ungendo per primo re Saul della tribù di Beniamino. A
Saul succedette Davide, anch'egli unto da Samuele, il quale regnò per i primi
sette anni soltanto su Giuda (il sud) e per altri 33 anni su Giuda e Israele
unite (il regno di Davide si colloca nel periodo dal 1010 al 970 a.C. circa).
Israele e Giuda rimasero uniti ancora con Salomone, successore di Davide, che
regnò dal 970 al 931 circa.
TAVOLA CRONOLOGICA 2 TAVOLA
CRONOLOGICA 1220 a.C. ca. conquista della terra promessa da parte degli Ebrei
dal 1200 al 1030 ca. governo dei Giudici Dal 1030 al 1010 ca. regno di Saul
(primo re) Dal 1010 al 970 regno di Davide Dal 970 al 931 regno di Salomone 931
suddivisione della PaIestina in due regni: Israele al nord (con capitale Samaria
e re Geroboamo); Giuda al sud (con capitale Gerusalemme e re Roboamo) VIII sec.
a.C. primi profeti scrittori 733 a.C. annessione alla Siria di buona parte del
territorio di Israele (Galilea e Galad) 722 a.C. crollo del regno di Israele ad
opera degli Assiri (re Sargon II°), distruzione di Samaria e deportazione in
Assiria di buona parte degli abitanti (re Osea) 622 a.C. rinvenimento a
Gerusalemme del rotolo (libro) del Deuteronomio e inizio ad opera del re Giosia
di una riforma religiosa 609 a.C. il re Giosia viene sconfitto e ucciso nella
battaglia di Meghiddo dal re egiziano Nekao Dal 609 al 605 a.C. il regno di
Giuda diventa vassallo dell'Egitto Dal 605 al 601 a.C. il regno di Giuda diventa
vassallo di Babilonia Dal 601 al 597 a.C. il regno di Giuda diventa vassallo
dell'Egitto 597 a.C. prima conquista di Gerusalemme da parte di Babilonia e
prime deportazioni Dal 597 al 587 a.C. il regno di Giuda diventa vassallo di
Babilonia Dal 587 al 586 a.C. ribellione di Giuda (re Sedecia), nuovo assedio,
distruzione di Gerusalemme e del tempio da parte dei Babilonesi e nuove
deportazioni 539 a.C. Ciro re di Persia conquista Babilonia 538 a.C. Ciro
concede agli Ebrei il diritto di rientrare in patria con il tesoro del tempio
Dopo il 538 a.C. rientro graduale degli esiliati in Giuda e ricostruzione del
tempio iniziata nel 520 e terminata nel 515 a.C. Dopo il 450 a.C. nuove riforme
religiose operate da Esdra e da Neemia 333 / 332 a.C. conquista del Medio
Oriente da parte di Alessandro Magno e inizio dell'epoca ellenistica 167 / 164
a.C. la grande persecuzione degli Ebrei ad opera di Antioco IV .
TAVOLA CRONOLOGICA 1220 a.C.
ca. conquista della terra promessa da parte degli Ebrei dal 1200 al 1030 ca.
governo dei Giudici Dal 1030 al 1010 ca. regno di Saul (primo re) Dal 1010 al
970 regno di Davide Dal 970 al 931 regno di Salomone 931 suddivisione della
PaIestina in due regni: Israele al nord (con capitale Samaria e re Geroboamo);
Giuda al sud (con capitale Gerusalemme e re Roboamo) VIII sec. a.C. primi
profeti scrittori 733 a.C. annessione alla Siria di buona parte del territorio
di Israele (Galilea e Galad) 722 a.C. crollo del regno di Israele ad opera degli
Assiri (re Sargon II°), distruzione di Samaria e deportazione in Assiria di
buona parte degli abitanti (re Osea) 622 a.C. rinvenimento a Gerusalemme del
rotolo (libro) del Deuteronomio e inizio ad opera del re Giosia di una riforma
religiosa 609 a.C. il re Giosia viene sconfitto e ucciso nella battaglia di
Meghiddo dal re egiziano Nekao Dal 609 al 605 a.C. il regno di Giuda diventa
vassallo dell'Egitto Dal 605 al 601 a.C. il regno di Giuda diventa vassallo di
Babilonia Dal 601 al 597 a.C. il regno di Giuda diventa vassallo dell'Egitto 597
a.C. prima conquista di Gerusalemme da parte di Babilonia e prime deportazioni
Dal 597 al 587 a.C. il regno di Giuda diventa vassallo di Babilonia Dal 587 al
586 a.C. ribellione di Giuda (re Sedecia), nuovo assedio, distruzione di
Gerusalemme e del tempio da parte dei Babilonesi e nuove deportazioni 539 a.C.
Ciro re di Persia conquista Babilonia 538 a.C. Ciro concede agli Ebrei il
diritto di rientrare in patria con il tesoro del tempio Dopo il 538 a.C. rientro
graduale degli esiliati in Giuda e ricostruzione del tempio iniziata nel 520 e
terminata nel 515 a.C. Dopo il 450 a.C. nuove riforme religiose operate da Esdra
e da Neemia 333 / 332 a.C. conquista del Medio Oriente da parte di Alessandro
Magno e inizio dell'epoca ellenistica 167 / 164 a.C. la grande persecuzione
degli Ebrei ad opera di Antioco IV .
COLLOCAZIONE CRONOLOGICA DEI
PROFETI
A - Profeti della parola
Samuele giudice, sacerdote e profeta - epoca dei re Saul e Davide Sec. XI a.C.
Natan epoca del re Davide (secondo periodo del regno) Sec. X Gad secondo periodo
del regno di Davide Sec. X Achía epoca del re Geroboamo - regno di Israele Sec.
X Semaia epoca del re Roboamo - regno di Giuda Sec. X Elia epoca del re Acab -
regno di Israele Sec. IX Eliseo epoca del re loram - regno di Israele Sec. IX
B - Profeti scrittori Amos
epoca del re Geroboamo II - regno di Israele Sec. VIII a.C. Osea periodo dei re
Geroboamo, Zaccaria, Sallum, Menachem, Pekakia e Pekach - regno di Israele Sec.
VIII a.C. Isaia (1-39) epoca dei re (Iotam, Acaz ed Ezechia - regno di Giuda
Sec. VIII Michea opera nello stesso periodo di Isaia primo - regno di Giuda Sec.
VIII Sofonia periodo del re Giosia - regno di Giuda Sec. VII Naum epoca del re
Amon - regno di Giuda. Sec. VII Abacuc epoca del re loiakim - regno di Giuda
Sec. VII Geremia periodo dei re Giosia, loakaz, loiakim, loiachin e Sedecia -
regno di Giuda - a Geremia sono state attribuite dalla tradizione le
"Lamentazioni" Sec. VII e VI Ezechiele periodo dell'esilio a Babilonia
dopo la prima deportazione con il re loiachin - regno di Giuda Sec. VI II Isaia
(40-55) epoca del rientro in patria dall'esilio in Babilonia Sec. VI Aggeo Epoca
del postesilio-anni della ricostruzione del tempio di Gerusalemme Sec. VI
Zaccaria (1-8) Opera nello stesso periodo di Aggeo III Isaia(56-66) Opera nel
medesimo periodo di Aggeo e di Zaccaria (1-8) Abdia Epoca dell'esilio in
Babilonia Sec. VI Malachia Epoca del postesilio nel periodo della riforma di
Esdra e di Neemia Sec. V Baruc Prima parte dell'epoca dell'esilio in Babilonia
(sec. VI) e seconda parte e redazione definitiva del I sec. a.C. Giona Epoca del
postesilio Sec. V Gioele Epoca del postesilio Sec. V II Zaccaria (9-14) Periodo
ellenistico Sec. IV Daniele Ultimo profeta e primo scrittore apocalittico -
epoca della rivolta dei Maccabei Sec. II
Con Davide, che conquistò
Gerusalemme rendendola capitale, si costituì effettivamente uno Stato che prese
il posto di quella che era stata fino allora una confederazione di tribù.
Davide trasferì 1'Arca dell'alleanza, che si trovava a Silo, a Gerusalemme e
avviò la costruzione del tempio che venne poi realizzato da Salomone. Costui
aveva esteso con le sue conquiste territoriali i confini d'Israele, aveva
completato 1'organizzazione amministrativa e militare dello Stato e costituito
una corte reale con un proprio apparato. Alla morte di Salomone 1'antagonismo
fra le popolazioni del nord e quelle del sud, determinato anche dalla supremazia
di Giuda e dall'accentramento delle ricchezze a Gerusalemme, portò alla
divisione del regno in due stati: al nord Israele con il re Geroboamo e al sud
Giuda (ridotto al territorio della sola tribù di Giuda) con il re Roboamo,
figlio di Salomone. Alla frattura politica si aggiunse quella religiosa. Le due
capitali furono stabilite al sud in Gerusalemme e al nord in Samaria. Nel regno
del nord vennero anche costruiti due santuari, uno a Betel e 1'altro a Dan, in
modo che la pratica religiosa potesse svolgersi nel territorio d'Israele senza
la necessità di recarsi al tempio di Gerusalemme. In quell'epoca nel regno del
nord, più che a Giuda, si verificò una notevole contaminazione da altri culti,
principalmente da quello cananeo di Baal, divinità delle fertilità. Siamo nel
X secolo a.C. e qui inizia un periodo caratterizzato da vicende politiche e
militari che segnarono fortemente la vita del popolo ebraico e della Palestina
il cui territorio era preda delle mire espansionistiche dei potenti vicini ad
iniziare dall'Egitto e poi - in successione storica - dall'Assiria, da
Babilonia, dalla Persia. Durante il periodo che va dall'XI al V-IV secolo a.C.
si manifestò il fenomeno del profetismo che ebbe origine ancora prima del
sorgere della monarchia con Samuele, considerato il primo profeta. ll profetismo
accompagnò la storia d'Israele e di Giuda dall'inizio alla fine dell'istituto
monarchico quando, perduta definitivamente 1'indipendenza, il popolo ebraico
dopo il rientro dall'esilio in Babilonia entrò a far parte dei possedimenti dei
re persiani con una limitata autonomia. Le ultime voci profetiche compaiono
sotto la dominazione persiana (V e IV secolo) e, dopo quasi tre secoli,
all'epoca della persecuzione di Antioco IV re di Siria (metà del II secolo) con
Daniele, considerato peraltro più che un profeta uno scrittore apocalittico. Fu
un periodo nel quale il culto subì gravi contaminazioni a causa
dell'instaurarsi di credenze idolatriche (in particolare il culto di Baal), ma
caratterizzato da grandi slanci di riforma e di restaurazione della purezza
della fede nell'unico Dio. Ricordiamo la riforma di Giosia nel 622 a.C.,
iniziata subito dopo il rinvenimento del secondo libro della Legge (il
Deuteronomio) durante i lavori di riparazione del Tempio ed estesa anche a
Israele, e le riforme di Esdra e di Neemia (tra il 450 e il 445 a. C.). Al
termine dell'epoca persiana subentrerà, dopo la conquista da parte di
Alessandro Magno del medio oriente, 1'epoca ellenistica il cui inizio è
convenzionalmente stabilito con 1'anno 333 a.C. .
Vicende storiche più
importanti connesse con 1'attività profetica. I primi profeti di cui si ha
notizia nella Bibbia si limitano alla predicazione e quindi non lasciano opere
scritte. Questi operano dall'epoca di Samuele imo alla metà del secolo VIII
a.C., quando appaiono i primi profeti scrittori, detti anche "profeti del
libro" perché la loro opera è stata tramandata attraverso i c.d. libri
profetici. Questo periodo comprende quindi il regno di Saul, quelli di Davide e
di Salomone e successivamente, dopo la divisione della Palestina, i regni di
Israele e di Giuda. Vediamo, ad esempio, operare i profeti Gad e Natan alla
corte di Davide, il profeta Achia alla corte dei re Geroboamo d'Israele e il
profeta Elia con il re Acab ed Eliseo con il re Ioram (anche questi ultimi re
d'Israele). Eliseo fu anche taumaturgo (da"zauma" = miracolo,
prodigio). Gli ultimi profeti di questo gruppo assumono un atteggiamento sempre
più distaccato dai regnanti per avvicinarsi agli interessi del popolo e per
sostenere la purezza del culto e i diritti degli oppressi. Essi preannunciano i
tratti caratteristici dal profetismo successivo, quello appunto dei
"profeti scrittori". Il popolo d'Israele fin dall'inizio della sua
storia con 1'insediamento nella terra promessa e con le conquiste territoriali
intrecciò rapporti commerciali con i popoli vicini; rapporti il più delle
volte segnati da ostilità e da guerre, anche perché Israele cercò sempre di
difendere la propria identità e la propria originalità religiosa in mezzo ai
popoli idolatri. Un popolo che ebbe molti legami politici e commerciali con
Israele fu quello dei Fenici, chiamati anche Cananei, organizzato non in uno
stato unitario ma per città, situate sulla costa (in particolare Tiro e Sidone)
che va dal Monte Carmelo a sud imo all'attuale costa della Siria a nord. Anche i
Fenici subirono la sorte di Israele e di Giuda quando, all'inizio del sec. VIII
a.C., si affacciarono verso i territori del Mediterraneo orientale gli Assiri
che con le loro mire espansionistiche tendevano alla conquista delle città
fenicie della costa e della Palestina. Il popolo ebreo fu preda insieme ai
Fenici delle conquiste degli Assiri prima e dei Babilonesi poi, subendo anche le
conseguenze dell'intervento militare dell'Egitto che mirava alla conquista degli
stessi territori e a contrastare 1'espansione dei regni mesopotamici. Per
ultimo, ai Babilonesi si sostituirono i Persiani, i quali permisero il rientro
in patria da Babilonia degli ebrei esiliati e dei loro discendenti. Torniamo
alle vicende dei due regni e alla fine dell'indipendenza di Israele e di Giuda.
Nel 733 a.C. 1'Assiria si annette la Galilea e Galad lasciando a Israele
soltanto la parte meridionale del territorio (Efraim). Nel 722 crolla il regno
d'Israele ad opera del re assiro Sargon II, la capitale Samaria viene distrutta
e buona parte del popolo finirà in esilio in Assiria senza poter tornare in
patria. Nei territori conquistati i deportati furono sostituiti con popolazioni
straniere. Le dieci tribù del nord erano così scomparse e il territorio del
cessato regno d'Israele assunse il nome di quella che era stata la sua capitale,
cioè Samaria, divenendo una provincia del regno di Assiria abitata dai
Samaritani, una popolazione mista che adorava Jahvé insieme a idoli stranieri.
A causa di questo sincretismo religioso i samaritani furono fortemente
disprezzati dagli ebrei del sud del paese anche ai tempi di Gesù. Il nome
d'Israele da quell'epoca verrà rivendicato soltanto dal sopravvissuto piccolo
regno di Giuda, come erede non soltanto dello Stato davidico ma anche della
tradizione religiosa di tutto il popolo e del suo culto. E il regno di Giuda,
pur avendo conservato 1'indipendenza a costo di forti tributi, si trovò in
condizioni di vassallaggio nei confronti del confinante regno assiro e
attraversò un periodo di relativa tranquillità anche nel secolo successivo (il
VII), perché iniziò presto il declino della potenza assira sotto la spinta dei
Babilonesi.(o Caldei). In questo secolo si verificò nel regno di Giuda un
ritorno al passato, in fatto di religione e di politica, caratterizzato da
tendenze restauratrici. Suscitò scalpore nel 622 a.C. a Gerusalemme, durante i
lavori di restauro del tempio, il rinvenimento di un rotolo dalle origini
oscure, che doveva essere stato scritto non molto tempo prima sotto influssi
sacerdotali e profetici nel regno del nord e qui riportato e rielaborato. Tale
rotolo - o libro - conteneva un grande discorso di commiato di Mosè prima della
conquista della terra promessa e la rielaborazione della Legge del popolo di
Dio. Il re Giosia riconobbe subito in quel libro la seconda legge (da qui il
nome di Deuteronomio), lo presentò al popolo e concluse una nuova alleanza tra
Jahvè e Israele. Da questi avvenimenti ebbe origine la nota riforma religiosa
di Giosia; riforma che il re di Giuda volle estendere al nord dove giunse a
distruggere il tempio idolatrico di Betel. Ma anche per Giuda si approssimava il
tempo della fine. Il re Giosia viene sconfitto e ucciso dal re egiziano Nekao
nel 609 nella battaglia di Meghiddo e il regno di Giuda diviene vassallo degli
egiziani fino al 605 per passare da quell'anno al vassallaggio dei babilonesi
imo al 601. Di nuovo vassallo dell'Egitto per un breve periodo, il regno di
Giuda subisce una prima sconfitta da parte dei babilonesi che conquistano dopo
un breve assedio Gerusalemme nel 597. A quella conquista segue una prima
deportazione a Babilonia di ebrei appartenenti alle classi sociali più elevate.
Anche il re viene deportato. Il nuovo re vassallo (Sedecia) si ribella nel 587
con 1'aiuto dell'Egitto e questo atto costa a Gerusalemme un nuovo assedio che
si . conclude con la distruzione della città, il saccheggio del tempio e una
nuova consistente deportazione che tocca la classe sacerdotale e i possidenti.
Le terre dei deportati vengono assegnate dai babilonesi alla popolazione rimasta
nelle campagne. Anche i profeti opereranno tra gli esiliati i quali in Babilonia
trovano il lavoro e un certo benessere, la possibilità di vivere in propri
quartieri e di conservare il culto, non più sacrificale, in attesa del rientro
in patria. Ai tempi dell'esilio in Babilonia si manifesta la diaspora anche
verso altri stati, come 1'Egitto, che si estenderà successivamente ai territori
dell'Asia Minore e del Mediterraneo orientale per poi raggiungere Roma. L'esilio
durerà 50/60 anni, fino all'avvento sulla scena del medio oriente della potenza
persiana. Ciro II, re di Persia, conquista Babilonia nel 539 e con il crollo
dell'impero babilonese si apre la prospettiva di un rapido ritorno in patria
degli esuli. L'editto di Ciro del 538 a.C. concede agli ebrei il diritto di
rientrare a Genxsalemme e. si pongono quindi le premesse per la ricostruzione
della città e del tempio. La Palestina entra a far parte dell'impero persiano
come stato vassallo con i governatori inviati dall'imperatore. Ha inizio un
periodo di relativa tranquillità che dura circa 200 anni imo all'arrivo di una
nuova potenza, questa volta dall'ovest, quella greco-macedone di Alessandro
Magno (333 a.C.). Il ritorno in patria degli esuli avviene gradualmente, ma non
coinvolge tutti perché una parte di essi preferisce rimanere nei territori
della deportazione. La ricostruzione del tempio viene realizzata in tempi non
brevi e termina nel 515 a.C., ma senza 1'arca mai più ritrovata. Al suo posto
si conserva un candelabro a sette bracci (menorah) che diventerà dopo molti
secoli, assieme alla stella di Davide, il simbolo dello Stato di Israele
ricostituito nel 1948. Dopo il tramonto della monarchia il nuovo tempio non
sarà più proprietà del re, ma apparterrà al suo popolo. A1 vertice di
Israele sarà ora il sommo sacerdote e la classe sacerdotale acquisterà sotto
la dominazione persiana sempre maggior potere. Sotto 1'influenza di ambienti
ebraici in Babilonia, in stretti rapporti con la patria, i re persiani curano la
riorganizzazione dello stato. Due funzionari imperiali di origine ebraica, Esdra
e Neemia, operano dalla metà del V secolo in poi (dopo il 450 a.C.) e
realizzano una nuova riforma religiosa con la promulgazione in Giudea della
Legge di Dio come legge del re, con il divieto di matrimoni misti e con la lotta
ai culti stranieri e contaminati. A quell'epoca risale anche la ricostruzione
delle mura di Gerusalemme. L'opera di Esdra e di Neemia è mirata al ripristino
dell'identità tradizionale del popolo ebraico e alla rivalutazione della Legge
contenuta nel Pentateuco. La Giudea è divenuta territorio autonomo sotto la
guida politica dei dominatori persiani. Il potere non appartiene più al re ma a
Dio, che lo esercita non già su uno stato ma su una comunità di credenti
mediante il sacerdozio (ierocrazia) e la legge (nomocrazia). Abbiamo così in
Giudea un stato non più monarchico, ma una comunità teocratica. Dobbiamo
ricordare che nei secoli VI, V e IV il tempio riprese splendore e anche notevole
importanza economica grazie agli oboli che provenivano dalle comunità della
diaspora. La corrente profetica si estingue alla fine del V secolo (verso il 400
a.C.) con i profeti Malachia e Gioele e nel secolo IV con il II Zaccaria.
Staccato nel tempo (quasi 3 secoli dopo) appare il libro di Daniele, considerato
tra i libri profetici soltanto dalla Bibbia greca e latina, mentre nella Bibbia
ebraica è compreso tra gli "altri scritti". L'opera di Daniele,
profeta e apocalittico insieme, venne scritta in un periodo difficile e
tormentato della storia dei giudei e precisamente durante la persecuzione di
Antioco IV Epifane, tra il 167 e il 164 a.C.. In quell'epoca, scomparsa da tempo
la dominazione persiana ad opera di Alessandro Magno, la Giudea era sottomessa
ai Seleucidi di Siria e si apprestava ad acquistare, ad opera dei Maccabei, un
breve periodo di relativa indipendenza che precedette il passaggio sotto
1'influenza e il dominio di Roma, avvenuto durante il I secolo a.C.. IV lezione
I profeti - continuazione Riprendiamo quanto detto a proposito di Abramo nella
precedente lezione. Se si è sentito il bisogno di dare ad Abramo la qualifica
di profeta, significa che il profetismo costituisce una realtà fondamentale per
il popolo ebraico. Anche ad Aronne, fratello di Mosè, viene attribuito il
titolo di profeta. Ripensiamo al racconto della vocazione di Mosè là dove (Es.
4,10-17) Dio gli comunica che, essendo lui "impacciato di bocca e di
lingua" (v. 10), parlerà al suo posto Aronne al popolo. E sempre in Esodo
al cap. 7 v. 1 leggiamo: "Il Signore disse a Mosè: "Vedi, io ti ho
posto a far le veci di Dio per il faraone: Aronne, tuo fratello, sarà il tuo
profeta ... " Qui è significato chiaramente che il profeta è colui che
parla al posto di un'altra persona. Mosè decide quanto deve essere comunicato a
nome di Dio e Aronne parla in sua vece al faraone. Un altro personaggio che
nell'Esodo viene qualificato come profeta è Maria (in ebraico Miriam)~ sorella
di Aronne. Lettura di Es. 15. 20-21. Il ritornello intonato da questa profetessa
sembra essere il nucleo più antico del famosissimo canto di Mosè, che compare
nello stesso libro dell'Esodo. Maria, che invita le donne a ballare e a cantare,
ci fa pensare ad una componente del profetismo "estatico": la danza.
Anche Mosè viene descritto con caratteristiche di profeta nel cap. 11, 16 e
segg. del libro dei Numeri nell'episodio che riguarda la scelta dei settanta
anziani. Attraverso Mosè Dio fa scendere lo Spirito su di essi, perché possano
profetizzare ed aiutare il patriarca ad amministrare la giustizia. Nello stesso
brano è contenuto 1'episodio riguardante due uomini (Eldad e Medad), rimasti
nell'accampamento e non compresi fra i settanta, sui quali si era posato lo
Spirito. Essi si misero a profetare senza che Mosè glielo impedisse. A dire il
vero, nella Bibbia Mosè non è definito "profeta" anche se ne ha
tutte le caratteristiche. Infatti è colui che riceve lo Spirito e fa da tramite
fra lo Spirito stesso e i settanta anziani. L'ultimo personaggio che prendiamo
in considerazione prima di entrare nella trattazione dei profeti veri e propri
è una donna giudice: Debora. Viene citata nel libro dei Giudici al cap. 4 v. 4:
lettura. Ricordo che "Il cantico di Debora e di Barak" (Giudici 5) è
uno dei più belli della Bibbia. Appare, quindi, chiaro come già al principio
della storia d'Israele la qualifica e le funzioni del profeta fossero presenti.
Iniziamo ora la trattazione di alcuni profeti della parola e del libro in base
al nostro schema storico. Seguiamo 1'evolversi del profetismo secondo 1'epoca in
cui i profeti operano (e non secondo la disposizione della Bibbia). Samuele Il
primo profeta sul quale ci soffermiamo è Samuele che era anche giudice e
sacerdote. Osserviamo che i profeti precedono la monarchia e, anzi, è proprio
Samuele colui che permette il passaggio storico importantissimo dall'epoca
tribale a quella monarchica. E da tale passaggio prende inizio la vera identità
nazionale del popolo ebraico. Quindi, Samuele profeta, giudice e sacerdote
traghetterà il popolo d'Israele - con il re Saul - dalla frammentazione tribale
all'unità nazionale, che verrà poi completata da re Davide. In Samuele sono
presenti le caratteristiche di un profeta grandissimo, quale appare dalla
lettura dei due libri che portano il suo nome. Lettura di 1 Samuele cap. 3:
"La chiamata di Dio a Samuele". La Bibbia ci sta dicendo in questo
brano che è difficile per noi riuscire da soli a capire la nostra chiamata e
ciò che il Signore vuole da noi; abbiamo bisogno di "mediatori",
ossia della Chiesa che fa da mediatrice tra Dio e i singoli. Da questo episodio,
inoltre, scaturisce 1'esigenza - per il cristiano - di una direzione spirituale,
che nell'episodio stesso viene svolta dal sacerdote Eli nei confronti di
Samuele, con 1'invito a seguire il Signore che 1'ha chiamato. La direzione
spirituale (lo dice la parola stessa) consiste nel farsi guidare da una persona
- che può essere un sacerdote, una suora o una persona di grande esperienza -
nel pellegrinaggio della nostra vita, in modo da non smarrire la strada più
breve che conduce al Padre. Il nostro capitolo 3 racchiude in sé una teologia e
una spiritualità stupende. Notiamo, in particolare, il v. 10 che riporta la
risposta di Samuele al Signore: "Parla, perché il tuo servo ti
ascolta." Evidenziamo che: I il profeta è servo di Jahve; II il profeta è
colui che ascolta; III prima ancora, il profeta è colui che permette al Signore
di parlare. Se così non fosse, Samuele diventerebbe un falso profeta, cioè una
persona che ascolta se stessa. IV Sottolineamo nel v. 19 un particolare
interessante: "Samuele acquistò autorità poiché il Signore era con
lui...". Ecco la quarta caratteristica: il Signore è con il profeta, non
lo abbandona. Il v. 19 riprende quanto espresso nel v. 10: "Venne il
Signore, stette di nuovo accanto a lui...". Eli, invece, divenuto
peccatore, non ha più Dio accanto, tanto è vero che il Signore per parlargli
deve usare come intermediario Samuele. Di lui Dio si fida e la fiducia è
reciproca. V Nel v.19b notiamo un'altra bella caratteristica - la quinta - che
qui appare riferita a Samuele, ma che dovrebbe appartenere ad ogni profeta:
"...né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole." Samuele
viveva in profonda intimità con Dio tanto da recepire tutte le sue parole. Ecco
la grandezza del nostro profeta, uomo di Dio. Da quanto ho detto è facile
dedurre che il profeta è colui che vive totalmente in fedeltà, obbedienza e
devozione a Dio. Ciò significa - per noi - avere una sensibilità che ci
permetta di accorgerci che il Signore parla in ogni istante della nostra
giornata attraverso avvenimenti e persone che incontriamo. Si ha, così, una
continua comunicazione tra Dio e noi e tra noi e Dio. Leggiamo ora alcuni brani
che ci danno la misura della grandezza di Samuele, così diverso dai profeti
scrittori che verranno dopo di lui. 1 Sam 9. 26b-27 e cap. 10,1 (E'
consigliabile leggere tutto il cap.9 in cui si profila la figura di Saul). Siamo
di fronte a un rito fondamentale che il sacerdote e profeta Samuele compie:
1'unzione di Saul. primo re di Israele. Con il Battesimo diventiamo re,
sacerdoti e profeti, attraverso 1'unzione con il crisma. Nella Cresima, poi, si
ha un "rafforzamento" dell'unzione battesimale. Altro sacramento in
cui viene usato il crisma è 1'Ordine, che è attribuito dal vescovo, che
possiede la pienezza del sacerdozio, mediante 1'unzione. Lettura di: 1 Sam.
13,7-15 ("Rottura fra Samuele e Saul"); 1 Sam. 15,10-23 Saul è il
primo re infedele perché non esegue interamente 1'ordine del Signore, che gli
impone lo sterminio ( "cherem ") di tutto il popolo sconfitto degli
Amalechiti e del suo bestiame, risparmiando il re e parte del bestiame stesso.
Secondo tale usanza, cioè lo sterminio sacro del popolo sconfitto, dovevano
essere sterminati uomini e animali (in pratica ogni essere vivente) perché
tutti gli esseri uccisi andavano offerti come vittime sacrificali a Dio.
L'uccisione degli uomini e degli animali mediante sgozzamento è un rito vero e
proprio che si ritrova ancora oggi nel rituale di macellazione del bestiame
praticato dagli ebrei ("Kosher") e dai musulmani osservanti. Possiamo
vedere il "cherem" come una guerra santa, nella quale tutti gli essere
viventi del nemico dovevano essere immediatamente sacrificati a Jahve senza la
possibilità di fare alcun bottino. E tutte le proprietà del,nemico dovevano
confluire nel tesoro del tempio, in quanto nessun vincitore poteva appropriarsi
di qualche cosa. Saul perde il favore del Signore perché gli ha disubbidito
risparmiando dallo sterminio ( "cherem ") una parte del bestiame e il
loro re Agag. Dovremmo abituarci nella lettura dell'A.T. alla concezione di un
Dio guerriero che guida il suo popolo alla vittoria, di un Dio che non perdona
ai peccatori. Già alcuni profeti modificheranno questa visione del Signore
prima della svolta impressa da Gesù che ci rivela Dio come Padre. Teniamo
presente che episodi come quelli descritti nei versetti appena letti non ci
devono meravigliare, in quanto contestualizzati ai tempi dell'Antico Testamento.
Non ci stupiscono, allora, alcuni estremismi come quelli che abbiamo attualmente
sotto gli occhi. Noi dobbiamo riferirci al Dio di Gesù Cristo e prendere le
distanze da alcune vicende vetero-testamentarie.
I profeti - Samuele -
continuazione Dalla lettura dei due libri di Samuele si può dedurre che
esistevano dei gruppi di profeti come i componenti del "profetismo
estatico" che cantavano e ballavano - e che accanto a loro cominciavano a
emergere alcune grandi figure significative (cioè singoli profeti) quali
Samuele, Elia e Eliseo. Il profetismo comincia a raccogliersi attorno a dei
capi-scuola che fondano delle vere e proprie scuole profetiche con discepoli che
riprendono il loro messaggio, lo approfondiscono, lo amplificano. Riguardo a
Samuele leggiamo 1 Sam 16,1-3 ("L'unzione di Davide"). In questo brano
troviamo il secondo passaggio che il profeta appunto compie per portare il
popolo verso 1'istituzione monarchica. Sottolineamo con forza una frase che
dovremmo imprimerci nella mente e nel cuore: "...io non guardo ciò che
guarda 1'uomo. L'uomo guarda 1'apparenza, il Signore guarda il cuore" (v.7)
. Samuele ancora una volta si fa portavoce di Dio, un portavoce che mantiene
tutta la sua umanità. Il Signore lo rimprovera di aver guardato all'apparenza
là dove dice: "Non guardare al suo aspetto né all'imponenza della sua
statura" (v.7a). Dio non pretende che diventiamo dei semidei. Quando ci
chiama per affidarci un compito lo fa proprio perché siamo noi e tiene conto
della nostra esperienza, del nostro carico di debolezze e, anche, delle nostre
virtù. Lettura di Siracide 46,13-20 Il libro del Siracide contiene 1'elogio dei
personaggi più importanti della storia d'Israele e, quindi, anche di Samuele.
Dall'ultimo versetto di questo brano apprendiamo che Samuele è stato chiamato a
profetizzare anche dopo la morte. Si tratta di un episodio di negromanzia che
ritroviamo in Sam 28,3-20 (lettura). I profeti dell'epoca sono numerosi, ma la
maggior parte di essi rimane anonima e svolge, comunque, un ruolo secondario.
