Beato Pier Giorgio Frassati
Tratto dal libro: RITRATTI
DI SANTI di Antonio Sicari ed. Jaca Book
C’è voluto recentemente un sinodo dei vescovi e poi un documento del
Papa (Christifideles laici) per cercare di definire l’identità del laico
cristiano, ma essa non è ancora chiarita nell’intelligenza e nella coscienza di
molti. Tanto è vero che appena si mette a tema questa " identità " si
osserva subito un violento ribollire di sentimenti e di risentimenti: ognuno
teme di vedere messe in crisi le sue appartenenze culturali, sociali ,
politiche, partitiche e perfino " ecclesiali " (dato che proprio su
tale questione la Chiesa è oggi dolorosamente divisa).
Cercherò di esporre qui il problema con semplicità, usando di una sola breve
formulazione: questo secolo, a partire dai primi fondamentali vent’anni, ha
messo sempre più in triste evidenza che la scristianizzazione, di cui tutti
parlano, non riguarda tanto il deterioramento morale della vita, quanto
direttamente la fede (ecco perché il Papa parla spesso del bisogno di una
" nuova evangelizzazione "): il disfacimento riguarda il soggetto
popolare cristiano che, in quanto tale, non si sente più responsabile
(socialmente e globalmente responsabile) della verità di Cristo e della verità
che è Cristo.
Di conseguenza, per non aver
sufficientemente badato a questo, per aver trascurato che la fede, ricevuta in
dono si facesse cultura (impregnasse cioè l’anima stessa della società), ogni
altro sforzo di risanamento etico e di impegno caritativo non è stato in grado
di impedire la scristianizzazione del nostro popolo.
La tragedia è consistita in questo: che ciò
che pur esplodeva come carità e apostolato (si pensi a tutto l’immenso lavoro
del volontariato laicale, al molteplice impegno socio-politico dei cristiani e
a tutto l’impegno assistenziale messo in atto dalle congregazioni religiose)
veniva sistematicamente risucchiato via da una progressiva perdita di fede di
tutto il popolo cristiano senza distinzioni apprezzabili (devastando perfino lo
stesso mondo " religioso " e " teologico ").
Sono contraddizioni storiche su cui spesso
ci si rifiuta ostinatamente di interrogarsi, per una sorta di complesso di
colpa che si preferisce censurare. Il tentativo più penoso di rimozione è
quello di chi vuole attribuire questa " sconfitta " a un’opera di
necessaria purificazione: al fatto cioè che i cristiani hanno dovuto imparare a
distinguere tra Chiesa e mondo, natura e grazia, fede e ragione, vocazione
ecclesiale e vocazione laicale, cristianesimo e politica, ecc.
Non possiamo qui dimostrare l’inconsistenza
suicida di queste spiegazioni e di queste scuse, divenute per altro ostinato
patrimonio comune. Ciò ha provocato anche dei tentativi paradossali: c’è chi
cerca oggi tra i santi alcuni " campioni di laicità cristiana ", ma
quando pensa di averli trovati è poi costretto a manipolarli per far coincidere
la vita e l’esperienza di questi nuovi santi con le proprie distinzioni ideologicamente
prefabbricate.
Se poi si va a guardare nei fatti, ci si
accorge che di tante distinzioni, divenute oggi di moda, questi " santi
" sono completamente ignari, anzi le trascurano allegramente. E che la
loro vita e’ una continua contestazione di chi crede che " laicità
cristiana " voglia dire realizzare sapienti equilibri e sapienti
trasfusioni tra appartenenza al mondo e appartenenza alla Chiesa.
È ciò che abbiamo visto nei riguardi dì S.
Giuseppe Moscati, è ciò che accade con Pier Giorgio Frassati, beatificato il 20
maggio 1990. Una tra le più recenti biografie che gli sono state dedicate si
conclude praticamente con queste parole: " Pier Giorgio semplicemente si
era comportato da laico nella Chiesa e da cristiano nel mondo ": quattro concetti
incrociati per collocare esistenzialmente una sola persona, la quale oltretutto
si sarebbe molto meravigliata di un simile linguaggio. La verità è che il
giovane Frassati ha compreso la sua " laicità cristiana " in un modo
che è esattamente agli antipodi di ciò che oggi intenderebbero o vorrebbero
alcuni che si presentano come eredi della sua " memoria ".
