Giovanni Maria Vianney
Santo Curato d'Ars
Tratto dal libro:
RITRATTI DI SANTI di Antonio Sicari ed. Jaca Book
Del Santo Curato d'Ars ha scritto una biografia
anche Henri Ghéon, un poeta e drammaturgo francese, nato più di cent'anni fa.
Nel suo primo capitolo l'autore dice che la
vita del Santo Curato è così piena di ingenuità e di meraviglie che si sarebbe
tentati subito di raccontarla come una favola. E la favola, scrive, suonerebbe
così:
" C'era una volta in Francia, nella provincia
di Lione, un piccolo contadino cristiano che, fin dalla più tenera età, amava
la solitudine e il buon Dio. E poiché quei signori di Parigi, che avevano fatto
la Rivoluzione, impedivano alla gente di pregare, il bambino ed i suoi
genitori, andavano ad ascoltar Messa in fondo ad un granaio.
I preti allora si nascondevano e, quando li
si prendeva, si tagliava loro proprio la testa.
Fu per questo che Giovanni Maria Vianney
sognava di diventare prete. Ma, se sapeva pregare, mancava però d'istruzione. Guardava
le pecore e lavorava i campi.
Entrò troppo tardi in Seminario ed inciampò
in tutti gli esami. Ma le vocazioni allora erano rare e alla fine, lo presero
comunque. Fu nominato curato d'Ars e ci restò fino alla morte. L'ultimo Curato
di Francia nell'ultimo villaggio di Francia. Ma fu interamente un cu rato
" e questo non succede spesso. Lo fu così completamente che l'ultimo
villaggio di Francia ebbe il primo Curato di Francia, e la Francia tutta intera
si mise in viaggio per andarlo a vedere.
Ora, egli convertiva tutti quelli che
arrivavano fino a lui e, se non fosse morto, avrebbe convertito tutta la
Francia.
Guariva le anime ed i corpi. Leggeva nei
cuori come in un libro.
E la Santa Vergine lo visitava ed il demonio
gli faceva i dispetti, ma non riusciva ad impedirgli d'essere un sant'uomo.
Fu promosso Canonico, poi Cavaliere della
Legione d'Onore, poi fu ritenuto un Santo.
Ma, finché visse, egli non ne capì mai il
perché.
E questa era la prova più bella del fatto
che egli meritava proprio quella gloria.
Tutto ciò accadeva nel secolo XIX che in
Paradiso, dove si conosce il giusto valore della gente, è chiamato il secolo
del Curato d'Ars, ma la Francia non se l'immagina neppure.
Si sente in questo racconto la mano
dell'artista che riesce con brevissimi tratti a descrivere quasi tutto il
profilo del suo personaggio. Ma subito l'autore si ferma e avverte che, in
realtà, dietro questo candore c'è un dramma profondissimo di cui, a prima
vista, non si sospetterebbe l'intensità. Gli episodi accennati sono tutti veri.
Quel contadinello della provincia di Lione ha sette anni quando a Parigi regna
il Terrore e vengono esiliati, sotto pena di morte, tutti i preti che non si
sono piegati allo scisma, oltre alle migliaia che vengono massacrati. Anzi, le
truppe della Convenzione attraversano il paesino di Dardilly, dove egli vive,
per andare a reprimere l'insurrezione di Lione. La chiesa è stata chiusa. Il
Parroco prima cede a tutti i giuramenti che gli vengono chiesti, poi smette di
fare il prete. I Vianney ogni tanto ospitano, a rischio della vita, qualche
prete clandestino; ed è in una stanza con le imposte socchiuse e protette da un
carro di fieno opportunamente posteggiato (mentre alcuni contadini fanno la
guardia alle porte), che il piccolo Giovanni Maria può ricevere la prima
Comunione a tredici anni: e siamo durante il cosiddetto " secondo Terrore
"
La vocazione gli viene molto presto, come
egli stesso dirà, " in seguito ad un incontro che aveva avuto con un
confessore della fede ", quando cioè comprese che diventar prete
significava anche essere pronto a morire per il proprio ministero.
Ma se il bambino non poteva frequentare la
parrocchia, ancor meno poteva frequentare delle scuole, inesistenti.
La prima volta che riuscì a sedersi sui
banchi di scuola aveva già 17 anni.