Samuele, invece, emerge come figura significativa, alla quale il Signore affida
i messaggi più importanti, che diventa un canale privilegiato tra Dio e il
popolo, un mediatore. In questo periodo significativo della storia d'Israele il
profeta sta conducendo il popolo da una forma di governo (confederazione di
tribù) a un'altra (stato monarchico). Potremmo, quindi, sostenere che grazie a
Samuele si giunge alla monarchia. Ben a ragione il nostro profeta è pietra
miliare nel profetismo Natan Incontriamo ora Natan, colui che potremmo definire
"il profeta di corte" . Samuele introduce la monarchia e con il
consolidarsi di questa istituzione cambia il ruolo del profeta. che diventa il
consigliere del re. . Natan, di conseguenza, non ha più molti contatti con il
popolo; il suo confronto-scontro awiene con Davide. Potremmo affermare che il
profeta è un personaggio eminente nella corte e costituisce la coscienza
critica del re, in quanto non teme di manifestargli anche il suo dissenso.
Lettura di 2 Samuele cap.7 Si tratta di un brano fondamentale nella storia
biblica, in quanto parla di Davide che vuole costruire il tempio. La circostanza
fornisce 1'occasione a Dio per dare inizio ufficiale, per mezzo della parola di
Natan, al messianismo regale-davidico (Gesù è discendente di Davide perché si
innesta su questa linea del messianismo). Attraverso Natan viene posta una delle
colonne portanti della storia e della spiritualità d'Israele e del
cristianesimo. Infatti, per bocca del nostro profeta, Dio comunica a Davide che
Egli stesso gli costruirà una "casa" (termine che in ebraico
significa anche "discendenza") vv.l2-16. Pare opportuno notare che
oggi il messianesimo si stempera nell'attesa di un re escatologico, che verrà
alla fine dei tempi. In questo capitolo di Samuele alcuni studiosi vedono
1'inizio del filone profetico contrario al tempio. Infatti per molti profeti la
costruzione del tempio costituirebbe un tentativo per "ingabbiare"
Dio; sarebbe la presunzione di ritenersi dalla parte del Signore semplicemente
perché gli si è costruita una dimora. Per certi aspetti Gesù stesso
sembrerebbe riprendere questo filone profetico contrario al tempio. Lettura di 2
Sam 12,1-12 ("Rimproveri di Natan. Pentimento di Davide.") Riassumo 1'~ntefatto
narrato nel capitolo precedente: Davide ha commesso un delitto. L'unto del
Signore ha preso con sé Betsabea, moglie di Uria 1'Hittita - un mercenario
straniero - il quale verrà poi ucciso in battaglia per ordine del re. Passati i
giorni del lutto, Davide sposa Betsabea dalla quale avrà un figlio, Salomone,
suo successore nel regno. Proprio leggendo questo brano scopriamo come il
profeta di corte abbia la funzione di coscienza critica. Lettura di 1 Re cap.1
Come aveva già fatto Samuele per la successione a Saul, Natan predispone, con
1'aiuto di Betsabea, la successione a Davide, operando in modo che al trono
salga Salomone anziché un altro dei figli del re. Natan si distingue proprio
per essere un profeta di corte. Di questo tipo di profeta troviamo un parallelo
nella città-stato mesopotamica di Mari, che sorgeva sulla riva destra del fiume
Eufrate, all'epoca del re Hammurabi. Dalle numerose tavolette rinvenute fra le
rovine di questa città è stata scoperta 1'esistenza dei profeti di corte,
persone che ricevevano rivelazioni da un dio e le riferivano al re, anche se non
avevano nella corte 1'influenza di cui godevano i profeti d'Israele. L'autorità
di Natan è intangibile. Il re s'inchina davanti all'autorità del profeta
perché questa deriva direttamente da Dio. Nel rapporto tra il profeta e il re
potremmo vedere un parallelo nel contrasto che si manifesta nel Medio Evo tra il
potere spirituale del Papa e il potere temporale del sovrano. Elia E' il profeta
per antonomasia. Lettura di Luca 9,28 e segg. ("La trasfigurazione").
In questo episodio accanto a Gesù si trovano Mosè, che rappresenta la Torah
(la Legge), ed Elia, che rappresenta il profetismo. Anche in Marco 8,27 e segg.
viene nominato Elia(v.28). Lettura di Matteo 11.7-15. Giovanni il Battista è
definito come "quell'Elia che deve venire" (v.14), perché all'epoca
di Gesù era abbastanza diffusa 1'idea che il profeta Elia, rapito alla fine
della vita e portato in cielo su un carro di fuoco, sarebbe dovuto tornare prima
di Cristo per aprire la via al Messia. Ecco perché in un altro brano i farisei
chiedono direttamente a Gesù: sei tu 1'Elia o dobbiamo aspettarne un altro? E
Gesù risponde che 1'Elia atteso come suo precursore è già arrivato, è
Giovanni il Battista. Leggere "Il ciclo di Elia" in: 1 Re capp.
17.18,19 e 21 2 Re capp. 1 e 2. Una osservazione molto importante, da porre come
premessa allo studio dei profeti: mano a mano che si procede nella lettura della
Bibbia si nota che la presenza del popolo diminuisce fino quasi a scomparire,
mentre protagonisti della storia d'Israele diventano sempre più i singoli
personaggi e specialmente i re e i profeti che li contestano. Il popolo, ridotto
quasi a una massa che subisce le angherie dei re, viene difeso dai profeti.
Nell'Esodo, invece, figlio primogénito di Jahve è il popolo e non Mosè. Nel
procedere della storia d'Israele - e in particolare nell'epoca monarchica - si
ingenera 1'idea che il figlio prediletto non sia più il popolo, ma il re.
Questa opinione è stata fortemente contestata dai vari profeti. Ricordo anche
che la figura del re aveva avuto una fama non favorevole prima dell'instaurarsi
della monarchia. Lettura di Giudici 9.7 e segg . Si tratta dell'episodio di
Abimèlech che vuole diventare re e di Jotam che contrasta questo suo desiderio.
(Il monte Garizim, citato al v.7, è famoso in quanto considerato sacro dai
samaritani. Su tale monte era stato costruito il loro tempio, distrutto poi da
Ircano II). Chiara appare la similitudine contenuta nel brano: il re è un
parassita che accetta di regnare, ma che arriverà a distruggere i cedri del
Libano (cioè a ridurre il popolo in schiavitù). All'epoca dei Giudici prevale
la linea contraria alla monarchia, linea che non durerà a lungo. VI lezione
Elia - continuazione Gli avvenimenti di cui parlerò stasera si riferiscono ad
alcuni millenni fa, ma potrebbero anche apparire attuali se non si sapesse che
stiamo parlando dei profeti. Nell'incontro precedente abbiamo introdotto il
discorso su Elia e sulla monarchia e abbiamo letto Giudici 9,7 e segg . in cui
Abimelech si propone come re. La sua richiesta non viene accolta e, anzi, la
monarchia è paragonata a un rovo che soffoca le altre piante e diventa un
parassita. La monarchia non ha portato al popolo d'Israele soltanto cose
negative da un punto di vista umano, ma certamente ha realizzato una migliore
organizzazione dello stato. Già Davide si circonda di collaboratori con il
rango di ministri e di una corte. Però 1'istituzione della monarchia,
sviluppatasi molto con il re Salomone, non si dimostra all'altezza dei tempi,
cioè non segue con la sua struttura il passo dello sviluppo economico. Si
costituisce una classe di commercianti e di grandi proprietari terrieri, che
potremmo definire con termine moderno "borghese", grazie anche alla
posizione geografica della Palestina, collocata al centro di grandi vie di
comunicazione e punto di passaggio per 1'accesso ai porti fenici delle merci
provenienti dall'Assiria. Un grande progresso economico si verifica soprattutto
al nord. Ovviamente il re deve mantenere, oltre alla corte, un grande esercito.
Ad esempio, re Acab del regno del nord aveva ben 10.000 carri da guerra con
relativi cavalli e guerrieri e ciò comportava un costo molto elevato. Per
sostenere tutte le spese dello stato i re erano costretti a procurarsi i mezzi
finanziari o sottomettendo con la guerra popoli vicini per depredarli o
imponendo imposte, che si dimostravano particolarmente gravose e che
rallentavano lo sviluppo dell'economia del territorio più ricco del
centro-nord. Per tale motivo questo territorio si ribella e Geroboamo - un
ministro del re Roboamo realizza la secessione e con le dieci tribù del nord
costituisce il regno d'Israele. Avremo , così, da questo momento due regni:
quello del nord, opulento, che assume il nome di Israele, con il re Geroboamo, e
il piccolo regno del sud con il nome di Giuda e con il re Roboamo. Questo
accenno alle vicende dei due regni ci aiuta a comprendere la dimensione in cui
si muove Elia in Israele, al nord, (siamo intorno all'anno 860 a.C., a circa 50
anni dalla separazione dei due regni) sotto il regno di Acab e, successivamente,
di suo figlio Acazia. In questo periodo esiste una forte tensione politica con
il confinante regno di Siria (=Aram). E' un periodo di piena espansione
economica durante il quale, però, si assiste ad un graduale impoverimento dei
ceti sociali più deboli. I ricchi si arricchiscono sempre di più, mentre si
immiseriscono maggiormente i poveri. Tutto viene subordinato al mero interesse
personale. Il regno del nord sta perdendo di vista la moralità e, addirittura,
i valori religiosi. C'è tutta una serie di giochi politici e non, che pone il
re in una condizione di debolezza (consideriamo che in 57 anni si sono
avvicendati ben sette re, tre dei quali morti di morte violenta). In tale
situazione il re è costretto a procurarsi i favori delle classi più potenti a
scapito delle altre, in un continuo gioco di equilibro. Un forte appoggio
avrebbe potuto dare alla monarchia 1'istituzione religiosa, della cui crisi ci
interesseremo in modo più specifico quando parleremo di Elia. Il regno
d'Israele si trova in una situazione di transizione e il re siede sul trono in
un equilibrio precario, in quanto la monarchia non è affatto consolidata.
Lettura di 1 Re 16,29-34. Acab, salito al trono d'Israele dopo suo padre Omri,
fu - come abbiamo letto - uno dei re più malvagi: "...fece ciò che è
male agli occhi del Signore, peggio di tutti i suoi predecessori".(v. 30).
La Bibbia, infatti, considera le cose non dal punto di vista economico, ma da
quello della giustizia divina. Il re dovrebbe essere il portavoce, 1'araldo, il
luogotenente del re vero che è Dio. Quindi nella misura in cui il re, pur
avendo raggiunto il suo regno una notevole prosperità, non è fedele alla Legge
e non la fa rispettare dalla Bibbia è considerato malvagio. Acab, inoltre,
sposò Gezabele, una straniera figlia del re fenicio di Sidone, e portò nel
regno del nord il culto di Baal, al quale eresse un altare. Questo sovrano
innalzò anche un "palo sacro" (v.33) che costituiva 1'abominio degli
abomini, perché indicava il luogo in cui si svolgeva il rito cananeo della
fecondità con la partecipazione delle prostitute sacre. E la dimostrazione che
la condotta del re costituisce un cattivo esempio anche per altri è data dal
fatto che Chiel di Betel ricostruì Gerico, la città maledetta (e maledetto
sarebbe stato chi 1'avrebbe ricostruita - Giosuè 26). Chiel, sotto il regno di
Acab, aveva ripreso la pratica del sacrificio umano di fondazione. Era una
pratica antica secondo la quale un re - o chi per esso - per ingraziarsi gli dei
all'atto della fondazione di una città doveva sacrificare qualche cosa di molto
caro a sé, e cioè i suoi stessi figli, erigendo sul cadavere del primogenito
le fondamenta e su quello dell'ultimogenito le porte della città. Gli
archeologi hanno constatato il venire meno di questa usanza con il passare del
tempo ritrovando le urne sacrificali, sotto le fondamenta e sotto le porte delle
antiche città, prive di scheletri. Ciò significa che del rito sacrificale era
rimasto soltanto il simulacro simboleggiato dall'urna vuota. La reintroduzione
del sacrificio umano di fondazione ci dà il segno della malvagità esistente
sotto il regno di Acab. In questo contesto storico si inserisce il profeta Elia.
Egli opera in una situazione di benessere e di potenza militare; una situazione,
però, pessima dal punto di vista sociale e religioso in quanto Gezabele -
moglie del re - aveva importato ufficialmente da Sidone i riti delle sue
divinità, i Baali. Notiamo che "Belzebù" deriva da Baal, il padrone,
e rappresenta la divinità negativa. Lettura di 1 Re cap.17 "Il ciclo di
Elia", che inizia al cap.l7, è più antico del primo libro dei Re. Molto
probabilmente questo brano è stato mutilato nella sua parte iniziale e inserito
dal redattore in 1 Re per dimostrarci qualche cosa. Leggendo il
"ciclo" si possono notare delle incongruenze, come - ad esempio - la
collocazione dell'episodio della vigna di Nabot che andrebbe inserito prima.
Elia diventa, qui, un personaggio emblematico da un punto di vista profetico. E'
il profeta per eccellenza perché, a differenza di altri i quali si esprimono
dicendo "Il Signore mi ha detto di riferirvi", Elia parla in proprio.
Infatti al v.l così si esprime il profeta: "...in questi anni non vi sarà
né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io.". Inoltre nello stesso
capitolo al v.l notiamo 1'espressione fondamentale: "Per la vita del
Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto...". Alcune
considerazioni: I - il profeta Elia sta perennemente alla presenza di Dio, in
comunione intima con Lui. Tra i due esiste una perfetta identificazione, tanto
è vero che nella sua vita il profeta non fa altro che proclamare e difendere i
diritti del Signore. Dio nei confronti del popolo ha dei diritti. A questo
riguardo abbiamo presente 1'episodio della sfida dei 450 profeti di Baal (1 Re
17,20 e segg.) che vengono scannati dalla stesso Elia, rimasto 1'unico profeta
di Dio; II - Elia protegge i deboli e dimostra che Dio è con loro. Il nostro
profeta è colui che aiuta la vedova di Zarepta alla quale - anche - risuscita
il figlio. Pensiamo, poi, all'episodio di Nabot che difende la sua vigna e che
viene ucciso per ordine di Gezabele, moglie malvagia del re Acab. Si era in
un'epoca in cui la vita di ogni suddito era alla mercé anche solo di un
capriccio del re e in cui la corruzione toccava anche i giudici; III - il
rapporto di Elia con il Signore - che pensa anche a nutrirlo (vv. 4 e 5) - è di
totale abbandono. Il profeta non oppone alcuna resistenza a Dio; IV - Elia è
colui che vuole restaurare la Legge per mezzo della quale, appunto, si affermano
i diritti del Signore e si proteggono i più deboli. Lettura di Levitico
19,9-10; 13-18; 32-34 ("Prescrizioni morali e cultuali") Secondo la
Legge di Dio dovrebbe esistere una grande solidarietà verso il povero e il
forestiero; si dovrebbe pagare subito il salario al bracciante; si dovrebbe
amare il prossimo che per noi non è soltanto il cristiano. Invece al tempo di
Gesù, secondo un'interpretazione molto restrittiva, i farisei tendevano a
identificare con il prossimo nemmeno un altro ebreo, ma soltanto gli
appartenenti alla loro stessa corrente religiosa. La Legge prescrive, anche, di
onorare le persone anziane e di temere "il tuo Dio", di accogliere il
forestiero ricordandosi di essere stati "forestieri nel paese
d'Egitto". A proposito dell'amore verso il prossimo e dell'anno di
remissione (anno sabbatico) leggiamo: Deuteronomio 15. 7-9 Varie sono le
opinioni circa 1'applicabilità della legge d'Israele a uno straniero. Secondo
alcuni lo straniero che si trova in Israele è soggetto pienamente alle
prescrizioni della Legge, mentre per altri costui può continuare a seguire le
proprie usanze e a vivere secondo i propri valori, purché non in contrasto con
le leggi del paese ospitante. Il profeta Elia non aiuta solo i deboli (1'orfano,
la vedova, lo straniero), ma cerca di aiutare il re ad essere re come Dio vuole.
. Per sapere quanto dice la legge del Signore a proposito del re leggiamo:
Deuteronomio 17.14-20) ("I re"). Elia - continuazione Do per letta la
parte del "Ciclo di Elia" che si riferisce al sacrificio del monte
Carmelo (Elia e i profeti di Baal - 1 Re,l8). Se rileggiamo ora il brano,
scopriamo che il popolo di Israele non aveva più la forza di reagire, era alla
mercè di Baal e, soprattutto, di chi deteneva il potere con la violenza e il
sopruso, come il re Acab e la regina Gezabele. Ecco, la grande sfida di Elia:
permettere al popolo di tornare ad essere se stesso, abbracciando una fede
voluta e cercata, ed avere nuovamente la consapevolezza di essere il popolo di
Dio. Il nostro profeta non si mette solo al servizio del Signore, ma anche al
servizio del popolo per permettergli di essere il popolo eletto. Il popolo non
voleva abbracciare il culto di Baal ma, con una scelta dettata dalla paura, non
voleva neppure seguire Jahve. Elia, allora, si propone di eliminare la paura del
popolo invitandolo a scegliere tra Dio e Baal (v.20: "Se il Signore è Dio,
seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!"). Ricordiamo in proposito
Giosuè e il grande giuramento di Galgala: "Jahve è il nostro Dio!".
Elia è il profeta per antonomasia in quanto fonda una vera e propria scuola
profetica; il suo continuatore sarà Eliseo. Elia è veramente "padre"
e "madre" di altri profeti, come abbiamo detto in una lezione
precedente. In 1Re 19,16-21 è descritta 1'investitura profetica di Eliseo
(lettura). Il profeta Elia, così deciso, resta, comunque, un uomo anche debole.
Lettura di 1 Re 19,1-9 Rammentiamo che il sonno nella Bibbia ha sempre anche una
valenza simbolica, di torpore spirituale (ripensiamo - ad esempio - al sonno
degli Apostoli nell'episodio del Getsemani - Mc 14,32 e seguenti). Ad Elia il
primo cibo non basta per riprendersi dal sonno; occorre che il Signore ne mandi
dell'altro perché egli si svegli e si incammini verso 1'Oreb. Prosegue la
lettura di 1 Re 19,10-13. Il monte Oreb è carico di ricordi (rammentiamo la
presenza del Signore, le grandi manifestazioni del cielo con lampi e tuoni...).
Elia è un uomo che con le sue paure si riconosce dipendente da Dio - nonostante
le grandi cose operate -, un uomo che resta sempre attento al passaggio del
Signore. v.l2b: "Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero".
La traduzione letterale è sconvolgente: "Dopo il fuoco si udì la voce di
un silenzio leggero.". Sono parole incomprensibili per chi vede le cose da
un punto di vista umano. In questa contraddizione, in queste tre parole (voce di
un silenzio leggero) c'è tutta la nostra spiritualità. Ma per sentire un
silenzio leggero che parla, è necessario un orecchio preparato a un particolare
ascolto. . . Notiamo quali accenti stupendi di poesia abbia la Bibbia. Ecco, il
profeta è colui che anche nei momenti di cedimento continua a nutrirsi di ciò
che il Signore gli offre. E, dopo che si è nutrito e si è svegliato, ascolta
la voce del silenzio leggero. Tutta la vita di Elia viene spesa in una continua
lotta per la fede: per instaurarla dove manca, per mantenerla dove c'è e per
restaurarla dove c'era e non c'è più. Nel nostro contesto vediamo un po' se
dobbiamo instaurare, mantenere o restaurare la fede. Un suggerimento: sulla
morte di re Acaz e della regina Gezabele sarebbe opportuno leggere 1 Re 21~
17-26: 22,29 e seguenti e 2 Re 9.30 e seguenti. I profeti scrittori Amos Per
dare un'inquadratura storica al nostro profeta scrittore leggiamo 2 Re 14.23-29.
Geroboamo II riconquista la Galilea e altri territori -fino al Mar Morto - che,
durante un periodo di grande instabilità politica, il re Cazael di Aram (Siria)
aveva sottratto al re d'Israele. Il re malvagio Geroboamo II serve al progetto
di Dio che aveva sentito i lamenti degli israeliti sottoposti alla dominazione
dei Siriani. Con tale sovrano, infatti, il regno di Israele raggiunge il suo
maggior sviluppo con una potenza militare e una ricchezza mai conosciuta prima.
In particolare si accresce moltissimo 1'industria tessile e di conseguenza
quella della tintura dei tessuti. Contemporameamente avviene una
"decomposizione sociale" in quanto soprattutto i piccoli proprietari
terrieri soccombono, oberati dai debiti. Si sviluppa 1'industria, i capitali
ricavati sono investiti nei latifondi, mentre i piccoli proprietari vengono
soffocati ed hanno necessità di ottenere prestiti, concessi ad alti tassi. Non
essendo in grado di onorare i debiti contratti di solito finiscono in schiavitù
o, quanto meno, nella condizione di salariati. I ricchi diventano sempre più
ricchi e i poveri sempre più poveri. Altro fatto negativo è costituito dalla
corruzione dei giudici che favoriscono con le loro sentenze i ricchi, mentre i
poveri non hanno alcuna garanzia giuridica. Per ultimo, ci troviamo di fronte a
una grande ostentazione di ricchezza. Dal punto di vista religioso siamo in
presenza di santuari sontuosi e assai frequentati. Ma in molti di questi, anche
importanti, lo jahvismo risulta ormai contaminato soprattutto dalla religione
dei popoli cananei e dai relativi culti legati alla fertilità; culti che
avevano come conseguenza la prostituzione sacra. Il culto di Israele sta, ormai,
diventando ibrido, una sorta di sincretismo religioso. Anche nei santuari
rimasti esclusivamente jahvisti il culto praticato è essenzialmente esteriore e
non incide, quindi, nella vita. (Il culto per essere autentico, infatti, deve
incidere nella nostra vita). Si instaura sempre più 1'idea - cosa gravissima -
che si possa ottenere la benevolenza della divinità con i sacrifici: se offro,
ad esempio, un grosso bue, per un anno mi è consentito commettere qualunque
violazione della Legge. Si snatura, così, completamente il senso di Dio, del
Dio che ci ha dato la Legge, del Dio dell'Alleanza. Tutto il popolo vive in una
presunzione fatale, che deriva dall'essere il "popolo eletto" (Dio mi
ha scelto e, poiché Egli è fedele, posso agire come credo, tanto sono
1'eletto). Si diffonde 1'idea che il "giorno di Jahve" debba essere
inteso non come giorno dell'ira (Dies irae) ma come quello della venuta di Jahve
per sottomettere tutti i popoli. Di conseguenza il "giorno di Jahve"
era considerato il giorno della punizione di tutti gli altri popoli: finalmente
si sarebbe celebrato il trionfo del popolo eletto. In un periodo di prosperità
in cui, per mezzo dell'esercito, non soltanto erano stati riconquistati i
territori perduti ma erano anche stati amplificati i confini del regno con la
conquista di altre terre, Israele viene tentato dalla megalomania. Ciò si
riflette anche sul piano religioso: Jahve per noi instaurerà il
"nostro" regno e non il "Suo". Si vuole far coincidere il
regno di Dio con quello terreno che si identifica, però, con gli
"ayatollah" di turno e che, quindi, non corrisponde al reale governo
del Signore (teocrazia). Con Amos siamo a una svolta del profetismo. Secondo una
certa interpretazione, che a mio parere può essere condivisa solo in parte,
siamo arrivati con Amos ad avere un atteggiamento completamente diverso rispetto
a quello di Elia e di Eliseo, i quali intendevano riformare le istituzioni
allora vigenti (monarchia e sacerdozio). Il nostro profeta si rende conto che la
monarchia e il sacerdozio devono essere addirittura eliminati. per permettere al
popolo di Israele di tornare ad essere il "popolo di Dio". Mi sembra
che questa interpretazione sia un po' troppo radicale, anche se ha in sé del
vero in quanto la corruzione delle due istituzioni considerate si era assai
aggravata. E' vero, invece, che i profeti non sostengono 1'abolizione della
monarchia e del sacerdozio, ma desiderano che questi tornino al ruolo che Jahve
aveva previsto. Una annotazione non marginale: evitiamo di interpretare i
profeti solamente in chiave sociologica. Amos nasce a Tekòa, un villaggio a sud
di Gerusalemme. E', quindi, un uomo del sud emigrato al nord per profetizzare. E
proprio dal regno del nord verrà espulso e rimandato nei territori meridionali.
Il nostro profeta era, perciò, un giudeo ed esercitava il mestiere di
"pastore e raccoglitore di sicomori" (Amos 7,14). Non si sa se fosse
proprietario di un gregge oppure un salariato. Nella prima ipotesi egli avrebbe
potuto essere uno dei tanti piccoli proprietari rovinati dalla congiuntura
economica, mentre nella seconda ipotesi avrebbe potuto condividere la vita della
gente povera. Un fatto appare certo: se Amos raccoglie i sicomori deve viaggiare
molto, perché quei frutti crescono lungo le rive del Mar Morto e non vicino a
Gerusalemme, dove egli abita. I viaggi, che sicuramente si effettuavano nella
zona di confine tra i due regni, avevano permesso al nostro profeta di avere
contatti con popolazioni di diversa etnia, tanto è vero che nel suo libro egli
dimostra di conoscere bene non soltanto gli usi e i costumi ma, anche, la
situazione politica dei popoli vicini (del regno di Israele e delle città-stato
della costa). E' chiaro che Amos conosce perfettamente la condizione religiosa
del regno d'Israele. Il linguaggio di Amos ci appare estremamente duro e la sua
esposizione ricca di esempi concreti. Egli predica prevalentemente nei luoghi in
cui si concentrano il potere religioso e quello politico e cioè a Betel e
Galgala - i due grandi santuari - e a Samaria (la capitale). La predicazione
profetica di Amos prosegue imo allo scontro con il sacerdote Amasia, che lo fa
cacciare dal regno. Leggere il libro di Amos. VIII lezione Amos - continuazione
Leggiamo ora il libro del profeta Amos in modo inconsueto, cioè iniziando
dall'ultima parte e precisamente dal cap. 7 ("Le visioni") vv.l-9, in
cui si parla delle prime tre visioni: le cavallette, la siccità, il piombino.
Passiamo poi al cap. 8,1-3 (Quarta visione: il canestro di frutta matura) e al
cap.9.1-4 (Quinta visione: caduta del santuario). Notiamo che nelle prime due
visioni Amos intercede - così come fece Abramo per Sodoma - e prega Dio che
esaudisca le sue richieste. In una precedente lezione abbiamo detto che uno dei
ruoli fondamentali del profeta è proprio 1'intercessione. Il profeta intercede
per il popolo davanti al Signore. In proposito ricordiamo anche la grande
intercessione di Mosè per evitare che Dio sterminasse tutto il popolo. Qui
potremmo aprire una parentesi e riflettere sulla nostra preghiera di
intercessione, che è fondamentale: chi non prega per le altre persone non
manifesta una grande fede, non si fida della parola di Gesù ("Chiedete e
vi sarà dato..." Lc 11,9) e non crede nella potenza della preghiera.
Alcune persone affermano di non chiedere mai nulla in quanto sostengono che il
Signore conosca sicuramente ciò che è bene per loro. E' vero. Però Gesù
stesso ci ha invitato a chiedere e ci ha perfino insegnato il modello di
preghiera. Pensiamo a Gesù nel Getsemani dove prega chiedendo, anche se nel
sottofondo della sua richiesta è presente un "sia fatta la tua
volontà". La preghiera di richiesta costituisce per noi una grande
professione di umiltà. Il battesimo ci ha reso profeti. Cerchiamo, allora, di
riscoprire il nostro ruolo di intercessori che, tra 1'altro, ci aiuta ad aprire
tanto il cuore. E' importante. Davanti ai castighi delle prime due visioni Amos
intercede per il popolo d'Israele. Nelle successive visioni ciò non accadrà e
le parole del Signore saranno sempre più dure. Abbiamo iniziato a leggere il
nostro libro dalla parte finale perché - secondo vari studiosi - queste visioni
riassumono tutto 1'itinerario del profeta, il cammino che egli compie nella
consapevolezza del suo ministero. Amos, cioè, si rende conto che Israele è
impenitente, che, nonostante gli interventi operati da Dio a suo favore, non si
converte. Il profeta si convince che questo Israele è un muro ormai non più a
piombo, è un cesto di frutta matura pronta per essere consumata, un santuario
che sta per crollare. Dopo la terza visione, nella quale Amos non intercede più
per il popolo, è collocato nel nostro libro il conflitto con Amasia, sacerdote
di Betel, che caccia il profeta verso il paese di Giuda. Ciò significa che le
strutture portanti della società, il sacerdozio e la monarchia, sono ormai
"marce", non possono più sostenere alcun muro e che il popolo,
seguendo la via della perdizione, è diventato "un canestro di frutta
matura" (Os 8,1 ) comunque destinato a finire perché va consumato
altrimenti marcisce. Nella precedente lezione si è detto che in Israele si era
diffusa 1'idea che "il giorno di Iahve" avrebbe portato non un
giudizio ma un dominio di Israele stesso su tutti i popoli della terra in quanto
popolo eletto. Vediamo come Amos ci parla del "giorno di Jahve". Un
accenno è contenuto nel cap.8 vv. 9-10 (lettura) ove si parla di un giorno di
lutto e di lamento. Pensiamo pure a quanto di questo concetto ritroviamo nella
tradizione cristiana (il giudizio di Dio è un fatto terribile, ecc.), ma non
dimentichiamo il contesto nel quale questi oracoli sono stati pronunciati, ossia
il contesto di un popolo che risponde negativamente a tutte le sollecitazioni a
cambiare il modo di vivere. Lettura del cap. 5.18-20. Qui il profeta è ancora
più sferzante. Ecco, il "giorno di Jahve", secondo Amos, sarà il
giorno del giudizio sul popolo ribelle. In un contesto di opulenza, di grande
sviluppo economico, accompagnato, però, dalla povertà di alcuni ceti sociali,
Amos è da definire "profeta di sventura". Di tutto quel benessere, di
tutta quella ricchezza quarant'anni dopo non rimarrà più nulla. Amos lancia
delle provocazioni. ' I temi più importanti affrontati dal nostro profeta si
possono così riassumere: A - la constatazione che Israele è ormai
completamente pervertito perché si è ribellato al Signore e non ha ascoltato i
suoi richiami. Si comprendono, allora, le cinque visioni con le loro previsioni:
Israele è destinato a perire; B - il castigo è motivato da quattro peccati
fondamentali che il popolo ha commessi e che il profeta denuncia: 1 - il lusso -
Lettura di Amos 3.15 (lusso edilizio). Notiamo un accenno alle seconde case. -
Lettura del cap. 6.4-7 (lusso alimentare). La gente che vive nel lusso commette
uno dei peccati più gravi: la mancanza di solidarietà. A questo proposito
rileggiamo in Lc 16,19 la parabola del ricco epulone. L'evangelista non condanna
i ricchi in quanto tali, ma coloro che non sono solidali con i poveri. La figura
antagonista del ricco cattivo è Zaccheo che nel momento in cui incontra Gesù
diventa solidale e dona la metà dei suoi beni ai poveri. Il Vangelo dice che il
ricco deve condividere i suoi beni con coloro che non ne dispongono, perché
ciò che egli possiede non è suo ma gli è stato donato; di conseguenza non
può goderne in modo esclusivo. Questo è ancora oggi un messaggio sconvolgente;
2 - 1'ingiustizia Lettura di: - cap. 2,6-7 (oracolo contro Israele); - cap.
3,9-10 (le ricchezze sono frutto di violenza e di rapina); - cap. 5,10-13 (i
poveri non sono aiutati neppure dai giudici i quali dovrebbero decidere non in
nome del re, ma in nome di Dio che è la fonte primaria del diritto); -- cap.