Non ci resta che raccontare, andando alla
prova dei fatti, i quali dimostrano con sconcertante evidenza che il termine
" laico " e il termine " cristiano " si equivalgono in
maniera assoluta per la persona del battezzato, quando costui non abbia
ricevuto una particolare vocazione ministeriale o di speciale consacrazione,
che esigono di essere ulteriormente precisate.
Pier Giorgio nasce a Torino il sabato santo (6
aprile) del 1901 da una ricca famiglia borghese di stampo liberale: la madre,
Adelaide Ametis una nota pittrice; il padre, Alfredo Frassati, nel 1895, a poco
più dì trentasei anni, ha fondato il quotidiano La Stampa; nel 1913 è il più
giovane senatore del Regno e nel 1922 è ambasciatore d’Italia a Berlino.
Insomma i Frassati sono allora una delle tre o quattro famiglie che contano in
quella Torino che si va trasformando in metropoli ricca di industrie e soggetta
a massicce immigrazioni operaie.
Ma se la situazione della famiglia è
confortevole e stimolante dal punto di vista del prestigio sociale, essa è
invece triste dal ponto di vista dei legami affettivi. Padre e madre vivono un
accordo difficile e assai formale, mantenuto unicamente per il decoro e per i
figli: il papa è sempre occupato " altrove ", tra i grandi problemi
del giornale e della vita pubblica, la mamma si ripaga con brillanti relazioni
sociali e con un sistema educativo rigido e freddo. I testimoni la definiscono
come " una donna moderna, in anticipo persino sul suo tempo per l’estrema
liberalità delle idee ". Liberalità che comunque non riguarda i figli:
Luciana, la sorella ancora vivente di Pier Giorgio, ha raccontato che la loro
infanzia, mai veramente vissuta, trascorse come un " maldefinito incubo in
quella vasta casa signorile che a volte sembrava " una triste caserma
".
Per decenni è stato di moda presentare
questo santo giovane universitario come modello di freschezza e di purezza, di
gioia di vivere, di rigore fisico e spirituale e di ricca generosità verso i
meno privilegiati, nonché di impetuoso impegno socio-politico. Ma si sono
trascurati e taciuti troppo gli aspetti di passione e di crocifissione (quelli
che soli permettono di vivere come " risorti ") che stanno sullo
sfondo quotidiano della sua vita e della sua morte.
Torniamo per ora agli inizi del suo
itinerario spirituale. La famiglia gli trasmise soprattutto un sistema di
regole e di doveri (il che in se stesso non è certo un male, ma può essere
piuttosto triste), sistema che attraverso la madre si riallacciava a una
comprensione genericamente cristiana della vita, mentre attraverso il padre si
riallacciava a una bontà naturale, priva però di fede. La vita cristiana Pier
Giorgio l’assorbì immergendosi spontaneamente e per scelta personale nelle
acqua viva che la Chiesa di allora gli offriva: di quella Chiesa, nella quale
non mancavano limiti e problemi, egli si sentì " parte ", membro
attivo, tralcio attaccato alla vite come dice il Vangelo, in cui sempre scorre
buona linfa.
Si resterebbe sorpresi a elencare tutte le
" associazioni " a cui Pier Giorgio volle iscriversi, spesso contro
il parere dei suoi familiari, partecipandovi poi attivamente e assumendovi
responsabilità. I nomi di queste associazioni possono sembrarci oggi desueti e
pietistici, ma non devono farci dimenticare che allora essi indicavano i nuclei
vivi di una Chiesa in fermento: Apostolato della preghiera, Lega eucaristica,
Associazione dei giovani adoratori universitari (con l’impegno dell’adorazione
notturna ogni secondo sabato del mese), Congregazione mariana terz’ordine
domenicano, e altre ancora. E queste sono soltanto alcune " appartenenze
" attraverso le quali egli si educò soprattutto alla preghiera, cioè a
possedete un cuore cristiano, una memoria, un desiderio, una " mendicanza
" assoluta del suo essere.
