Padre Luigi fin da subito è stato posto ed ha voluto comminare sulla “strada” dei “beati” e dei “santi”. Forse, però, non avrebbe mai raggiunto la meta se non ci
fossero state le sue preziose figlie: le “Suore della Provvidenza”. E’ quindi molto importante riflettere su questa “verita”. Ecco perché qui di seguito vogliamo riportare un
capitolo dedicato al momento più significativo che è
la nascita della congregazione delle “Suore della Provvidenza. 25 dicembre 1845 |
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Tratto dal libro: “Per i più poveri” di: Maria Papàsogli – Zalum – Giorgio Papàsogli (capitolo VI)
Sotto la
guida di don Luigi il gruppetto delle giovani maestre
faceva sul serio. Si presentava perciò una problematica precisa:
conveniva mantenere il primo progetto di fare entrare le congregate in un altro
ordine, già esistente ed estraneo agl'inizi dell'opera? Oppure, orientarsi
verso la creazione di una minima congregazione nuova, nata dall'opera delle
Derelitte, da essa e per essa?
In
un primo tempo, la meta dell'autonomia rimase chiara solo per don Luigi: egli
desiderava fare passi avanti nel costituire una nuova congregazione, anche se
condivise il progetto di padre Carlo riguardo ad alcune famiglie religiose
esistenti, in particolare le rosminiane. Infatti padre
Carlo, come abbiamo detto, rimaneva dell'idea di affidare tutto a religiose di
un altro nome. Si sarebbe avuta una spaccatura nell'interno della Casa se don
Luigi non avesse rinunziato al suo modo di vedere, fino a quando le circostanze
stesse - la Provvidenza - non avesse guidato secondo la stessa luce anche padre
Carlo. Silenzio e collaborazione difficili, talvolta eroici; anni
lenti d'incertezza che, uno dopo l'altro, videro gli eventi maturare secondo
vie impreviste dagli uomini.
Torniamo
per un attimo indietro nel tempo, per ricostruire tutti i momenti di questa evoluzione: il primo tentativo di affidare la Casa
ad un'altra congregazione religiosa risaliva al tempo della ricostruzione
dell'edificio: padre Carlo ebbe nel 1835 contatti con Maddalena di Canossa,
fondatrice delle Figlie della Carità di Verona, e prese accordi con lei per
affidare l'opera alle Figlie della Carità stesse, una volta che la casa fosse
interamente ricostruita.
L'accordo
fu raggiunto e si fece preciso, sembra che Maddalena di Canossa avesse persino
previsto la forma delle consegne dell'istituto alla sua congregazione: ma la
fondatrice nello stesso anno 1835 morì, e con la fine di lei
andò a morire anche il progetto tanto ambito da padre Carlo. Un anno dopo,
padre Filaferro parlò del suo problema ad una religiosa visitandina,
suor Marianna Teresa Cossali, del monastero di S.
Vito al Tagliamento: il monastero aveva, probabilmente, in padre Carlo una
delle sue guide spirituali, e la conoscenza con suor Cossali
nasceva forse da un legame di direzione intima.
Suor Cossali intavolò dunque trattative con un ordine religioso,
ma quelle trattative non ebbero l'andamento desiderato. Le suore richieste si
dedicavano alla raffinata educazione di fanciulle
agiate, e, per di più, avevano l'impegno del chiostro e dei voti solenni: come
metterle insieme alle rustiche maestrine delle
Derelitte, così duttili al quotidiano, nella casa della Provvidenza con la sua
cappella di fortuna, con la sua porta sempre aperta per i doni e per le
esigenze della carità?
Padre
Carlo ripensò con nostalgia alle figlie di Maddalena
di Canossa, e prese contatto con la nuova superiora,
suor Angela Bragato: ma l’accordo raggiunto con la
fondatrice scomparsa non fu rinnovato.
Cominciò
allora a delinearsi un progetto timido: perché non
riconoscere come una congregazione nuova il gruppo di figure così diverse eppur
così unite, che maturavano rapidamente?
Nel 1840
si annunciò la speranza di una vocazione apportatrice di tutti quegli elementi
di cui la comunità mancava ancora: esperienza già matura di vita religiosa,
educazione completa, personalità notevole: Giovanna, al secolo contessa Giulia
di Colloredo, parente del primo commissario
governativo delle Derelitte, conte Fabio Colloredo,
era stata per vari anni tra le suore Dimesse, e si era decisa ad uscirne per
motivi che ci sfuggono in parte (forse per un'intesa maturata affinché ella potesse dare un contributo alla congregazione
nascente).
Quando
Giovanna fu risoluta ad entrare fra le Derelitte, nel
1841, parve che per mezzo di lei si dovesse attuare l'attesa trasformazione e
la crescita interna della comunità: il suo arrivo, fu, per il gruppo religioso
senza nome, un grande giorno di speranza.