8,4-7 (Amos parla delle frodi alimentari, ben note anche ai nostri giorni). Il
peccato dell'ingiustizia permette di accumulare ricchezze frodando il popolo
3 - il falso culto di Dio
Lettura di: - cap. 4.4-5 (condanna del culto esteriore); - cap. 5,21-27 (il
culto esteriore è sempre in agguato). Un culto separato dalla vita diventa la
tentazione tremenda di considerarci i salvatori di noi stessi tendendo a
sconfinare nella superstizione. E, allora, è erroneo pensare che ciò che ci
permette di avere la benevolenza di Dio consista soltanto nell'eseguire in modo
giusto determinati gesti di culto nei quali dovrebbe essere racchiuso il nostro
potere sul Signore. Secondo questo modo di pensare la preghiera diventerebbe un
gesto magico. Constatiamo che immoralità e religiosità non sono compatibili,
perché la persona religiosa dovrebbe essere anche persona morale per la quale
la legge di Dio diventa veramente regola di vita; 4 - la falsa sicurezza
religiosa Lettura di: - cap. 3.1-2 - La condizione di popolo eletto non
costituisce una sorta di "pedaggio" già pagato per la salvezza, ma
diventa - al contrario - una responsabilità che il popolo d'Israele non ha
saputo affrontare (a chi più è dato più è richiesto). Infatti il popolo
eletto è venuto meno ai doveri conseguenti alla sua condizione e dovrà
scontare il suo comportamento. Assistiamo qui a un capovolgimento della
mentalità del tempo: 1'elezione non costituisce una condizione di cui vantarsi,
ma è un dono di Dio che deve essere utilizzato nel migliore dei modi . - cap.
2,9-15 - Nonostante tutto, il popolo ingrato ha "fatto bere il vino ai
nazirei", ossia ai consacrati al Signore, fra i quali il più famoso era
Sansone, che perse la sua forza perché venuto meno al voto di non bere il vino
e di non tagliarsi i capelli. - cap. 9,7-10 - Il Signore, attraverso il profeta,
avverte che potrebbe considerare Israele alla stregua di tutti gli altri popoli,
anziché come popolo eletto. Amos è profeta di sventura che richiama
continuamente alla conversione e che, se minaccia dei castighi, vuole solo
riportare il popolo sulla retta via. Il nostro è anche un profeta nel quale la
speranza è viva in quanto Dio rimane ancora il padre del suo popolo; - cap.
5.4-6 (alla conversione è legata la speranza e viceversa) - cap. 5.14-15. In
queste due ultime letture sono evidenti gli accenni alla speranza che
introducono al successivo - cap. 9 e, in particolare, ai vv.l1-15. E' bello
concludere con un sorriso. Dopo le sofferenze ecco la gioia: Dio non dimentica
il suo popolo, è fedele anche se non lo è il popolo. Nonostante questa
apertura - quasi una visione messianica - al paradiso, non dimentichiamo che in
quell'epoca non si aveva ancora una concezione ultraterrena. In Amos si intende
parlare, come nel nostro caso, di salvezza essenzialmente terrena. Con le ultime
letture abbiamo concluso il libro di Amos, profeta del castigo, della
conversione e della speranza, che denuncia senza pietà i quattro peccati del
popolo invitato a cambiare condotta - e che è polemico nei confronti,
soprattutto, del falso culto. Amos, come profeta anche della speranza, con la
sua affermazione che Dio rimane fedele ci introduce al libro del profeta Osea.
Osea Affrontiamo la conoscenza
di questo secondo profeta scrittore che è veramente eccezionale. Seguiremo lo
schema adoperato per Amos: daremo uno sguardo alla situazione politica,
religiosa ed economico-sociale in cui opera il profeta e da questo cercheremo di
trarre notizie sulla sua persona. Conosceremo poi il messaggio di Osea leggendo
alcuni brani del suo libro. Osea vive in una situazione politica molto diversa
da quella dell'epoca del benessere, di opulenza in cui operò Amos. Egli inizia
il suo ministero negli ultimi anni del regno di Geroboamo II, proprio quando si
erano manifestate grandi difficoltà per Israele e si era indebolita la
monarchia a tal punto che dopo la morte di questo re si succederanno sul trono,
in circa trent'anni, ben sei monarchi (Zaccaria, Sallùm, Menachem, Pekachia,
Pekach e Osea), quattro dei quali arrivati al potere con la violenza. Il primo
successore di Geroboamo II è suo figlio Zaccaria che regna per pochi mesi
perché viene ucciso da Sallùm, il quale sale così al trono e vi rimane
soltanto un mese in quanto, a sua volta, è ucciso da Menachem che prende in tal
modo il suo posto. Veramente Israele è in mano a forze centrifughe che lo
disgregano. Lettura di 2 Re cap. 15,8-20 Il peccato di Zaccaria è stato,
soprattutto, quello dell'idolatria. Nel v. 16 sono descritte le efferatezze
compiute dal re Menachem. Cambiano le dinastie, cambiano le persone, ma rimane
1'infedeltà dei re al Signore. Durante il regno di Menachem avviene la prima
invasione di Israele da parte degli assiri e il re israelita è costretto a
versare un gravoso tributo al sovrano assiro per poter mantenere il trono.
Finisce, così, 1'epoca del benessere nel regno del nord in quanto Menachem,
dopo aver tassato i poveri, deve chiedere un consistente tributo anche alle
persone facoltose. Completare la lettura del cap.15 L'Assiria ritrova la sua
stabilità attraverso un colpo di Stato militare che nel 745 a.C. porta al trono
Tiglat-Pilèzer III (nel v. 19 viene indicato con il nome di Pul). Proprio a
questo re aveva versato il suo tributo Menachem, così come avevano fatto anche
i sovrani dei piccoli stati della zona. Alla morte di Menachem sale al trono
Pekachia il quale, dopo due anni, viene ucciso da Pekach che "si proclamò
re al suo posto"(v. 24). Costui, uomo orgoglioso, per sottrarsi al
pagamento del tributo dovuto agli assiri, cerca di allearsi con i regni vicini e
in particolare con la Siria (Aram) e con Giuda. Poiché il re di Giuda non
aderisce all'alleanza proposta, i re di Israele e di Siria gli muovono guerra:
è la guerra siro-efraimita. Il monarca del regno del sud, allora, chiama in suo
aiuto il re assiro Triglat-Pilèzen III che interviene occupando tutto il regno
di Siria e gran parte del territorio d'Israele (Galilea e Galaad). Pekach viene
poi ucciso da Osea che gli subentra come re. Ormai il regno d'Israele si è
molto ridotto avendo perso, tra 1'altro, la parte più fertile del suo
territorio, cioè la Galilea. Il re Osea, divenuto vassallo dei re di Assiria,
cessa, ad un certo momento, di pagare il tributo provocando la reazione del
sovrano assiro Salmanassar V che invade quanto era rimasto di Israele - cioè la
Samaria -, imprigiona Osea; distrugge la capitale e deporta buona parte della
popolazione in Assiria sostituendola con dei coloni provenienti dai suoi
territori. La distruzione del regno di Samaria è avvenuta nel 722 a.C. Da quel
momento nella Samaria si costituisce una popolazione etnicamente e
religiosamente ibrida proprio a causa della commistione fra i coloni assiri e i
pochi israeliti rimasti. Gli abitanti di questa regione saranno chiamati
samaritani e ad essi si farà più volte riferimento nei Vangeli. In particolare
da Giovanni (cap. 4) sappiamo dell'incontro, al pozzo di Sicàr, della
samaritana con Gesù il quale le dice: "Hai detto bene "non ho
marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo
marito; in questo hai detto il vero." (vv. 17 e 18). A questo fatto reale
1'evangelista attribuisce un significato simbolico: la donna rappresenta il
popolo samaritano che ha adorato cinque divinità. Si tratta di un popolo
politeista che arnva poi a praticare una religione ibrida in cui si mischiano
Jahve e queste cinque divinità. Jahve rimane la divinità suprema, ma non si
può parlare di jàhvismo puro. : I samaritani avevano, infatti, un loro tempio
e proprie tradizioni e osservavano una legge che non era identica a quella di
Mosè ("...quello che hai ora non è tuo marito..."). Ricordiamo in
proposito il simbolismo sponsale: il popolo è la sposa (nel nostro caso una
donna infedele) e Dio è lo sposo. Abbiamo, in realtà, un caso di concubinato:
una donna "non" sposa con dei "non" mariti (le cinque
divinità). Sappiamo che, anche ai tempi di Gesù, la Samaria era considerata un
territorio quasi da evitare proprio per tutti i motivi ai quali abbiamo
accennato. Nell'ultima epoca del regno del nord, in cui maggiore era la
decadenza, si era diffuso sempre di più il culto delle divinità cananee legate
alla fecondità del suolo. Ripensiamo alle vicende di Caino e di Abele, che
rappresentano, rispettivamente, gli agricoltori sedentari e i pastori nomadi, in
cui è implicita la condanna della sedentarizzazione del popolo. Caino è
1'agricoltore malvagio che offre in sacrificio al Signore gli scarti ed è
talmente invidioso da uccidere il fratello che, invece, è il pastore. Abbiamo
una rilettura dell'epoca dell'Esodo quando il popolo migrava, in quanto
costituito da pastori; epoca nella quale nacquero le grandi festività. E'
evidente una polemica fortissima contro la sedentarizzazione del popolo di
Israele che, quando cessa di essere nomade, tende a cambiare religione. Jahve è
il Dio dei pastori, il Dio forte che accompagna il suo popolo. E' un Dio a volte
duro, anche crudele. Pensiamo a come nasce la festa della Pasqua: nasce dal rito
del sangue dell'agnello spruzzato sulle tende a protezione dagli spiriti
malvagi. La sedentarizzazione porta evidentemente all'esigenza di una divinità
che procuri la pioggia necessaria e che impedisca la carestia. Ecco, allora, che
Jahve comincia a trasformarsi e diventa il Dio non solo dei pastori, ma anche
degli agricoltori: il Dio dell'universo. Osea sposa una prostituta. Lettura di
Os. 1,2-3 Siamo di fronte ai gesti simbolici (e ne troveremo tanti altri) dei
profeti che, come in questo caso, coinvolgono una vita: " va, prenditi in
moglie una prostituta....". Ecco, il profeta non solo predica per gli altri
ma rimane coinvolto dalla parola di Dio che gli cambia il modo di vivere.
Sottolineo 1'obbedienza di Osea che, però, non viene compresa dal popolo
("...un pazzo è il profeta" Os. 9,7). Non sappiamo di preciso in
quali luoghi Osea abbia operato, anche se appare certo che abbia svolto la sua
missione nel nord. Si tratta di un profeta itinerante che non parla mai di
Gerusalemme e della Giudea. Secondo alcuni indizi contenuti nei libri delle
Cronache la predicazione di Osea era conosciuta nel regno del sud. Soffermiamoci
ora sui punti salienti del messaggio del nostro profeta. Lettura di Osea 4,1-3.
Primo elemento importante del messaggio di Osea, che riprende in certo qual modo
quello di Amos, consiste nella denuncia della corruzione e delle ingiustizie
(elemento sociale). Questa denuncia scaturiva dalle esigenze di Dio, dal
rispetto della sua legge. Immaginiamo, poi, quale fosse la corruzione nel regno
del nord, nel clima politico confuso e poco stabile che abbiamo prima esaminato
per sommi capi. Secondo elemento ugualmente importante è la critica del culto.
Lettura di Os. 8,11-14. Il popolo israelita crede nella propria potenza, ma non
crede più nel Signore. Come Osea, tutti i profeti denunceranno e condanneranno
il culto esteriore. Sottolineamo il contenuto del v. 11: "Efraim ha
moltiplicato gli altari, ma gli altari sono diventati per lui un'occasione di
peccato". Siamo al sacrilegio. (Attualizziamo: è sacrilegio accostarsi
alla Comunione in peccato mortale) Lettura di Os. 6,4-6 Il culto esteriore,
superficiale e falso, ha veramente un peso nel messaggio del nostro profeta.
L'originalità del messaggio di Osea sta nella fortissima condanna
dell'idolatria sia culturale che politica. Ancora a proposito dell'idolatria
culturale leggiamo ' Osea 10,1-10. Qui si parla della vite e degli altri
prodotti della terra. Mi viene spontaneo pensare all'offertorio della Messa. Nel
pane e nel vino che io offro e che poi consacro sono davvero presenti 1'universo
e il lavoro di tantissimi uomini. Secondo le attuali norme liturgiche, la
formula dell'Offertorio andrebbe recitata chiaramente dal celebrante senza
alcuna sovrapposizione di canto. Una sottolineatura merita il v. 5 in cui
incontriamo un elemento nuovo: il vitello di Bet-Avèn (idolatria cultuale). Noi
ricordiamo che nei geni del popolo israelita è presente 1'idolatria del vitello
d'oro (Esodo 32). Geroboamo I al tempo della separazione dei due regni aveva
fatto forgiare la statua di un vitello che avrebbe dovuto soltanto simboleggiare
la presenza di Jahve. Con il passare del tempo il popolo e anche i sacerdoti
avevano però cominciato a considerare quel vitello non più come il segno della
presenza di Jahve ma come ciò che Lo rendeva presente: Dio veniva identificato
con quella statua. Siamo nella totale idolatria, maledetta più volte nei salmi.
Israele contravveniva, così, gravemente al comandamento fondamentale che
impediva di farsi immagini di Jahve. Lettura di Esodo 20,1-6 per constatare la
gravità di questo peccato. Israele ha commesso il peccato più grave in
assoluto: si è prostrato davanti a un idolo ritenendo che fosse Jahve stesso.
Sempre a proposito dell'idolatria cultuale si puo' leggere anche il cap. 13 di
Osea. Consideriamo, ora, 1'idolatria politica. Lettura di Os. 7,8-16 e 8,1-4. In
un periodo difficile, come quello attraversato da Israele, 1'idolatria politica
consisteva nel ricercare la salvezza non nell'accordo con Dio, nell'alleanza con
Lui, ma nell'aiuto di una delle potenze confinanti e tra loro nemiche (mi alleo
con 1'Egitto o con 1'Assiria?). La politica aveva perso qui la sua dimensione
naturale perché non era considerata come emanazione di Dio di cui il re sarebbe
dovuto essere il luogotenente. Al contrario, i sovrani si comportavano, per
primi, da opportunisti, come se Jahve non esistesse. E, allora, le nazioni di
Egitto e di Assiria apparvero come nuove divinità. Ecco, 1'idolatria politica.
Questa di Osea è una denuncia gravissima. Il nostro profeta, ovviamente,
ritiene che le due divinità politiche (Egitto o Assiria) non possano
assolutamente salvare il regno di Israele che presto, infatti, verrà distrutto.
Osea - continuazione Riassumo brevemente la lezione precedente: 1'originalità
di Osea consiste nella forte condanna dell'idolatria cultuale e dell'idolatria
politica, in particolare, per 1'effetto della quale 1'Assiria e 1'Egitto si
sostituiscono a Dio. Un altro elemento importante per il nostro profeta, come
per molti altri, è costituito dall'analisi del passato. Parecchi profeti,
infatti, vedono nel passato la realizzazione del rapporto perfetto tra Jahve e
il suo popolo. Notiamo che a partire dal cap. 9 è presente questa analisi che,
però, in Osea ha un sottofondo che affiora in continuazione: tutto il passato
è percorso dall'azione di Dio che cerca in ogni modo di salvare il suo popolo,
il quale, invece, continua a resistergli. Lettura di Osea 1l,l-6 Nei primi
versetti il nostro profeta usa, a proposito di Jahve, 1'immagine dell'amore
paterno, mentre nel v. 3 esprime addirittura un sentimento materno: "Ad
Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano...". Ecco, il passato
consiste proprio in un cammino: da una parte Dio che tenta di salvare il popolo
e dall'altra il popolo che non si converte. ' Ultimo elemento da prendere in
considerazione, e che appare come una svolta epocale, è 1'uso, da parte di
Osea, dell'immagine sponsale per descrivere i rapporti fra Dio e il suo popolo.
L'immagine si trova già nel cap. 1 nei versetti in cui si parla del matrimonio
del profeta con una prostituta, segno di un Dio fedele che ha per sposa un
popolo che è come una prostituta. Questo tema viene sviluppato soprattutto nel
cap. 2,4-15 (lettura). Nella prima parte del brano abbiamo un Dio che castiga ma
dal v. 16 in poi cambia completamente la prospettiva. Lettura dei vv. 16-25.
Soffermiamoci sul v.17b: vi troviamo il ricordo dell'Esodo ("Là canterà
come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto."),
1'epoca in cui il popolo cantava, il Dio amava e il suo popolo corrispondeva.
Ecco, il profeta Osea si apre alla speranza: Dio è paziente e la sua fedeltà
porterà alla conversione. Il Signore ci converte con la sua fedeltà e con la
sua pazienza. Lettura del cap. 11.7-12 Il brano richiama la parabola del figliol
prodigo (Lc. 15,11-32) che è paragonabile a questo popolo che ritorna a Dio, il
quale non si stanca mai di aspettarlo e lo riaccoglie sempre. Siamo di fronte a
una grande intuizione profetica. I profeti erano veramente uomini di Dio e la
loro esperienza di Dio non era semplicemente mistica e astratta ma si fondava,
innanzi tutto, nella storia. Possiamo ribadire che il Signore, nonostante molte
infedeltà, non ha mai abbandonato il suo popolo e gli è stato fedele. Anche
noi dovremmo imparare dai profeti a guardare la storia, nostra e dell'umanità,
per comprendere Dio. La fede e la storia non procedono su due piani paralleli
che, quindi, non si incontrano mai. La nostra fede permea tutti gli ambiti della
vita, perché è storica. La nostra vita non può che essere impostata in ogni
suo aspetto sulla base della nostra fede. Lettura del cap. 13,1-11
("Castigo dell'idolatria" e "Castigo dell'ingratitudine";
"Fine del regno"). Lettura di Osea 14,2-10 L'ultima nota del libro di
Osea è positiva: il popolo si convertirà e il suo rapporto con Jahve tornerà
ad essere come quello descritto nell'ultima parte del cap. 2. Ecco, allora, i
profeti ci appaiono anche quali uomini di speranza. Dopo aver conosciuto due
profeti del regno del nord (Amos e Osea) ci accosteremo ai profeti del sud, i
quali, operando in altro ambiente, si presentano, per alcuni aspetti, con
caratteristiche diverse. Scorriamo la nostra tabella cronologica e notiamo che
il primo profeta del regno del sud è Isaia, definito da alcuni studiosi come il
Dante Alighieri dell'ebraismo.
Isaia Il libro di Isaia si
compone di 66 capitoli, nei quali compaiono persone ed epoche molto distanti tra
loro. Infatti ~ nella prima parte sono indicati personaggi vissuti sicuramente
nell' VIII secolo a.C.; più avanti si parla, invece, del re persiano Ciro e di
Babilonia, mentre non vengono più citati gli Assiri; Gerusalemme non viene più
nominata per diversi capitoli ed è poi indicata nei capitoli successivi.
Notiamo, quindi, apparenti contraddizioni alle quali si aggiungono notevoli
differenze di stile nel testo originale ebraico. Se leggessimo il nostro libro
cercando le sottolineature teologiche noteremmo ugualmente molte differenze. Ad
esempio, dal cap. 40 in poi appare per la prima volta la grande sottolineatura
di Dio come Dio della storia e della creazione, ed anche il concetto di
"resto di Israele" molto diverso da quello del passato. Compaiono
figure del tutto nuove come quella, particolarissima, del "servo di Jahve"
. Anticamente non era stata data molta importanza a queste differenze, a queste
contraddizioni. Però, già nei secoli XI e XII alcuni commentatori ebrei
avevano introdotto 1'idea che il libro di Isaia potesse essere diviso in due
parti: la prima, scritta dal profeta, dal cap. 1 al cap. 39, e la seconda, opera
di un autore diverso, di un anonimo dell'epoca dell'esilio, dal cap. 40 al cap.
66. Nel 1788 viene confermata questa impostazione ad opera di J.C. Eichhorn: il
libro di Isaia è da dividere in due parti da attribuire a due autori diversi.
Circa un secolo più tardi, nel 1892, B. Duhm propose invece di suddividere il
libro in tre parti: capp.l-39 - capp.40-55 - capp.56-66. Aveva infatti notato
ulteriori differenze, anche di stile, nell'ambito della seconda parte (capp.
40-66). La nuova impostazione diventa in seguito canonica (e lo è ancora oggi)
con la particolarità che, mentre Duhm aveva sottolineato molto le differenze
fra le tre parti, oggi vengono presi in considerazione anche gli elementi comuni
alle parti stesse. Ecco, allora, prendere corpo 1'ipotesi di tre libri, opera di
tre autori diversi, ma rielaborati da un unico redattore che ha cercato di
rendere omogenei i tre testi. Notiamo negli ultimi due capitoli dei richiami al
cap. 1 (eppure erano passati secoli). Inoltre, alcune immagini si ripetono in
tutti i capitoli e certe idee appaiono costantemente nel sottofondo.
Riepiloghiamo: I parte - capp. 1-39 opera certamente del profeta Isaia (secolo
VIII a.C.); II parte - capp. 40-55 opera di un profeta o di un gruppo profetico
dell'epoca della fine dell'esilio babilonese; III parte - capp. 56-66 da
attribuire a una vera e propria scuola profetica al ritorno dall'esilio.
Prendiamo ora in esame i primi 39 capitoli che sappiamo scritti da Isaia nel
periodo in cui il regno del nord scompare dopo una fase di decadenza. Il
ministero profetico di Isaia è durato circa 40 anni in una situazione mutevole
dal punto di vista economico, politico e sociale, in un periodo in cui si sono
succeduti vari re. Lettura di Isaia 1,l. Per conoscere in quale situazione abbia
operato il nostro profeta leggiamo anche 2 Cronache cap. 26. Nella descrizione
contenuta nei primi versetti notiamo una notevole differenza fra i comportamenti
di Ozia, re di Giuda, e quelli dei re del nord (Israele). Infatti regnava al sud
un monarca che, almeno per qualche tempo, "...fece ciò che è retto agli
occhi del Signore..." (v. 4). Ozia, favorito dal Signore, era un re che
stava ampliando il territorio dello Stato e che aveva perfino dei vassalli che
gli versavano tributi. Il regno di Giuda, quindi, attraversava un periodo di
benessere e vi prosperava, in particolare, 1'agricoltura. L'esercito potente era
ben strutturato e dipendeva da comandanti locali, mentre il potere centrale
forniva 1'armamento assicurandosi così la partecipazione di quegli eserciti
alle guerre intraprese dal sovrano. Dal v. 16 cambia il comportamento di Ozia,
che si insuperbisce e va incontro alla rovina. Nella seconda parte del cap. 26
è narrato un contrasto fra il monarca e il potere sacerdotale, perché il re
stesso aveva tentato di attribuirsi alcune funzioni sacerdotali. Ozia si ammala
di lebbra e viene di conseguenza isolato ed escluso dal tempio fino alla morte.
Negli ultimi anni del suo regno divenne reggente il figlio Iotam. Da alcuni
studiosi sappiamo che nella Bibbia venivano considerate lebbrose tutte le
persone affette da qualsiasi malattia della pelle. Quindi anche la macchia
spuntata sulla fronte del re mentre nel tempio "...sfogava la sua collera
contro i sacerdoti..." (v. 19) sarebbe potuta essere la manifestazione di
una malattia della pelle diversa dalla lebbra. L'isolamento del monarca è
comunque giustificato dal fatto che, per ragioni di sicurezza, tutte le persone
affette da malattie della pelle - dalla semplice dermatosi alla lebbra venivano
considerate impure e, quindi, isolate per preservare il popolo dal contagio. Nel
Pentateuco si può leggere di tutti gli accertamenti che i sacerdoti compivano
al manifestarsi di simili malattie per stabilire se si trattasse o meno di vera
lebbra. Per questo motivo Gesù quando guarisce dei lebbrosi li invita ad andare
a mostrarsi ai sacerdoti nel tempio perché accertino la scomparsa della
malattia (Lc. 5,12-14; Lc. 17,11-19; Mt. 8,1-4). Con tutta probabilità Isaia
inizia il suo ministero alla morte di re Ozia. Lettura di 2 Cronache 28,1-5 in
cui si parla di Acaz il quale "Non fece ciò che è retto agli occhi del
Signore, come Davide suo antenato seguì le strade dei re d'Israele....bruciò i
suoi figli nel fuoco..." (vv. 1-3). Questo re idolatra disconosce
completamente la legge divina e arriva a compiere il gesto più abominevole
sacrificando a favore di Baal i suoi figli. Sappiamo che nella Bibbia la
condanna dei sacrifici umani è sempre fermissima. Una delle chiavi di lettura
del mancato sacrificio di Isacco viene fornita proprio dalla polemica, allora
assai vivace, nei confronti delle religioni dei popoli che praticavano sacrifici
umani. Lettura di 2 Cronache 28,16-27. Nel brano letto è presente un accenno
all'idolatria politica che si manifesta nel comportamento di Acaz, il quale
chiede aiuto al re di Assiria pagandogli un tributo, senza peraltro ottenere un
corrispettivo. Ai vv. 20-21 è scritto: "Anche Tiglat-Pilèzer, re di
Assiria, venne contro di lui e lo oppresse anziché aiutarlo. Acaz spogliò il
tempio, il palazzo del re e dei principi e consegnò tutto all'Assiria, ma non
ricevette alcun aiuto.". Acaz, re empio, pur di conservare il potere pensa
di sostenersi alleandosi con i re di Assiria e di Aram (Siria) e considera più
potenti di Jahve le divinità alle quali offre sacrifici e brucia incenso. .
Secondo alcuni studiosi, una analoga motivazione sarebbe alla base del
comportamento dell'imperatore Costantino quando questi decise di riconoscere il
cristianesimo tra le religioni lecite dell'impero. Infatti, egli avrebbe
ritenuto il Dio dei cristiani più potente degli altri dei in quanto lo aveva
aiutato a conseguire la vittoria. Isaia - continuazione Letture di 2 Cronache
29,1-2 Ezechia, figlio di Acaz, è un altro re del quale al v. 2 si dice:
"... fece ciò che è retto agli occhi del Signore come aveva fatto Davide
suo antenato." Egli inizia una grande riforma religiosa e si preoccupa di
restaurare la religione dei padri dopo quanto era avvenuto sotto il regno di
Acaz. E 1'opera di restaurazione viene attuato da Ezechia mediante: 1 - la
purificazione del tempio profanato da Acaz che pare avesse introdotto sacrifici
a divinità straniere; 2 - il sacrificio espiatorio per tutti i peccati commessi
dal padre Acaz; 3 - la ripresa del culto autentico a Jahve; 4 - la convocazione
di un grande pellegrinaggio, che coinvolge Giuda e Israele, in occasione della
Pasqua e degli Azimi (cap. 30); 5 - la riforma del culto (cap. 31 - lettura v.
1) 6 - la restaurazione del sacerdozio (cap. 31 - lettura v. 2). Tutte queste
opere sembrerebbero poter preludere a grandi benefici da parte di Dio. Invece,
sappiamo che durante il regno di Ezechia avvenne 1'invasione di Giuda da parte
di Sennàcherib, re di Assiria. Lettura di 2 Cronache 32,1-8 Il re di Giuda
ordina di ostruire tutte le sorgenti fuori della città per privare d'acqua il
nemico e predispone la fortificazione di Gerusalemme ricostruendo le mura
diroccate ed erigendone di nuove. Riorganizza, inoltre, 1'esercito e, a
differenza del re Acaz, ripone la sua fiducia nel Signore ("...con noi c'è
il Signore nostro Dio per aiutarci e per combattere le nostre battaglie."
v.8) Per i motivi ora esposti Isaia quando parla nel libro dell'Emmanuele (Dio
con noi) intende, almeno per 1'immediato, Ezechia, figlio di Acab. Abbiamo tutti
presente la profezia ` : "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un
figlio che chiamerà Emmanuele" (Isaia 7,14). Ezechia dimostra con il suo
comportamento che anche il re può essere fedele al Signore. Questo uomo
potrebbe essere considerato come un cristiano ante litteram, il quale sa che la
sua vittoria non verrà, comunque, dagli apprestamenti difensivi dell'esercito
ma dal Signore. Lettura di 2 Cronache 32,9-27 Qui appare la tracotanza del re
assiro Sennàcherib, forte del suo potere, ma senza fede nel Dio vivente. Al v.
20 entra in scena Ezechia che, pregando con Isaia, ottiene dal Signore lo
sterminio di tutto 1'esercito di Sennàcherib il quale, tornato sconifitto in
patria, viene ucciso dai suoi stessi figli. Dopo aver ottenuto dal Signore la
guarigione da una malattia mortale, Ezechia si insuperbì ma di fronte all'ira
divina "...si umiliò della superbia del suo cuore e a lui si associarono
gli abitanti di Gerusalemme; per questo 1'ira del Signore non si abbatté su di
essi finché Ezechia restò in vita.". (v. 26) Lettura di 2 Re 19,20-34.
L'intervento di Isaia. In questi versetti viene narrato 1'intervento del profeta
a favore di Ezechia. Ma chi è questo profeta? Possiamo desumere alcune notizie
dal libro dello stesso Isaia. E' un uomo di grande cultura. Lo confermano lo
stile sobrio, sintetico ma stupendo, di alta poesia dei suoi scritti e i
riferimenti geografici riportati nel libro. Probabilmente si tratta di una
persona che aveva viaggiato molto, che alcuni considerano, addirittura, un
ambasciatore o un dignitario di corte che ha compiuto missioni diplomatiche.
Quasi sicuramente Isaia cresce e vive a Gerusalemme, perché troviamo nei suoi
scritti due tematiche che lo distinguono nettamente dai profeti del regno del
nord (istituito da una dinastia di usurpatori): 1) 1'elezione di Gerusalemme,
cioè la scelta operata da Dio per centralizzare il culto nella città santa. Di
conseguenza i vari santuari e i luoghi di culto eretti nel passato vengono
eliminati; 2) la centralità della dinastia davidica. Questi temi sono
sconosciuti, per ovvi motivi, ai profeti del regno del nord. I re di Giuda, a
differenza dei monarchi del nord, sono tutti discendenti di Davide. Con Isaia
inizia - e ciò appare fondamentale - la tematica del messianismo regale che si
svilupperà per tutta la storia del popolo ebraico: il Messia sarà un
discendente del re Davide. Ricordiamo che Matteo al cap. 1 ce ne presenta la
genealogia per dimostrare che Gesù è discendente di re Davide. Sappiamo che
quando Gerusalemme venne distrutta dai romani 1'imperatore, onde evitare di aver
problemi in futuro con un nuovo Messia, ordinò 1'uccisione di tutti i
discendenti di Davide. Grande tema di Isaia collegato alla centralità di
Gerusalemme ed alla discendenza davidica, è la fedeltà di Dio. Dio è fedele
alle promesse fatte a Davide. Ne troviamo conferma in 2 Samuele 7. Nei versetti
11-13 il Signore promette a Davide che manterrà sul trono la sua discendenza e
che il Messia sarà un suo discendente. Ecco, Isaia è il primo profeta che
tiene vivo il sentimento di un messianismo regale nella linea di discendenza
davidica. Dio rimane fedele anche se il re attualmente al potere è indegno.
Siamo in un sistema in cui è fondamentale la fedeltà al Signore - e non solo
verso il popolo -. Lettura di Isaia 6,1-13 - "Vocazione di Isaia"
Questo capitolo ci fornisce notizie autobiografiche e ci aiuta a comprendere
tutto il libro di Isaia in quanto vi sono contenuti in sintesi i temi sviluppati
nei 39 capitoli. Siamo abituati, se abbiamo presenti le narrazioni della Bibbia,
a situazioni fuori dal comune come quella della travagliata vocazione di Mosè,
che viene descritta nell'episodio del roveto ardente che non si consuma mai: Dio
impiega molto tempo (ben due capitoli dell'Esodo) per convincere il patriarca a
recarsi in Egitto. Anche Geremia accetta la sua vocazione con tanti dubbi e
difficoltà. Isaia, invece, si offre con una disponibilità totale e immediata,
che ci ricorda le vocazioni degli Apostoli descritte nel Vangelo. La visione del
nostro profeta contiene potenzialmente tutti i temi che verranno successivamente
sviluppati nel libro. Certamente siamo ad una svolta per Isaia che prende piena
coscienza almeno di quattro realtà: 1) La santità di Dio: Dio è il "tre
volte santo". E, poiché tre è il numero della perfezione, Dio è la
santità perfetta. "Santo" significa "separato" e, quindi,
Dio è totalmente "altro" e del tutto separato, staccato dall'uomo. E'
il Signore onnipotente degli eserciti , 2) la coscienza del peccato personale e
collettivo. "...perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un
popolo dalle labbra impure io abito..." (Is 6,5); 3) la necessità di un
castigo per il popolo. Questo popolo dalle labbra impure merita un castigo; 4)
la speranza della salvezza. Ed è una speranza tutta particolare. Alla fine del
racconto della sua vocazione, Isaia ci parla di una sorta di decimazione del
popolo: "Ne rimarrà una decima parte..." (6,13a). A seguito di una
ulteriore distruzione "...resta il ceppo." (6,13b). Il profeta,
infatti, paragona il popolo a una grande pianta della quale rimarrà solo il
ceppo, "...progenie santa...". E' ciò che noi chiameremo "tema
del resto di Israele" o "tema del resto" . Nel secondo Isaia
sembrerà a un certo punto che questo "resto" coincida con il Messia
che, quindi, non sarebbe più una persona singola ma una comunità. Si tratta,
però, di un'intuizione che non avrà sviluppo. Nell'ebraismo troveremo una
analogia a questa comunità messianica negli Esseni, cioè nella comunità
destinata a preparare 1'avvento del Messia e, in certa misura, essa stessa segno
dei tempi ultimi. Sappiamo che egli Esseni costituivano un gruppo religioso
sviluppatosi, in particolare, all'interno dell'ebraismo dopo la persecuzione di
Antioco IV Epifane. Essi ritenevano di conservare nella loro comunità il giusto
sommo sacerdote nei discendenti di Sadoc. Fondarono, caso inaudito per
1'ebraismo, una vera e propria comunità monastica con il voto di castità. I
c.d. "rotoli di Qumram" o "rotoli del Mar Morto" facevano
parte della biblioteca di quella comunità, forte di circa cinquemila persone il
cui . nucleo più consistente si era ritirato nel deserto. Gli Esseni dovevano
mantenersi puri perché, ritenendosi gli unici sacerdoti non contaminati dal
sangue impuro di altri pretendenti al sacerdozio, avrebbero accolto al suo
arrivo il Messia e con lui avrebbero celebrato il culto, finalmente purificato.