Potremmo dedicarci a descrivere le pratiche
e gli impegni che quelle associazioni comportavano, ma l’aspetto più importante
è di osservare che li sua persona non si perdeva né si frantumava in mille
piccoli pezzi o in mille piccole devozioncelle, ma si strutturava integralmente
in modo da non lasciare spazi vuoti o deboli o meschini.
Soprattutto, ogni cosa aveva un centro: la
Comunione quotidiana.
" Sei un bigotto? ", gli chiese un
giorno qualcuno in università (così allora si ingiuriavano i credenti, sia dal
versante massonico-liberale, che da quello fascista, che da quello
social-comunista).
" No, rispose Pier Giorgio restituendo
il colpo con bontà, ma con altrettanta fermezza, no, io sono ‘rimasto’ cristiano!
".
Infatti tutta quella preghiera generava in
lui una passione certa per tutta la realtà ed egli, con la stessa intensità,
viveva il dovere e il piacere di appartenere ugualmente ad associazioni
culturali, sportive, sociali, politiche, fino a quel " partito popolare
" che allora nasceva come speranza per l’impegno e l’identità anche
politica dei credenti.
Nel 1919, ancora minorenne, Pier Giorgio si
iscrisse al circolo universitari " Cesare Balbo ", che comprendeva
anche una " Conferenza di San Vincenzo ". Ecco come descrivono
l’ambiente alcuni soci di allora:
Il circolo era secondo me muffito e poco
interessante e la presenza era più che altro giustificata dal fatto di poter
giocare al biliardino.
E un altro:
Tanto al " Cesare Balbo " quanto al
pensionato cattolico dove abitavano c’erano moltissimi bravi ragazzi, ma un
centinaio di essi almeno non facevano che parlare di avventure femminili mentre
altri, ipocriti o bigotti, apparivano dei veri chierici mancati.
È una buona descrizione del perché si è
assistito nei decenni passati al crollo di certo associazionismo cattolico e
alla devitalizzazione di gran parte di oratorii parrocchiali.
Frassati e alcuni amici decisero perciò di
prendere in mano il circolo. In un volantino di autopropaganda si proposero
come responsabili:
Studenti! volete svecchiare e rinsanguare il
circolo? volete che esso viva di vita sua e cristianamente audace al di sopra
di ogni rancidume quarantottesco e codino? Affidatene le sorti ai seguenti
colleghi: Borghesio, Oliviero, ... Frassati.
Quella recente biografia a cui abbiamo
accennato, spiega che Pier Giorgio stava allora con i più progressisti e porta
questa testimonianza:
Era sempre all’opposizione, non capiva i
mezzi termini, le misure blande, diplomatiche, pur necessarie a volte per
dirigere una barca con in equipaggio così numeroso e difficile come quello di
un circolo universitario. Era massimalista, avrebbe voluto applicate alla
lettera il Vangelo e talvolta era un po’ rude e angoloso. Non ammetteva
deviazioni, gli accomodamenti erano contrari al suo carattere e non era il tipo
del malleabile.
Mistero delle parole: oggi persone di tal
genere sono definite " reazionarie ed integriste ". Pier Giorgio
viene invece fatto passare per " progressista ". Ciò non basta per
nascondere un fatto evidente: che egli non è stato proprio un esempio di "
laicità " nel senso in cui oggi viene diffuso e propagandato questo
valore.
È il caso perciò di vagliare bene questo
tipico " progressismo " che si è disposti a riconoscere solo ai santi.
Abbiamo a disposizione una serie di episodi.
Nel settembre 1921 a Roma si tiene il
Congresso nazionale della gioventù Cattolica Italiana, nel 50° anniversario
della fondazione. Sono presenti più di trentamila giovani. La messa dì domenica
4 settembre è prevista al Colosseo, dove convergono le schiere provenienti da
tutta l’Italia: ogni gruppo con la sua bandiera. Ma la liberal-massonica
Questura fece trovare schierate le guardie a cavallo per impedire la
celebrazione e i giovani furono costretti a rifluire a Piazza S. Pietro, dove
la celebrazione poté aver luogo sul sagrato, seguita poi da una udienza nei
giardini Vaticani. Quando poi dal Vaticano i giovani decisero di recarsi
all’altare della Patria al canto alternato di " Fratelli d'Italia " e
" Noi vogliam Dio ", la Questura decise ancora ai disperdere a forza
il corteo.