Tentò disperatamente di imparare, aiutato da
un prete amico che credeva alla vocazione di quel ragazzo, ma i risultati
furono miseri. Dirà, poi, lo stesso Curato d'Ars che quel prete " ha
cercato per cinque o sei anni di farmi imparare qualcosa, ma è stata fatica
buttata al vento, perché non è mai riuscito a ficcarmi niente in testa ".
C'è molta umiltà in questa espressione, ma c'è anche molto di vero.
Le difficoltà divennero poi insormontabili
quando si trattò di affrontare, in un seminario, gli studi di filosofia e di
teologia che, per di più, allora dovevano essere fatti su testi scritti e
spiegati in lingua latina.
Ma il Parroco di Ecuilly, molto stimato in
Diocesi, gli ottenne tutte le possibili facilitazioni (di studi e di esami)
riuscendo ad ottenergli anche l'ordinazione sacerdotale, prendendoselo lui
stesso come vicario.
Fu ordinato a 29 anni, nel 1815, l'anno in
cui a Torino nasceva Don Bosco.
Passò i primi anni di ministero alla scuola
di quel santo prete che l'aveva così intensamente aiutato ed educato: " ha
una colpa, dirà poi Giovanni Maria Vianney, di cui gli sarà difficile
giustificarsi davanti a Dio: di avermi fatto ammettere agli Ordini Sacri".
Bisogna intendersi bene, Giovanni Maria lo
desiderava con tutto il cuore, ma se ne sentiva profondamente indegno. L'altro,
invece, lo stimolava e lo proteggeva, perché era convinto che si trattasse di
un'ottima vocazione e che la scarsità d'istruzione sarebbe stata compensata da
una particolare intelligenza di fede. E aveva ragione Giovanni Maria, da parte
sua, era convinto d'avere ricevuto un dono grandissimo e immeritato:
" Penso, dirà, che il Signore abbia
voluto scegliere il più testone di tutti i parroci per compiere il maggior bene
possibile. Se ne avesse trovato uno ancora peggiore, l'avrebbe messo al mio
posto, per mostrare la sua grande misericordia ".
C'è in queste parole tutto il suo dramma
spirituale, un dramma mistico di cui occorre intuire bene la profondità.
Il carisma di questo giovane prete sarà
quello di scomparire talmente dietro al suo ministero, di essere soltanto
prete, ministro di Dio, ad un punto tale che la sua persona si mescolerà, si
confonderà interamente col dono del sacerdozio.
Il Curato d'Ars diventerà il patrono di
tutti i parroci del mondo, perché vivrà un disperato bisogno di annullarsi di
fronte al dono immeritato che ha ricevuto, di consumarsi esercitandolo: e lo
farà anche penitenzialmente, consumando fisicamente, nelle più dure
mortificazioni, la sua sostanza umana.
Ho detto: " bisogno disperato ".
Il Curato d'Ars dirà di sé che non riusciva a capire la tentazione
dell'orgoglio, ma di sentire invece molto quella della disperazione, quella
dell'abissale sconfortante inadeguatezza che si placa solo nell'abbandonarsi
totalmente a Dio.
E’ importante che noi comprendiamo bene
tutte le radici del dramma, proprio partendo da alcune nostre esperienze.
Tante volte i cristiani si sentono quasi
ostacolati dalla umana limitatezza del loro prete. Dicono; " non sa
predicare ", oppure " non è capace di rapporti umani ", oppure
" non è un santo ", " è anche lui peccatore come tutti...",
" perché mi devo confessare da lui che peggio di me...? " e simili
lamenti.
Mettete insieme per un istante tutte le
obiezioni più o meno istintive che nella vostra esperienza avete provato o
udito nei riguardi dei sacerdoti. Ebbene: l'aspetto più serio di queste
obiezioni consiste nel fatto che rimandano alla nuda oggettività del ministero:
quello che importa è soltanto l'azione sacra di Dio, che attraverso quest’uomo-prete
si compie.
Il Santo Curato d'Ars incarna personalmente,
lui di fronte a se stesso e di fronte a Dio, questo indicibile dramma.
