UNA PICCOLA STORIA...D’AMORE …è la storia di questa Casa Famiglia: nasce da un disegno di Dio che nel
1989 ha chiamato le Suore della Provvidenza a Napoli.., in “cerca di bambini in difficoltà...” come ai tempi del loro
Fondatore il Beato Luigi Scrosoppi, che dal 1800 ad oggi, in varie parti
d’Italia e del mondo continua ad accogliere minori e adulti che soffrono...
A Napoli, si sa, i problemi sono tanti:
molti sono i bambini che si affacciano timidamente alla porta di casa con lo
sguardo implorante: c’è un padre che li picchia, una madre infelice, incapace
di proteggerli, un vicinato indifferente o spaventato, c’è malavita, violenza,
paura e le istituzioni sono spesso
lontane ... .c’è bisogno di tanto amore.
“Porteranno nei loro cuori un’illimitata fiducia nella Divina Provvidenza, abbandonandosi interamente ad essa come un
bambino
tra le braccia della propria madre”: con questo spirito dettato dal loro Fondatore le Suore si lasciano
coinvolgere dai bisogni del territorio....
E nasce un’
opera nuova, inedita, ben diversa dai soliti, numerosi istituti per minori...
UN INCONTRO IN TRENO “Bisogna dare affetto ai
giovani… accogliere quelli che tutti rifiutano. . .“diceva San Leonardo Murialdo, fondatore
dei PP. Giuseppini. Quel giorno in treno un sacerdote Giuseppino e una Suora
della Provvidenza incontrandosi, a Caso?!...hanno condiviso un unico
desiderio: offrire una casa ai bambini...
Grazie a quell’incontro, a Padre
Francesco..., e all’affinità del carisma, oltre
70 bambini in questi dieci anni hanno trovato qui una casa, una famiglia
che li ha accolti per un po’ di tempo in un antico edificio a ridosso della
Chiesa.
Il 24% sono rientrati nella loro
famiglia
Il 7% sono
stati accolti da parenti
Il 20% sono
stati affidati
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Mettere i bambini al centro
La nostra
è una struttura transitoria, alternativa all’istituto: i bambini ci vengono
segnalati dal Servizio Sociale o dal Tribunale per i Minorenni. Noi
contattiamo le famiglie disposte all’affido e favoriamo il loro incontro con
i bambini. Se è possibile proponiamo la famiglia al Tribunale per l’affidamento;
per l’adozione ovviamente si dipende dal Tribunale. Un altro nostro impegno è il lavoro di
sensibilizzazione e di informazione sull’affido e le problematiche connesse.
Cerchiamo di “formare” i nostri volontari, cioè quelle persone disponibili
in tanti modi a darci una mano, perché lo facciano con continuità, al di là
del facile entusiasmo iniziale. La gente è molto generosa e disponibile
per quanto riguarda l’aiuto alla comunità. Non avendo contributi fissi dal
Comune, è la generosità della gente che ci permette di superare momenti
difficili. I problemi nascono, invece, di fronte alla proposta dell’affido:
le famiglie partono con molto entusiasmo ma poi si raffreddano quando
comprendono che si tratta di un legame “temporaneo”, e che è richiesto di
mantenere i contatti con la famiglia d’origine. Ciò che li frena è la paura
di affezionarsi al bambino e di non sapersene più staccare. L’affido è sempre consensuale e i genitori
vengono (o dovrebbero venire) a trovare i bambini periodicamente. Spesso però
essi non comprendono a fondo la realtà della Casa Famiglia, confondendola con
quella dell’istituto o collegio. Anche per questo noi non portiamo l’abito
religioso, perché cerchiamo di offrire ai bambini quanto più è possibile un
ambiente di famiglia normale: vanno a scuola o all’asilo, frequentano l’ACR,
la scuola di calcio o altre attività come tutti gli altri bambini. Questa casa è riconosciuta come comunità
di accoglienza dalla Regione, ma non ancora dal Comune, con il quale non è
stato possibile realizzare una convenzione. E’ per questo motivo che i
bambini ci vengono affidati direttamente dal Tribunale ed economicamente
siamo sostenute dalla nostra Congregazione e da quello che la gente ci offre. Speriamo molto nelle famiglie
che sono legate ad esperienze di gruppi di formazione cristiana, perché siano
disponibili ad aprire il cuore all’accoglienza di questi bambini, infondendo
loro serenità e sicurezza. Siamo sicure che, così facendo, si potrà
rinnovare il volto della società nella certezza che qualunque cosa abbiamo
fatto ad uno di questi piccoli l’abbiamo fatta a Dio stesso. |
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Un’esperienza unica è stata per me l’esperienza
di volontariato in Casa Famiglia! Avendo la fortuna di provenire da una
famiglia serena e senza particolari problemi, qui sono venuta a contatto con un