Ecco una testimonianza che riguarda il
nostro " santo " giovane;
Pier Giorgio tiene alta con le due mani la
bandiera tricolore del circolo Cesare Balbo. All’improvviso sbucano dal portone
di Palazzo Altieri, dove erano accantonate, circa duecento guardie regie agli
ordini del più settario funzionario di polizia che io abbia mai conosciuto.
Grida: " Addosso coi moschetti, togliete le bandiere! ". Pare che
abbiano a trattare con belve. Picchiano coi calci dei moschetti, afferrano,
strappano, spezzano le nostre bandiere. Le difendiamo come possiamo con le
unghie e con i morsi. Vedo Pier Giorgio alle prese con due guardie che tentano
di strappargli la bandiera... Ci spingono nel cortile del Palazzo che funziona
da camera di sicurezza... Intanto a piazza del Gesù lo spettacolo bestiale
continua… Un sacerdote è buttato letteralmente nel cortile con l’abito talare
strappato e una guancia insanguinata. Al nostro grido ai protesta ci sono
nuovamente addosso con i calci dei moschetti... Insieme ci inginocchiammo per
terra, nel cortile, quando quel prete lacero alzò il rosario e disse: "
Ragazzi, per noi e per quelli che ci hanno percosso, preghiamo!".
La rivista Civiltà Cattolica, in quel
tempo in cui si usava chiamare le cose col loro nome, raccontando i fatti li
spiegò così: " La setta, inviperita da così inattesa dimostrazione di
fede, ne volle un primo ricatto ". E ancora: "Il fatto, dovuto a mene
torbide di setta e di partito... ". E definisce le cronache distorte che
allora ne diedero il Giornale d’Italia e il Resto del Carlino come opera di
" certi giornalisti più abbietti e più settari ".
L’indomani i giovani cattolici dovevano
nuovamente recarsi a S. Pietro e Pier Giorgio con i suoi riattraversò la città
portando in trionfo i mozziconi di bandiera spezzata e strappata a cui aveva
appeso un grande cartello con la scritta: " Tricolore sfregiato per ordine
del Governo ".
Un fatto " progressista ", come si
vede. Comunque se ne parlò in tutta Italia. Racconta un amico di Pier Giorgio:
Mentre si faceva un gran parlare di lui,
egli si mostrava riluttante alle congratulazioni che da ogni parte gli
venivano. Quelle lodi gli sembravano strane perché non poteva comprendere come
un giovane cattolico in quella circostanza potesse agire in modo diverso.
L’anno seguente venne varata la legge che
proibiva l’insegnamento religioso nelle scuole, proprio mentre a livello
associativo cattolico ci si lamentava della " deplorevole
disorganizzazione " degli studenti. A Torino Pier Giorgio scrisse una
lettera ai soci del circolo " Milites Mariae ", cui egli apparteneva
come delegato degli studenti. Scrisse:
I nostri giovani hanno bisogno di una
speciale istruzione adatta alle loro forze e di una solida base apologetica per
far fronte ai continui pericoli, ai quali sono esposti frequentando le scuole
pubbliche purtroppo molto corrotte... Noi che per grazia di Dio siamo cattolici
non dobbiamo sciupare le nostre vite... Noi dobbiamo temprarci per essere
pronti a sostenere le lotte che dovremo certamente combattere per il compimento
del nostro programma.
Pier Giorgio chiede esplicitamente: "
preghiera continua ", " organizzazione e disciplina ", "
sacrificio delle nostre persone e di noi stessi e offrì la possibilità di
" un doposcuola dove (gli studenti) completeranno quella cultura che ora
la scuola statale così poco seria non può dare, nello stesso tempo saranno
istruiti nelle questioni religiose e filosofiche".
Concludeva:
Mentre vi ringrazio di quanto farete, certo
che sarete ricompensati largamente nella vita, vi saluto cristianamente. Evviva
Gesù! Il delegato degli studenti. Pier Giorgio Frassati.