" Il prete, diceva, da un lato, si
capirà soltanto in Cielo. Se lo comprendessimo sulla terra ne moriremmo, non di
paura ma d'amore… Dopo Dio il prete è tutto. Lasciate per vent’anni una
parrocchia senza prete e vi si adoreranno le bestie! ".
Ma, d'altra parte, aggiungeva:
" Come è spaventoso essere prete! Come
è da compiangere un prete quando dice Messa come una cosa ordinaria! Come è
sventurato un prete senza interiorità! ".
Questo, a dire il vero, non è il suo
problema. Anzi, quando dice Messa sembra che veda Dio, tanto la sua
celebrazione è intensa commovente.
Egli però vive il tormento di essere
parroco, d'avere la responsabilità di una parrocchia e di non sentirsene degno.
Continuerà a sperare fino agli ultimi anni di vita, di poter essere liberato da
questa responsabilità, per non dovere passare direttamente, come diceva, "
dalla parrocchia al tribunale di Dio ".
E avrà il costante timore, fino a pochi
giorni prima della morte, di poter morire soccombendo alla tentazione di
disperarsi.
Per tre volte cercherà di fuggire, notte
tempo, per andare dal Vescovo a chiedere il permesso di ritirarsi in solitudine
" a piangere i suoi peccati ".
L'ultima volta lo farà addirittura quando
ormai è celebre in tutta la Francia, tre anni prima di morire. Fuggirà di notte
mentre i parrocchiani, che sospettano, sono desti, pronti a fermarlo. I più
vivi collaboratori lo ostacoleranno in tutti i modi chiedendogli di recitare
assieme prima le preghiere del mattino, nascondendogli il breviario, fin quando
la folla dei parrocchiani gli sbarrerà la strada e piangendo gli chiederà di
restare:
" Signor Curato, se Vi abbiamo dato
qualche dispiacere, ditelo, faremo tutto quello che vorrete per farVi piacere
".
Si lasciò ricondurre in chiesa, "
condannato ", nel senso più spirituale del termine, al suo confessionale,
dicendosi: " che ne sarebbe, se no, di tanti poveri peccatori? ".
L'indomani, a chi gli ricordava gli
avvenimenti della notte, diceva umilmente: " ho fatto il bambino! ".
Ma non fuggiva per la fatica, fuggiva per il
timore di non essere degno.
" Io, diceva, non mi rammarico di
essere prete per dire la Messa, ma non vorrei essere parroco ".
Pensava che la nomina dipendesse dal fatto
che il Vescovo si sbagliasse nel valutare le sue capacità, e che dunque egli
era un ipocrita, perché riusciva a nascondere la sua miseria.
" Come sono sfortunato! Non c'è nessuno
fino a Monsignore che non si inganni sul mio conto! Bisogna che io sia ben
ipocrita! ".
A dire il vero, c'era più d'uno che lo
disprezzava. Un parroco vicino, che vedeva i suoi penitenti incamminarsi verso
Ars, gli scriveva: " Signor Curato, quando si possiede così poca teologia,
non si dovrebbe mai entrare in un confessionale ".
E qualcun altro addirittura predicava contro
di lui.
Ed il Curato d'Ars rispondeva:
" Mio carissimo ed amatissimo
confratello, quanti motivi ho d'amarVi! Voi siete il solo che mi abbia
conosciuto bene! "
e gli chiedeva con insistenza d'aiutarlo ad
ottenere dal vescovo d'essere liberato da quell'incarico in modo che "
essendo sostituito in un posto che non sono degno di occupare a rnotivo della
mia ignoranza, possa ritirarmi in un angolo a piangere sulla mia povera vita
".
Ma questa così umile e sofferta concezione
di sé, notatelo bene, non dipende da un carattere triste, malinconico o
angosciato. AI contrario, egli è un uomo vivace, capace anzi di umorismo.
Piuttosto, concorrono a formarla due fattori di diversa entità.
C'entra indubbiamente un fatto
storico-culturale: l'educazione che egli aveva ricevuta era stata molto severa,
improntata a un rigorismo giansenista, molto preoccupata del mistero della predestinazione
e della dannazione.
Un rigore che all'inizio egli userà anche
verso i suoi penitenti e nelle prediche, ma che poi cederà sempre più il posto
ad una esaltazione vibrante e dilagante dell'amore di Dio. Ma c'entra ancor più
un fatto mistico.