Il voto di castità degli aderenti alla comunità essena derivava proprio dalla
necessità di una purità cultuale. Oltre ai sacerdoti e agli adepti che si
dedicavano allo studio della Torah, esisteva una comunità di simpatizzanti
(paragoniamola - per capirci - al "Terzó . ordine francescano") che
seguivano la spiritualità essena dall'esterno. Negli anni fra il 1950 e 1960,
quando si cominciarono a tradurre i rotoli ritrovati a Qumram, sembrò emergere
una quasi perfetta consonanza tra il messaggio di Gesù e quello degli Esseni,
tanto da far pensare che Gesù stesso fosse appartenuto a quella comunità. Ciò
avrebbe spiegato alcuni aspetti della vita di Cristo, come, ad esempio, il fatto
che egli non fosse sposato. Con il procedere della traduzione dei rotoli, però,
emersero alcune differenze fondamentali tra la dottrina degli Esseni e il
messaggio di Gesù. Ad esempio, un esseno non avrebbe mai toccato un morto,
nemmeno per resuscitarlo, e neppure avrebbe avuto contatti con un uomo piagato
dalla lebbra perché tali atti lo avrebbero reso impuro. A1 contrario
dell'universalismo di Gesù, gli Esseni costituivano una setta molto chiusa,
esclusiva, che attendeva un Messia sterminatore di tutti i non appartenenti alla
loro comunità; questo Messia avrebbe portato, poi, il culto purificato in tutte
le isole. Secondo un'ipotesi abbastanza plausibile, Giovanni il Battista avrebbe
ricevuto la sua formazione nella comunità degli Esseni nel deserto, tanto è
vero che la sua concezione del Messia risente molto delle loro idee. Nella
vocazione di Isaia sono presenti anche delle sfumature come ad esempio: 1) il
Dio tre volte santo si mostra al profeta che resta vivo (v. 5). Infatti era
diffusa 1'idea che non si potesse vedere il Signore pena la morte. In questo
episodio invece, vediamo che il Dio tre volte santo ha una certa
"vicinanza" con 1'umanità o, quanto, meno, con il profeta; 2) il
peccato dell'impurità può esser cancellato. Vediamo (sempre in Is. 6)nei vv. 6
e 7 che uno dei serafini prende in mano il carbone e con questo purifica la
bocca del profeta. Leggeremo in seguito i bellissimi testi di Isaia a proposito
di Dio che perdona il peccato. I Serafini (serafino significa
"bruciante") sono creature angeliche con sei ali, che non possono
vedere il Signore. Con due ali si coprono il volto, con due ali si coprono i
piedi (che in senso biblico sono i genitali) e con le altre due volano. Si
tratta di creature superiori all'uomo e vicino Dio. Isaia è il primo profeta a
parlarne. Il nostro profeta era sposato ed aveva almeno due figli ai quali erano
stati attribuiti nomi simbolici come ai figli di Osea. Desumiamo dal testo altre
caratteristiche di Isaia: 1 - è un uomo generoso che si spende in modo totale
per il Signore. La sua predicazione non è accolta pacificamente (vv. 9-10), ma
è segno di contraddizione e suscita ostilità; 2 - non è 1'uomo dei
compromessi, ha un carattere duro che si manifesta nel confronto aperto,
coraggioso, con il re Acaz. Mentre il monarca ci appare timoroso, il profeta non
ha paura nemmeno del popolo; 3 - è dotato di una sottile ironia; 4 - nonostante
egli appartenga a una classe sociale elevata, Isaia non ha riguardo alcuno nel
contestare i ricchi e i potenti. E' nemico dell'anarchia in quanto 1'ordine
proviene da Dio. XII lezione Isaia - continuazione Ci riallacciamo al precedente
incontro per ricordare che Isaia era un tipico uomo d'ordine, come poteva
esserlo un uomo dell'antichità. Lettura di Is. 3,1-7 Il brano ci rappresenta
una situazione del regno di Giuda che sta precipitando nell'anarchia. E' il
sovvertimento dell'ordine costituito. Ricordiamo in proposito la teoria dello
storico greco Polibio, secondo la quale le varie forme di governo registrano
un'evoluzione e un'involuzione sempre uguali, con le seguenti fasi: I -
monarchia che genera tirannide; II - ribellione al tiranno e avvento
dell'aristocrazia (=governo dei migliori); III - involuzione dell'aristocrazia e
passaggio all'oligarchia (=governo di pochi); IV - nuova ribellione e
instaurazione della democrazia (=governo del popolo); V - degenerazione della
democrazia in anarchia (=nessun potere). Il ciclo si ripete, poi, con 1'avvento
di un uomo forte è 1'instaurazione della monarchia che degenera in tirannide.
Polibio, dopo avere osservato le istituzioni soprattutto dell'antica Grecia,
applica questa realtà alla storia in genere. Il profeta sta descrivendo una
situazione nella quale Dio ha privato il popolo di tutte le persone che
avrebbero potuto guidarlo (profeta, giudice, incantatore, ecc.). Notiamo che
Isaia dimostra di avere ben presenti le varie classi sociali quando scrive che
"...il giovane tratterà con arroganza 1'anziano, lo spregevole, il
nobile." (v~5). Abbiamo la descrizione abbastanza dura di una realtà che
dal nostro scrittore è vista come totalmente negativa, perché più nessuno
appare in grado di gestire la situazione.. Prosegue la lettura di Is. 3 vv.
8-15. L'ostentazione del peccato è un fatto anche attuale: oggi non ci si
vergogna più di nulla. Isaia prende la difesa dei poveri e degli oppressi in
quanto questi sono protetti da Dio. E il nostro profeta parla a nome del
Signore. vv. 16-24. Tutte le componenti del popolo, a causa del loro
comportamento superficiale, meritan4 un castigo. Notiamo che anche oggi certe
realtà, certe ostentazioni di ricchezza gridano vendetta al cospetto non solo
di Dio, ma anche dei poveri. Isaia ci descrive un popolo oppresso, sfruttato
dalle classi dominanti; i pochi beni dei poveri sono finiti, sia pure
legalmente, nelle dimore dei ricchi.
Il libro di Isaia
Prendiamo ora in esame il
libro di Isaia, i cui 39 capitoli sono stati composti in epoche diverse. Abbiamo
già sottolineato nell'introduzione la lunga "carriera" profetica di
Isaia che predicò durante il regno di diversi monarchi. Se non consideriamo il
re Ozia, in quanto la vocazione del profeta è avvenuta alla fine del regno, il
primo periodo di predicazione risale al tempo di re Jotam. La maggior parte dei
brani composti all'epoca di questo sovrano è contenuta nei capitoli 1-5. Il
regno di Jotam è stato caratterizzato da una situazione di benessere e di buon
sviluppo economico, senza le minacce esterne che si avvertiranno soltanto verso
la fine del regno stesso. Isaia esamina la condizione sociale e religiosa e
riscontra molte ingiustizie mascherate da una falsa pietà - e un grande numero
di pratiche religiose. Lettura di Is. 1,10-26 In questo brano Gerusalemme non è
più vista come città santa ma con il suo popolo viene paragonata a Sodoma e
Gomorra. Abbiamo presente 1'episodio di Sodoma. Probabilmente il peccato più
grave di quella città, che il Signore vuole punire, consiste nella mancanza di
ospitalità, che ancora oggi è sacra presso i popoli orientali. Nei vv. 18-20
ritroviamo i temi già letti nella "vocazione di Isaia" (6,1-13) e
cioè 1'invito alla conversione, la speranza della salvezza, il castigo.
Gerusalemme è divenuta una prostituta: ecco qui ripreso il messaggio di Osea
che Isaia, però, riferisce non al popolo ma alla città. Sottolineamo nel v. 23
"...la causa della vedova fino a loro non giunge." I diritti dei
poveri non vengono riconosciuti da coloro che dovrebbero soddisfarli. Al v. 26
si ha una bella immagine di Gerusalemme, ritornata "...città della
giustizia, città fedele" dopo un momento di purificazione. Lettura di
Isaia 5,1-7. "Il canto della vigna" L'inizio del brano ci rammenta la
"Parabola dei vignaioli omicidi" (Lc. 20,9-19) che per Gesù ha
carattere autobiograiico. Il popolo sta diventando sempre più orgoglioso di se
stesso; sta fondando sui beni materiali la propria esistenza. Il popolo crede di
essere sapiente perché i beni hanno provocato un falso concetto di sapienza. Il
popolo dà importanza solo all'effimero che induce a dimenticare o, comunque, a
relativizzare Dio (e questo accade anche oggi). Quando 1'uomo possiede tutto
deve avere una grande fede per ricordarsi di ringraziare il Signore e di fare
1'esame di coscienza. Sappiamo che santa Teresa d'Avila dopo vent'anni di vita
claustrale ebbe la sua "conversione" davanti all'immagine delle,
piaghe di Gesù. Ripensando alla sua esperienza la santa sosteneva di aver
vissuto per vent'anni ritenendo che Gesù fosse "il più importante";
invece in quel momento capì che Gesù è "1'unico".Ciò significa che
non vi è nessun altro su cui fondarsi se non Dio. Ecco, nel v. 4, una vigna che
ha dato frutti amari. Dio viene considerato un po' superfluo oppure meno
importante dei potenti. Questa considerazione mi fa pensare alla logica della
raccomandazione, molto anticristiana, secondo la quale il mio "dio" è
il potente di turno che puo' farmi ottenere qualche cosa cui ho già diritto.
L'opinione secondo la quale si può procedere in base alla raccomandazione
risulta diffusa e radicata anche nel nostro ambiente. Noi cattolici dobbiamo
avere il coraggio di rompere questa logica perversa. L'attribuire importanza ai
"potenti" significa non volere riporre la propria fiducia nel Signore.
vv. 8-20 "Maledizioni". lettura L'autosufficienza ci induce alla
ricerca di beni materiali anziché di Dio. Al profeta, che presenta un quadro
abbastanza fosco della situazione, sta però a cuore il richiamo alla
conversione (rileggiamo in proposito Is. 1,16-20). Lettura di Is. 2,1-5. Si
tratta di uno dei brani più belli scritti dal nostro profeta, che si legge in
preparazione al Natale. Ciò che aspetta la casa di Giacobbe non è il castigo
peraltro non definitivo - ma la pace. Potremmo affermare che siamo in una logica
di morte e di risurrezione. I primi cinque capitoli del libro di Isaia ci
forniscono un'idea delle tematiche che abbiamo visto annunciate nel brano della
vocazione del profeta. Il secondo periodo di predicazione di Isaia corrisponde
al tempo di re Acaz, che regnerà per parecchi anni, ed è individuato nei capp.
7 e 8 del libro. In realtà pare che gli oracoli del profeta siano concentrati
in un solo periodo del regno di Acaz e che, dopo una sospensione durata alcuni
anni, Isaia abbia ripreso a profetare al tempo di re Ezechia. . Durante il
governo di Acaz scoppió la guerra siro-efraimita combattuta dal regno di
Israele (Efraim) e dal regno di Siria (Aram) alleati contro Giuda che si era
rifiutato di unirsi a loro contro il regno assiro. Acaz, allora, per difendersi,
si allea con gli assiri chiamandoli a intervenire in suo aiuto. Il profeta
criticò molto Acaz non tanto per questa sua politica di alleanza con gli assiri
(e non, come sostengono alcuni interpreti, perché fosse invece favorevole ad
una alleanza con 1'Egitto), quanto perché il re non si fidava di Dio, era un
vile che temeva di lasciarsi guidare dal Signore. Il peccato, gravissimo, di cui
è incolpato Acaz consiste nella sfiducia verso Dio. E su questa constatazione
Isaia sarà implacabile. La paura di Acaz nasce proprio da una mancanza di
fiducia nel Signore e ciò in un re discendente di Davide è inammissibile e
costituisce - come abbiamo già sottolineato - un peccato gravissimo. Leggere
Isaia capp. 7 e 8. Isaia - continuazione Lettura di Is 7,1-17 Siamo di fronte a
un oracolo che conosciamo a memoria: 1'oracolo dell'Emmanuele. Pare opportuno
aprire ora una parentesi: noi leggiamo 1'Antico Testamento alla luce del Nuovo
Testamento. Isaia, invece, pronunciando in nome di Dio questo oracolo non
pensava sicuramente a Cristo ma aveva presente il messianismo regale (di re in
re), pensava, cioè, a Ezechia, il figlio che sarebbe nato ad Acaz. In realtà,
il profeta inconsciamente ha pronunciato questo oracolo prefigurando Gesù. Ciò
significa che Dio va al di là anche dei profeti. Non è necessaria, infatti, la
consapevolezza del profeta per esprimere un oracolo che ha un significato ben
diverso da quello apparente. Isaia, quando parla si riferisce a una persona ben
precisa, ma in realtà il progetto divino è differente. Ecco perché appare
indispensabile il N.T. per comprendere 1'A.T. E questo è ben evidente nel
Vangelo di Matteo che cita con molta frequenza 1'Antico Testamento. Allora, con
la scena del Natale abbiamo la giusta interpretazione del nostro oracolo:
"...perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta: ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato
1'Emmanuele..." (Mt 1,22-23). Notiamo, infine, che noi leggiamo questo
brano secondo il significato attribuitogli dal Vangelo, mentre Isaia parlando di
"vergine" si riferiva evidentemente alla regina madre moglie di Acaz -
la quale avrebbe dato alla luce Ezechia. Insisto nel dire che per
contestualizzare 1'Antico Testamento senza alcuna crisi di fede occorre
affrontare la lettura della Bibbia iniziando dal Nuovo Testamento e in
particolare dai Vangeli. Re Acaz sta cercando 1'appoggio degli Assiri per
difendersi dall'aggressione di Rèzin, re di Aram (Siria) e di Pekach, re
d'Israele (Samaria), e Isaia condanna non tanto la richiesta di soccorso da
parte di Acaz quanto il timore che scaturisce dalla mancanza di fiducia nella
fedeltà di Dio. E', infatti, gravissimo per un discendente di Davide non
credere nella realizzazione della promessa del Signore. Lettura di Is 8,11-18
Ritorna ancora il tema della fiducia in Dio. Dobbiamo temere che il Signore si
allontani da noi, che ci castighi, che divenga "...laccio e pietra
d'inciampo e scoglio che fa cadere..." (v. 14). Anche S. Paolo ci esorta ad
avere fiducia perché "...chi ci separerà dall'amore di Cristo?".
Anche nella tribolazione e nell'angoscia noi siamo sempre vincitori perché Dio
è al nostro fianco. Isaia nel brano ora letto non propone un atteggiamento
fatalista e quietista ma sottolinea che tutto, anche la politica, anche le
alleanze, deve essere gestito alla luce di Dio, deve, cioè, essere basato sulla
fede. Sarà questo 1'atteggiamento di Ezechia che, diversamente dal padre Acaz,
di fronte all'aggressione armata degli Assiri predispone la difesa, ma si mette
nelle mani del Signore per essere salvato. Possiamo, allora, definire Ezechia
come il prototipo del cristiano perché, pur approntando la difesa contro
1'invasore assiro, ripone la totale fiducia in Dio. E la benevolenza divina
viene paragonata alle "...acque di Siloe, che scorrono piano..." (v.
6), alle acque di un placido torrentello. Notiamo la delicatezza del Signore.
Questa espressione ricorda 1'episodio dell'incontro di Elia con Dio: "...
ci fu un mormorio di vento leggero" ( 1 Re 19,2). Nel brano prima letto (Is
8,11-18) sembrerebbero presenti oracoli contraddittori, in quanto si alternano
sempre castigo e salvezza. Il v.18 va letto nel senso che i nomi del nostro
profeta e dei suoi figli sono presagi indicativi: Isaia significa "Dio
salva" e Scariasùb "un resto tornerà". Il "resto" sta
a indicare che molta parte del popolo subirà il castigo, la purificazione, ma
che un'altra parte rimarrà fedele. Ecco la speranza: il popolo non verrà
sterminato da Dio. Il nome del secondo figlio di Isaia "Mahèr-salàl-cash-baz"
significa "lesto al saccheggio - pronto al bottino", cioè
"salvezza da Damasco e da Efraim" (Israele)" ma anche
"purificazione del popolo". Tutto è scritto in questi tre nomi. Isaia
e i suoi due figli, perciò, diventano dei presagi per Israele. Il fatto stesso
di pronunciare questi tre nomi fa pensare a qualche fatto che dovrà accadere.
Dopo la stesura di questo brano il nostro profeta tace per tutto il rimanente
periodo del regno di Acaz, per poi profetare con Ezechia in minore età (III
periodo) . Ezechia a cinque anni rimane orfano di padre e il regno viene
governato da un reggente del quale non sappiamo nulla. Di questo periodo
conosciamo due oracoli: il primo riportato nel cap. 14,28-32 e il secondo nel
cap. 28,1-4. Il primo oracolo ci fa ripensare al salmo 2, che ci presenta una
situazione analoga, abbastanza normale a livello politico, ma che ci viene
trasfigurata su un piano religioso perché ci parla del Messia ("Insorgono
i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il
suo Messia" v. 2). Qui il re diventa il Messia e gli alleati che vorrebbero
fuggire diventano coloro che contrastano il Messia. Secondo Isaia occorre stare
tranquilli anche se si attraversa un momento di travaglio con il re ancora in
età minore. IV periodo (cap.28-31 ) . Prende inizio dal 714 a.C., cioè da
quando il giovane Ezechia diventa maggiorenne ed assume a tutti gli effetti il
potere. Il nuovo re, riformatore a livello religioso, cerca di procurarsi
1'indipendenza politica, essendo blandito sia dai babilonesi che dagli egiziani.
In questo periodo, dopo la morte del re assiro, scoppia la rivolta di Giuda
contro 1'oppressore straniero ma, mentre Ezechia pensa di essersi finalmente
liberato dall'Assiria, l'esercito del nuovo re Sennacherib assedia Gerusalemme.
Come già sappiamo, Dio, però, salva il suo popolo e il re fedele. Sono
riferiti a questa situazione storica i capp. 28-31 che contengono oracoli
pronunciati in tre momenti fondamentali: 1 - Ezechia prepara in modo occulto la
ribellione. Lettura di Is 29. 15-24 Il profeta mette in guardia contro il
pericolo di illusioni, perché i preparativi di difesa del popolo porteranno non
la liberazione che si attende, ma soltanto tribolazioni e distruzioni in quanto
non si considera la volontà di Dio. E' solo il Signore che salva. 2 - Lettura
cap. 30 vv. 1-5 Isaia si scaglia contro 1'ambasciata in Egitto, mandata da
Ezechia per allacciare 1'alleanza contro gli Assiri, perché si agisce senza
consultare il Signore. Lettura di Is 31, 1-3 Il nostro profeta considera un
gravissimo peccato la mancanza di fiducia in Dio ("...senza guardare al
Santo d'Israele e senza cercare il Signore." v. 2), perché
"L'Egiziano è un uomo e non un dio..." (v. 3). Il brano ci fa pensare
agli scritti di un altro profeta, Osea, che parlava dell'idolatria politica nel
regno del nord, dove 1'alleato era diventato quasi un idolo, e che rimarcava il
peccato gravissimo di quel popolo il quale cercava dei sostituti a Dio. Isaia
invita a confidare nel Signore anche quando Egli ci pone di fronte ad eventi
spiacevoli. Lettura di Is 30. 8-17 Dobbiamo capire che Dio è onesto, non ci
inganna mai. E noi dobbiamo evitare di essere come i veggenti che profetano
illusioni (v. 10). Il vero profeta, invece, deve proclamare la verità anche a
costo dell'impopolarità. Notiamo che i nostri giovani rischiano di diventare
vittime dei profeti di illusioni, tra i quali si trovano - a volte per primi -
gli stessi genitori che concedono troppo ai figli. Bisogna avere anche il gusto
e il coraggio dell'impopolarità, anche se è necessario motivare chiaramente e
sempre i "no". 3 - La terza parte di questi oracoli appartiene al
periodo della realizzazione della ribellione che provoca la reazione del re
assiro, il quale pronuncia parole piene di supponenza, di presunzione, non
ricordandosi di essere semplicemente un re terreno. Ecco, allora, la reazione di
Isaia: lettura del cap. 30, 27-33 ("Contro 1'Assiria") Il vero
vincitore è Dio che protegge la sua città. Lettura di Is. 31, 4-5
("Contro 1'Assiria") In questi versetti notiamo belle immagini che
verranno, poi, riprese da Gesù nella sua predicazione. Gerusalemme, però,
reagisce alla liberazione miracolosa con una grande superficialità. I
commentatori riportano a questo momento 1'oracolo contenuto nel cap. 22, 1-14
(lettura). La città gaudente non si è meritata il perdono del Signore che 1'ha
liberata. Sottolineamo, però, nella profezia di Isaia 1'apertura alla speranza.
Lettura di Is. 32, 1-5 e 15-20 ("Il re giusto") Una pace vera non può
nascere se non in presenza della giustizia. Leggiamo, ora, altri capitoli di
apertura alla speranza: - Is. 11, 1-9 ("Il discendente di Davide") E'
uno dei grandi brani messianici. - Is. 2, 2-5. Un grande messaggio di speranza
è contenuto anche nei capp. 25, 26 e 27.
Isaia - continuazione Sarebbe
estremamente riduttivo dare al messaggio di Isaia solo una forte valenza sociale
e politica. Il messaggio del nostro profeta deve essere visto, invece, in
un'ottica religiosa in quanto egli sostiene che, per avere tra i membri della
società un rapporto di reciproco rispetto, sia necessario ristabilire il giusto
rapporto tra Dio e 1'uomo, perché proprio da Dio scaturisce ogni giustizia
umana. Se 1'uomo perde di vista il Signore ogni ingiustizia diventa logica,
normale. Senza Dio i lager nazisti possono sembrare un fatto logico, normale (e
noi sappiamo che il regime nazista fu uno dei regimi più atei che ci siano
stati). Senza Dio qualunque abominio dell'uomo ("homo homini lupus")
diventa normale, non certo legittimo. Chi ci trattiene dall'agire a nostro
piacimento se non dobbiamo fondamentalmente render conto a nessuno? Per Isaia il
giusto rapporto tra 1'uomo e il Signore non è antitetico. Si tratta di un
rapporto di comunione nella diversità perché Dio è Dio. Riconoscere la
sovranità del Signore significa che Egli è "altro" da me, non
coincide con me. Dico questo per mettervi, ancora una volta, in guardia dalla
New Age, la quale sostiene tra 1'altro - che ciascuno di noi può entrare in
contatto con il mondo dell'aldilà attraverso lo spiritismo e che noi possiamo
ricevere messaggi dai morti e trascriverli. Secondo questa corrente di pensiero,
ciascuno può inventarsi la propria religione di comodo. Se teniamo presente la
vocazione di Isaia, sappiamo che, invece, Dio - pur comunicandosi a noi - è il
"tre volte Santo". (Da questo punto di vista il nostro profeta è
fondamentale per capire il cattolicesimo). E' il "Dio con noi" che
resta il "tre volte Santo", il "Padre nostro, che sei nei
cieli". Dio è "altro"; non confondiamolo con noi stessi.
Ricerchiamo il Signore in modo autentico attraverso la sua parola e i
Sacramenti. La radice del male, secondo Isaia, sta nel fatto che 1'uomo ha perso
la misura della sua pochezza e si erge contro Dio pensando di sostituirlo con un
uomo potente, nemmeno con un'altra divinità. Ecco, 1'idolatria politica. Nel
contesto di un uomo che si ribella a Dio e che cerca altri sbocchi per la sua
fede si inserisce nel messaggio di Isaia il messianismo davidico, il messianismo
regale. E il Signore ristabilirà la giustizia attraverso il suo inviato, cioè
attraverso il Messia, che Isaia colloca in modo preciso all'interno della
dinastia davidica. Uno di questi re sarà finalmente colui che attuerà ciò che
Dio vuole; più nulla potrà intralciare la realizzazione del Regrio. Uno dei
temi fondamentali di Isaia è quello del re giusto. In proposito leggere: Is. 9,
1-6; 7, 10-17; capp. 11 e 12. Un altro tema essenziale della predicazione del
nostro profeta è costituito dalla conversione del popolo. La denuncia dei mali
fatta dai profeti, e in particolare da Isaia, non appare fine a se stessa, in
quanto è seguita dalla proposta di una via di conversione (contrariamente alla
mentalità di sola denuncia del male, oggi diffusa). Il profeta, però, non è
un illuso e sa bene che per molti uomini sarà impossibile il cambiamento. Ecco,
allora, che nel tema della conversione verrà inserito il concetto del
"resto di Israele", cioè di quella parte del popolo ("gli 'anawim",
gli umili, i poveri di Jahve) che ascolta il messaggio divino e lo mette in
pratica. Costoro, il "resto di Israele", resteranno fedeli al Signore,
si salveranno e riusciranno a dare continuità alla Legge. Ricordiamo che
all'interno dell'ebraismo esistevano diversi gruppi, in particolare la comunità
degli Esseni a Qumran, che si ritenevano appartenenti al "resto di
Israele". L'ulteriore sviluppo del pensiero di Isaia ci apre alla speranza.
Dio merita la nostra fiducia. Le promesse del Signore si realizzeranno per i
pochi che gli resteranno fedeli. Isaia viene collocato fra i profeti più aperti
al bene e all'ottimismo; egli è sicuro che il male, comunque, non vincerà. Dio
trionfa perché trova questo "resto" disponibile ad accogliere la sua
parola. Abbiamo, così, concluso 1'esame del primo libro di Isaia, quello
attribuito sicuramente a lui. Vedremo più avanti che il secondo e il terzo
libro non risultano composti da Isaia ma dai profeti della sua scuola o che,
comunque, fanno riferimento al suo insegnamento.
Sofonia E' un discepolo di
Isaia. Anche con Sofonia seguiamo lo schema solito che prevede all'inizio dello
studio la descrizione dell'ambiente sociale, politico e religioso in cui agisce
il profeta (dal 639 a poco prima del 622 a.C., durante il regno di Giosia in
Giuda). Lettura di Sof 1,1 A differenza di Isaia, Sofonia opera durante il regno
di un solo re. Negli anni precedenti a Giosia avevano governato due monarchi
malvagi (penso soprattutto a Manasse, nonno di Giosia, che regnò dal 698 al 643
a.C.). Lettura di 2 Cronache 33, 1-20 Il re Manasse aveva fatto "ciò che
è male agli occhi del Signore" (v. 1), riproponendo le divinità e i culti
stranieri e distruggendo 1'opera di Ezechia. Viene alla mente, leggendo il v.9,
il proverbio "L'esempio viene dall'alto". Ricordiamoci questa massima
quando educhiamo i figli. Notiamo nei versetti ora letti una particolare
concezione della conversione dei popoli, che sarà poi ripresa nell'alto Medio
Evo dai popoli barbari che abbracciavano la religione alla quale si erano
convertiti i loro sovrani, perché la religione del popolo doveva essere quella
del re. Anche oggi possiamo constatare quanta influenza abbiano gli
intellettuali sull'opinione del popolo e come sia, purtroppo, ridotta la
presenza degli intellettuali cattolici nella nostra società. Non a caso la
Chiesa nel recente convegno tenutosi a Palermo ha rilanciato il tema della
scelta culturale, cioè della necessità della presenza animatrice dei cattolici
nella cultura. Lettura di 2 Cronache 33, 21-25 Nel brano viene tradotta con
"popolo" una parola che in ebraico esprime soltanto una parte del
popolo, quella umile, escludendo certamente le classi sociali più elevate. Si
evidenzia, qui, che, grazie all'opera del popolo che "...uccise quanti
avevano congiurato contro Amon" e che "...proclamò re, al posto di
lui, suo figlio Giosia" (v. 25), viene garantita la successione davidica
nel regno di Giuda. E' il popolo che vuole come re Giosia, successore legittimo
di Davide e grande riformatore. Lettura di 2 Re, 22-23 e di 2 Cronache 34, 1-21
("La riforma di Giosia"). Nel secondo brano, a differenza di quanto
scritto in 2 Re, si dà una cronologia esatta degli avvenimenti. Possiamo
ritenere che Giosia si avvalesse per la sua opera riformatrice di saggi
consiglieri, come il profeta Sofonia. In modo molto delicato questo scritto ci
comunica che Giosia riconquistò gradualmente tutti i terntori perduti e
occupati dalla Siria. Ancora un'annotazione: il libro scoperto durante i lavori
di rifacimento del Tempio (vv. 14-21 ) quasi sicuramente si deve identificare
con il Deuteronomio (contiene, tra 1'altro, il grande discorso finale di Mosè),
che proprio durante il regno di Giosia ebbe la sua redazione definitiva. Lettura
di 2 Cronache 34, 22-28 Giosia inizia una grande riforma. Demolisce gli altari
che erano stati innalzati dal nonno e dal padre e purifica il Tempio. Il
ritrovamento del libro del Deuteronomio, "la seconda legge" del
Signore, durante i lavori di ristrutturazione del Tempio offre 1'occasione al re
per portare a compimento in modo radicale la riforma intrapresa. Siamo nel 622
a.C. e viene consultata la profetessa Culda. Gli storici ritengono che in
quell'anno Sofonia fosse già morto senza vedere, perciò, il compimento
dell'opera di Giosia della quale era stato 1'ispiratore, il suggeritore e la
guida nel periodo iniziale. Il libro di Sofonia è breve, di agile lettura,
importante. Al cap. 1; v. 1 vengono elencati gli antenati di Sofonia, figlio
dell'Etiope, per dimostrare che, in realtà, egli era di stirpe ebraica: i suoi
avi portavano tutti, infatti, nomi ebraici. Il libro si suddivide in tre
sezioni: I - dal cap. 1, 2 al cap. 2, 3 II - dal cap. 2, 4 al cap. 3, 8 III -
dal v. 9 al v. 20 del cap. 3 Il centro della I sezione è costituito dal
giudizio che colpirà Giuda, con una tematica fondamentale, quella del giorno di
Jahve che arriverà sicuramente. Si tratta di un tema attorno al quale si
collocano gli oracoli, quasi a significare che il giorno del Signore arriverà a
punire e a eliminare le ingiustizie sociali esistenti ed, anche, a ristabilire
una giusta concezione della religione. Lettura di Sofonia 1, 12-13. Lettura di
Sof 1, 14-18 L'ira del Signore si scatenerà nel suo giorno. Per sfuggire al
castigo bisogna praticare la giustizia e la moderazione. Lettura di Sof 2, 1-3
Al giudizio nel giorno dell'ira saranno sottoposti non solo gli abitanti di
Giuda ma tutte le nazioni. Nella II sezione le invettive contro le nazioni
raggiungono 1'apice con 1'ultima contro la nazione di Giuda. E' ovvio: a chi è
più dato, più viene richiesto. Il castigo della nazione potrebbe indurre Giuda
a convertirsi, ma i capi del popolo sono testardi. Lettura di Sof 3, 1-5 La III
sezione presuppone il compimento del giudizio divino che non comporta lo
sterminio finale, la distruzione di tutto, in quanto si apre la fase nuova della
speranza, della gioia e della ricostruzione. Anche questo momento, come quello
del giudizio, è esteso a tutte le nazioni. In Sofonia appare presente una certa
intuizione universalistica comunque intesa come una conversione di tutte le
nazioni a Jahve. Ricordiamo che dall'antichità fino all'Umanesimo (sec.XV) era
sconosciuta 1'idea della tolleranza, considerata, addirittura, un peccato grave
contro la verità. Infatti 1'idea della tolleranza religiosa cominciò a farsi
strada in Europa soltanto con le guerre di religione. Il libro di Sofonia si
chiude con il bellissimo messaggio di speranza di un Dio che va oltre il
castigo.