Sul finire di quello stesso anno la FUCI
espose nella sua bacheca al Politecnico l’avviso per una adorazione notturna
all’Eucarestia. Evidentemente l’avviso " sporgeva " tra i mille
avvisi multicolori che, nelle altre bacheche, parlavano di danze, veglioni e
divertimenti, e così gli anticlericali decisero democraticamente di andare a
strapparlo, e la voce si sparse.
Racconta un amico:
Ricordo Pier Giorgio, ritto davanti alla
bacheca con un bastone in mano, e attorno una canea urlante ai cento studenti.
Insulti, minacce, percosse non valsero a smuoverlo. Il numero ebbe però il
sopravvento. La bacheca andò in pezzi e l’avviso fu bruciato.
Comunque la distruzione delle bacheche e
degli avvisi era divenuta un vizio, dato che se ne incaricavano puntualmente
gli anticlericali del circolo Giordano Bruno. Più di un " fucino ",
gia allora, parlava della necessità di mantenere buoni rapporti e dì intavolare
trattative. Frassati non ammetteva mezzi termini: " Io farei a pugni.
Abbiamo o no il diritto di difendere la nostra bacheca, o soltanto loro hanno
il diritto di romperla? Gli altri sostenevano che non era comunque possibile
star li a far continuamente la guardia, ma Pier Giorgio era sbrigativo:
" Io dico che bisogna dare una lezione
".
In un’altra occasione, per le feste
pasquali, aveva fatto affiggere nel cortile dell’università un avviso sacro. Lo
strapparono. Pier Giorgio lo copiò a mano e lo rimise " con progressione
geometrica ", fino a raggiungere il numero di 64 copie.
Fin dagli inizi del 1920 quando cominciarono
le agitazioni operaie, accompagnava come guardia del corpo, nei sobborghi rossi
di Torino, un frate domenicano che andava a parlare ai giovani operai, "
tra bolscevichi urlanti e minacciosi ", e non di rado, per difenderlo, si
finiva per venire alle mani.
In tempo di elezioni politiche passava notti
intere girando con un’automobile piena di manifesti, volantini e stampati e tenendo
sul predellino due grosse pignatte traboccanti di colla, e " attaccando
" nei punti più caldi della città, non senza subire aggressioni e
organizzando opportune difese. E non senza divertirsi.
Quando poi si scateneranno le squadre
fasciste, l’opposizione di Pier Giorgio sarà così detterminata che la sua
stessa casa sarà presa di mira: una domenica, mentre egli sta pranzando solo
con la madre, una squadra irrompe in casa, munita di sfollagente a palle di
piombo rivestite cuoio, e comincia a fracassate le specchiere dell’anticamera e
i mobili che capitano a tiro. Pier Giorgio riesce a strappare ad uno Io
sfollagente e a metterli in fuga. La notizia dell’episodio viene riportata
perfino dalla stampa estera.
In una lettera Pier Giorgio stesso racconta:
Carissimo Tonino, ti scrivo per
tranquillizzarti: leggerai sul giornale che abbiamo subito una piccola
devastazione nell’alloggio da dei porci fascisti. È stata un’impresa da
vigliacchi, ma niente di più… Sono senza pudore: dopo i fatti di Roma non dovrebbero,
più farsi vedere e vergognarsi di essere fascisti.
In un’altra occasione a chi lo aggrediva
gridò:
La vostra violenza non può superare la forza
della nostra fede, perché Cristo non muore.
Soffriva soprattutto perché incominciava a
scoprire la debolezza di quel " partito popolare " in cui aveva tanto
sperato. Vi si era iscritto già alla sua fondazione e lo propagandava senza
paura. Era convinto che " il partito sarebbe stato veramente popolare
quando fosse stato sostenuto da folte masse aderenti alle organizzazioni
professionali cristiane ".
Un amico racconta che, quando ne parlava,
Pier Giorgio dimostrava di amarlo perché " lo sentiva come conseguenza
sociale della sua fede ".
Con l’avvento del fascismo era umiliato dal
dover constatare la debolezza e il trasformismo di molti aderenti del partito
popolare, ma a differenza di tanti vi restò tenacemente attaccato " con le
ultime speranze, con gli ultimi pensieri, con le ultime volontà ".