Sarà lui stesso a rivelarlo ad una sua
penitente:
" Figlia mia, non chiedete a Dio la
conoscenza completa della vostra miseria. Io l'ho domandata una volta e l'ho
ottenuta. Se Dio non mi avesse sostenuto, sarei allora immediatamente caduto
nella disperazione! ".
E ad una sua collaboratrice pastorale:
" Ho domandato a Dio di conoscere la
mia miseria. L'ho conosciuta e sono stato così sopraffatto che l'ho pregato di
diminuire la pena che provavo. Mi sembrava di non farcela a sopportarla ".
E un'altra volta ancora confidò:
" Sono stato così spaventato nel
conoscere la mia miseria che ho implorato immediatamente la grazia di
dimenticarla. Dio mi ha ascoltato, ma mi ha lasciato abbastanza lucidità della
mia miseria da farmi comprendere che io non sono buono a nulla ".
Dobbiamo stare molto attenti. Nella vita a
molti mistici si ritrova questa esperienza, una specie di " notte oscura
" necessaria per partecipare al mistero della passione di Cristo ed essere
così totalmente abbandonati nelle mani del Padre e impregnati dal suo amore.
" Dio tutto, io nulla " è
l'espressione anche di S. Agostino, di S. Francesco, di S. Caterina da Siena e
anche di alcuni giovani Santi dei nostri giorni.
Nella vita del Curato d'Ars questa
esperienza si lega intimamente a quella missione di cui ho già parlato:
divenire cioè totalmente, gloriosamente prete, senza che alcun orgoglio umano
possa più interferire col potere di grazia che Dio concede alla sua creatura.
" Il buon Dio, che non ha bisogno di
nessuno, si serve di me per il suo grande lavoro, benché io sia un sacerdote
senza scienza. Se avesse avuto sottomano un altro parroco che avesse avuto più
motivi di me per umiliarsi, l'avrebbe preso e avrebbe fatto, attraverso di lui
cento volte più del bene".
Ma, dentro questa " mistica notte
", come vive il Curato d'Ars? Anzitutto egli non è certo uno che perda
tempo a leccarsi le ferite (come avviene inevitabilmente quando, invece che di
umiltà sacra, si tratta solo di complessi psichici).
Piuttosto offre la sua intera umanità al servizio
di Dio. Anzitutto con la coscienza di doversi " sacrificare ".
Ancor oggi, la vista degli strumenti di
penitenza da lui usati, il racconto dello stile di vita che scelse per sé, dei
digiuni praticati, delle veglie, dell'assenza di ogni benché minimo conforto
fisico, desta impressione.
Se dorme pochissime ore sulle nude assi, se
si ciba pochissimo attingendo ad una pentola di patate bollite che gli deve
durare parecchi giorni, se si flagella fino a svenire, lo fa soprattutto perché
è parroco è, dunque, tocca a lui chiedere perdono per i peccati dei suoi figli;
perché confessa molto, e tocca a lui fare quella penitenza che per i peccatori
sarebbe troppo pesante anche se meritata.
" Mio Dio, concedetemi la conversione
della mia parrocchia. Io sono disposto a soffrire tutto quello che Voi vorrete,
per tutta la durata della mia vita... purché si convertano ".
D'altra parte, se egli non avesse dominato a
tal punto il suo corpo e la sua sensibilità, come avrebbe potuto resistere ad
una vocazione che l'inchioderà per più di vent’anni a confessare,
ininterrottamente, fino ad estenuarsi per 15-17 ore al giorno, senza riuscire
mai ad esaurire la fila di penitenti che giunge da tutta la Francia e chiede
insistentemente di essere ascoltata?
Nella vita dei Santi, ogni particolare, per
non apparire ambiguo, deve essere guardato tenendo conto di tutto il disegno
che Dio ha su di loro.
In secondo luogo, il Curato d'Ars vive con
la preoccupazione di dover essere, per i suoi fedeli, il buon pastore.
Anzitutto istruirli.
Il parroco
che lo ha preceduto, in una sua relazione, ha lasciato scritto che la gente del
posto era così ignorante, così priva di istruzione religiosa, che la
maggioranza dei bambini " da null'altro si differenzia dagli animali, se
non per il Battesimo ". E, lo stesso vale anche per gli adulti maschi,
ormai lontani dalla Chiesa o comunque passivi frequentatori, e di rado.