Sofonia - continuazione
Lettura di Sofonia 3, 14-17 Riconosciamo un brano a noi familiare in quanto è
una delle letture proposte dalla liturgia in Avvento per prepararci alla venuta
del Messia. Abbiamo letto questi versetti per due motivi: 1) perché si tratta
di un passo in cui il profeta si apre alla speranza. Sofonia non si ferma al
castigo che costituisce un passaggio, una introduzione alla salvezza. Quindi,
più che di castigo, potremmo parlare di purificazione del popolo; 2) perché è
bene evidenziare che negli scritti di Sofonia manca. un elemento fondamentale
del profetismo del sud, cioè il messianismo regale. Infatti non è presente
1'idea del re-messia, del discendente di Davide, in quanto il Signore stesso è
il re d'Israele. Ecco il motivo per cui questi versetti, che vengono proposti in
Avvento, sono così vicini alla sensibilità cristiana. Sottolineo in
particolare le parole: " Re d'Israele è il Signore in mezzo a te" (v.
15) e "Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente." (v.
17). E', quindi, un Dio che interviene senza più bisogno di mediatore, di un re
discendente di Davide. ' Il v. 15 ci ricorda il Prologo del Vangelo di Giovanni
(l, 14): "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a
noi...", anche se sarebbe meglio tradurre "pose la sua tenda in mezzo
a noi . Questo Dio così presente ci richiama immediatamente 1'Emmanuele (Dio
con noi) di Isaia. Con Sofonia il Signore diventa "il" protagonista.
Il nostro profeta è molto concreto, non elabora grandi questioni teologiche ma
manifesta interesse per la conversione del popolo, perché 1'ultima parola del
Signore non è "castigo ma "salvezza", "speranza".
Ricordiamo che Sofonia fu 1'ispiratore e il sostenitore della riforma di Giosia.
A1 termine della lezione vi leggerò alcune frasi del discorso pronunciato in
Messico 1'altro giorno da Giovanni Paolo II, questo grande profeta dei nostri
giorni. Noteremo che nella seconda parte il Papa apre alla speranza soprattutto
quando annuncia che Cristo, comunque e sempre, per tutti ha parole di vita
eterna. ,
Geremia
Viene definito il profeta più
vicino a Cristo non tanto per il suo messaggio ma soprattutto per la sua vita
travagliata, contraddistinta da incomprensioni e da persecuzioni dovute non solo
alla sua opera ma anche al periodo storico in cui si trovò a vivere. Potremmo
dire che la vita di Geremia si svolse durante due periodi della storia del regno
di Giuda; periodi fra loro separati dal 609 a.C., anno della morte di Giosia.
Gli anni precedenti al 609 e coincidenti con il regno di Giosia furono
caratterizzati dall'ottimismo, dalla riforma religiosa, dall'espansionismo con
la riconquista dei territori perduti e di gran parte del regno del nord. Negli
anni successivi alla morte di Giosia si verificò una rapidissima decadenza del
regno di Giuda perché cominciava ad affacciarsi sullo scenario politico del
Medio Oriente una nuova grande potenza: il regno di Babilonia.
Contemporaneamente declinava la potenza di Assiria e di questo approfittarono
soprattutto i Babilonesi, tanto che il faraone d'Egitto decise di intervenire in
soccorso degli Assiri che fino a quel momento erano stati i loro nemici storici.
Nel piccolo regno di Giuda era subentrata una situazione di grande disordine con
corruzione, disfacimento dell'esercito, ingiustizie sociali e decadenza
religiosa. Vennero meno gradualmente gli effetti della riforma di Giosia che non
si era sufficientemente consolidata, anche se era stata estesa ai territori
occupati del regno del nord. Lettura di 2 Re, 28-37 Con poche parole è narrato
un dramma. Giosia, re intelligente e acuto, avendo compreso lo sviluppo degli
eventi a favore dei babilonesi, con il suo piccolo esercito cercò di impedire
il transito nella pianura di Meghiddo alle forti e numerose truppe egiziane
guidate dal faraone Necao, sbarcate per andare in soccorso sull'Eufrate al re di
Assiria. Meghiddo era una fortezza strategica collocata nell'omonima pianura e
atta a impedire il transito di qualunque esercito che, giunto dal mare, volesse
seguire la via più breve per raggiungere 1'Assiria. Giosia viene subito
sconfitto da Necao il quale è, a sua volta, sconfitto dai babilonesi e, dopo il
fallimento dell'impresa, rientra in Palestina con i resti del suo esercito. Qui
il faraone depone e imprigiona il figlio e successore di Giosia, Ioacaz (che
regnò solo per tre mesi) e lo sostituisce con il fratello Eliakim al quale
cambia addirittura il nome in Ioiakim. Il regno di Giuda, governato da un re
"fantoccio" imposto da Necao, costituisce così un baluardo per
1'Egitto. Il re empio è costretto a una politica fiscale vessatoria per poter
pagare il tributo imposto dall'Egitto. Ioiakim, che mantiene il potere grazie al
faraone (ormai perdente), si inimica così il popolo. Lettura di 2 Re 24, 1-17
Tutto quanto avviene ad opera dei babilonesi è voluto dal Signore. Il vero
protagonista non è, quindi, Nabucodonosor, che è solo uno strumento come pure
lo sono le "...bande armate di Caldei, di Aramei, di Moabiti e di
Ammoniti..." (v. 2) che portano disordine in Giuda. Il Signore agisce
attraverso i nemici di Giuda perché sta punendo i suoi re, e in particolare
Manasse e la sua discendenza. Punisce anche il re Ioiakim "...a causa del
sangue innocente versato quando aveva riempito di sangue innocente
Gerusalemme..." (v. 4). Probabilmente qui si fa riferimento ad una rivolta
popolare soffocata nel sangue. Re Ioiakim si sottomette a Nabucodonosor per soli
tre anni e poi si ribella. Viene probabilmente ucciso a seguito di una congiura
e al suo posto sale al trono il figlio Ioiachin, empio come suo padre.
Nabucodonosor conquista Gerusalemme, fa prigionieri il re con i familiari e con
la corte, depreda il Tempio con tutti gli oggetti d'oro, deporta dalla città in
Babilonia anche diecimila persone appartenenti alle classi sociali più elevate,
i guerrieri e gli artigiani lasciando in Giuda "...solo la gente povera del
Paese" (v. 14). Si tratta della prima deportazione (597 a.C.) che sottrae
al paese tutte le energie vitali. Rimane, così, un popolo di schiavi. Questo
comportamento ricorda la politica degli ostaggi, con la deportazione dei giovani
nobili appartenenti ai popoli sottomessi, seguita dagli Aztechi e dai Romani.
Come successore di Ioiachin, Nabucodonosor nomina re lo zio Mattania
cambiandogli il nome in Sedecia. Dopo la prima deportazione resta in Giuda una
parvenza di indipendenza, ma Sedecia, pur essendo un re "fantoccio"
come il suo predecessore, ad un certo momento si ribella al re di Babilonia.
Lettura di 2 Re 25 Il secondo assedio di Gerusalemme, compiuto da Nabucodonosor
e conclusosi con il saccheggio della città e con la seconda deportazione, ci
ricorda un altro assedio, quello attuato dai romani nel 71 d.C. - e descritto da
Giuseppe Flavio - durante il quale si verificarono episodi di cannibalismo. Al
re Sedecia furono uccisi, in sua presenza, i figli e, quindi, egli stesso fu
accecato e deportato in catene in Babilonia. La seconda deportazione risulta
definitiva. Rimangono in Giuda soltanto "...alcuni fra i più poveri del
paese come i vignaiuoli e come i campagnoli.". (v. 12) Gerusalemme cessa di
esistere come entità autonoma e a capo del territorio viene nominató un
governatore babilonese. In un periodo storico così tragico opera Geremia. Il
nostro profeta nasce ad Anatot, cittadina a 6 Km da Gerusalemme. Apparteneva a
quella parte della tribù di Beniamino (situata al nord) che si era stanziata
nel regno di Giuda (al sud). Sappiamo anche che Geremia proveniva da una
famiglia sacerdotale e questo spiegherebbe - secondo alcuni studiosi - la sua
formazione e il suo rigore. Certamente la sua origine dalla tribù di Beniamino
spiega perché: 1 ) non risultano per lui importanti due aspetti del profetismo
del sud, cioè 1'elezione di Gerusalemme e il messianismo regale. Infatti queste
due tematiche sono lasciate molto al margine dal nostro profeta; 2) ha
grandissima importanza per Geremia la rilettura dell'Esodo, inteso non tanto
come liberazione dall'Egitto quanto come cammino nel deserto per arrivare alla
terra promessa. Se pensiamo agli anni tragici in cui egli vive, riusciamo a
immaginare il motivo: quei tempi erano come un deserto nel quale il popolo
rischiava di smarrirsi, di perire. Ecco, allora, la speranza della terra
promessa, della salvezza. Geremia sicuramente non esercitò mai la funzione
sacerdotale e ricevette la vocazione profetica nel 627-626 a.C. Lettura di
Geremia 1, 1-3 - "Titolo". In questo brano è sintetizzato il periodo
storico in cui si è svolta 1'attività di Geremia che noi conosciamo meglio di
altri profeti per le notizie autobiografiche (con accenni storici) contenute nel
suo libro. Per alcuni anni della sua vita, però, possiamo avanzare soltanto
delle congetture. Si possono distinguere nella vita di Geremia quattro periodi:
- il primo periodo corrisponde al regno di Giosia (dal 627-626, anno della
vocazione, al 609, anno della morte di Giosia stesso). Uno solo oracolo è
sicuramente riferito a questi anni - dei quali non si hanno, quasi, notizie - ed
è quello inserito in Ger 3, 6-13 ("L'Israele del nord invitato alla
conversione"): lettura. Il ritrovamento del testo del Deuteronomio avviene
nel 622, quando Geremia profetava già da diversi anni. Perché, allora, Giosia
- come abbiamo detto nella precedente lezione - si rivolge alla profetessa Culda
e non al nostro profeta per chiedere pareri sul da farsi? Geremia non era
sicuramente contrario alla riforma, come potrebbero far pensare alcuni suoi
oracoli (interpretati come rigetto della riforma, considerata semplicemente come
strumento di potere), ma era favorevole, come risulta da altri suoi oracoli,
tanto che 1'unico sovrano del quale egli parla bene è proprio il riformatore
Giosia. Si sostiene, secondo un'opinione verosimile, che Geremia fosse
favorevole alla riforma non solo perché condivideva 1'operato del re, ma anche
perché era legato alla famiglia di Safàn, uno dei promotori principali della
riforma stessa, che lo aveva più volte salvato dalla morte. Molto probabilmente
Geremia non era in Giuda in quel periodo, ma si trovava nel regno del nord
proprio per diffondere la riforma (e 1'oracolo ora letto è significativo al
riguardo). Con un'espressione moderna potremmo dire che il nostro profeta era
stato mandato a evangelizzare un popolo che, a causa delle varie invasioni,
aveva abbandonato la religione jahvista. Geremia, diventa, perciò, "1'uomo
di punta" della riforma in un territorio dove da più di un secolo si era
sedimentata 1'eresia. Ci troviamo di fronte a una dimensione abbastanza
sconosciuta ma fondamentale in Geremia che come missionario non si limita a
predicare in Giuda, ma cerca di ricondurre altre popolazioni alla condizione di
popolo privilegiato di Jahve. Ecco il motivo per il quale Geremia, essendo
impegnato per circa diciotto anni al nord, non cita molto nei suoi scritti tutti
i fatti conseguenti al rinvenimento del testo del Deuteronomio. Lettura di
alcune frasi del discorso pronunciato recentemente dal Papa in Messico:
"Poiché alcuni potenti hanno voltato le spalle a Cristo, questo secolo che
si conclude assiste impotente alla morte per fame di milioni di esseri umani...;
rinuncia a promuovere i valori morali, progressivamente erosi da fenomeni
come...il consumismo sfrenato e il diffuso edonismo; contempla inerme il
crescente abisso fra i paesi poveri e indebitati e altri forti e opulenti;
continua a ignorare la perversione intrinseca e le terribili conseguenze della
cultura della morte; promuove 1'ecologia, ma ignora che le radici profonde di
qualsiasi attentato alla natura sono il disordine morale e il disprezzo
dell'uomo per 1'uomo." Queste taglienti parole sono subito temperate dalla
convinzione che 1'umanità possa e debba voltare pagina, ritornando a quel
Cristo che per tutti "ha parole di vita eterna". Geremia -
continuazione Ricordiamo 1'oracolo del cap.3, 6-13 sicuramente riferito al
periodo in cui Geremia svolge la sua missione nei territori già appartenenti al
regno del nord e conquistati da re Giosia. Anche il cap. 2 contiene
probabilmente degli elementi riguardanti quel tempo. Lettura di Ger 2, 13-14
Ecco un popolo (quello del nord) che rifiuta la sorgente di acqua viva e si
costruisce "...cisterne screpolate, che non tengono 1'acqua." (v. 13).
Questo brano ha una notevole attualità: rispecchia la situazione religiosa
odierna. Io dico, con un paragone molto semplice, che è come se si rifiutasse
1'acqua limpida di un laghetto alpino per scegliere 1'acqua limacciosa di una
palude. Lo scorso anno con gli alunni del liceo ho condotto un'indagine
sull'importanza di dieci valori (quali la famiglia, Dio, la solidarietà, la
scuola, 1'amicizia, il divertimento...). Mi sono stupito nel rilevare che,
nell'ordine, Dio era stato collocato prevalentemente soltanto al terzo posto,
preceduto al primo e al secondo posto, rispettivamente, dalla famiglia e
dall'amicizia. Ciò indica la presenza di una notevole problematica perché,
conoscendo i nomi dei ragazzi che avevano risposto al questionario, mi sono
chiesto a quale Dio pensassero; non di certo al nostro. Probabilmente pensano a
un "valore" astratto che può dare gioia, serenità, aiuto; a un
"valore" buono che, magari, ha creato il mondo. Anche molti di quegli
alunni che avevano indicato Dio al primo posto nella scala dei valori avevano
smesso di praticare la religione dopo aver ricevuto la Cresima. Eppure, Dio è
importante. Il risultato dell'indagine apre alla speranza e ci stimola
all'impegno: se per quei ragazzi è così importante Dio (sia pure dopo la
famiglia e 1'amicizia), per noi diventa una responsabilità annunciare il Dio
vero, la sorgente di acqua viva. Non permettiamo che si costruiscano
"cisterne screpolate, che non tengono 1'acqua". Abbiamo visto che, con
il passare del tempo, la riforma di Giosia perde forza. E' un fatto abbastanza
normale, avvenuto, del resto, anche nella storia della Chiesa per tante riforme
attuate, che con il tempo hanno perso slancio. In questo senso sono concepibili
alcuni attacchi di Geremia a questa riforma ormai in decadenza. Lettura di Ger
5, 1-9 Il primo versetto richiama il mercanteggiamento di Abramo con il Signore
per tentare di evitare la distruzione di Sodoma. Geremia dialoga stupendamente
con Dio. L'immoralità dilaga; ognuno cerca il proprio interesse; il diritto
divino non è più riconosciuto né dalla gente di bassa condizione né da
coloro che dovrebbero guidare il popolo. Dopo alcuni anni la riforma e il
conseguente risveglio religioso perdono vitalità, si torna all'adorazione degli
idoli, si commettono angherie verso il popolo. Il II periodo della vita di
Geremia corrisponde al regno di Joiakim. Lettura di 7, 1-11 Siamo in un tempo di
decadenza morale. Il re si comporta esattamente come il nonno Manasse e si
discosta, quindi, dalla via intrapresa da Giosia, suo padre. Si tratta del primo
grande attacco di Geremia alla sicurezza che il popolo aveva nella sua elezione
da parte del Signore, a una religiosità ferma ad alcuni fatti materiali, a una
sicurezza che è data dal tempio di Gerusalemme. Geremia non è un dissacratore.
Egli vuole soltanto mettere in guardia dall'uso sbagliato dei cardini della
religiosità ebraica. Che significa avere il tempio del Signore in Gerusalemme?
Significa doversi purificare ogni volta che vi si entra; significa ricordarsi
che Jahve vi è presente e ci giudica. Allora, Geremia non sostiene che il
tempio deve essere demolito, ma che non bisogna avere una fiducia quasi
superstiziosa in quelle pietre (è questa una parte del messaggio di Gesù). Non
sarà per rispetto al suo tempio (che di per sé non vale nulla) che Dio
salverà Gerusalemme dalla distruzione. In pratica, il Signore ci chiede un
comportamento coerente con la nostra fede. Alla luce di quanto detto è
possibile comprendere correttamente il significato delle critiche di Geremia al
tempio. Lettura di Ger. 22, 13-19 ("Contro Joiakim") Per capire
1'importanza del tempio e della reggia a Gerusalemme, pensiamo alle nostre
città medioevali nelle quali i due edifici più importanti erano, da una parte,
la cattedrale e, dall'altra, il palazzo del Comune o della Signoria, che
rappresentavano rispettivamente il potere religioso e il potere civile. Dopo il
tempio il nostro profeta critica il re. Geremia si scaglia prima contro
1'emblema di una potenza, la reggia, e poi, più direttamente contro il re
Ioiakim soprattutto per mezzo del paragone con il comportamento di suo padre
Giosia. Notiamo, ancora una volta, che il profeta non ha riguardo alcuno per i
potenti. Lettura di Ger. 19, 1-11 Siamo davanti a uno dei tanti gesti simbolici
dei profeti. Lettura di Ger. 20, 1-6 Sono importanti questi due ultimi brani che
si riferiscono al tempo in cui Geremia cominciava a parlare di Babilonia durante
il regno di Ioiakim. Ricordiamo che i Babilonesi, dopo aver sconfitto gli
Egiziani, stavano ormai soppiantando gli Assiri e il profeta ritiene, quindi,
imminente lo scontro fra il regno di Giuda e la crescente potenza babilonese.
Geremia capisce che la minaccia babilonese è sottovalutata anche per il fatto
che Giuda sta attraversando un periodo di stabilità politica. Ecco perché,
oltre al tempio e al re, Geremia critica i dirigenti politici che sottovalutano
il pericolo incombente. Allora, i tre grandi filoni della predicazione di
Geremia durante il regno di Ioiakim sono: il tempio, il re, i dirigenti
politici. Comunque la sostanza del messaggio contenuto nelle parole del nostro
profeta sta nell'invito alla conversione, poiché è imminente 1'arrivo di un
castigo che sarà operato dai Babilonesi. Lettura di Ger. 5, 12-13 Il popolo sta
perdendo la fiducia nel Signore e nei suoi inviati e cerca la sicurezza nelle
cose materiali. Lettura di Ger. 17, 5-13 Forse è proprio 1'ambiente della
steppa e del deserto (che si estende verso il Mar Morto) che Geremia ha presente
nella stesura del v. 6. Il nostro profeta non condanna i ricchi in quanto tali,
ma critica coloro che accumulano ricchezze opprimendo il prossimo e che, quindi,
non praticano la giustizia. I responsabili di questa grave situazione di
ingiustizia si possono ricondurre a tre categorie: I - il re (primo
responsabile) - vedi cap. 21, 11-12 II - i falsi profeti (cioè coloro che per
servilismo dicono al re e al popolo soltanto quanto è loro gradito) - vedi cap.
23, 9-32 III - i sacerdoti (che usano il culto come strumento di potere
personale e come mezzo di arricchimento) - vedi il cap. precedente. Leggere cap.
16 v. 13 che si riferisce espressamente ai profeti e ai sacerdoti. I re, i falsi
profeti e i sacerdoti costituiscono una struttura che non permette al popolo di
convertirsi, anzi lo induce a credere che la condotta iniqua intrapresa sia
quella giusta. Questa situazione non consente di capire i desideri di Dio e
rende inevitabile il castigo che sarà inflitto per mezzo dei Babilonesi.
Secondo i profeti nella commistione tra situazioni civili, religiose e
politiche, tutto va letto alla luce divina, persino la scelta delle alleanze. Il
terzo periodo della vita di Geremia corrisponde al regno di Sedecia. Come aveva
previsto il profeta, avviene la seconda invasione da parte dei Babilonesi,
quando ormai da alcuni anni una parte del popolo (le classi socialmente più
elevate) non era più presente in Giudea a causa della prima deportazione. La
nuova situazione pone al profeta due interrogativi: 1 - la parte del popolo
eletto rimasta in Giuda si rende conto, ora, che la sua elezione non è
sufficiente per la salvezza? 2 - i deportati in Babilonia in quale Dio
arriveranno a credere? Perderanno la fiducia in Jahve che li ha abbandonati? Ma
i rimasti in Giuda non intendono convertirsi, perché si ritengono i migliori in
quanto salvati dalla deportazione. Da parte loro i deportati si sentono
abbandonati dal Signore e si demoralizzano. Ecco, allora, la duplice reazione di
Geremia: 1 - i rimproveri e gli incitamenti alla conversione per i superstiti
nel territorio di Giuda; 2 - le lettere ai deportati; lettere di consolazione e
di speranza nella fine dell'esilio. Lettura di Ger. 24, 1-8 ("I due
canestri di fichi"). Sedecia e il popolo rimasto in Giuda ritenevano che i
fichi cattivi simboleggiassero i deportati in Babilonia; per il Signore, invece,
i fichi buoni rappresenterebbero gli esiliati, mentre i fichi cattivi sarebbero
costituiti proprio dal re e dal popolo in Giuda. Lettura di Ger. 28, 1-17
("L'alterco con il profeta Anania"). Sedecia è indotto alla
ribellione contro il re di Babilonia ma Geremia si oppone. In questo brano
appare chiaramente la constatazione che tutto viene da Dio. Infatti, il re
babilonese è uno strumento del Signore così come il re di Persia, Ciro, che
liberò gli esuli (vedi Isaia). Dio si serve di Nabucodonosor per castigare i
suoi figli ribelli con la distruzione del regno giudaico. La motivazione di
Geremia non è politica ma, prima di tutto, teologica. Nabucodonosor gode del
favore di Dio che chiede la sottomissione di Giuda alla potenza babilonese.
Molti hanno accusato il nostro profeta di essere al soldo dei babilonesi, ma
ciò non appare proprio vero in quanto Geremia ha solo una visione teologica
della realtà. Il profeta, dopo la seconda deportazione, rimane in Giuda, visto
con molto favore dai babilonesi. Contro i suoi consigli, il governatore Godolia
viene ucciso da Ismaele e per timore di rappresaglie i congiurati fuggirono poi
in Egitto portando con sé Geremia, del quale non si avranno più notizie.
Geremia, 1'uomo e il profeta
L'epoca di Geremia Il tempo in cui visse Geremia si presenta alla storia come
uno dei periodi più tormentati nel quadro generale del Medio Oriente. Il regno
di Giuda è tra due fuochi: l'Egitto e i babilonesi. decadenza dell'impero
Assiro distruzione di Ninive (612) ad opera del nascente impero neobabilonese
L'introduzione al libro di Geremia colloca i fatti narrati, dall'anno
tredicesimo del regno di Giosia (626 a.C.) alla distruzione di Gerusalemme (587
a.C.) ad opera di Nabucodonosor.
Gli ultimi re di Giuda
AMON (642-640) I GIOSIA (1) re
riformatore (640-609)
IOACAZ (2) (609)
(Eliakim) IOIAKIM (3)
(609-598)
IOIACHIN (4) (598 - esilio)
(Mattanìa) SEDECIA (5)
(598-587) distruzione di Gerusalemme
LE VICENDE DEGLI ULTIMI RE DI
GIUDA SONO DESCRITTI NEL SECONDO LIBRO DEI RE DAL CAP. 22 AL CAP. 25 (1) Il re
Giosia muore dopo trentun anni di regno e a soli trentanove anni di età, nel
609, all'inizio di una battaglia, mentre cercava di frenare la marcia del
faraone Necao che si recava a dare il suo aiuto all'Assiria ormai avviata al
disastro. La battaglia sfortunata ebbe luogo a Meghiddo, nella fertile paianura
che congiunge il mediterraneo al giordano, a nord-est del momte Carmelo. (2) Non
sappiamo perché alla morte di Giosia il popolo abbia eletto re il figlio
secondogenito, Ioacaz che aveva ventitré anni. Ma costui non ebbe tempo di
assaporare la gloria del trono perché, dopo solo tre mesi dalla sua elezione,
il faraone Necao di ritorno dalla inutile spedizione in aiuto all'Assiria, Io
fece prigioniero e lo deportò in Egitto, dove morì. (3) II faraone Necao
nomina re il figlio primogenito di Giosia, Eliakim, cambiandogli però il nome
in Ioiakim come segao di sudditanza. Giuda è sotto l'influenza egiziana.
Successivamente il re babilonese Nabucodonosor mosse guerra contro l'Egitto e
coinvolse anche il re di Giuda Ioiakim che diventò vassallo insofferente della
potenza babilonese. Nel regno si formarono due partiti, uno filo-egiziano
appoggiato apertamente dal re, e I'altro filo-babilonese che cercava di
stabilire rapporti amichevoli con i nuovi padroni deI mondo. Nel 601 a.C.
scoppió una rivolta contro Nabucodonosor. (4) la ribellione di Ioiakim venne
scontata da suo figlio Ioiachin. Appena salito al trono nel 598 a.C. si vide
assediato a Gerusalemme dall'esercito babilonese che intendeva punire il regno
di Giuda dal presente tentativo di rivolta. Il re diciottenne si arrese subito
agli assedianti. Questo suo gesto gIi salvò la vita, ma non gli risparmiò la
deportazione in Mesopotamia con alcune migliaia di suoi uomini migliori.
Ioiachin rimase un prigioniero di riguardo a Babilonia. (5) Nabucodonosor
nominò re a Gerusalemme un terzo figlio di Giosia; il ventenne Mattanìa. Gli
cambiò il nome in Sedecia per affermare che dipendeva da lui. Ma questo legame
non fu sufficiente a garantire la lealtà di Sedecia verso chi lo aveva messo
sul trono. Nel 593 a.C. a Gerusalemme si volse un incontro dei rappresentanti di
diversi paesi vassalli di Babilonia per organizzare una rivolta che non avrà
poi nessun seguito. Nel 588 a.C. Sedecia si ribella. La risposta di
Nabucodonosor è immediata: manda il suo esercito ad assediare Gerusalemme.
L'assedio dura circa un anno e mezzo, interrotto soltanto da una breve pausa
dovuta a un tentativo degli Egiziani di venire in aiuto a Sedecia. Alla fine di
giugno del 587 a.C. Gerusalemme era ridotta agli estremi per la fame. I
Babilonesi riuscirono ad aprire una breccia nelle mura e catturarono il re che
tentava di fuggire. Sedecia fu costretto ad assistere all'uccisione dei propri
figli e quindi fu accecato e condotto prigioniero a Babilonia. Nelle settimane
successive Gerusalemme fu completamente distrutta. La popolazione valida fu
condotta prigioniera a Babilonia, mentre la gente povera fu lasciata a
sopravvivere nelle campagne. I Babilonesi nominarono un governatore della
regione, un certo Godolìa che cercò di riorganizzare la vita di quelli che
erano rimasti nella Giudea. Ma poco dopo costui fu ucciso. I superstiti, per
evitare rappresaglie da parte dei Babilonesi, abbandonarono il paese e si
stabilirono in Egitto. In questo quadro di awenimenti complessi si inserisce la
vita di Geremia Egli non fu un semplice spettatore ma un vero protagonista in
dialogo e in contrasta con la gente, con i dirigenti e con i re. Immerso in
avvenimenti politici, Geremia non fu però un politicante. La sua valutazione
deg li eventi non nasceva da interessi umani ma da una visione religiosa della
storia nella quale egli si era schierato al di sopre delle parti in lotta
perché aveva scelto di essere dalla parte di Dio. La vita del profeta
650 a.C. (?) Nascita di
Geremia 626 chiamata ad essere profeta ( 1,4-10) 626-609 (?) attività
prevalente a nord di Gerusalemme (2-6; 30-31) 609 messaggio a Ioacaz. (22,10-12)
discorso nel tempio (26; 7,1-15) 608 (?) messaggio contro_Ioiakim ~ (22,13-19)
nella bottega del vasaio (18,1-17) la cintura di lino e i boccali (13,1-14)
messaggi contro i profeti , (23,9-40) 605 Geremia rompe la brocca (19,1-15;
25,1-11) è arrestato, (20,1-6) il libro è bruciato dal re (36) messaggio
contro l'Egitto (46,2-I2) messaggio a Baruc (45) (620-590)(?) le
"confessioni" (11,18-12,6; ecc.) 600 (?) messaggi contro le nazioni
(25,15-38; 46,13-49,33) 598 la fedeltà dei Recabiti(35) messaggi a Ioiachin .
(22,24-30; 13,18-19) 597 (?) i due cesti di fichi (24) la lettera ai deportati e
difficoltà per Geremia (29) messaggio contro gli Elamiti (49,34-39) 593 il
"giogo~ di Babilonia e il contrasto con (27-28) Anania 592 (?) messaggio
contro Babilonia fatto gettare nell'Eufrate (51,59-64) 587 inizio dell'assedío
di Gerusalemme (21,1-10; 34,1-7) gli schiavi liberati e ripresi (34,8-22;
37,3-10) Geremia è arrestato mentre esce da Gerusalemme (37,11-16) il profeta
è trasferito nell'atrio della prigione(37,18-38,3) Geremia è liberato da uno
straniero (38,4-13) e gli promette la salvezza (39,15-18) acquisto del campo del
cugino (32-33) 586 ultimo incontro con Sedecia (38,14-28) Geremia è liberato
dai Babilonesi (39,1-14) sceglie di restare in Giudea (40,1-6) Geremia e Baruc
sono costretti ad andare in Egitto (42-43)
Geremia - continuazione Il
messaggio di Geremia ha certamente dei tratti di originalità. Nel primo Isaia
avevamo visto la bellissima intuizione del "Dio con noi", pur restando
Egli il "tre volte santo" e il "trascendente".
Quell'intuizione verrà poi ripresa nella persona di Gesù. Il libro, molto
lungo, risulta composito anche dal punto di vista strettamente letterario con
alternanza di prosa e di poesia. Inoltre sappiamo che i libri biblici si sono
venuti a formare solitamente per "strati", tanto che una parte è
sicuramente riferibile all'autore, mentre altre sono opera dell'interpretazione
dei discepoli. Vi possono poi esser delle aggiunte o dei lavori redazionali ad
opera, ad esempio, del teologo che riprende alcuni elementi e ne scarta altri
perché vuole sostenere un'idea teologica. Allo schema della composizione per
"strati" non fa eccezione il libro di Geremia nel quale risultano
riconoscibili tre grandi blocchi sparsi. 1 - Un primo consistente blocco è
riconducibile decisamente alla mano del profeta. Si tratta, in genere, di tutti
i racconti scritti in prima persona. Intorno agli oracoli veri e propri di
Geremia si può sviluppare tutta una serie di "piccole unità" (ad es.
capp. 2; 26; 30; 31). Lettura, come saggio, del cap. 26, 1-19. Notiamo in questo
brano (passatemi il parallelo) qualche cosa della Passione di Gesù: un uomo
innocente viene condannato a morte; un uomo si autodifende perché non lo
aiutano né i falsi profeti, né i sacerdoti né - tanto meno - i re. A Geremia
resterà, come vedremo in altri passi, soltanto il Signore. E anche in questo
frangente Dio si dimostra fedele, perché le parole che all'inizio incontravano
ostilità in realtà faranno, poi, breccia nel popolo (v. 16). Gente di per sé
profana intuisce che nelle parole di Geremia è presente effettivamente un
messaggio di Dio. La lettura del v. 19 ci fa ricordare la voce solitaria di
Nicodemo nel sinedrio: "La nostra legge giudica forse un uomo prima di
averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?" (Gv. 7,51). Ecco, allora,
1'intuizione del popolo. La Chiesa deve stare molto attenta alla voce del popolo
di Dio perché tante volte i laici, fedeli di Cristo, hanno quel "sensus
fidei" che è conseguente al loro ruolo di battezzati (re, sacerdoti e
profeti). In realtà è importante la corresponsabilità laicale, in quanto la
Chiesa non appartiene al clero ma a Cristo e tutti noi siamo il suo "Corpo
mistico". Questa è la Chiesa di sempre, riscoperta dal Concilio Vaticano
II. Se fosse dipeso soltanto dai sacerdoti e dai falsi profeti Geremia sarebbe
stato ucciso. Lettura di Ger. 26. 20-24 Il personaggio dell'ultimo versetto,
Safan (già incontrato in una precedente lettura), ci fa pensare al ruolo
positivo della sua famiglia e di Geremia nell'attuazione della riforma di Giosia.