Quando il Direttore del Popolo, Giuseppe
Donati, dovette partire
per l’esilio, al confine per salutarlo e
stringergli la mano, sfidando gli occhi della polizia fascista, c’era solo Pier
Giorgio. Lo stesso Donati scrisse poi: " In lui io vidi l’ultimo amico
della Patria che lasciavo ". E Pier Giorgio sarebbe morto tre mesi dopo.
Dal punto di vista sociale e politico lo
angustiava la scarsa intelligenza di fede di molti membri delle associazioni
cattoliche: cioè la mancanza di uno sguardo di fede applicato alla realtà con
amore intelligente.
Già nel 1921, partecipando al congresso
nazionale della FUCI a Ravenna, aveva proposto e difeso la tesi dello
scioglimento della FUCI per farla confluire in una più ampia " gioventù
cattolica " che mettesse assieme intellettuali, lavoratori, studenti e
gente semplice. Trovò opposizione nell’assistente ecclesiastico della FUCI, ma
non se ne diede per inteso.
Frequentava i circoli operai più vigorosi,
come il " Savonarola ", composto da operai metalmeccanici della Fiat,
ben collocato in faccia a uno dei più agguerriti circoli comunisti.
Ci recavamo, racconta un amico, nelle sedi
di associazioni religiose, culturali, sociali e sindacali... Dappertutto, si
può dire, Pier Giorgio era presente e ad ogni iniziativa cooperava e
partecipava...
Non mancava neppure al circolo dei Reduci
(di particolare importanza, se si pensa che si era da poco conclusa la prima
guerra mondiale) e all’Unione del Lavoro, dove gli studenti si incontravano con
i lavoratori.
L’identità cristiana era per Pier Giorgio
aperta su tutto l’ambito del sociale e politico, anche oltre i confini
nazionali. Si indignava perché la Francia rovinava " la parte più
cattolica della Germania ", occupando militarmente la Ruhr (" è
un’infarnia! ", diceva) e scrisse per questo una lettera di protesta su un
quotidiano tedesco.
Allo stesso modo sostenne con pubbliche
dichiarazioni la lotta del popolo irlandese che chiedeva " l’indipendenza
della propria terra e del proprio spirito".
Si era appassionato all’associazione
internazionale Pax Romana che legava gli universitari cattolici di tutte le
nazioni; e di un suo convegno tenutosi a Torino volle essere l’organizzatore.
Tutti questi accenni non devono far
dimenticare che si tratta di uno studente universitario alle prese con esami
continui e difficili che egli si impegna a superare con risultati abbastanza
buoni, ma con notevole fatica.
Per riuscire doveva applicarsi a lungo, e
non era eccezionalmente dotato. Eppure anche il suo studio veniva illuminato di
carità e di fede, se si pensa che tra tutte le possibilità che gli erano
offerte, ed erano notevoli, data la sua condizione sociale, aveva preferito
iscriversi alla facoltà di ingegneria mineraria, perché durante un suo
soggiorno in Germania aveva constatato la particolare gravità delle condizioni
di lavoro degli operai del settore: " Io voglio in miniera aiutare la mia
gente e questo lo posso fare meglio da laico che da prete, perché da noi i
sacerdoti non sono a contatto con il popolo ". Così egli spiegava il campo
di studi che aveva scelto a Louise Rahner, la madre del celebre teologo, nella
cui casa soggiornò per un certo tempo. Diceva di voler diventare "
minatore tra i minatori "
C’è ancora un aspetto della sua vita che
dobbiamo descrivere, quello più noto, ma che ora, nel quadro più ampio che
abbiamo delineato, trova la sua giusta collocazione.
Si tratta di quel " volontariato della
carità" a cui Pier Giorgio si dedicò costantemente, immergendosi nella più
viva tradizione dei santi sociali della sua terra (Don Bosco, il Cottolengo,
Faà di Bruno, Murialdo, Orione).