Li incontra dovunque, li conosce uno per
uno, li trattiene in Chiesa con prediche che durano anche un'ora. A volte si
confonde. A volte si commuove. A volte si interrompe e, indicando il
Tabernacolo dice, con un tono che dà struggimento: " Egli è là ".
Parla con loro a tu per tu, usando il loro
linguaggio, i loro paragoni. Bisogna andare piano a dire che il Curato d'Ars
non fosse intelligente. Le sue prediche rivelano una vivacità di linguaggio e
di impostazione da destare stupore.
Ecco come parla ai suoi fedeli della loro
svogliata preghiera, descrivendo una famiglia-tipo :
" In casa, non pensano minimamente a
recitare il 'benedicite' prima di mangiare, né la preghiera di ringraziamento
dopo, e neppure l'Angelus. E ammesso che le dicano per una vecchia abitudine, a
vederli vi sentireste male: le donne le recitano mentre spicciano e chiamano a
voce alta i figli ed i domestici, gli uomini mentre girano tra le mani il
berretto o il cappello quasi per accertarsi se c'è qualche buco
Pensano al Signore come se abbiano la
certezza che Egli non esiste affatto e sia una cosa da ridere ".
E ancora sull'amore di Dio:
" Nostro Signore è sulla terra come una
madre che porta il sua bambino in braccio. Questo bambino è cattivo, dà calci
alla madre, la
morde, la graffia, ma la madre non ci fa
nessun caso; ella sa che se lo molla, il bambino cade, non può camminare da
solo.
Ecco come è nostro Signore; Egli sopporta
tutti i nostri maltrattamenti, sopporta tutte le nostre arroganze, ci perdona
tutte le nostre sciocchezze, ha pietà di noi malgrado noi ".
E ancora sull'orgoglio:
" ecco dunque un tale che si tormenta,
che si agita, che fa chiasso, che vuole dominare su tutti, che si crede qualche
cosa, che sembra voler dire al sole: 'togliti di lì, lasciami illuminare il
mondo al tuo posto!...'. Un giorno quest'uomo orgoglioso sarà ridotto tutt'al
più ad un pizzico di cenere che sarà portata via di fiume in fiume... fino al
mare ".
Questa è la cultura pastorale del Curato
d'Ars.
Altre volte dice loro:
" Non vediamo l'ora di sbarazzarci del
Signore come di un sassolino nella scarpa".
oppure:
" Il povero peccatore è come una zucca
che la massaia spacca in quattro e la trova piena di vermi ".
oppure:
" I peccatori sono neri come i tubi
della stufa ".
Ma un conto è fare un elenco di frasi, un
conto è vedere e sentire come queste frasi gli nascono dal cuore, come gli
scavano l'anima.
Il fatto è che tutti uscivano di chiesa
dicendo: " Nessun sacerdote ha mai parlato di Dio come il nostro Curato
".
Il suo stesso Vescovo diceva: " Si dice
che il Curato d'Ars non sia istruito, io non so se sia vero, però so di sicuro
che lo Spirito Santo si incarica di illuminarlo ".
La sua attività pastorale (oltre alla
costruzione di un orfanotrofio per bambine e poi di un Istituto per
l'istruzione dei ragazzi) riguarda tre aspetti della vita parrocchiale che egli
identificò subito come segni della profonda scristianizzazione a cui la Francia
di allora veniva assoggettata.
Da un lato: il lavoro nei giorni di festa e
l'abitudine di bestemmiare, come segni emergenti di un ateismo pratico con cui
si nega di fatto quel Dio a cui pur si dice di credere.
Il Curato sa che, per i suoi contadini,
lavorare di festa vuol dire attaccamento al denaro, vuoi dire disumanizzazione
del tempo e della vita. Non per nulla i signori di Parigi stanno nel frattempo
tentando di abolire le feste e le domeniche per sostituirle col decadì, un
giorno di laico riposo ogni dieci, purché ci si dimentichi del giorno del
Signore e dei Santi.