Ricordiamo che il profeta si recò, addirittura, in missione nel territorio del
nord. Risulta che il legame fra la famiglia di Safan e Geremia fosse ottimo, al
punto che Achikàm - Figlio dello stesso Safan - si adoperò per salvare la vita
al profeta. Probabilmente gli oracoli contenuti in questo capitolo si
riferiscono al periodo in cui la riforma era già in decadenza e aveva ormai
esaurito la sua spinta propulsiva. 2 - Un secondo blocco è costituito dagli
oracoli riportati soprattutto da Baruc che, svolgendo funzioni di segretario di
Geremia, era testimone oculare delle vicende del profeta. Lettura di Ger. 29,
1-18 La "Lettera agli esiliati" è riportata da Baruc. Ricordiamo a
proposito degli esiliati la similitudine dei due cesti di fichi. L'esilio non è
causato da una serie di circostanze sfavorevoli o di alleanze sbagliate, ma è
voluto in prima persona da Dio. Sarà poi una delicata questione interpretare la
deportazione come un castigo o come un elemento positivo. Sottolineo ancora una
volta 1'estrema concretezza di questo profeta che non suscita facili illusioni
(come i falsi profeti). Era accaduto in quel tempo che il re babilonese avesse
delle difficoltà esterne ed interne a causa di una guerra e della ribellione di
una parte dell'esercito; difficoltà che Nabucodonosor risolse vincendo la
guerra contro il re di Elan - almeno stando a delle tavolette babilonesi -,
reprimendo la ribellione e ristabilendo 1'ordine all'interno del regno.
Probabilmente questi eventi avevano suscitato negli esiliati la speranza di un
possibile imminente ritorno in Giuda, speranza alimentata anche dai falsi
profeti. Ecco, allora, che Geremia invia una lettera ai deportati per annunciare
che il ritorno in patria sarebbe avvenuto dopo settant'anni e che, d'altra
parte, i rimasti in Giuda non avranno vita facile (vv. 17-18). Infatti, poco
dopo si verificherà il secondo grande esilio. Il profeta è giudice del suo
tempo e ne coglie i vari aspetti, non nasconde i problemi reali e invita a
capire il vero progetto di Dio (e solo il vero profeta può capirlo) e ad
entrare in sintonia con Lui. Ricordiamo quando Geremia osteggiava 1'alleanza con
gli Egiziani, non per opportunismo politico ma perché quell'alleanza non
rientrava nel progetto di Dio, che in quel momento aveva concesso il suo favore
a Babilonia. Geremia è, dunque, un profeta che non vuole mai creare false
illusioni. 3 - Un terzo blocco, di non facile identificazione e molto spesso
sovrapposto al secondo gruppo, contiene tutta una serie di oracoli che possono
riferirsi al movimento deuteronomista, ispiratore della riforma di Giosia. In
questi brani sono presenti alcuni termini tecnici, come spada - fame - peste,
oppure espressioni tecniche, come "durezza di cuore" ossia la
sclerocardia (vedere Mt. 19,8). Si tratta solitamente di oracoli con uno schema
abbastanza fisso e cioè: a) 1'introduzione; b) 1'esortazione all'ubbidienza; c)
la descrizione della disubbidienza; d) 1'annuncio del castigo. La tradizione
deuteronomista riprende molto probabilmente alcune idee del profeta
rielaborandole secondo il suo stile particolare. Teniamo presente che la
tradizione deuteronomista sta alla base del libro del Deuteronomio con il
ripensamento dell'Esodo attraverso il grande discorso di Mosè. E il centro di
quell'epoca non è solo la liberazione dall'Egitto ma il dono della Legge. Ecco,
allora, degli oracoli che pongono al centro la fedeltà alla Legge. Il castigo
sarà, perciò, la conseguenza dell'infedeltà al Signore. Tale corrente di
pensiero - teologica, spirituale ed etica - prende 1'avvio dalla riforma di
Giosia e, quindi, è contemporanea del profeta Geremia. Lettura di Ger. 11, 1-14
"Geremia e le parole dell'alleanza". "Questa è la parola che fu
rivolta a Geremia da parte del Signore" (v. 1). Si tratta di una locuzione
tecnica tipica della tradizione deuteronomista. Notiamo, dopo 1'introduzione,
1'esortazione all'obbedienza (vv. 3-7) e poi la descrizione della disubbidienza
(vv. 9-10) seguite dall'annuncio del castigo (vv. 11-13). A1 v. 8 ecco un'altra
locuzione tecnica: "...la caparbietà del suo cuore malvagio", che si
potrebbe anche tradurre: "la durezza del suo cuore". Conclusioni 1 -
Geremia è un uomo perseguitato e tormentato interiormente. Un uomo che,
totalmente preso da Dio, vive con estrema sofferenza tutte le difficoltà che la
chiamata divina comporta. Quanto gli accade non gli procura soltanto una
sofferenza fisica ma porta a un livello di crisi (anche in senso positivo) il
suo rapporto - che potremmo definire dialettico - con il Signore. 2 - Geremia è
un uomo che ama profondamente il popolo, del quale condivide le disgrazie.
Notiamo, appunto, la tenerezza del profeta verso gli esiliati che vengono
paragonati al cesto dei fichi buoni. L'invito alla conversione non è dettato da
rivalse personali o da sete di potere, ma semplicemente dall'amore verso il
popolo. Comprendiamo, allora, come Geremia sia veramente sintonico con Dio: vive
e dice le cose che vive e dice Dio. Il profeta insegna 1'amore per il popolo e
gli si rivolge con la stessa forza e la stessa amorevolezza usate dal Signore.
S.Ignazio di Lojola, a proposito dei rapporti interpersonali e, in particolare,
della correzione fraterna, diceva: per correggere devi amare; se non ami è
meglio che tu taccia. Pensiamo, invece, a noi che spesso per dire la verità
dobbiamo essere arrabbiati. Ricordo che S. Francesco di Sales (in un contesto
diverso), riguardo alla direzione spirituale, veniva definito un uomo che aveva
la mano di ferro guantata di velluto. La fermezza unita alla dolcezza. 3 -
Geremia è un uomo tutto di Dio, un uomo a cui Dio vieta di sposarsi - e ciò
costituiva un assurdo per il contesto culturale di allora -. Il profeta non si
sposa e non ha figli perché, come dice bene il titolo del cap. 16, "La
vita del profeta (è) come segno". Lettura di Ger. 16, 1-3. Geremia pone la
sua forza soltanto nel Signore e riconduce tutto a Lui, perfino la politica. E
qui viene spontanea un'altra osservazione: quanto bisogna ascoltare per poter
discernere. L'ascolto del Signore è importante; Geremia - come tutti i profeti
- è 1'uomo dell'ascolto. Uno dei detti scolastici più belli recita: "Sile
aut dic meliora silentio" (Taci o di' cose migliori del silenzio). Se noi
non ascoltiamo il Signore nella preghiera, se non abbiamo un rapporto di "ruminatio"
con la sua parola, diciamo soltanto cose nostre. Lettura di Ger. 20, 7-14 Penso
che questa sia, accanto ad alcuni salmi, una delle preghiere più tragiche e
più umane presenti nell'Antico Testamento. E' facile ricordare il salmo 22
("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?") che finisce con una
grande professione di fede. Si, o Signore, tu sei il mio salvatore! Lettura di
Ger. 20, 15-18 L'amarezza di questa preghiera è dovuta alle difficoltà esterne
e qualche studioso sostiene che sia stata composta da Geremia quando si trovava
nella cisterna. Dopo la grande certezza espressa nel v. 11 ("Ma il Signore
è al mio fianco... "), arriva la disperazione: "Maledetto il giorno
in cui nacqui..." (v. 14). Quest'uomo è vissuto veramente con fede
incrollabile anche se qualche volta ha ceduto. Comunque Geremia continua la sua
missione, perché il Signore 1'ha catturato nonostante il profeta abbia fatto di
tutto per sottrarsi alla sua presa. Lettura di 31, 29-30 - "La retribuzione
personale". E' un brano molto importante, dettato dall'amore per il popolo.
Siamo arrivati, finalmente, alla responsabilità personale. Per il principio
secondo il quale le colpe dei padri dovevano essere pagate dai figli, gli
esiliati ritenevano che 1'esilio non potesse finire perché proprio loro
sarebbero stati costretti ad espiare le colpe immani degli antenati. Qui il
profeta aiuta a maturare, invece, la coscienza della responsabilità personale
per cui la colpa dell'esilio ricade soltanto sugli esiliati. In tal modo
ciascuno pagherà per le proprie colpe e non per quelle dei propri padri.
Teniamo ben presente che non siamo ancora in un contesto di retribuzione e di
salvezza ultraterrena. XIX lezione Geremia - continuazione Geremia introduce
1'idea di una alleanza nuova della quale gli altri profeti non avevano ancora
parlato. Lettura di Ger. 31, 31-34 Si tratta di un'alleanza fondata non più
sull'osservanza di precetti scolpiti su pietra (le tavole della Legge), ma di
un'alleanza che è profondamente nel cuore di ciascuno. Dio non parla attraverso
una serie di norme ma "a cuore a cuore": è un Dio che entra in noi.
Come è importante, in prospettiva, un simile annuncio ascoltato da un popolo in
esilio che può basarsi solamente su un rapporto intimo e profondo con il
Signore e non sulla certezza di beni materiali! Il popolo ricorda ed osserva la
Legge perché la porta nel cuore. E, allora, 1'alleanza di Mosè viene superata
(ecco 1'intuizione) da qualcosa di infinitamente più profondo. Noi cristiani
leggendo il brano con il"senno di poi" sappiamo che quel
"qualcosa" di infinitamente più profondo è Cristo. Dio cerca tutte
le vie per salvare 1'uomo nella sua interezza. Viene in mente, quando si parla
di cuore, che il Signore decide di parlare al cuore dell'uomo attraverso il
cuore di Cristo. Nel cuore di Cristo, perciò, si uniscono il cuore di Dio e il
cuore dell'uomo. Ecco la nuova alleanza che si presenta con orizzonti
inimmaginabili per 1'Antico Testamento: il cuore di Dio e il cuore dell'uomo si
fondono, diventano la stessa realtà nel cuore di Cristo. Si tratta
dell'intuizione profetica. La prima tappa della interiorizzazione della nuova
alleanza consiste nel perdono dei peccati ed è realizzata da Gesù Cristo. In
Lui il Padre ci libera dal peccato: Ecco, 1'Agnello di Dio che toglie "il
Peccato" - proprio con la lettera P maiuscola - (e non "i
peccati") del mondo. Solo dopo che Dio ha instaurato un clima di perdono e
di riconciliazione totale si possono costruire rapporti di autentica alleanza.
Infatti il nostro Peccato - grave - (quello che ancora oggi si definisce
"mortale") rompe, per nostra colpa, 1'alleanza con il Signore. E,
allora, ritorna quanto mai opportuno il monito di Paolo: lasciatevi riconciliare
con Dio, date spazio alla grazia, cioè ricorrete a tutto quanto il Signore ha
messo a vostra disposizione per rientrare nell'alleanza. Ecco, quindi, la
confessione con il perdono totale. Ricordiamo, a questo proposito, la parabola
del figlio prodigo in cui, prima di imbandire la festa, il padre ordina ai
servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli
1'anello al dito e i calzari ai piedi." (Lc. 15,22), cioè ricostituite,
anche visibilmente, nella sua dignità questo mio figlio che si è presentato
come un ribelle fallito e sconfitto. E secondo alcuni studiosi la bella veste
portata al figlio prodigo richiamerebbe la veste bianca del Battesimo e quella
indossata dai neo-battezzati nella "domenica in Albis". Concludo
riaffermando che Geremia è il profeta della speranza, come tutti i profeti che
abbiamo incontrato fino ad oggi. Lettura di Ger. 31,35-36-38 Geremia predica
negli anni precedenti alla distruzione di Gerusalemme e alla seconda
deportazione e durante i primissimi tempi dell'esilio. Svolge, però, la
missione a Gerusalemme in quanto non è mai stato deportato.
Ezechiele
E' il primo profeta che parla
agli esiliati da esiliato. Lettura di Ez. 1, 1 Non si potrebbe datare meglio il
libro date tutte le specificazioni contenute nel v. l: siamo nell'anno quinto
della deportazione di Joiachin, tra il 593 e il 592 a.C., nella prima parte
della deportazione. Secondo alcuni studiosi 1'anno trentesimo potrebbe indicare
1'età del profeta (v. 1 ). Probabilmente Ezechiele era un ragazzo al momento
della prima deportazione. La seconda deportazione (586 a.C.), che si verifica
dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio, abbatte le speranze dei primi
esiliati, i quali credono in un rapido ritorno nella loro patria. Inoltre
vacilla la certezza nell'elezione di Israele e, conseguenza ovvia, vacilla la
sicurezza nella fedeltà di Dio A questo proposito ho letto sull'Avvenire un
commento a un'opera scritta da una psichiatra polacca sopravvissuta
all'olocausto, in cui 1'autrice narra le sue vicende nel campo di sterminio di
Auschwitz. Viene qui messa a confronto 1'esperienza di fede di questa donna con
1'esperienza di "non" fede vissuta invece dalla scrittore Primo Levi,
il quale affermava che "se c'è Auschwitz non c'è Dio". A1 contrario,
la dottoressa polacca sostiene che proprio perché c'è stato Auschwitz c'è
Dio. Penso che solo l'Olocausto degli anni '40 per il popolo ebraico sia
paragonabile al dramma dell'esilio. L'esilio, però, pur essendo stato per certi
aspetti un periodo buio, si è rivelato, in realtà, fecondissimo per la fede.
Non dimentichiamo che una delle opere più belle della letteratura ebraica è il
"Talmud babilonese", un commento - soprattutto al Pentateuco - curato
nelle scuole rabbiniche, che assieme ai testi ed altri elementi costituisce la
"Mishnà", cioè la tradizione alla quale si attenevano, per esempio,
i farisei. E il "Talmud babilonese" - più esteso rispetto agli altri
- costituisce un frutto importante dell'esilio. Lettura del salmo 126 -
"Canto del ritorno" Notiamo subito con quali bellissimi termini sia
stato elaborato questo salmo. Ecco, ad esempio, 1'esilio ha prodotto la certezza
che il Signore ha operato grandi cose per noi: dopo averci esiliati ci ha - poi
- liberati. E dal v. 4 comprendiamo che questo è il canto dei primi esiliati
(gli altri deportati torneranno successivamente nella loro patria). Il tempo di
sofferenza si è rivelato fecondo anche grazie alla presenza e all'opera
grandiosa di Ezechiele, il primo profeta degli esiliati e, come loro, esiliato.
La narrazione di Ezechiele ci rimanda al territorio dei Caldei (Mesopotamia) e
precisamente alle rive del canale Chebàr. I primi 24 capitoli del libro ci
descrivono in modo particolareggiato Gerusalemme dal punto di vista religioso,
politico e sociale. Ci si domanda come il profeta potesse conoscere così bene
tale situazione vivendo in esilio e perché non parli mai (nei primi 24 capp.)
del re, che pure era stato deportato, né degli esiliati. Gli studiosi
formulano, al riguardo, quattro ipotesi: I - 1 libro di Ezechiele sarebbe stato
elaborato in realtà a Gerusalemme e successivamente rivisto a Babilonia. Non
sono presenti, infatti, oracoli di speranza; II - il nostro profeta avrebbe
avuto un duplice ruolo di ministero e solo con la seconda deportazione si
sarebbe trasferito a Babilonia; III - altri ipotizzano un triplice luogo di
ministero, per cui il profeta sarebbe rimasto a Gerusalemme fino al 586, poi si
sarebbe rifugiato in un villaggio non identificato e soltanto in un terzo
momento si sarebbe recato a Babilonia dove avrebbe ricevuto una seconda
vocazione; IV - Ezechiele avrebbe svolto il suo ministero soltanto a Babilonia,
ma con un particolare interessamento per gli israeliti rimasti in patria i quali
(come risulta dal libro del profeta) avevano frequenti contatti con gli
esiliati. Ezechiele, inoltre, riceveva spesso a Babilonia persone che gli
recavano notizie sugli avvenimenti accaduti a Gerusalemme. E' questa 1'ipotesi
più plausibile, sulla quale concorda la maggior parte degli studiosi. Il
profeta parla molto di Gerusalemme soprattutto per togliere ai deportati ogni
illusione sulla brevità dell'esilio, come già aveva fatto Geremia. Infatti,
egli parlava del comportamento riprovevole di coloro che erano rimasti in Giuda;
comportamento che avrebbe avuto come conseguenza la distruzione della città
stessa e del tempio. Ezechiele, come Geremia, ha i piedi saldamente ancorati
alla terra anche se lo sguardo è sempre rivolto al cielo, cerca di preparare le
persone che il Signore gli ha affidato ad accogliere la volontà di Dio, a non
crearsi false illusioni sulla brevità dell'esilio (come, invece, dicevano i
falsi profeti). Questo è il senso del ministero profetico. Ricordo che tutta la
"predicazione politica" di Geremia muoveva dal presupposto che gli
ebrei non avessero ben chiara la volontà di Dio. Ezechiele era figlio di un
sacerdote e, probabilmente, egli stesso sacerdote. Infatti, nel suo libro
dimostra una perfetta conoscenza della legislazione sacra e della centralità
del tempio di Gerusalemme, che la gloria del Signore abbandona. E se la gloria
del Signore ha lasciato il tempio significa che quella costruzione è da
considerare solo come un puro elemento architettonico. Ciò vuol dire che
Gerusalemme e il tempio sono abbandonati al re di Babilonia che ne farà
scempio. Ezechiele era sposato e non risulta che avesse figli. Sappiamo dal suo
libro che è il profeta con il maggior numero di visioni e che esplicita il suo
ministero attraverso significativi gesti simbolici. Dai suoi comportamenti si
potrebbe desumere che fosse uno psicotico con problemi di schizofrenia e di
delirio, con frequenti paralisi, con silenzi prolungati e inspiegabili. Potrebbe
essere considerato un pazzo da coloro che leggono il suo libro senza rendersi
conto di chi fosse un profeta e quale fosse il suo rapporto con Dio. Paolo
Villaggio in un suo libro, facendo un accenno a S. Teresa di Lisieux, dice di
lei a proposito di una certa situazione: "prima di diventare completamente
pazza". Per alcune persone chi ha con Dio un rapporto così intimo da avere
dei voli mistici non può che essere considerato pazzo. Le visioni simboliche di
Ezechiele paiono come quelle di un pazzo per chi non crede in Dio. Se si parte
dal presupposto che non esiste Dio non si può capire nulla di un uomo di Dio e
in particolare di un profeta. Teniamo, poi, presente che allora il linguaggio e
la comunicazione avvenivano più visivamente che verbalmente. Ezechiele rimane
in silenzio per giorni e giorni. Diventa muto all'inizio della sua missione (per
un certo motivo) e poi a metà della missione stessa quando gli portano la
notizia della distruzione di Gerusalemme. E' difficile che oggi ci siano gesti
profetici. Chi sono i profeti, oggi. fra i religiosi? Colui che gestisce la
comunità dei tossicodipendenti, il prete di marciapiede spesso presente in TV o
il prete che resiste per cinquant'anni in una parrocchia di cinquecento fedeli?
Non si sa. Il battesimo ci ha reso profeti e noi dovremmo riscoprire questo
ruolo profetico che è tipico di coloro che parlano (etimologicamente) al posto
di Dio. E' poi opinabile "il come" si parli a nome di Dio. Don Beretta,
il parroco assassinato a Ponte Chiasso, era un profeta non perché accoglieva
gli extracomunitari, ma perché è sempre stato fedelissimo al suo vescovo. E
S.Francesco era un grande profeta perché nutriva uno sviscerato amore per la
Chiesa. I contenuti della predicazione di Ezechiele si dividono in due parti:
prima e dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio (587 a.C.). 1 - A prima
della caduta di Gerusalemme risalgono gli oracoli di condanna (gli esiliati non
dovevano nutrire illusioni su un rapido rientro in patria). 2 - Dopo la caduta
di Gerusalemme iniziano gli oracoli di salvezza (i deportati dovevano sperare).
La prima parte riguarda in modo particolare la città santa e la sua condanna
inappellabile. In una situazione particolarmente difficile il Signore suscita un
profeta. Lettura della vocazione di Ezechiele in Ez. 1, 4-6; 13-16; 22-23: 28.
La vocazione del profeta inizia con la grande visione del carro del Signore.
Sappiamo che una delle interpretazioni più belle di questo capitolo è quella
"extraterrestre". Lettura di Ez. 2, 1-9 Nei vv. 4-5 leggiamo tutte le
caratteristiche della vocazione profetica. Non importa se Ezechiele avrà
successo; al Signore interessa soltanto che il profeta sia in mezzo al popolo.
Il v. 9 sarà ripreso nell'Apocalisse. Lettura 3, 1-9 Quando il Signore affida
un compito, un ministero, concede anche i mezzi per svolgerlo. XX lezione
Ezechiele - continuazione Nella lezione precedente avevamo notato la visione del
profeta che, dopo aver mangiato il rotolo della Scrittura e aver raggiunto i
deportati abitanti lungo il canale Chebàr, era rimasto "come
stordito" (3,15). Lettura di Ez. 3, 16-21 In questo brano, aldilà
dell'immagine del profeta-sentinella, ossia di colui che avvisa gli altri del
pericolo incombente, troviamo accennato un tema che sarà poi sviluppato nel
prosieguo del libro e che già era stato espresso sinteticamente in Geremia: il
tema della responsabilità personale. Il giusto e 1'ingiusto sono tali per le
opere che compiono. Delle proprie opere, e non di quelle del padre, ciascuno -
giusto o ingiusto - sarà chiamato a rispondere a Dio. Ezechiele, inoltre,
introduce 1'idea della corresponsabilità in base alla quale se io vedo una
persona compiere azioni malvagie e non 1'ammonisco, tale persona sarà punita
per le opere da lei commesse, ma a me - che non 1'ho avvertita - verrà chiesto
conto della sua fine. Se, invece, 1'avrò avvisata non sarò ritenuto
responsabile della sua sorte. Secondo me è attualissimo questo principio oggi,
in un tempo in cui appare oggettivamente difficile per molti discernere il bene
dal male. Uno dei difetti peggiori del mondo attuale, come dice il Papa in
diverse sue encicliche, è proprio quello di scambiare il male con il bene, e
viceversa, ma sopratutto di cambiare nome al male in modo da farlo apparire o
meno malvagio o addirittura un bene. Io credo che il nostro ruolo di profeti
neotestamentari, cioè di profeti che il battesimo ha reso tali, sia oggi anche
questo: avvisare, ammonire. Il ruolo della sentinella appare particolarmente
attuale. E sarebbe ben grave che un cristiano non avesse nemici, in quanto così
amico del quieto vivere da non proclamare la verità del Vangelo. I capp. 4-7
cominciano a rivelare il contenuto della prima parte del libro che, secondo
un'indicazione di massima, comprende i capp. 1-24. E la prima parte, il cui
contenuto fondamentale consiste nella caduta e nella distruzione di Gerusalemme,
trova appunto la sua introduzione nei capp. 4-7. Ezechiele, anzitutto, comincia
a togliere agli esiliati 1'illusione di un imminente rientro sostenendo che
Gerusalemme sarà distrutta. Quello che Dio manderà sarà un castigo che
coinvolgerà tutto Israele (il territorio e il popolo rimasto) e non solo la
città di Gerusalemme. Lettura cap. 7 Sembra quasi una visione cosmica con
annuncio del giorno del Signore. Come tutti i profeti, Ezechiele fornisce delle
indicazioni generali sull'idolatria, sulle ingiustizie soprattutto sociali (come
il ricco che opprime il povero). Queste realtà che portano al giorno del
giudizio sono messe in evidenza nei capp. 8-11. Ed è bello soffermarsi sulle
specificazioni di Ezechiele, soprattutto riguardo all'idolatria. Lettura di Ez.
8,1-18 E' interessante questo discorso sull'idolatria, ma soprattutto è
interessante 1'atteggiamento dei settanta anziani che "vanno dicendo: Il
Signore non ci vede...Il Signore ha abbandonato il paese..." (v. 12).
L'idolatria ha origine, in questo caso, da una incomprensione di Dio. Infatti,
non si è più certi che il nostro è il Dio fedele. E, questa, è una bestemmia
gravissima. Al riguardo ricordiamo il salmo 115 che recita: "Gli idoli
delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non
parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono... hanno mani e non
palpano... Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (vv.
4-8). I settanta anziani bestemmiano gravemente ritenendo che il Signore sia
come uno di questi idoli. Da un'affermazione così terribile si passa facilmente
a un'altra: Dio non esiste. Ecco, la bestemmia d'Israele. Ecco, dice il Signore,
stanno operando per allontanare la mia gloria dal tempio. Infatti, quegli oranti
che si trovavano nel tempio di Dio semplicemente "...adoravano il
sole" (v. 16), cioè una delle creature di Dio. Teniamo presente sullo
sfondo il racconto della creazione (Genesi 1 ) secondo la tradizione (o la
scuola teologica) sacerdotale, che nasce nel tempo dell'esilio. La narrazione
tende a sottolineare come tutte le realtà che gli altri popoli veneravano come
divinità non fossero altro che creature del Signore. Oltre all'idolatria, che
sta diventando sempre più sfacciata, abbiamo visto le ingiustizie e i crimini
che si commettono all'interno del Paese. Inevitabilmente arriverà il castigo.
Intanto si fa largo sempre di più 1'idea della responsabilità personale in
quanto il castigo non colpirà in solido: saranno colpiti solo coloro che
saranno stati infedeli. Ezechiele riprende un concetto che abbiamo già notato
in Isaia: la teoria del "resto" d'Israele. Un ceppo, un nucleo di
fedeli, resterà. Il Signore punirà il suo popolo, ma quel nucleo fedele, dal
quale continuerà la progenie santa, dovrà rimanere. Lettura di Ez. 9, 1-8
"Il castigo" Nelle lettera "tau", ultima dell'alfabeto
ebraico, i Padri della Chiesa hanno visto la croce. Mentre leggiamo ci vengono
in mente le beatitudini, là dove si afferma: "Beati gli afflitti perché
saranno consolati" (Mt. 5, 4). E per "afflitti" - che in Matteo
hanno una connotazione più spirituale che in Luca - si intendono coloro che
soffrono e piangono per tutti i peccati e gli abomini commessi nel mondo. Appare
d'obbligo anche un riferimento a S.Francesco d'Assisi che, prendendo lo spunto
da questo brano biblico, ha scelto il "tau" come simbolo della croce e
come segno della salvezza. Ricordo che la Basilica inferiore di Assisi ha la
pianta proprio a "tau". Viene, inoltre, spontaneo pensare alla Pasqua
o, meglio, alla piaga dei primogeniti in Egitto. Mi interessa sottolineare,
ancora, che il castigo non sarà inflitto a tutti perché si salveranno coloro
che porteranno segnato in fronte il "tau", segno di salvezza.
Ricordiamo che anche nell'Apocalisse i salvati saranno proprio coloro che
saranno trovati con il sigillo sulla fronte. Lettura 10, 18-22 A causa di tutti
i peccati d'Israele "La gloria del Signore uscì dalla soglia del tempio e
si fermò sui cherubini" (v. 18). Di conseguenza la città e il tempio sono
destinati alla distruzione. Ma, nonostante tutte le infedeltà d'Israele, Dio
rimane fedele: ecco, come è ricco di speranza il messaggio di Ezechiele! Ma, se
leggiamo il cap. 11, 14-21, scopriamo che la fedeltà del Signore si manifesta
adesso nei confronti degli esiliati i quali, se avranno fiducia, se sapranno
aspettare, "...saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio" (v. 20).
Dio - sempre e ancora fedele - ha trasferito la sua fedeltà da Gerusalemme al
popolo in esilio. A questo punto possiamo leggere 1'esilio babilonese quasi come
un secondo esodo. Nel Sinai per quarant'anni il Signore ha formato il suo
popolo; in Babilonia per circa cinquanta anni Dio ha riplasmato un popolo che
era preda degli abomini e dell'idolatria. Questo popolo viene purificato come
1'oro nel crogiuolo, fino a costituire un nuovo popolo non più con il cuore di
pietra, ma con il cuore di carne. Ci ricordiamo, allora, di quanto scritto da
Geremia: la mia alleanza non più su tavole di pietra, ma scritta direttamente
nel vostro cuore. All'intuizione di un profeta segue 1'approfondimento
dell'altro. Tuttavia è diverso il modo in cui ogni singolo profeta si pone alla
scoperta di Dio. I contemporanei, però, cercano di neutralizzare in ogni modo
la parola del Signore. Ed Ezechiele, come tutti i profeti, non ha grande seguito
né grande ascolto. Vediamo, ora, alcuni modi usati per neutralizzare la parola
di Dio. 1 - Lettura di Ez. 12, 21-23 e 26-27 Il profeta è oggetto di burla
(ossia di incredulità): "Passano i giorni e ogni visione svanisce?"
Oggi c'è il rischio che la nostra religione sia ridotta a pura solidarietà; e
i cristiani, allora, sono coloro che aiutano gli altri e sono tollerati purché
non creino problemi con 1'annuncio della Parola. 2 - Lettura di Ez. 13, 1-6 Un
altro modo è costituito dalla menzogna e dai falsi profeti che non suscitano
speranze, ma inducono alle illusioni. La menzogna squalifica i cristiani e crea
confusione. 3 - Lettura di Ez. 14, 1 e segg. (siamo sempre al tempo
dell'esilio). La nostalgia, 1'attaccamento a realtà sacre del passato - ad es.
al tempio e all'elezione di Gerusalemme - non permette di comprendere adesso la
volontà di Dio, il quale chiede un culto nuovo. E' un modo che può dare
1'illusione di essere nel giusto e, quindi, più subdolo di altri. Il profeta,
di conseguenza, deve essere uomo dell'ascolto per poter comunicare anche agli
altri la capacità di ascoltare. E gli esiliati dovranno imparare a cercare Dio
nel cuore e non più nel tempio o in Gerusalemme: il cammino sarà faticoso. 4 -
Lettura di Ez. 14, 12 e segg. Un ultimo tentativo usato per annullare la parola
di Dio è quello dell'intercessione. Qualcuno, cioè, riteneva che per la
presenza di pochi giusti il Signore avrebbe dovuto risparmiare tutti. E' una
tentazione, allora, credere nuovamente nell'elezione di tutto il popolo in
quanto Dio non può venir meno a se stesso. Sottolineiamo che il brano si
intitola "Responsabilità personale"; il giusto e 1'ingiusto saranno
trattati come tali.. Caduta anche quest'ultima obiezione si giunge alla
conclusione che nulla può salvare Gerusalemme. Lettura di Ez. 24, 15-24
"Prove personali del profeta". Il segno più duro e più tremendo che
Ezechiele deve dare al popolo è costituito dalla morte improvvisa della moglie.