Ecco un bozzetto delineato da G. Lazzati,
per commemorate il 50° anniversario della nascita di Pier Giorgio:
Straniti gli uomini, a partire dai suoi
parenti, vedranno questo giovane a cui nulla sembrava mancare per essere
campione di mondanità (...) trascinare per le vie di Torino carretti pieni di
masserizie dei poveri in cerca di casa, e passare sudato sotto il carico di
grossi pacchi anche male confezionati, ed entrare nelle case più squallide dove
spesso miseria e vizio si danno la mano, sotto gli occhi ipocritamente
scandalizzati di un mondo che nulla fa per aiutarli ad uscirne; e farsi, con
sorprendente umiltà, lui, il figlio dell’ambasciatore d’Italia a Berlino, lui
il figlio del senatore, questuante per i suoi poveri, e per essi ridursi al
verde così da rincasare fuori orario per non avere neppure i pochi centesimi
che gli bastino per il tram…
La sorella Luciana ha rivelato che la
situazione era più umiliante di quanto non ci si immaginasse: a casa Pier
Giorgio passava per uno sciocco e lo tenevano piuttosto a corto di quattrini: per
poter dare agli altri, egli doveva spesso privarsi non del superfluo ma del
necessario.
Che cosa abbia fatto per le numerose
famiglie povere di cui si curava come membro della " San Vincenzo ",
risulta da mille episodi pieni di carità e da mille testimonianze riconoscenti.
Non era d’altra parte, la sua, una carità
ottusa: " dare è bello diceva, ma ancor più bello è mettere i poveri in
condizione di lavorare ". Sapeva bene che la carità era anzitutto una
questione di giustizia sociale. " Si discuteva, narra un amico, di certi
patti colonici. Egli sosteneva che la terra è dei contadini e va data a chi la
lavora. Impulsivamente esclamai: ‘Ma tu che sei padrone di terre, lo faresti?’.
Mi guardò e mi disse in poche parole: ‘Non sono mie... Io lo farei subito!’
".
La coscienza con cui intanto egli agiva,
sollevando come poteva la miseria dei poveri, col suo stesso fisico sudore,
emergeva quando doveva convincere altri a partecipare alla sua impresa.
Racconta un amico:
Un giorno cercò di convincermi a far parte (della
" S. Vincenzo "). Alla mia difficoltà che non mi sentivo il coraggio
di entrare nelle case sporche e puzzolenti dei poveri, dove potevo prendere
qualche malattia egli con tutta semplicità mi rispose che visitare i poveri era
visitate Gesù Cristo.
Diceva; " Intorno all’infermo, al
miserabile, intorno al disgraziato io vedo una luce che non abbiamo
noi...".
Che frequentando i tuguri dei poveri si
potesse andare incontro a qualche grave malattia non era un modo di dire. E
difatti Pier Giorgio si ammalò nella maniera più terribile: nonostante avesse
un fisico temprato dallo sport, contrasse durante una delle sue " visite
" la poliomielite fulminante, che lo distrusse in una settimana.
Fu una settimana di passione.
Prima di raccontarla brevemente, rivediamo
l’immagine che ci è stata tramandata di questo giovane universitario: "
borghese ", aperto, sano, gioviale, appassionato di montagna e di sci,
rumoroso nelle feste, animatore di una sana goliardia (aveva fondato una "
Società dei Tipi Loschi " con tanto di statuto).
Tutto ciò non era una facciata, era la sua
natura. Eppure, questa stessa natura, senza dissociazioni, senza alti e bassi,
senza mutevolezze di carattere, era anche profondamente seria, temprata dalla
sofferenza propria e altrui.
Tra le sue sofferenze più laceranti,
dobbiamo anche ricordare l’amore profondo per una ragazza di umili condizioni,
amore a cui si senti moralmente costretto a rinunciare quando si accorse che la
sua scelta, per i pregiudizi della famiglia, non sarebbe stata mai accettata.
Comprese anzi che una sua eventuale insistenza avrebbe provocato la definitiva
rottura del legame tra i suoi genitori.
Dio gli suggerì nel profondo del cuore (e
dobbiamo leggere l’episodio nell’insieme della sua breve vita; senza saperlo,
Pier Giorgio era già a un passo dalla morte) di non cercare la sua felicità a
prezzo della " salvezza " dei suoi genitori: " non posso
distruggere una famiglia, diceva, per formarne un’altra. Mi sacrificherò io
".