Giovanni Maria Vianney non ha pace finché
nel questionario della sua parrocchia non potrà scrivere che nei giorni di
festa si lavora " raramente " " e fin quando degli stranieri di
passaggio non resteranno meravigliati a vedere tre carrettieri, alle prese con
un cavallo imbizzarrito che rovescia il carico, e che, tuttavia, non si
spazientiscono né bestemmiano.
Ne sono così impressionati che lo annotano
come una notizia da raccontare in giro.
L'altra lotta del Santo Curato è contro le
bettole che egli definisce " le botteghe del diavolo " la scuola in
cui l'inferno propone ed insegna la sua dottrina, il luogo in cui si vendono le
anime, dove le famiglie si distruggono, dove la salute si altera, dove iniziano
i litigi e dove si commettono gli assassini ".
Prima di sorridere, pensiamo ad un paesino
di 270 abitanti, con 40 case, tra cui ci sono ben 4 osterie, due delle quali
addossate alla chiesa.
Pensiamo ad esse come al luogo alternativo
alla Chiesa nei giorni di domenica e alternativo alle proprie case durante le
lunghe sere e le notti. Pensiamo ad esse come al luogo in cui si smercia
l'unica droga d'ora possibile, il vino; dove si perde il denaro guadagnato per
la famiglia e dove, nel corso di ubriacature cattive, si alimentano odi e
risse.
La predicazione e l'intervento del Curato
sono così decisivi che prima sono costrette a chiudere le due bettole vicine
alla chiesa e poi le più discoste.
E nel futuro, altri sette tentativi di
aprirne di nuove, andranno i monte.
La terza questione pastorale è quella del
" ballo": il Curato d'Ars dice che il diavolo circonda le danze come
un muro chiude un giardino, e le persone che vi entrano "lasciano il loro
Angelo Custode alla porta, mentre il demonio si incarica di sostituirlo, sicché
ad un certo punto ci sono in sala tanti demoni quanti ballerini ".
Nella situazione del tempo, il ballo paesano
e le scorrerie di ballerini da un paese all'altro sono pressoché l'unico
concretissimo veicolo con cui riesce ad imporsi una certa disonestà di
atteggiamenti e di costumi, che la famiglia non riesce ad arginare. E per
quanto si voglia essere moderni, l'impurità dei giovani, le infedeltà coniugali
e la lussuria mimata o mimetizzata per mezzo di certi balli, non sono mai state
virtù cristiane, neanche oggi.
Anche questi vizi sociali scompaiono pian
piano quasi interamente per l'amore e il rispetto che la gente porta a quel
sant’uomo che per loro prega e fa penitenza.
Ma soprattutto l'azione educativa del santo
Curato avviene nel confessionale.
Verso il 1827 comincia a diffondersi la sua
fama a santità All'inizio sono quindici o venti pellegrini al giorno. Nell'anno
1834 se ne contano trentamila all'anno che diventeranno, negli ultimi anni
della sua vita, da ottantamila a centomila.
Fu necessario stabilire un servizio regolare
giornaliero di trasporti da Lione ad Ars. Anzi, si dovette aprire alla stazione
di Lione uno sportello speciale che vendeva biglietti di andata e ritorno per
Ars, della durata di Otto giorni (biglietti che allora erano un'eccezione),
dato che ci voleva in media una settimana per riuscire a confessarsi.
E cominciò così la vera missione del Curato
d'Ars: il suo " martirio del confessionale ".
Negli ultimi vent'anni vi restò in media 17
ore al giorno, cominciando verso l'una o le due di notte nella bella stagione,
o verso le quattro nella stagione cattiva, finendo a tarda sera.
Le uniche interruzioni erano per la
celebrazione della Messa, la recita del breviario, il catechismo e qualche
minuto per un po' di cibo.
Nell'estate l'atmosfera era così soffocante
che i pellegrini dovevano, a turno, andar fuori a respirare per poter
resistere; d'inverno il gelo tormentoso:
"Gli ho domandato come potesse restar
tante ore così, con un tempo così rigido, senza avere nulla per scaldarsi i
piedi ". " Amico mio mi disse il fatto è che da Ognissanti a Pasqua,
io i piedi non li sento affatto ".
Ma questo sacrificio di essere lì, quasi
trascinato e inchiodato dalla folla, con qualunque tempo e in qualunque ora,
non era ancora la sofferenza maggiore.
La sofferenza era l'ondata di peccati di
male, che si riversava su di lui come un mare di fango opprimente.