Quanto succede al profeta rappresenta 1'immagine di ciò che succede a
Gerusalemme e il comportamento di Ezechiele è 1'immagine del comportamento di
Gerusalemme. Infatti, il profeta - che non porta il lutto per la morte della
moglie - rappresenta il popolo che, davanti alla propria morte spirituale e alla
propria distruzione fisica, si comporta da indifferente. Siamo all'apice anche
spirituale per Ezechiele. Ancora una sottolineatura. Il brano appare decisamente
drammatico perché descrive la vicenda del profeta che, addolorato per la morte
della moglie, accetterà 1'incarico affidatogli da Dio e profetizzerà per
tentare, ancora un'ultima volta, di far capire al popolo ciò che sta per
accadere: la distruzione di Gerusalemme. Abbiamo così terminato la prima parte
del libro di Ezechiele che parla della distruzione della città santa, già con
qualche accenno alla speranza. Dio rinnoverà la sua alleanza con il popolo in
esilio; e il popolo non dovrà preoccuparsi delle colpe dei padri.
Ezechiele - continuazione
Nella seconda sezione del libro, ossia dal cap. 24 in poi, troviamo la c.d.
"parte della speranza" . Ormai non ci sono più possibilità di
salvezza per Gerusalemme, che è stata distrutta deimitivamente. Bisogna ora
evitare che il popolo in esilio passi al culto delle divinità straniere.
Infatti la situazione psicologica degli esiliati si presenta disastrosa, sia
perché essi sono convinti che Dio non abbia mantenuto le promesse e sia perché
sono presi da un dubbio: sarà vero il nostro Dio o saranno vere le altre
divinità? In una concezione in cui non è contemplata una realtà ultraterrena
di salvezza, in cui il favore di Dio viene dimostrato su questa terra, il popolo
si chiede perché i Babilonesi siano vincitori e conquistino tanti territori,
mentre Israele è sconiitto ed ha perso la Città e il tempio. Forte è la
tentazione di considerare vere le altre divinità. La stessa tentazione assale,
a volte, anche noi quando siamo demoralizzati e ci chiediamo se Dio esiste
realmente. Ed è una tentazione che può portare all'ateismo. Nella seconda
parte del nostro libro si possono leggere testi con contenuti molto diversi,
tanto che alcuni presentano una salvezza incondizionata. Non occorre che vi
preoccupiate di nulla: fedeli o infedeli che siate il Signore vi salverà. Altri
brani presentano, invece, una salvezza condizionata: dovrete rimanere fedeli e,
allora, Dio vi salverà. Potremmo dire: sperate nell'insperabile e il Signore si
manifesterà con i suoi fedeli, ma non con coloro che avranno adorato gli idoli
stranieri. Appare qui evidente uri evoluzione nella dottrina di Ezechiele, che
consiste nel capire che 1'idea di una salvezza incondizionata potrebbe portare
al lassismo. Notiamo che, oggi, secondo alcuni aspetti fondanti della New Age,
non ci si dovrebbe preoccupare di nulla perché ciò che conta è star bene con
se stessi. In pratica: ricerca il tuo benessere; vivi con il tuo benessere.
Ecco, allora, che si fa strada in Ezechiele la concezione di una salvezza che si
realizza a determinate condizioni. In questa parte del libro il profeta condanna
severamente i popoli che hanno contribuito alla distruzione di Gerusalemme.
Infatti molti vicini, che avevano motivi di ostilità verso il popolo ebraico,
colsero 1'occasione per collaborare con i Babilonesi. Anche in questo caso
Ezechiele appare inflessibile perché ritiene che il Signore, dopo aver eletto
il suo popolo ed essergli rimasto fedele, chiederà conto ai popoli stranieri
delle offese recate a Israele. Per sapere quanto il nostro profeta vuole
comunicare agli esiliati leggiamo: Ezechiele 18, 1-17 "La responsabilità
personale". Le colpe dei padri non dovranno più ricadere sui figli e
ciascuno sarà responsabile unicamente delle proprie azioni. Non sono possibili
giustificazioni per il popolo in esilio che deve prendere coscienza di trovarsi
in quella situazione (anche) per propria colpa. Il Signore chiama comunque tutti
alla conversione. Ezechiele 33, 1-9 "Il profeta come sentinella" Il
ruolo del profeta è proprio quello di avvisare. Ezechiele 33, 12-20
"Conversione e perversione" Per alcuni di noi 1'incontro con Dio
avviene in modo pacifico e dura per tutta la vita , mentre per altri accade -
magari in modo drammatico - in un certo momento della vita e può avere fasi
alterne. Dobbiamo lasciar fare al Signore: diamo tempo a tutti di arrivare a
Lui. Possiamo "collaborare" sfruttando un'infinità di occasioni e
pregando per chi è alla ricerca di Dio. Sottolineo ancora che Ezechiele è un
portatore della parola divina. La lettura del v. 13 ci ricorda il brano di
Matteo (25,31 e segg.) riguardante il giudizio finale. Notiamo, anche, come sia
attuale il v. 17 Una grave tentazione per gli esiliati consiste nel non credere
nella giustizia di Dio (ci si trovava allora in un contesto di giustizia
retributiva). Teniamo ben presente, comunque, che il profeta è colui che
ammonisce e dice chiaramente quali sono le esigenze del Signore. Ezechiele,
inoltre, cerca di mettere in evidenza i responsabili della catastrofe al fine di
evitare il ripetersi - in futuro - degli stessi errori. A proposito leggiamo
1'accenno contenuto in: Ez. 22, 23-31 Dal v. 23 si prendono in considerazione
coloro che sono ritenuti responsabili della grave situazione: i principi (cioè
la casa reale), i sacerdoti, i capi del popolo, i falsi profeti e gli abitanti
della campagna. Leggere il cap. 34 nel quale Ezechiele mette sotto accusa i
pastori (ossia i re). Infatti il pastore d'Israele è il re che, però, pasce
per delega del Signore. E in questo capitolo il profeta sosterrà che si
presenta ora una prospettiva nuova in quanto Dio si è stancato dei pastori
d'Israele, prenderà Egli stesso il loro posto, sarà, cioè, il pastore del suo
popolo dando inizio veramente a un mondo nuovo. Lettura di Ez. 36, 24-28 La
terra, i monti, tutto 1'universo rifioriscono, ma soprattutto, avverrà una
fioritura interiore. Ecco il rinnovamento che è, prima di tutto, opera di Dio.
Il popolo però è demoralizzato e non crede più alle promesse divine e,
quindi, non nutre più la speranza. Ecco, allora, il notissimo cap. 37, di cui
leggiamo i vv. 1-4. A1 v. 3 si inizia a parlare del grande miracolo: sulle ossa
inaridite si ricostituiscono i corpi che, poi, per opera dello Spirito
riprenderanno a vivere. E il messaggio è chiaro: non bisogna abbattersi perché
il Signore può fare risorgere le persone e le loro speranze. Siamo di fronte,
quasi, a una nuova creazione. Lettura dei vv. 11-14 Evidentemente qui non è
ancora presente la prospettiva della risurrezione così come è intesa da noi
cristiani. Il profeta si riferisce in questi versetti al popolo che viene
liberato dalla schiavitù del sepolcro. Con il suo popolo, nuovamente riunito,
il Signore stipula una nuova alleanza fondata nel cuore di ciascuno. Ecco la
fedeltà di Dio. Lettura dei titoli (descrizione del tempio futuro e delle sue
adiacenze) dei capp. 40-42. Finalmente il tempio sarà ricostruito e rivedrà,
per grazia di Dio, abitare la gloria del Signore (cap. 43). E nessuno potrà
più distruggere il tempio nel quale il Signore adesso è tornato: ecco la
speranza. Dalla lettura del cap. 47 apprendiamo che dal tempio esce un immenso e
stupendo fiume, ricco di acqua, che raggiunge le regioni più desolate e le fa
ritornare alla vita. Il simbolismo dell'acqua nell'Antico Testamento ci richiama
immediatamente la parola di Dio che dona la vita. Dal tempio, allora, uscirà la
parola divina che mi piace pensare come il "logos" del Vangelo di
Giovanni. E proprio dal tempio di Gerusalemme - secondo la teologia di Luca -
prende 1'avvio 1'evangelizzazione del mondo. Ricordiamo che il Vangelo di Luca
inizia con 1'episodio dell'annuncio della nascita di Giovanni Battista al padre
Zaccaria nel tempio e si conclude in Gerusalemme con 1'apparizione di Gesù agli
Apostoli e con il loro invio nel mondo. E gli Atti degli Apostoli (seconda opera
di Luca) iniziano in Gerusalemme con gli episodi dell'Ascensione, della
Pentecoste e della partenza dei discepoli verso ogni parte della terra.
Ezechiele come portatore di speranza introduce un nuovo tipo di profetismo,
quello dell'apertura del cuore dell'uomo al suo Dio. Notiamo una differenza fra
le visioni di Geremia e le visioni di Ezechiele. Le prime contengono immagini
concrete (la caldaia che si rovescia, il mandorlo che fiorisce, ecc.) alle
quali, però, il profeta riesce a dare un significato profondo, mentre le
seconde sono tutte mistiche e sono spiegate da Dio. Infatti, Ezechiele aveva con
Dio un contatto tutto particolare perché egli stesso era un mistico. Potremmo,
allora, affermare che Ezechiele è un veggente, un rappresentante del profetismo
estatico al quale dobbiamo guardare con molta prudenza, ma che costituisce
certamente una importante occasione di elevazione spirituale. Questo tipo di
profetismo ci ricorda immediatamente 1'Apocalisse che è una rivelazione, una
grande visione. Teniamo, comunque, presente che non si diventa santi perché si
hanno delle visioni, ma perché si esercita la carità in modo eroico. Tutte le
visioni che vengono annunciate richiedono il vaglio prudentissimo della Chiesa.
Il secondo Isaia
E" un libro che penso di
consigliare alle persone depresse perché dalla sua lettura scaturiscono pace,
serenità e indicibile gioia del cuore. Non per nulla nella versione della
"Bibbia di Gerusalemme" si intitola "Libro della consolazione di
Israele" (capp. 40-55). E io credo che le più belle espressioni bibliche
su Dio, le immagini più belle del rapporto tra il Signore e 1'uomo e tra Dio e
il suo popolo siano proprio contenute nel secondo Isaia. Ritengo di esaminare in
un paio di incontri il messaggio di Isaia 2 e di dedicare una lezione a una
sezione particolare del testo, ossia ai "Canti del servo di Jahve".
Sappiamo già che in questa parte del libro compare una figura messianica, il
c.d. "Servo di Jahve" o "servo sofferente", che avrà una
grandissima incidenza sulla vicenda di Cristo. Ricordo due notizie già note,
forse, a molti di voi: nel 1789 per la prima volta 1'esegeta tedesco Dobermeir
formula 1'ipotesi che i capitoli dal 40 in poi siano opera di un autore diverso
da Isaia. Però nel 1977 - quindi quasi due secoli dopo - Vincent, esegeta
francese, sostiene invece che sia da abbandonare completamente tale ipotesi. In
realtà, come già detto in una lezione precedente, il libro di Isaia si deve
dividere in tre testi, compilati in epoche díverse da persone diverse. Non
conosciamo nulla dell'autore del secondo Isaia (capp..40-55), anche se potrebbe
essere presente qualche accenno autobiografico nei "Canti del servo Jahve".
Sembra valida 1'ipotesi che 1'autore operi tra gli esiliati in Babilonia e che
la composizione del libro sia avvenuta nel VI secolo a.C.. Potremmo forse
restringere il periodo fra il 553, anno dell'ascesa del re Ciro di Persia - più
volte menzionato - e il 539, anno della caduta di Babilonia. Il profeta vive in
un'epoca in cui 1'impero babilonese decade dopo una rapida crescita. A
Nabucodonosor succedono re di poco conto e di breve durata. E, quando la
situazione del regno diventa particolarmente difficile, prende il potere
Nabonide il quale tenta di modificare il tessuto della società babilonese e,
soprattutto, di cambiare la religione. Infatti sostituisce il culto di Sin a
quello di Marduk, divinità riconosciuta in tutto 1'impero. Proprio nella stessa
epoca in Egitto viene compiuta un'analoga operazione dal faraone Amenofi IV il
quale muta il proprio nome in Ekhnaton, impone il cambio della religione e
instaura il monoteismo con il culto del dio sole, Aton. E' significativo il
fatto che la prima notizia che abbiamo di Betlemme sia del tempo del regno del
faraone che instaurò in Egitto il monoteismo per togliere il potere ai
sacerdoti di Tebe. In seguito Nabonide si allontana dalla capitale per otto anni
e trasferisce il suo centro di potere in una piccola località agli estremi
confini dell'impero lasciando a Babilonia un reggente, Baldassarre, per poter
risolvere alcuni problemi legati alla difesa contro 1'ínsorgente minaccia
persiana. Nel frattempo Nabonide cerca di indebolire alcuni avversari
favorendone altri, in particolare Ciro, un nobile appartenente al popolo dei
Medi, istigandolo a ribellarsi al suo sovrano e a diventare re del suo popolo.
In tal modo Nabonide si era coltivato la classica serpe in seno; infatti Ciro
diverrà la causa della fine del suo regno. Nabonide avverte il pericolo della
potenza del nuovo re dei Medi e contro lui costituisce un'alleanza con il
faraone e con il ricchissimo Creso, re di Lidia. Ciro, però, dopo aver
sconfitto 1'esercito dei tre sovrani alleati, conquista la Lidia e la sua
capitale Sardi e, successivamente, la Babilonia ed entra nella capitale
nell'anno 539 a.C. senza colpo ferire, in quanto gli abitanti stessi gli avevano
aperto le porte della città. In questo complesso periodo storico si colloca il
secondo libro di Isaia. Il popolo d'Israele intanto coltiva la speranza, ma
subisce anche disillusioni. Lettura del Salmo 137 "Canto
dell'esiliato". Da questo salmo famoso ha preso spunto anche Salvatore
Quasimodo per comporre una poesia stupenda sulla seconda guerra mondiale. Sono
versetti drammatici che esprimono lo stato d'animo dell'esule. E un brano cosi
nostalgico diventa 1'imprecazione tremenda contro coloro che vengono reputati i
responsabili della caduta di Gerusalemme. Pensiamo a ciò che doveva provare
quel popolo, lontano dalla propria terra ed esposto al vituperio delle genti. Si
pone, però, un problema: Ciro ha vinto Babilonia perché le sue divinità sono
le più potenti oppure perché è mandato da Jahve? Gli Ebrei si chiedono: è
vero il dio che protegge le imprese del grande Ciro oppure il Dio che ci ha
mandato in esilio e che, forse, per mezzo di questo re ci rimanderà in patria?
Ecco, allora, che la crisi de1 popolo diventa soprattutto religiosa e, quindi,
profonda. Non si tratta di una crisi solo di nostalgia, ma di identità. E
quindi gli Ebrei si chiedono: in chi dobbiamo credere? Qual è il Dio vero che
aiuta il suo popolo? Nel "Cilindro di Ciro" (documenti trovati in una
città della Mesopotamia) è scritto riguardo a Marduk, la principale divinità
babilonese: "Marduk scrutò all'intorno tutti i paesi in cerca di un
governante re e pronunciò il nome di Ciro, perché fosse il governatore di
tutto il mondo. Lui gli fece prendere la strada di Babilonia camminando al suo
fianco come un vero amico." Questo testo dice chiaramente che colui che ha
fatto sorgere e ha accompagnato Ciro nelle sue conquiste è Marduk e non certo
Jahve. Il messaggio del secondo Isaia è costruito sulla falsariga di quello
dell'Esodo perché 1'autore prende come modello I'uscita del popolo dall'Egitto,
i quarant'anni nel deserto e 1'entrata nella terra promessa e li riporta alla
sua epoca. Siamo , cosi, di fronte ad un secondo esodo con un altro Egitto
(Babilonia), un altro deserto e un'altra terra promessa. Tutto ciò ci fa
entrare in un altro contesto: 1'esodo dall'Egitto assume una dimensione
universale. Ricordiamo quanto detto 1'anno scorso a proposito dell'Apocalisse:
anche se la persecuzione alla quale si riferisce I'autore avviene sotto
Domiziano, il libro va ben oltre quell'epoca perché ci parla di ogni tempo in
cui la Chiesa subisce una persecuzione. Il libro dell'Apocalisse è sempre
attuale. Per quanto concerne 1'Esodo potremmo affermare che si tratta di un
evento di salvezza da definire trans-storico perché ha connotazioni universali.
Infatti ha valore in ogni tempo e in ogni luogo in cui un popolo si trova nella
situazione di rivivere una simile esperienza. Proviamo a rileggere, allora, da
questo punto di vista, 1'olocausto. I lager nazisti e 1'olocausto non possono,
forse, essere definiti un nuovo esodo? E la conseguenza sarà il ritorno in
massa nella terra promessa. Hitler non è paragonabile al faraone e al re
babilonese, cioè a coloro che tenevano il popolo in schiavitù? E il braccio
potente di Dio che libera il suo popolo dalla schiavitù si può identificare in
Mosè, in Ciro e negli Alleati che liberarono gli Ebrei dai campi di
concentramento al termine della seconda guerra mondiale. Vediamo, allora, come
alla luce della teologia e, soprattutto, del mistero della salvezza debba essere
interpretata la storia concreta. Dio ha accompagnato, protetto e guidato il suo
popolo in ogni esodo. Scopriamo cosi (contrariamente a quanto sosteneva Primo
Levi) che il Signore era anche ad Auschwitz. Questa circostanza ha dato inizio a
una riflessione nell'ebraismo - che lo avvicina un po' al cristianesimo - su un
Dio che soffre. Noi applichiamo gli eventi di salvezza all'oggi. Oggi Dio ci
salva. Questo è il principio dell'Eucarestia: oggi Cristo patisce, muore e
risorge per noi. Raffrontiamo gli elementi del vecchio esodo con quelli del
nuovo esodo. 1 - Il protagonista non è il popolo, ma Dio in entrambi gli esodi.
II Signore agisce direttamente oppure attraverso un mediatore: prima Mosè, poi
Ciro. Lettura di Is. 41, 1-5 Siamo di fronte a testi inauditi per gli Ebrei in
quanto Dio non si sta servendo di un membro del popolo - di un ebreo -, ma di
uno straniero per salvare il suo popolo. E questo pagano diventa 1'inviato del
Signore, 1'unto. Potremmo dire, forzando un po' íl concetto, il Messia che
viene incaricato della salvezza del popolo. Nel brano è presente la risposta
all'interrogativo: chi anima la potenza di Ciro? Non certo le divinità dei
Babilonesi, ma il vero Dio che ha mosso il mondo per il piccolo popolo
d'Israele. Lettura di Is. 45, 1-7 Dio, in quanto detentore del potere, chiama
Ciro per nome. Anche se non si conosce, il Signore può essere strumento della
sua opera di salvezza. L'importante è credere che Dio guida, anche
misteriosamente, la storia. Lettura di Is. 48, 12-15 "Il Signore ha scelto
Ciro". Grandiosa è 1'ímmagine di Dio che ha potere su ogni cosa. Il
Signore ha suscitato il re Ciro per poter liberare il suo popolo. Il profeta
cerca nella storia la presenza divina. Se guardassimo a ciò che accade attorno
a noi, dal punto di vista strettamente umano non potremmo nutrire la speranza.
Infatti, che speranza avrebbe il mondo senza la fede? Per questo siamo profeti
di speranza per noi e per gli altri. Cerchiamo sempre di capire ciò che Dio
vuole insegnarci attraverso la realtà. In questo brano il Signore si presenta
con un titolo stupendo che troviamo anche nel "Libro di Giobbe": Goel,
il redentore. Leggiamo in proposito: Is. 49, 7.- Il redentore d'Israele~ , I s.
49, 26 - "II redentore e il Forte di Giacobbe"; Is. 54, 5 e 8 Dio è
Colui che ti redime, che ti ridona la dignità, che ti salva. Credo proprio che
il secondo Isaia sia il libro profetico che più ci parla di Cristo. 2 - Sia il
primo che il secondo esodo hanno fatto vivere la liberazione dalla schiavitù.
In Egitto il protagonista era una persona, il faraone, mentre nell'esilio il
protagonista era un'entità politica, Babilonia. Lettura di Is. 47, 1-15
"Lamento su Babilonia". Ecco la realtà dalla quale Dio libera il suo
popolo. Nel ricorso di Babilonia agli astrologi e ai cartomanti possiamo vedere
un parallelo con quanto avviene oggi. Deutero-Isaia - continuazione Concludiamo
oggi la parte generale riguardante il Secondo Isaia. Poi, per la prima volta
quest'anno vi proporrò un esempio di esegesi prendendo in esame " I canti
del servo di Jahvè". Cercheremo di comprendere ciò che il profeta ci
vuole comunicare attraverso un testo tanto complesso. Nella precedente lezione
abbiamo notato che Dio si presenta come "Goel" (il Redentore) e
abbiamo visto, inoltre, che il vero protagonista degli esodi è Dio e che un
elemento comune ai due esodi è la liberazione dalla schiavitù (da Egitto e da
Babilonia) 3-Un altro elemento comune alle due situazioni è il deserto che
nell'esodo dall'Egitto si presentava come ostile in quanto considerato,
soprattutto, il luogo delle tentazioni che mettevano a dura prova la fede di
Israele. Il deserto veniva visto come un ostacolo nel rapporto tra Dio e il suo
popolo, tanto che gli Israeliti rimpiangevano il benessere alimentare del quale
avevano goduto in Egitto. Nel secondo Isaia, invece, il deserto non viene
affatto ritenuto un elemento ostile, anche perché era cambiata la situazione
psicologica degli esiliati. Leggiamo in proposito Is. 40,1-5 " Annuncio
della liberazione". Notiamo in questi famosi versetti, che i Vangeli
riprendono per parlare di Giovanni il Battista, una particolarità. Infatti in
Mt. 3,3 è scritto :" Voce che grida nel deserto; preparate la via del
Signore....", mentre il nostro profeta nel passo corrispondente si esprime
così : " Una voce grida : nel deserto preparate la via del Signore
....." (40,3). Ciò conferma che vari testi dell'Antico Testamento sono
stati rielaborati e interpretati nel Nuovo , come poi vedremo a proposito
del" servo di Jahvé". L'immagine del deserto presente nel brano
profetico elimina già tutti gli ostacoli, perché proprio in questo luogo si
preparerà il percorso che porterà il popolo da Babilonia nuovamente alla
libertà. Lettura di Is. 41,17-19 " Israele scelto e protetto dal
Signore". Il deserto rifiorisce perché le meraviglie del Signore sono
infinite. E la terra arida, allora , assume per certi aspetti una connotazione
singolare : mentre durante 1'esodo il deserto era molto ostile e luogo di prove
tremende, nel ritorno da Babilonia diventa anticipazione del Paradiso .
Percorrendo la lunga strada del ritorno gli Israeliti immaginano le delizie che
troveranno in patria. Allora, il cammino verso la propria terra costituisce un
duplice ritorno: a) a Dio . Il popolo torna al suo Signore. E vedremo che il
mediatore principale di questo ritorno sarà proprio il servo di Jahve; b) a
Gerusalemme. Ma tale ritorno appare duplice anche in un altro senso; infatti,
non è solo del popolo , ma anche di Dio, un Dio che condivide le sorti del suo
popolo. Il Deutero - Isaia ci presenta, in una prospettiva diversa da quella
espressa in Ezechiele , 1'andarsene del Signore da Gerusalemme. Ora Dio si
allontana per condividere le angosce e le sofferenze del suo popolo in esilio. E
adesso il Signore ritorna con il suo popolo. Leggiamo, allora, Is. 52,7-10
" Annuncio della salvezza" Il secondo Isaia ci invita a non disperare
mai ; anche se siamo angosciati il Signore è al nostro fianco. Ecco, il grande
messaggio di speranza del profeta. Anche nella deportazione Dio è accanto al
suo popolo e provvede a sostenerlo nelle difficoltà. Sappiamo che il cammino
nel deserto ha come punto di arrivo Gerusalemme. E qui notiamo la ripresa - che
ormai conosciamo bene - del tema davidico: l'elezione di Gerusalemme e
l'elezione di Davide. Leggiamo " la gioia del ritorno " in Isaia 49,
8-17 Nei vv. 16-17 troviamo un'immagine stupenda. Ecco, tornano in auge
Gerusalemme e la dinastia davidica. 4 - Altro elemento comune ai due esodi : le
resistenze. Il piano divino viene, comunque, osteggiato. Ricordiamo che
nell'esodo dall'Egitto si oppongono al disegno di Dio il faraone, il cosmo ( che
è rappresentato dal Mar Rosso), la natura ( il deserto) il popolo stesso che
resiste. Nella vicenda narrata da Isaia la resistenza , che sarà stroncata
dall'arrivo di Ciro, è costituita da Babilonia. Un altro ostacolo è
rappresentato dalle divinità babilonesi non tanto perché esse si oppongono
direttamente ( sono idoli costruiti dalle mani dell'uomo), quanto perché
attirano il popolo. Potremmo dire che gli idoli si oppongono indirettamente a
Jahve, perché il popolo dà loro credito e si chiede se 1'artefice vero della
potenza di Ciro sia il Signore oppure Marduk. Leggiamo ora su questo argomento
Isaia 46. Notiamo, infine, che il popolo stesso si oppone resistendo alla
speranza e alla sua liberazione. Lettura Is. 40, 27-31 - " la grandezza
divina" . Il popolo si stanca e protesta, ha paura ( Is. 41,8 e segg. ); è
cieco e sordo e, oltre tutto, nostalgico come abbiamo visto anche in Ezechiele (
cap. 43, 18-19) ; è ancora peccatore, falso e ostinato e, per di più, si crede
abbandonato. Sottolineo che il tema fondamentale del libro del Secondo Isaia è
quello della speranza che si fonda esclusivamente su Dio e non su realtà umane.
Lettura di Is.55, 1-13. "Invito finale" Il significato
dell'espressione" i miei pensieri non sono i vostri pensieri" va letto
nel contesto del Profeta Isaia in senso positivo, e cioè : i vostri sono
pensieri di pessimismo, di paura, di scoraggiamento, di peccato, mentre i "
miei pensieri" sono più grandi dei vostri. Il brano vuole significare che
il Signore opera meraviglie che noi non riusciamo nemmeno a immaginare. Cambia,
allora, la prospettiva. Il nostro Dio è incomprensibile perché ama troppo. Il
nostro amore è talmente piccolo che non riusciamo a capire il Suo. L'uomo ha
pensieri piccoli; Dio ha pensieri grandi. Teniamo presente che alla fine il
Signore trionfa, che la Sua parola è efficace e non torna a Lui senza avere
prodotto 1'effetto che si era proposto. La nostra speranza è nell'onnipotenza e
nella grandezza di Dio che rinnova continuamente la Sua alleanza ( con Noè, con
Abramo, con Mosè, con Davide....). E nel Secondo Isaia sono presenti i
riferimenti alle diverse alleanze. La prospettiva del profetismo comincia a
cambiare: non siamo più in un clima di giudizio e di punizione ( per
sollecitare una conversione), ma in un clima di consolazione e di speranza. Dio,
adesso, elargisce continuamente benefici al Suo popolo. Consideriamo ora
1'aspetto più peculiare del Deutero-Isaia :" I canti del servo di Jahve
" ( capp.42-49- 50 - 53 ) che ho riunito per praticità su un foglio (allegato.)
La prima difficoltà consiste nell'incerta delimitazione dei canti. Inoltre,
secondo alcuni studiosi, tra i canti stessi sembrerebbe rientrare anche una
parte del cap. 55. Ed ora una premessa doverosa . Avevamo detto a proposito
dell'Oracolo dell'Emmanuele contenuto nel Primo Isaia ( " Ecco , la Vergine
concepirà e partorirà un Figlio"....) che il Profeta intendeva riferirsi,
da un punto di vista storico, al figlio di Acaz, ma dal punto di vista profetico
( cioè proiettato sul futuro messianico) a Gesù Cristo. L'aspetto storico e
quello profetico saranno ancora più evidenti nei Canti, anche perché risulta
assai complicata 1'identificazione del servo di Jahve. Ci muoveremo sia sul
piano storico immediato sia sul piano storico futuro che risulta dal significato
dato a questi brani nel Nuovo Testamento. Per intendere quanto sia difficile la
comprensione dei Canti vediamo 1'opinione di alcuni biblisti: Mons. Ravasi nel
volume " I Profeti" fornisce circa la lunghezza dei vari brani delle
interpretazioni molto diverse da quelle di P. Grelot ( " I Canti del Servo
del Signore"), mentre un altro studioso, Virgulin (" Isaia") è
su posizioni analoghe a quelle di Ravasi. Invece Schokel, uno dei più grandi
biblisti del nostro secolo, nel suo volume " I Profeti" dà una
spiegazione diversa da quella degli autori sopra citati. Interessante notare che
Schokel riporta nel suo libro tutte le interpretazioni dei vari biblisti
sull'argomento. Inoltre, Benedetto Prete in un articolo pubblicato su "
Rivista biblica" tiene come base per un commento a Mc. 10,45 ("
....dare la propria vita in riscatto di molti.") proprio la vicenda del
servo di Jahvé. Lettura dei " Canti" ( capp. 42-49-50-53) secondo la
suddivisione riportata dalla Bibbia di Gerusalemme ( che è corrispondente
all'opinione di Schókel). Rileggeremo e analizzeremo, poi, ogni canto inserito
o disinserito dal suo contesto immediato. Un'ultima annotazione : Grelot
aggiunge ai Canti sopra elencati i vv. 4 e 5 del cap. 55.
Deutero - Isaia -
Continuazione Come già accennato nella precedente lezione, nell'esame dei
"Canti del servo di Jahve" terremo presenti due piani: 1) piano
storico, in cui il servo dovrebbe essere un personaggio concreto dell'epoca
dell'Autore; 2) piano metastorico (che va al di là della storia) del quale
vedremo solo in seguito 1'interpretazione neotestamentaria con la citazione di
vari brani che nel Nuovo Testamento ci parlano del Servo. Nell'ultimo incontro
si era parlato anche della diversa delimitazione del primo Canto operata da
alcuni studiosi. Ricordo che i testi biblici scritti in ebraico sono stati
tradotti in lingua greca dai famosi "Settanta" in Alessandria d'Egitto
durante la diaspora, cioè molto prima di Cristo. Sappiamo che la Bibbia dei
Settanta, tradotta appunto in greco, è diventata abbastanza normativa per il
Nuovo Testamento, anch'esso scritto in lingua greca. Tale versione si rese
necessaria per la constatazione che i testi in ebraico non erano ben compresi
nel mondo greco della diaspora. Esaminiamo ora alcuni problemi riguardanti i
Canti: 1- Quanti sono i testi che si riferiscono al Servo di Jahve? Il termine
"ebed", servo, è usato nel Deutero-Isaia ben ventun volte; in alcuni
casi risulta riferito in modo esplicito a Ciro, in altri al popolo di Israele.
Secondo certi interpreti, per delimitare i Canti dobbiamo vedere quanti brani si
stacchino dal contesto in cui sono presenti; secondo altri è facile delimitare
1'inizio, ma appare assai difficile individuare il termine di ogni singolo
brano, soprattutto perché alcuni testi - che secondo un'altra opinione non
vanno tolti dal loro contesto - iniziano quando si parla di Ciro, quindi già di
un servo. 2-A chi si riferiscono questi brani, posto che siano dei canti a sé
stanti? A uno solo o a più personaggi, considerato che in tutto il libro sono
presenti riferimenti sia a Ciro sia al popolo di Israele, indicati entrambi con
il termine di Servo? Se si ipotizza un personaggio unico, questo sarà una
persona o una comunità? Vedremo poi che almeno un brano spinge chiaramente nel
senso della comunità. Nel caso, invece, si pensi ad un personaggio individuale,
si tratterà di un re o di un profeta? Ancora: il servo va collocato nel
presente dell'Autore oppure è un personaggio enigmatico proiettato nel futuro?
Realtà o speranza? Se poi si pensa ad un personaggio concreto, esiste la
difficoltà di identificarlo (sono già stati proposti circa trenta nomi). E se
è un personaggio futuro, di chi si parla? Se si tratta di una comunità, questa
si identifica con tutto il popolo di Israele (che assumerebbe così un ruolo
particolare nei confronti di tutta 1'umanità) o soltanto con il "resto di
Israele", cioè con quella parte del popolo che si è preservata integra e
che svolge un ruolo nei confronti sia di Israele sia dell'umanità? Vedremo in
seguito che la soluzione più valida sarà molto probabilmente quella
"mista": in alcuni tratti il Servo si identifica con una persona, con
un individuo, e in altri con una comunità. Questa interpretazione è applicata
nel Nuovo Testamento. Esame del primo Canto Subito appaiono alcune difficoltà
relative alla sua delimitazione. Ravasi fa terminare il primo Canto (cap. 42) al
v. 4, Grelot, invece, al v. 7. Per la Bibbia di Gerusalemme il canto finisce con
il v. 9, mentre secondo Schokel arriva fino al v. 13. Il nostro Canto consiste
nella presentazione del Servo e, secondo soprattutto 1'interpretazione data da
Grelot , si divide in due parti. II misterioso personaggio viene presentato con
un oracolo: è Dio stesso che parla. Lettura di Is. 42,1 Sono evidenti due
elementi: "servo" ed "eletto". a) "Servo di Dio".
