La solidarietà?

A volte ce la insegnano i bambini

 

 

Al vertice mondiale del­l’anno scorso a Johannesburg, nella commissio­ne “Acqua e povertà” del­l’Unicef c’era il canadese Ryan Hreljac. Il dato strabi­liante è che Hreljac ha un­dici anni. La storia comin­cia quando era uno scola­retto alle elementari di Kemptville, nell’Ontario. La maestra Nancy Prest tie­ne una lezione sulla sete, parla di donne e bambini africani che camminano ore per una tanica d’acqua, poi conclude: «E pensare che bastano 70 dollari a scavate un pozzo...».

I bambini credono a tut­to, si sa. Appena a casa, Ryan chiede ai genitori 70 dollari, ma sono troppi soldi per le risorse della famiglia: il padre Mark fa il poli­ziotto, la madre Susan ha un impiego modesto, e ci sono tre figli da far cresce­re. Alle insistenze di Ryan, la mamma gli propone di guadagnarsi la somma con i lavoretti di casa, a un dol­laro al giorno. Ryan passa l’aspirapolvere, sparecchia, porta fuori il cane Riley, ignora le frecciate dei fra­telli Jordan e Keegan, e ogni sera mette il suo dolla­ro nella scatola dei biscotti.

Nessuno della famiglia avrebbe scommesso sulla costanza di Ryan. Ma quando il capitale risulta completo, alla scuola non sanno a chi mandarlo. La madre Susan, ormai coinvolta, sco­va ad Ottawa la Water­Can, un’agenzia non profit che raccoglie fondi per l’Africa. Ci va con il figlio e i 70 dollari, ma la direttri­ce Nicole Bosley spiega che, per scavare un pozzo, di dollari ne occorrono 2.000. Un altro bambino si sarebbe messo a piangere. Ryan no, dice che farà altri lavori. Allora la direttrice Nicole gli promette che, se lui riusci­rà a mettere insieme 700 dollari, il resto lo troverà la WaterCan.

 

La voce gira, e la picco­la comunità intorno ai Hreljac si mobilita. La mae­stra mette sulla cattedra un annaffiatoio per le of­ferte, parenti e conoscenti contribuiscono, Jordan e Keegan, i fratelli già ironi­ci, fanno commissioni per i vicini. Ecco Ryan di nuo­vo alla WaterCan, con i 700 dollari. Gli fanno in­contrare Gizaw Shibru, esperto per l’Uganda del­l’Associazione Medici ca­nadesi, che lascia a Ryan la scelta del luogo. Ryan suggerisce vicino a una scuola e insieme decidono per il villaggio di Angolo, Uganda del Nord, dove l’acqua è lontana cinque chilometri.

Scavato il pozzo, da An­golo arriva una letterina:

«Caro Ryan, ho Otto anni. Mi piace il calcio. La mia Casa è di foglie. Il tuo amico Akana Jimmy». Ryan ri­sponde subito: «Caro Jim­my, devi stare fresco in una casa di foglie. La mia è di mattoni. Bevi sempre dal mio pozzo? Verrò a tro­varti quando avrò 12 an­ni». Invece c’è andato prima. Il giornale The Ottawa Citizen gli ha pagato il viag­gio con i genitori, il 27 lu­glio del 2000 sono stati ac­colti ad Angolo dall’intero villaggio inneggiante, e Ryan ha inaugurato il poz­zo che sta dietro l’orto del­la scuola, col suo nome in­ciso nel cemento.

Al ritorno è una valanga di articoli, inviti, perfino un incontro col primo mini­stro del Canada Jean Chre­tien. Nasce la Fondazione “Pozzo di Ryan”, che finora ha raccolto 750.000 dolla­ri da destinate a progetti in diversi paesi africani. Ryan resta un ragazzo normale, studia alle medie, gioca al calcio e da grande farà l’in­gegnere idraulico, per lavo­rare in Africa.

Si può pensate che questa sia una storia edifican­te, una favola buonista per consolarci quando tutto va male, un apologo pacifista per dire che il mondo si cambia con i pozzi, non con le bombe. Conta solo il pa­rere del bambino africano e di quelli come lui che adesso hanno l’acqua vicino alle

capanne.