mondo visto prima solo alla TV o sui giornali; un mondo nel quale i bambini a
2 o 4 anni hanno già un bagaglio incredibile di sofferenze e difficoltà. Non è stato però difficile stare con foro:
è sufficiente amarli: sono loro stessi che ti chiedono, con quel loro
dolcissimo linguaggio di gesti, di cosa hanno bisogno: un abbraccio, un
gioco, una carezza o anche una sgridata. Penso che questi bambini, con la
foro voglia di amare e di essere amati, possano dare molto di più di quanto
chiedono: t’insegnano l’amore puro, disinteressato, senza condizioni, ed è
questo che ho imparato dalla mia esperienza in Casa Famiglia. Angela
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Ho conosciuto questa Casa Famiglia dopo essermi
iscritta al corso di laurea in scienze dell’educazione. Non mi fu facile
decidere di entrarci fino a quel martedì di gennaio 1998, in cui suonai al
cancello accanto alla chiesa. Trascorsi quel pomeriggio con una bambina: ore
intense che mi hanno “smosso dentro”. Quella sera mi posi molte domande:
pensavo che tutte le persone hanno diritto all’infanzia e mi chiedevo se e
come fosse possibile restituirla. Continuai ad essere volontaria fino
all’inizio dell’estate, contemporaneamente studiavo molto, cercando le mie
risposte sulla possibilità per questi bambini di vivere l’infanzia, che per
me é stata, tutto sommato, un periodo piacevole e che considero un momento di
scoperta tanto impegnativo quanto bello. Finì l’estate, in Casa Famiglia erano stati
accolti altri bambini e in settembre mi fu chiesto un impegno quotidiano, che
accettai con gratitudine e m’impegnai a svolgere con energia. Gradualmente mi
rendevo conto di quanto fosse importante per me conoscermi a fondo: non mi
piaceva sentirmi “mossa dentro”, contenere le angosce che il bambino mi
metteva addosso; io stessa avevo bisogno di sostegno! Ho imparato molto sia
con i bambini che nel confronto con gli altri operatori. Mi concedo di dirmi
che sono cresciuta: la realtà ha sostituito i pregiudizi, una realtà mista di
vita familiare e di rapporto con le istituzioni, con cui questa Casa Famiglia
dialoga periodicamente, facendosi portavoce dei minori che accoglie in
maniera sempre più chiara e qualificata. Sfogliando l’album di fotografie di quest’anno mi
sono resa conto che abbiamo fatto un sacco di cose e so che abbiamo ancora
molti progetti per il futuro. Spesso ho detto che quest’anno abbiamo lavorato
bene e mi sono sorpresa a dire che noi abbiamo intrapreso un cammino e poi la
Provvidenza ci ha sostenuto. Riflettendo su me stessa mi viene da pensare,
anche se non intendo generalizzare, che il nostro impegno si valuta anche nel
corso del tempo, nel lungo termine, quando i bambini cui abbiamo dedicato le
nostre energie saranno adulti; non sto pensando ad un carico inaudito, credo
però che i progetti portati avanti quest’anno non lascino niente di intentato
o di non pensato. Soprattutto mi piace il lavoro tra donne, spesso lamento la
carenza di figure maschili, ma una c’è ed é presente nel momento che io
chiamo del “confronto”, che per noi è molto importante. Mi piace questo
lavoro e la modalità con cui mi è possibile svolgerlo: penso alle vacanze
insieme, alla capacità di adattamento che dimostriamo tutti, bambini e
adulti, soprattutto alla libertà con cui ognuna di noi può svolgere il
proprio compito. La mia vera crescita comunque sembra si stia
realizzando sull’affettività: ho imparato che è bello amare i bambini e
accompagnarli da coloro che sono o saranno i loro genitori. Alessandra |
Ho percorso metà de//a strada e sento di essere
maturata molto; avverto la sensazione di vivere un momento fortemente
formativo per la mia vita futura, per le mie scelte di domani; interiormente
mi sento più forte perché vivo il mio piccolo contributo nel grande disegno
della pedagogia di Dio. Sono contenta, sono serena. Esattamente un anno fa ho cominciato a sentire il
bisogno di donarmi, un‘esigenza appena accennata che piano piano diventava
una necessità e mi faceva pensare ad una dimensione diversa delle mie
giornate. Ho fatto la babysitter per diversi anni e volevo trasformare l‘esperienza
lavorativa in un momento di dono interiore e pratico. Mi hanno parlato
dell’Anno di Volontariato sociale, una realtà che non conoscevo e che si è
rivelato uno strumento adatto alle mie esigenze. E stato semplice e bello scoprire l‘attitudine al
dono, ma è più complicato mettere in pratica quotidianamente questa scelta.