Margherita
Gaspardis, la maestra dai capelli grigi, disinteressata
ed umile, che aveva guidato il gruppo fino allora, fu pronta a dar le
dimissioni, cedendo il posto a colei che giungeva già aureolata di prestigio. Il suo gesto generoso suscitò ammirazione: il vescovo Lodi,
commosso, intervenne personalmente per chiedere che le fosse prolungato l'incarico
di madre: in realtà, Giovanna Colloredo divenne superiora
solo il 18 marzo 1842, dopo aver preso familiarità col nuovo ambiente e
conosciuto i caratteri e le anime.
Era la
vigilia di S. Giuseppe: il santo più caro a don Luigi presiedette
silenziosamente a quel trapasso di autorità vissuta in
spirito di servizio. Un po' di apprendistato era stato
necessario anche a Giovanna Colloredo, che, forse,
nella sua esperienza di vita religiosa non aveva mai toccato così da vicino la
fatica e la povertà. Poi tutto ricominciò serenamente, mentre la presenza della
superiora recava all'opera un impulso nuovo, pur senza rivelare quella capacità
costruttiva, quella definitiva forza di formazione in cui padre Carlo e don
Luigi avevano sperato.
La Casa
delle Derelitte vedeva continuamente ricomporsi nella pace un contrasto
incantevole: suor Giovanna Colloredo aveva portato
una nota di distinzione culturale e sociale;
ma contemporaneamente giungevano reclute nuove, che, come le prime «
maestre », erano fresche figlie del popolo, senza dote e senz'altra educazione
che quella del cuore. Del loro passato sappiamo ben poco: si
sa solo che erano giovani ed entusiaste, e costituivano il vero nerbo
dell'istituto: molte erano state « scelte » da don Luigi, secondo una sua
logica caratteristica. Aveva cercato le più umili
e diseredate, mirando ad una dote preziosa: la fede e la capacità di amare con
sacrificio, nel contesto di vita delle Derelitte che sgomentava chi non
partisse di buon passo, pronta a dimenticarsi.
Forse don
Luigi sapeva che solo giovani già temprate da una vita dura avrebbero potuto
perseverare lietamente.
Orsola Baldasso fu la prima di un vero
drappello: due giovani carniche erano entrate
nell'istituto nel 1837-38, e avevano portato una nota di rude schiettezza:
Giovanna Ariis, terziaria, e Maddalena
Morassi, conversa.
Maddalena aveva una limpida voce montanara, ed empiva la casa di Udine con i suoi canti semplici che talvolta arrivavano
ad infastidire gli altri ospiti dell'istituto... ma la sua spontaneità
disarmava gl'insofferenti che la rimproveravano.
Nel
1842, dopo la nomina di suor Giovanna Colloredo, don
Luigi fece un'altra « scelta », che è un singolare
esempio di un suo quasi soprannaturale intuito delle anime. Un giorno vide
sulla porta di casa una ragazza che scardassava: forse aveva inteso parlare di
lei, forse sapeva chi era, ma non l'aveva mai avvicinata; le rivolse la parola,
la invitò a collaborare nella Casa delle Derelitte.
Giovanna,
così si chiamava la ragazza, era avvezza ad essere ignorata ed evitata, perché
- nella mentalità del tempo - gravava su di lei una sorta di menomazione: era
figlia di ignoti. Non aveva mai pensato ad entrare in
un ordine religioso, perché quel passo nella sua condizione era seriamente
difficile. Sentendosi invitata con tanta semplicità, tentò di resistere, volle
spiegarsi: ma don Luigi aveva compreso che la realtà di Giovanna trascendeva i
limiti in cui ella aveva sempre creduto di dover
vivere. La giovane si dedicò nell'istituto ai lavori agricoli, ai bachi da
seta, alle attività più semplici, e il suo contributo fu una particella delle
molte che dovevano edificare la casa delle orfanelle: chi meglio di lei le
poteva comprendere? Se le era mancato il calore di una
casa, Giovanna fu la prima a dedicarsi con entusiasmo alle ragazze in cui
rivedeva la propria giovinezza e la propria sofferenza.
Una quarta
recluta di don Luigi fu Domenica Batigello, entrata
nel 1844: ella rimase terziaria tutta la vita, per
poter andare elemosinando il vitto che le orfanelle attendevano: un impegno
per il quale non occorreva maestria, ma buon cuore, umiltà e prontezza al
sacrificio. A Domenica queste doti non mancavano, e i suoi anni trascorsero
senza stanchezza, nel sereno girovagare.