Tutto quello che io so del peccato diceva
l'ho imparato da loro .
Li ascoltava, leggeva in loro come in un
libro aperto, ma soprattutto li convertiva.
Spesso aveva tempo solo per pochissime
parole e negli ultimi anni aveva una voce così flebile che sì faticava a
sentirlo. Eppure i penitenti uscivano sconvolti dal suo confessionale.
" Se il Signore non fosse così buono
diceva ma invece lo è tanto ! Che male vi ha fatto nostro Signore perché
dobbiate trattarlo in questo modo! "
oppure:
" Perché mi hai offeso tanto? Ti dirà
un giorno nostro Signore, e non saprai cosa rispondergli ";
Spessissimo, soprattutto quando si trovava
davanti peccatori scarsamente consapevoli del proprio peccato e dunque
scarsamente pentitevi Santo Curato cominciava lui a piangere. Ed era
un'esperienza indicibile quella di vedere, con i propri occhi, un vero dolore,
una vera sofferenza, una vera passione come oggettivati, resi " esperienza
": come se per un istante tu potessi intravedere la pena di Dio per il tuo
male, incarnata nel volto del sacerdote che ti confessa.
Predicando un ritiro per i sacerdoti,
proprio sul piazzale di Ars, l'ottobre scorso, Giovanni Paolo Il ha parlato
loro della necessità di ridare ai fedeli questa esperienza di perdono.
Ha detto:
" So che voi incontrate molte
difficoltà: la mancanza di Sacerdoti e soprattutto la disaffezione dei fedeli
al Sacramento del Perdono. Dite:
" da molto tempo non vengono più a
confessarsi! " E’ proprio questo il problema. Non nasconde forse questo
una mancanza di fede, una mancanza del senso del peccato, del senso della
mediazione di Cristo e della Chiesa, un disprezzo verso una pratica di cui si
sono trattenute solo le deformazioni legate all'abitudine?
Notiamo che il suo Vicario Generale aveva
detto al Curato d'Ars:
" Non c'è molto amore di Dio in questa
Parrocchia, voi ne metterete ". E il Santo Curato ha trovato anch'egli
penitenti poco fervorosi. Grazie a quale segreto egli attirava allo stesso
tempo credenti e non credenti, santi e peccatori? In realtà il Curato d'Ars che
era rude in talune predicazioni, per fustigare il peccato, era, come Gesù,
molto misericordioso nell'incontro con ciascun peccatore. L'Abate Monnin diceva
di lui:
" è un focolare di tenerezza e di
misericordia. Ardeva della misericordia di Cristo "
Era diventato un vecchio di 73 anni, dai lunghi
capelli bianchi, con un corpo diafano e consumato, e gli occhi sempre più
profondi e luminosi; in quell'estate caldissima del 1859, il 4 agosto, morì
senza agonia, senza paura " come una lampada che non ha più olio ",
" avendo, dice un testimone, negli occhi una straordinaria espressione di
Fede e di felicità ".
I suoi parrocchiani, tutti ammassati attorno
alla sua povera canonica, avevano addirittura avvolto tutto l'edificio con
dieci teli che bagnavano periodicamente, perché lui non dovesse soffrire troppo
quel caldo opprimente, almeno in quegli ultimi giorni.
Per dieci giorni e per dieci notti le
spoglie mortali dovettero restare esposte in quella cappella dove egli aveva
tanto confessato e i pellegrini sfilarono ininterrottamente a migliaia.
Sempre in quel discorso pronunciato ad Ars
qualche mese fa, il Papa, parafrasando il titolo di un noto romanzo italiano,
ma in senso opposto, disse:
" Cristo si è veramente fermato ad Ars,
all'epoca in cui vi era curato Jean Marie Vianney. Sì, si è fermato e ha visto
le folle degli uomini e delle donne del secolo scorso stanche e sfinite come
pecore senza pastore. Cristo si è fermato qui come il Buon Pastore. Un buon
pastore, secondo il cuore di Dio, diceva Jean Marie Vianney, è il più grande
tesoro che Dio possa accordare ad una parrocchia, è uno dei doni più preziosi
della misericordia divina ".
Di tutto ciò abbiamo bisogno anche in questi
nostri giorni.