Una scelta che, vorrei precisare subito, non può e non deve essere una fuga
da altri problemi individuali. Mi sveglio alle 7 e 30 per preparare la colazione
ai bambini mentre le suore cantano le lodi. Poi li accompagno a scuola;
spesso passo la mattinata in casa occupandomi delle pulizie e
dell’organizzazione domestica. Altre volte mi capita di occuparmi delle
necessità dei bambini quando si devono chiedere autorizzazioni per risolvere
questioni più burocratiche. Dopo pranzo intrattengo i più piccoli con giochi
e attività manuali. La sera guardiamo la televisione o giochiamo. Credo che un’infanzia felice, serena possa
fondare una crescita ed una maturazione senza turbamenti interiori
soprattutto per questi bambini che hanno avuto la sfortuna di nascere in
famiglie difficili, crescendo in ambiti complicati da tante situazioni
economicamente e moralmente disagiate. Più che perdere ho dovuto rinunciare alla mia
vita di sempre, agli amici, all’indipendenza economica, ai divertimenti. Non
è sempre semplice, ma il sorriso di questi bambini che vivono qui senza la
mamma e senza il papà, mi ripaga del sacrificio. La preghiera, il raccoglimento spirituale che mi
portano ad un dialogo profondo con Dio. Ricordo il sorriso di suor Maria Rosa, quando mi
è venuta incontro, mi ha fatto sentire a casa, ho capito di essere nel posto
giusto, ho pensato di aver fatto la scelta più bella. Una scelta che mi fa
sentire libera di realizzare una dimensione universale. Antonietta |
Le circostanze della vita mi hanno fatto scoprire
che l’amore per un bambino va oltre e come dice la mia amica suora si può
amare col cuore, con l’intelligenza e con la volontà. Ed è la volontà che
spesso manca perché troppo concentrati nella quotidianità non riusciamo a
vedere ciò che ci circonda. Quando sono arrivata in Casa Famiglia con mio
marito e mia figlia abbiamo subito capito che eravamo pronti per diventare
una famiglia affidataria. I bambini avevano bisogno del nostro tempo, del
nostro amore, dei nostri giochi, di una famiglia che gli prospettasse un
futuro migliore. Quando mi chiedono di parlare di questa
esperienza le domande si orientano sempre sulla paura di perdere il bambino
che stai crescendo; ma come si fa a pensare solo alla paura quando c’è la
felicità così semplice e quotidiana. Poi ci sono le domande sul “tempo” che diventa il
punto focale di una scelta e può aiutarci a riflettere o a rimandare, può
mancare o trascorrere inutilizzato. Ora che Enzo è nella nostra famiglia il tempo non
ci sembra più incontrollabile, perché le cose che facciamo con il cuore
possono cambiare lo scorrere del tempo, dilatandolo per consentire a qualcosa
o a qualcuno di compiere un miracolo. Marilena e Fulvio |
La storia del nostro amore per questo
meraviglioso bambino è cominciata da una preghiera, da un desiderio che lo
Spirito Santo ha messo nel nostro cuore: pensiamo che non ci sia altra spiegazioni.