Si delineava così, attraverso l'intreccio dei compiti, la
struttura della comunità: la campagna affidata a suor Giovanna,
la cerca dell’elemosina a suor Domenica, la cucina e le faccende a suor
Maddalena e a Giovanna Ariis: Orsola Baldasso, poi, la prima del gruppetto, adempiva con la
candida energia del suo carattere gli incarichi che le venivano affidati. Tali
erano le reclute di don Luigi, la « fanteria » che egli aveva fatto nascere e
che accettava di buon grado le direttive impartite dalla superiora suor
Giovanna Colloredo, la quale, nel secolo, aveva
conosciuto costumi di persona agiata e raffinata. La realtà domestica nel nuovo
istituto nasceva così dall'incontro fra l'una e le altre, all'ombra della forte
concordia fra padre Carlo e don Luigi, i quali offrivano per primi un esempio
perfetto di fraterna, cristiana collaborazione.
Padre
Carlo e don Luigi avevano dunque sperato in suor Giovanna Colloredo
per cementare spiritualmente il gruppo nascente;
d'altra parte, poco dopo l'inizio del suo superiorato,
essi ricominciarono la loro ricerca di una congregazione già adulta che
subentrasse pienamente all'opera, e si rivolsero, questa volta, a un gruppo di
religiose legate ad una grande personalità: le suore della Provvidenza fondate
da Antonio Rosmini.
Antonio Rosmini, pur non avendo ancora raggiunto l'acme del suo
pensiero e della sua attività, era figura alta e autorevole nell'orizzonte
dell'Ottocento italiano. Padre Carlo aveva avuto occasione d'incontrarlo, vari anni prima, quando il roveretano
era venuto a Udine e vi aveva fondato un gruppo della « Società degli Amici»:
anzi, di quel gruppo padre Carlo Filaferro fu animatore e direttore. Esisteva
dunque un legame già solido, fondato su una conoscenza
personale e un'esperienza di collaborazione tra Antonio
Rosmini e il fratello di Luigi Scrosoppi.
Il vescovo
accolse volentieri l'idea del trasferimento, la sua approvazione non si fece
attendere, mentre ottenere il consenso della corte imperiale fu più lungo e
laborioso.
Quel
ritardo parve, lì per lì, una difficoltà incresciosa e un ostacolo pesante: in
realtà, l'intervallo tra il progetto e la sua attuazione permise
il maturare di eventi nuovi, che fecero cambiare idea ai due sacerdoti di
Udine.
In primo
luogo un fatto di ordine politico e burocratico. La
provenienza dagli Stati Sardi delle suore rosminiane e la figura del loro
fondatore, invisa all'Austria, avrebbero reso più
difficile la vita dell'istituto delle Derelitte e messo in pericolo quella
autonomia dall'ingerenza governativa che tanto premeva ai due fratelli. Forse
non fu estranea neppure la diffidenza che si stava estendendo nel mondo cattolico
verso il pensiero filosofico del Rosmini.
Il
fallimento del progetto non spiacque alle maestre, la maggioranza delle quali
non desiderava essere assorbita da un'altra congregazione e aveva anche
espresso l'intenzione di abbandonare l'opera se ciò si fosse
verificato.
Fu a
questo punto che don Luigi, mosso dallo Spirito Santo e ricco com’era di senso
pratico, colse nella situazione un segno più evidente
del piano della Provvidenza. Padre Carlo, uomo di fede e di umiltà,
nei progetti falliti vide la volontà di Dio, fece sua l'intuizione del fratello
Luigi e lasciò a lui l'ardua missione di plasmare quel piccolo gruppo di
maestre e dare vita ad una nuova famiglia religiosa.
Da
questo momento un impegno di paternità più delicato e più grave pesa su don Luigi.
Padre Carlo lo affianca con la sua esperienza, e la sua collaborazione è
evidente soprattutto nella stesura delle prime « Regole generali per le maestre
dell'Istituto delle Derelitte », stampate nel 1848.
Il 10
settembre 1845, scaduto il triennio del suo mandato, suor Giovanna Colloredo rinunciò alla carica di superiora, rientrando chetamente, con i suoi modi gentili, la sua cultura e la
sua esperienza, tra i ranghi delle maestre. Nel Natale dello stesso anno fu
definitivamente costituita la congregazione di Udine:
« autorizzate dall'Ordinario diocesano » quindici suore vestirono
l'abito bruno, e lo stesso giorno, undici tra esse « senza obbligarsi ai voti,
proposero fermamente di osservare con tutto l'impegno le tre virtù della
povertà, castità ed obbedienza », sotto la protezione di s. Gaetano Thiene, scelto come
sommo amico di famiglia, in una cerimonia commovente per semplicità.
Dall'1 febbraio 1837 al 25 dicembre 1845 il travaglio delle suore di s. Gaetano si era sviluppato lentissimo: la loro vocazione era stata provata, purificata nel crogiuolo di circostanze penose e contraddittorie, ed aveva ormai una cristallina trasparenza: rassodato dalle incertezze dell'itinerario compiuto, il « sì » delle religiose era un completo atto di distacco spirituale e di abbandono al disegno che il Padre aveva predisposto per loro.