È un termine abbastanza diffuso nella Bibbia e può indicare diverse persone.
Si trova, per esempio, in Geremia 7,25 e in 1Re 1,18 per indicare un profeta,
mentre nel libro dell'Esodo definisce Mosè. Inoltre in 2 Samuele 7 il titolo di
"ebed" è applicato a re Davide. Quindi il Servo potrebbe essere un
profeta, un patriarca o un re. Questi richiami ci saranno utili per capire la
funzione di questo personaggio e il motivo per il quale la qualifica di Servo è
stata attribuita a Mosè; b) "Eletto". Questo termine, mai applicato a
un profeta, è stato attribuito a Israele, ai Leviti, a Davide, a Mosè e a
Gerusalemme. Anche in questi casi abbiamo un riferimento sia a persone singole
che a comunità Nel secondo Isaia è presente qualche accenno al termine
"eletto" riferito al popolo; ma nello stesso libro il popolo d'Israele
viene presentato come cieco e sordo (in senso spirituale), il che è esattamente
1'opposto di come debba essere il Servo. Potremmo già affermare che il primo
canto probabilmente non si riferisce a un profeta, ma ad un re. Proviamo allora
a cercare di identificare il personaggio attraverso la missione affidatagli.
Lettura di Is. 42,1b-2 Il personaggio ha delle caratteristiche non propriamente
profetiche ("... non griderà...", "... non farà udire in piazza
la sua voce. . . "), a meno che non si cominci ad inserirlo nel contesto
nuovo del DeuteroIsaia che considera il profeta come colui che porta la
speranza. Lettura di Is. 42.3 Ecco, il nostro misterioso personaggio dovrà
esercitare una funzione giudiziaria, che è compito tipico del re, il quale deve
fare rispettare il diritto di Jhave. (Ricordiamo il Salmo 2, regale.) Il Servo
per svolgere la missione di portare il diritto alle nazioni ha ricevuto lo
Spirito ("Ho posto il mio Spirito su di lui" v. 1). Leggiamo in
proposito Is. 11,1-4. "Il discendente di Davide". Questo grande testo
messianico - della linea del messianismo regale - ci parla dello Spirito che si
posa esattamente su un re affinché realizzi il diritto di Dio applicato nel
mondo.. D'altra parte questo Servo possiede anche altre caratteristiche,
elencate nei vv. 3b e 4 (rilettura). Si tratta di un uomo che, pur essendo molto
comprensivo, è fermo, fedele alla sua missione. E, notiamo, i modi di questa
missione possono apparire strani per 1'Antico testamento, ma la fedeltà e la
fermezza del Servo sono assolute fino a quando non avrà conseguito il suo
scopo. Ancora: "... e per la sua dottrina saranno in attesa le isole."
(v. 4) Nel contesto profetico, e non solo, si intendono per "isole" le
parti più lontane della terra, abitate da popolazioni misteriose, che vengono
viste come il paganesimo per eccellenza. Allora potremmo affermare che
1'umanità - ben oltre il popolo di Israele - sarà in attesa della dottrina di
quest'uomo. Qui ha inizio una dimensione universalistica riservata a un uomo che
è portatore della dottrina di Jahve alle isole. Nei vv. 5-7 (lettura) viene
delineato lo scopo della missione. Infatti la parte centrale di questi versetti
indica ciò che deve realizzare in sé il Servo, che deve essere "...
alleanza del popolo e luce delle nazioni" (v. 6). Notiamo che il Servo non
viene definito come Mosè "intermediario dell'Alleanza" (infatti Dio
si era alleato con il suo popolo per mezzo di Mosè). Ma, Mosè non è
1'Alleanza. Il Servo, invece, diventa alleanza del popolo. Avvertiamo che qui in
controluce si vede già Gesù. Lui è 1'alleanza del popolo. E il Servo non è
soltanto "alleanza del popolo d'Israele; ma diventa anche "luce delle
nazioni". Ecco, ci troviamo su un piano diverso rispetto a Mosè ed anche a
qualunque re. Di conseguenza il personaggio misterioso non può sicuramente
essere identificato con Ciro, re di un popolo straniero, del quale il Signore si
serve soltanto per liberare il suo popolo. Ciro esplica una funzione
eminentemente socio-politica, mentre il servo personifica 1'alleanza.
Al v. 6 l'espressione
"... ti ho stabilito come alleanza..." costituisce una forzatura
perché la traduzione esatta sarebbe "ti ho dato come alleanza del
popolo". Ciò significa che "il dare" è un dono di Dio: il
Signore regala questo Servo che è alleanza per il popolo, anche se il popolo
stesso non lo merita. Lettura di Is. 42,8-9 La missione del Servo di Jahve
porterà a qualche cosa di totalmente nuovo. Alla luce di quanto detto, possiamo
sostenere che si tratta di un personaggio singolo, quindi difficilmente
identificabile con Israele, con delle caratteristiche strettamente regali - ma
che sembra già superarle perché è già lui stesso 1'alleanza - e che inizia
ad avere anche una missione, che va ben al di là del popolo d'Israele in quanto
è "luce delle nazioni" e " per la sua dottrina saranno in attesa
le isole". Secondo canto del Servo di Jahve Mons. Ravasi delimita questo
Canto ai versetti da 1 a 6 del cap. 49; la Bibbia di Gerusalemme ai versetti da
1 a 7; Grelot ai versetti da 1 a 9. Per ultimo Schokel amplia ulteriormente il
Canto fino al v. 13. Nel I Canto il Signore presenta il suo Servo, mentre nel II
canto il Servo si autopresenta nei vv. 1-4 ed espone le credenziali che
legittimano la sua missione. Lettura di Isaia 49, 1-3 I tratti della vocazione
del Servo richiamano Geremia 1,5 ("Prima di formarti nel grembo materno, ti
conoscevo...") e Apocalisse 1,16 ("... dalla bocca gli usciva una
spada affilata a doppio taglio..."). È una vocazione dalle connotazioni
chiaramente profetiche e non regali. L'autopresentazione del Servo sembrerebbe,
infatti, portarci un po' lontano da quella fatta dal Signore nel I Canto. Il
Servo di Jahve non si rivolge al popolo d'Israele, ma alle isole e alle nazioni
lontane. In questa vocazione profetica è centrale il tema dell'annuncio, ma
diventa anche essenziale la fiducia in Dio o, meglio ancora, la consapevolezza
che il Signore protegge il suo Servo e lo ripone nella sua faretra. E se il
servo è riposto nella faretra divina significa che la sua missione non è
ancora iniziata; è come una freccia appuntita che il Signore non ha ancora
scagliato. II v. 3 risulta di difficile interpretazione per la presenza del
termine "Israele", che per alcuni esperti è una glossa (un'aggiunta).
Però va notato che tale parola è presente in tutti i manoscritti ebraici e
nella traduzione dei "Settanta" e ciò significa che, se si trattasse
pure di una glossa, sarebbe talmente antica da essere ormai entrata nel testo.
La soluzione del problema non si presenta facile, perché indica una linea di
interpretazione totalmente condivisa da sempre. Di conseguenza il Servo del
Signore si identificherebbe con tutto il popolo d'Israele. Quindi si tratterebbe
di una comunità che svolge un ruolo profetico - stando al II Canto - oppure il
ruolo regale di portare il diritto ovunque - stando al I Canto. Secondo un'altra
interpretazione, Israele potrebbe essere il capo del popolo che lo incarna
totalmente, cioè sarebbe una persona con un ruolo talmente importante da
diventare simbolo di tutta la comunità (per es. Giacobbe). Quindi in questa
persona tutta la comunità si riconosce e viene riconosciuta. Lettura di Isaia
49, 4-6 Al v. 6 leggiamo: " ... e ricondurre i superstiti di Israele"
ma la traduzione più esatta sarebbe "... e ricondurre i preservati di
Israele", il che darebbe all'espressione una connotazione spirituale. I
"preservati" potrebbero identificarsi con il "resto di
Israele". Il Servo incontra delle difficoltà, ma non sappiamo se ciò
avvenga prima o durante la sua missione. Se consideriamo letteralmente
1'espressione "mi ha riposto nella sua faretra" dobbiamo pensare a
prima della missione, mentre se interpretiamo la faretra come protezione divina
allora dobbiamo intendere il periodo della missione stessa. Certamente le
difficoltà precedono questo oracolo perché i verbi sono al tempo passato
("Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze..."
- v. 4). Anche se il Servo ha fallito, il ~ignore rimane: "... la mia
ricompensa presso il mio Dio." (v. 4). Di fronte alle difficoltà il Servo
riafferma la propria fiducia assoluta nel Signore e nella Sua ricompensa. A1 v.
6 entra direttamente in campo Dio parlando al suo Servo, che ha la funzione di
ricondurre al Signore Giacobbe non solo da un punto di vista socio-politico ma
anche dal punto di vista della fede. Secondo alcuni studiosi, Dio usa i due
termini "Giacobbe" e "Israele" per ricomporre finalmente lo
scisma dei regni del nord e del sud. Il popolo tornerà ad essere uno sia in
senso socio-politico (finalmente riuniti in Palestina senza più divisioni) sia
in senso spirituale e religioso (salvezza e luce per Israele ed anche per le
nazioni). Ecco, allora, la duplice funzione del Servo di Jahve. Ma, soprattutto,
Dio afferma che il compito del Servo torna ad essere una missione. Le parole
"luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino alle estremità
della terra" (v. 6) diventano quasi una proposta di Dio, al di là di tutti
i cedimenti umani. Lettura di Isaia 49 7 È un oracolo di consolazione che
comincia però ad introdurre il tema tremendo della sofferenza. La connotazione
è chiaramente di una persona, ma certamente non si addice a Ciro (Mons. Ravasi,
invece, sostiene che si riferisce proprio a re Ciro). Nel nostro versetto appare
evidente un misterioso connubio tra sofferenza e innalzamento. Nel "reietto
delle nazioni" i re e i principi vedranno 1'opera di Dio che è fedele.
Queste espressioni anticipano la vicenda di Gesù Cristo. Pensiamo al discorso
di Gesù in Gv. 12,32: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti
a me." e alle parole di Caifa in Gv. 11,49: "... come sia meglio che
muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera."
Attraverso la sofferenza del "reietto delle nazioni" si realizza ciò
che Dio vuole: ricomporre il suo popolo, ma non più su un fondamento nazionale,
bensì su base universale. Lettura di Isaia 49 8-9 In questi versetti notiamo la
riaffermazione di una missione che è in parte socio-politica ma, prima di
tutto, spirituale. Esiste il rischio di interpretare questo brano soltanto in
chiave socio-politica, come è avvenuto, ad esempio con la deteriore
"teologia della liberazione" che riteneva che la liberazione
socio-politica dovesse coincidere con la realizzazione del regno di Dio sulla
terra. E per giungere a tale fine erano giustificati anche i metodi violenti.
Teniamo ben presente che la liberazione fisica, sociale o politica non può mai
essere il fine supremo. XXV lezione Deuterio - Isaia - continuazione Terzo canto
del Servo di Jahve Anche per il terzo canto si registrano diversità di opinioni
riguardo alla lunghezza (per Ravasi vv. 4-7; per Grelot vv 4-9a e poi vv. 10-1
l, come per Sch~kel). Questo brano riprende una connotazione più strettamente
profetica. Lettura Is 50,4-11 Potremmo dire che il Servo parla ancora di sé. E
questo parlare di sé ci fa pensare che ora - a differenza del I canto dove
chiaramente il Servo era un re - il Servo stesso sia più vicino al profetismo.
Infatti egli deve ascoltare la parola di Dio e, poi, comunicarla. Scopriamo,
inoltre, che il Servo, mentre secondo i canti precedenti aveva incontrato delle
difficoltà nello svolgimento della sua missione, adesso comincia ad essere
perseguitato violentemente. Le espressioni del terzo canto sembrano poter essere
indirizzate difficilmente a una comunità in quanto qui il Servo ha una decisa
connotazione personale; è una persona ("Ho presentato il dorso ai
flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto
la faccia agli insulti e agli sputi." v. 6 . Nei vv. 9 e 10 torna un
oracolo profetico che termina con una minaccia, con 1'invettiva contro i nemici
del Servo. Ecco, il Servo viene perseguitato ed il profeta ne prende le difese.
Quarto canto del Servo del Signore Questo canto, sulla cui lunghezza concordano
tutti gli studiosi, inizia al cap. 52, v. 13, e termina al cap. 53, v. 12. Si
tratta di versetti altamente drammatici. Infatti, nonostante le minacce del
profeta, la persecuzione fisica raggiunge il suo apice nella morte del Servo. In
questo canto è evidente 1'unità fra due realtà apparentemente molto
contrastanti: 1'umiliazione e la glorificazione. Anzi, proprio nell'umiliazione
consiste la glorificazione. Proprio perché umiliato ed ucciso il Servo del
Signore viene glorificato da Dio. In questo brano sono riassunte, in pratica, le
due grandi teologie presenti nel Nuovo Testamento: 1) la teologia giovannea (la
Croce è il trono di Gesù, è il momento della gloria in cui Egli attira tutti
a sé e riunisce tutti í dispersi d'Israele); 2) la teologia paolina che
raggiunge uno dei suoi vertici nel cap. 2 della "Lettera ai Filippesí"
(la "chenosis ", cioè 1'abbassamento, 1'umiliazione che in realtà
diventa gloria). Leggeremo in seguito i passi del N.T. in cui sono più
esplicitamente citati i canti del servo. Il nostro canto, privo della consueta
introduzione, potrebbe essere diviso in due parti: la prima sembra un discorso
pronunciato direttamente dal Signore, mentre la seconda contiene un discorso del
profeta. La prima parte si suddivide a sua volta in due parti: la prima
costituita dai vv. 13-15 del cap. 52 e la seconda dai vv. llc-12 del cap. 53.
Fra queste due parti si colloca il discorso profetico che sembra chiaramente un
elogio funebre, un discorso pronunciato in onore di un morto. Nel discorso di
Dio il Servo ha funzione di intercessione per i peccatori e di espiazione in sé
dei loro peccati. Ricordiamo a questo proposito 1'atto di offerta di S. Teresa
di Lisieux che si offre, appunto, a Dio quale vittima di olocausto per la
salvezza del mondo. II nostro personaggio diventa come il capro espiatorio, del
quale si parla nell'Antico Testamento, su cui venivano caricati tutti i peccati
del popolo. Lettura Is. 52, 13-15 Siamo nella glorificazione di un personaggio
quasi irriconoscibile ("...tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo
aspetto..." - v. 14) e nella dimensione universale dell'espiazione. Lettura
di Is. 53, 1lc_-12 "...egli si addosserà la loro iniquità...": ecco
il capro espiatorio. In proposito consiglio la lettura dei capp. 4 e 5
dell'esortazione apostolica "Salvifici doloris" nei quali Giovanni
Paolo II commenta il quarto canto anche dal punto di vista del valore della
sofferenza, che resta un mistero. Solo alla luce di Gesù possiamo dire qualche
cosa sulla sofferenza. L'amore deve essere la nostra chiave di lettura del
mistero della sofferenza perché Dio è amore. La seconda parte del Canto
contiene il discorso del profeta che si immedesima con il popolo (parla,
infatti, in prima persona plurale). Si tratta di un discorso, più che altro
sotto forma di elogio funebre del Servo che è morto, che ci aiuta a capire il
significato autentico di questa morte che, apparentemente, sembrava una
punizione divina. Se leggiamo il libro di Giobbe notiamo che, a quell'epoca, la
sofferenza in questa vita era considerata come la conseguenza del peccato in
quanto non c'era ancora 1'intuízíone della risurrezione e, quindi,
dell'Aldilà. E' un discorso profetico: la sofferenza del Servo non rappresenta
una punizione, ma un evento di salvezza, di gloria e non di umiliazione e di
distruzione. Nell'elogio funebre appena letto tutti i verbi sono espressi al
passato per significare che il nostro personaggio è realmente morto e, quindi,
si identifica con una persona ben precisa e non con una comunità. Un'altra
intuizione molto bella: la morte del Servo risulta necessaria per il compimento
del progetto di salvezza di Dio. Anche questa constatazione ci apre qualche
orizzonte perché il nostro vedere è molto limitato. Infatti, più ci si
avvicina al Signore e più si riesce a vedere le cose in modo diverso. Se è
vero che qualcuno può commettere anche dei delitti in nome di Dio, è
altrettanto vero che costui non sa nemmeno dove abiti Dio. Ancora una
riflessione: portare la fede significa umanizzare sempre di più la nostra vita.
La Gaudium et Spes "recita: chi guarda a Cristo uomo perfetto diventa egli
stesso più uomo " Il Nuovo Testamento non ha il minimo dubbio
sull'interpretazione dei quattro canti del Servo del Signore. E'
un'interpretazione strettamente messianica, nel senso futuro del termine! ma è
un futuro non indefinito ed escatologico, ma ben preciso che si realizzerà in
Gesù Cristo. Quindi, secondo questa interpretazione, quando il profeta scriveva
i canti intendeva riferirsi a Gesù Cristo. Noi sappiamo che Giovanni cita ben
raramente in modo esplicito 1'Antico Testamento, anche se, in realtà, il suo
Vangelo ne è una citazione continua. In particolare ricordiamo che nei racconti
della passione appare in filigrana il Salmo 22. Lettura di alcuni brani del
Nuovo Testamento che contengono citazioni dei Canti del Servo del Signore
riferite a Gesù Cristo: 1 - Mt. 12, 15-21 "Gesù è il servo del
Signore." I farisei stanno già complottando contro Gesù perché guarisce
gli ammalati ed è un po' polemico sul riposo del sabato. Il brano di Isaia
riportato viene chiaramente applicato a Gesù. 2 - Mt. 8, 16-17
L'interpretazione dell'evangelista è bellissima, molto profonda, non tanto in
chiave spirituale sul peccato, ma proprio in chiave materiale con Gesù che
elimina la malattia prendendola su di sé. 3 - Lc. 22, 37 Siamo nel contesto
dell'Ultima Cena. "E fu annoverato fra i malfattori..." - Qui Gesù
applica a se stesso questa espressione. 4 - Atti 8, 26-38. "Filippo
battezza un ministro etiope." Notiamo la citazione di Is. 53, 7-8 che serve
a Filippo per annunciare all'etiope la buona novella e per battezzarlo. S -
Prima lettera di Pietro 2, 18-25 Pietro in questo brano indica un ideale
altissimo. Troviamo ancora una serie di passi del N.T. in cui la terminologia
usata da Isaia nei Canti viene applicata a Gesù: 1 - Mt. 3, 16-17 "Il
Battesimo di Gesù." Notiamo che "prediletto" ho lo stesso
significato di "eletto" e "mi sono compiaciuto" corrisponde
all'espressione contenuta in Isaia 42, l. 2 - Mc. 10, 45 Gesù dice di sé,
parlando in terza persona: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere
servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti...". 3
- Lc. 9, 35 "La trasfigurazione." "Questi è il Figlio mio,
l'eletto..." Constatiamo che in tutti i brani citati Gesù viene indicato
come colui che realizza le profezie contenute nei Canti del Servo del Signore.
Per inciso ricordiamo quanto detto nella lezione precedente sulla presenza del
termine "Israele" nei Canti. Molto probabilmente i brani in cui si
parla di Israele possono essere applicati ai discepoli e alla Chiesa, cioè al
popolo messianico di oggi. Allora 1'interpretazione diventa messianica sia in
senso personale (Gesù) sia in senso comunitario in quanto la Chiesa continua la
missione di Cristo. Lettura di altri passi del Nuovo Testamento: 1 - Mt. 5, 14 .
16 . 39 "Voi siete la luce del mondo..." (v. 14) e il Servo è
"luce delle nazioni". Notiamo, poi, al v. 391'applicazione ai
discepoli della tematica della persecuzione. 2 - Atti 14, 19 in cui si parla
della persecuzione di Paolo. 3 - Atti 26, 17 e segg. con citazioni esplicite di
Isaia 42 (I Canto) Ancora una volta constatiamo che i canti del Servo sono
applicati dal N.T. sia a Gesù sia ai discepoli e alla comunità. Quindi, è
chiaro che viene data un'interpretazione dei Canti stessi in chiave messianica,
riferita sia alla persona di Gesù sia alla Chiesa, cioè alla comunità che
rende oggi presente Gesù. Nel prossimo incontro concluderemo questo ciclo di
lezioni bibliche con un commento al libro di Giona, profeta del post-esilio. Vi
anticipo che i profeti di quel periodo avevano atteggiamenti estremamente
nazionalisti, senza alcuna apertura verso gli altri popoli.
Giona Diamo per letto il libro
di Giona e ci domandiamo se si tratti o meno di un racconto storíco. Non è un
libro storico (nonostante la parvenza di storicità che gli è stata data) per
diversi motivi, come: 1 - il protagonista, cioè il profeta Giona, in reattà
potrebbe essere storico: infatti è nominato in 2 Re 14,23 e segg. (lettura).
Notiamo che Giona, di per sé, è riferibile all'epoca del re Geroboamo II (VIII
sec. a.C.), ma vediamo anche che sono evidenti delle incongruenze: nel nostro
libro, infatti, Ninive non è indicata come la capitale dell'Assiria; 2 -
inoltre, a livello di pensiero sono presenti notevoli influssi di Geremia -
profeta di un'epoca posteriore al sec. VIII - e di Gioele (anch'egli di epoca
posteriore); 3 - in ogni caso non ci sarebbe molto da dire, per esempio,
sull'estensione della città di Ninive "...di tre giornate di
cammino..." (Gn 3,3) che appare del tutto irreale, come, del resto, sul
pesce che ingoia Giona perché si tratta indubbiamente di una figura retorica
molto usata, ma assai più tardi e, cioè, all'epoca di Alessandro Magno (IV
sec. a.C.); 4 - per ultimo, notiamo un fatto storico di cui non abbiamo alcun
sentore: la conversione di Ninive. Tutti questi elementi inducono a pensare che
non sia possibile dare un'interpretazione storica al nostro libro. Alcuni
studiosi considerano la narrazione di Giona come un'allegoria (vedremo in
seguito attraverso la lettura di brani evangelici la differenza tra allegoria e
parabola). Sappiamo che ogni elemento dell'allegoria ha una sua trasposizione
nella realtà; è un simbolo che ci rimanda ad un altro anche nei minimi
particolari. Allora, Ninive diventa il mondo pagano; Giona la rappresentazione
di Israele che si rifiuta di essere missionario e rifugge dalla missione che Dio
gli affida; il malessere di Giona è il disagio del popolo che si ripiega su se
stesso e non accetta che il perdono sia esteso ai pagani (siamo in un periodo di
nazionalismo puro); il pesce rappresenta l'esilio che divora il popolo
d'Israele. Il libro di Giona potrebbe però essere anche una parabola, cioè un
racconto didattico (che vuole dare un insegnamento) in cui non necessariamente
ogni elemento corrisponde alla realtà. Per comprendere bene la differenza fra
allegoria e parabola leggiamo in Mt. 13, 24-30 la "Parabola della
zizzania" raccontata da Gesù, dal significato abbastanza preciso: fare
capire che la zizzania e il grano cresceranno insieme fino alla consumazione dei
tempi. Non dobbiamo scandalizzarci, quindi, per 1'esistenza dei malvagi in
quanto arriverà anche per loro il momento del giudizio finale. Sia per la
"Parabola del seminatore" (Mt. 13, 3-9) sia per la "Parabola
della zizzania" si tratta di un racconto fatto da Gesù e di una
interpretazione autentica data dalla comunità alla parola del Signore. Ma
questa interpretazione è allegorica; la "Parabola della zizzania"
viene trasformata in allegoria. Leggiamo, allora, in Mt. 13, 36-43 la
"Spiegazione della parabola della zizzania". Questo brano ci dice che
una parabola può essere interpretata legittimamente anche in chiave allegorica.
Sono state formulate alcune ipotesi sull'insegnamento contenuto nel libro di
Giona, che può essere considerato come una parabola: 1 - indicare quale
atteggiamento dovrebbe avere Israele nei confronti dei pagani; 2 - chiarire
quale rapporto sia possibile fra 1'elezione del popolo e 1'universalismo. Se
tutti i popoli sono chiamati alla salvezza, qual è il ruolo di Israele? Un
problema analogo, anche se per certi aspetti diverso, sarà affrontato da S.
Paolo nella "Lettera ai Romani": ora che c'è la Chiesa, che senso ha
il popolo d'Israele? L'elezione e la fedeltà alle promesse possono adesso venir
meno? Certamente no; 3 - proporre con un invito quasi sapienzale, più che
profetico, un universalismo contrapposto allo stretto nazionalismo. Se quanto
detto prima corrisponde a verità, possiamo datare il libro di Giona e
collocarlo sicuramente nel post-esilio e molto probabilmente in un periodo
immediatamente successivo ai libri di Esdra e di Neemia (sec. V a .C.), cioè
nel tempo della ricostruzione materiale dello Stato d'Israele e della
ricostruzione spirituale del suo popolo. E' evidente, comunque, che
"Giona" costituisce anche una reazione al sistema nazionalistico
estremo di quell'epoca. A questo riguardo leggiamo Esdra cap. 9 "La rottura
dei matrimoni con gli stranieri". Il popolo d'Israele, i sacerdoti e i
leviti, che avrebbero dovuto mantenere la purezza della stirpe, hanno contratto
matrimoni con donne straniere e da queste hanno avuto figli, profanando
"...la stirpe santa con le popolazioni locali" (v. 2 . In questo
capitolo è bello sottolineare come Dio resti accanto al popolo anche nei
momenti difficili: "Nella nostra schiavitù il nostro Dio non ci ha
abbandonati..." (v.9), anzi ha riportato il popolo alla libertà. Notiamo,
per inciso, come sia pericolosa anche oggi una lettura fondamentalista della
Bibbia, il prendere - per esempio - questo brano (Esdra 9, 10 e segg.) alla
lettera estrapolandolo dal contesto storico in cui è stato scritto. Lettura di
Esdra cap. 10 Si narra della cacciata, su iniziativa di Esdra, delle mogli
straniere e dei figli da loro avuti. Per molti commentatori il libro di Giona
rappresenta proprio una reazione all'esasperato nazionalismo dell'epoca. Lettura
di due brani del Vangelo in cui viene citato Giona:
Mt. 12, 38-41 ("Il segno
dí Giona") e Lc. 11, 29-33 ("Il segno di Giona"). Due
annotazioni a margine del primo brano: - l'immagine del profeta che
"...rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce..." (Gn. 2,1)
diventa l'immagine della permanenza di Gesù nel sepolcro e, quindi; della sua
morte e della sua resurrezione; - la predicazione di Giona e la sua accoglienza
da parte dei Niniviti diventano 1'esempio, per opposizione, della predicazione
di Gesù, rifiutata non dai pagani ma dai suoi stessi concittadini. Abbiamo,
allora, un duplice segno: 1 - segno di ciò che Gesù farà e dirà; 2 - segno -
al contrario - di ciò che Gesù sta vivendo, cioè 1'opposizione dei suoi.
Riprendiamo Luca 1l, 29-33 in cui manca il segno di Giona nel ventre del pesce,
ma compare il secondo segno: "...come Giona fu un segno per quelli di
Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione"
(v. 30). Giona predica la conversione e viene ascoltato, mentre Gesù non è
ascoltato anche se Egli è sicuramente superiore al nostro profeta. Di
conseguenza, il peccato dei contemporanei di Cristo appare infinitamente più
grande di quello commesso da Niniviti. Il messaggio Superficialmente potremmo
affermare che quello di Giona è un messaggio molto bello di conversione e,
conseguentemente, di perdono rivolto ai popoli pagani. Ma sostenere
semplícemente questo significherebbe impoverire il nostro libro. Ninive non è
solo il simbolo del paganesimo, ma da sempre è anche il simbolo
dell'oppressione. La città con il suo re Sennacheri diventa la capitale dell'Assiria
e, di conseguenza, 1'incarnazione dell'oppressione. Quindi, i Niniviti e il loro
re non sono soltanto dei pagani, ma gli oppressori del popolo eletto. Allora il
messaggio di Giona diventa sconvolgente: Dio ama e perdona anche gli oppressori
e vuole la salvezza di chi opprime il popolo eletto. Il racconto del profeta ci
dice di una Chiesa (ovvero del popolo d'Israele) che deve portare la salvezza
proprio a coloro che fino ad un momento prima, e magari ancora adesso, uccidono
i suoi figli o li riducono in schiavitù. Uno degli atteggiamenti peggiori di
Giona - e qui questo personaggio potrebbe essere il simbolo del popolo
d'Israele, ma anche di certe frange della Chiesa - consiste nel non accettare il
perdono degli oppressori. Infatti si adira perché si sono convertiti i Niniviti
che considerava meritevoli esclusivamente del castigo divino. Notiamo che gli
abitanti di Ninive non si convertono al Dio d'Israele, ma si convertono nella
loro condotta. Ai Niniviti il Signore non chiede di cambiare religione, ma di
far cessare le ingiustizie sociali, di fare penitenza per i peccati commessi.
Sarebbe molto bello usare il libro di Giona per cercare di trovare dei valori
comuni (Mt. 25) come 1'amore per il prossimo, la solidarietà fra gli uomini, un
mondo di giustizia in cui non ci sia chi possiede troppo e chi ha meno di nulla.
Io credo che il nostro libro sia profetico sotto il punto di vista della
possibilità di costruire un'umanità nuova, diversa. "Giona" è
1'unico libro profetico scritto sotto forma di parabola, con un contenuto
inaudito per 1'Antico Testamento. Infatti, ci vorrà Gesù con la sua vita e il
suo insegnamento per portare esplicitamente alla chiarezza questi concetti. In
tal senso il nostro racconto, se pur breve, non appare secondario per un
cattolico che vuole leggere 1'Antico Testamento e che vuole trovare quei semi
che Gesù porterà poi a completa maturazione. Dio vuole che tutti gli uomini
siano salvi, sia i buoni che i cattivi. Ed Israele e la Chiesa, popoli eletti,
non possono che accettare questa logica divina. Ma, soprattutto, Giona è duro
di cuore, cioè non vuole convertirsi alla logica della Croce, alla logica di un
Dio che perdona i suoi crocefissori. E, allora, il libro in questione ci
interpella non solo in quanto popolo di Dio (o come Chiesa), ma in quanto
persone davanti all'amore "folle" del Signore. Come reagiamo al
pensiero che chiunque con un atto di pentimento all'ultimo momento può andare
in paradiso? Prendendo Giona come simbolo di ciascuno di noi, come ci
comportiamo davanti alla missione che il Signore ci affida? Ci saranno
sicuramente tornati alla mente, leggendo questo racconto, i grandi
"resistenti" della Bibbia, come Mosè e Gedeone. Vediamo il libro di
Giona come una sollecitazione che il Signore ci offre per essere portatori del
suo amore che non ha limiti. Il perdono di Dio su quale base sarà elargito?
L'aderire a Cristo che significa? Significa abbracciare il cristianesimo oppure
avere quel riferimento ultimo all'Amore che sembrerebbe trasparire da diversi
brani del vangelo, ma anche dal libro di Giona? Io credo che la dottrina della
Chiesa non opti (vedere il Concilio Vaticano II) tanto per un sincretismo
religioso, quanto piuttosto intenda che i riferimenti a Cristo - che è il
"dixit" del Padre - possano essere molteplici e anche impliciti. Ciò
significa che dobbiamo continuare ad essere missionari perché la Chiesa ha
ricevuto da Cristo un messaggio preciso, 1'evangelizzazione del mondo. Dobbiamo
aiutare chi appartiene ad una cultura diversa ad arrivare già quaggiù alla
pienezza di Cristo e ad attingere ai canali privilegiati di grazia di cui la
Chiesa dispone, ossia i sacramenti. Nei documenti del Concilio Vaticano II
sicuramente si notano tali orientamenti.