A settembre ‘97 era nato Luca, il nostro nipotino Down: abbiamo studiato questa sindrome per comprendere
quale aiuto offrire, ed è nato nel nostro cuore il desiderio, forse qualcuno
direbbe folle!?...di adottare un bambino
handicappato. Mio marito ed io abbiamo già un figlio adottato
che oggi ha 20 anni ed è la nostra gioia, ma quella decisione è maturata
dentro di noi lentamente, anche frequentando la Casa Famiglia delle Suore
della Provvidenza. Abbiamo compreso che un bambino che nasce malato
può essere un dono: è un piccolo Cristo sofferente, che può dare
tanto a te, mentre tu pensi di dare a lui. Ovviamente non siamo andati in Tribunale a
chiedere un bimbo malato da adottare, ma abbiamo pregato il Signore che lo
ponesse sulla nostra strada. Quella sera abbiamo pregato con forza e il
giorno dopo, in questa Casa Famiglia, dove noi già operavamo come volontari,
abbiamo conosciuto il nostro amato Giuseppe. Le Suore lo avevano già messo
sotto la protezione particolare del loro Fondatore il Beato Luigi Scrosoppi,
che noi oggi continuiamo ad invocare su di lui. All’inizio abbiamo faticato per far comprendere
alle istituzioni che il nostro desiderio era autentico e che la situazione di
Giuseppe non ci spaventava. La sua grave malattia genetica, la scarsa
speranza di vita che i dottori davano al piccolino non ci terrorizzava, ma
anzi, ci spingeva a fare presto. Egli aveva diritto, come tutti gli altri
bimbi, di avere una famiglia: un papà e una mamma che gli dessero quell’amore
di cui era stato privato per cinque mesi prima di essere accolto
amorevolmente in questa Casa Famiglia. Nei tre ospedali, dove era stato ricoverato e
abbandonato alla nascita, aveva conosciuto solo visi anonimi, forse anche
tristi, qualche volta compassionevoli, ma sempre mutevoli; mai, prima di
entrare in Casa Famiglia, si erano chinati su di lui gli stessi volti
amorevoli. Noi volevamo essere quei volti e abbiamo
cominciato la nostra grande avventura. Lo abbiamo seguito nei suoi vari ricoveri facendo
di tutto per essergli vicini quanto più tempo possibile, combattendo con il
nostro lavoro: lo abbiamo sommerso di amore, un amore così grande che supera
noi stessi perché è l’amore stesso di Cristo. Era l’ultimo, il diseredato, l’abbandonato, ma
per noi era il nostro piccolo Gesù: era un’emozione profonda, indescrivibile
guardarlo negli occhi, avvicinarsi al suo viso, accarezzarlo, curarlo.
Eravamo stati scelti da Dio per una grande missione, ne eravamo consapevoli
ed eravamo felici. Non abbiamo mai, mai pensato di abbandonarlo,
neanche quando, in fin di vita, è stato in sala di rianimazione per 20
giorni...nel nostro cuore non c’è stato mai altro che Amore. Il suo bellissimo volto di piccolo angelo mandato
a noi risplende e ci dà la forza di superare la stanchezza fisica dovuta alla
nostra non più giovanissima età, e ci conferma, giorno per giorno, nel nostro
pellegrinaggio terreno. La nostra esperienza è nata da una preghiera
fatta con le parole di Maria alle nozze di Cana: “Non abbiamo più vino”:
vorremmo dire a tutti di aver fiducia che la Mamma celeste provvederà come ha
fatto allora con i due giovani sposi e oggi con noi. Tina e Salvatore |
Quando le suore della Provvidenza chiesero a
Francesca se, tra i volontari che frequentavano la Casa famiglia vi fosse una
famiglia a cui volesse essere affidata, la piccola fece senza esitazioni il
nome di Giovanni e Giuliana. Questi ultimi, nel frattempo, desiderosi di
vivere un’esperienza visibile di accoglienza, secondo lo spirito ignaziano
della Cvx (comunità di vita cristiana), cercavano un progetto compatibile con
la presenza dei loro piccoli di 6 e 7 anni. E, alla stessa domanda capovolta,
delle suore, indicarono Francesca, una signorina di 9 anni, napoletana
“doc”. Così, su disposizione del Tribunale, col consenso
dei genitori, che non ha mai smesso di incontrare, la piccola ha vissuto con
loro un anno in affidamento, fino al rientro in famiglia nel novembre scorso. Francesca ha così sperimentato un modello di
famiglia della quale aveva soltanto sentito parlare, e a cui, da grande, sarà
libera di aderire. Gli affidatari, d’altro canto, hanno vissuto un periodo di
grazia, un dono del Signore: poter concretizzare l’amore con, prima ancora
che per, i bambini disagiati; una solidarietà nome e cognome, potremmo dire,
praticata insieme con i propri figli e non solo insegnata; è un modo, continuo
e intenso, di parlare credibilmente della fede come motivazione fondamentale
della scelta. E oggi? Francesca continua a incontrare gli
affidatari, ha ‘preteso’ di conoscere, appena nati, i due gemelli ultimi
arrivati: il rientro nella famiglia di origine non è stato affatto
traumatico, essendo l’affidamento non finito, ma solo mutato nella forma. In questo modo, l’affidamento familiare
costituisce un’esperienza e una testimonianza concreta e possibile, un atto
di gratuità, per il quale occorre che ciascuno faccia la propria parte: il
Tribunale per i minori, i Servizi sociali, il Comune, il volontariato. E’ utile allora non considerarlo come ripiego per
le difficoltà delle adozioni. I minori non sono “pratiche da evadere”, ma
persone uniche e irripetibili, da cui arricchirsi, prima ancora a cui dare. |