Il 30 giugno 1925, tornando dal suo solito
giro di carità, Pier Giorgio cominciò ad accusare emicrania e inappetenza. non
gli badò nessuno: in quei giorni si andava spegnendo la sua vecchia nonna, e
quel giovanottone alto e muscoloso, a cui non si badava mai troppo perché era
troppo buono, con le sue febbri inopportune infastidiva. Pier Giorgio cominciò
a morire, sentendo il suo giovane corpo distruggersi, mentre la paralisi
avanzava progressiva e implacabile, senza che nessuno gli badasse. La nonna
morente continuava a polarizzare su di sé l’attenzione della famiglia, la
stanchezza fisica e il logoramento psicologico di tutti i familiari.
A Pier Giorgio si faceva gentilmente capire
di non seccare con i suoi malanni da niente, quando c’erano già abbastanza guai
in casa e quando avrebbe fatto meglio a studiare per finire quegli ultimi esami
che si trascinava da un po’ troppo tempo. Così egli, umile e mansueto, affrontò
da solo i sintomi del male terribile, della cui gravità lui stesso non si
rendeva completamente conto, e l’angoscia di ciò che gli accadeva, senza
poterne nemmeno parlare, dato che ogni tentativo veniva stroncato sul nascere
con inconsapevole crudeltà.
Quando i genitori atterriti si accorsero di
ciò che stava accadendo sotto. i loro occhi, era troppo tardi. Il siero fatto
venire frettolosamente e eccezionalmente dall’istituto Pasteur di Parigi,
arrivò quando ormai non poteva più giovargli.
L’ultimo giorno di vita, alla sorella
Luciana, Pier Giorgio chiese di andare a prendere nel suo studio una scatola di
iniezioni che non aveva potuto recapitare a uno dei suoi poveri e volle
scrivere un biglietto con le indicazioni e l’indirizzo necessari.
È un biglietto che esprime visivamente la
tragedia: lo volle scrivere, ad ogni costo con le sue stesse mani già
tormentate dalla paralisi, e ne risultò un groviglio quasi inestricabile di
righe e di lettere. È il suo testamento: le ultime energie per l’ultima carità.
I funerali furono un accorrere di amici e
soprattutto di poveri; i primi a restare allibiti, al vederlo tanto amato e
tanto noto, furono i suoi stessi familiari che per la prima volta capivano dove
Pier Giorgio avesse veramente abitato nei suoi pochi anni di vita, nonostante
avesse una casa confortevole e ricca nella quale arrivava sempre in ritardo.
La commemorazione post mortem più inconsueta
e insospettabile è quella che gli dedicò il celebre socialista Filippo Turati.
Scrisse sul suo giornale:
Era veramente un uomo, quel Pier Giorgio
Frassati che la morte a 24 anni ghermì.. Ciò che si legge di lui è così nuovo
insolito che riempie di riverente stupore anche chi non divide la sua fede.
Giovane ricco, aveva scelto per sé il lavoro e la bontà. Credente in Dio,
confessava la sua fede con aperta manifestazione di culto, concependola come
una milizia, come una divisa che si indossa in faccia al mondo, senza mutarla
con l’abito consueto per comodità, per opportunismo, per rispetto umano.
Convintamente cattolico e socio della gioventù cattolica universitaria della
sua città, disfidava i facili scherni degli scettici, dei volgari, dei
mediocri, partecipando alle cerimonie religiose, facendo corteo al baldacchino
dell’Arcivescovo in circostanze solenni.
Quando tutto ciò e manifestazione tranquilla
e fiera del proprio convincimento e non esibizione ostentata per altri scopi, è
bello e onorevole.
Ma come si distingue la " confessione
" dalla " affettazione "? Ecco la vita è il paragone delle
parole e degli atti esteriori che valgono poco più delle parole Quel giovane
cattolico era anzitutto un credente.
(...) Tra l’odio, la superbia e lo spirito
di dominio e di preda, questo " cristiano " che crede, e opera come
crede, e parla come sente, e fa come parla, questo " intransigente "
della sua religione, è pure un modello che può insegnare qualcosa a tutti.
Forse Turati nemmeno sospettava che le
parole conclusive da lui usate per descrivere un convincente laico cristiano
(" agisce come crede, parla come sente e fa come parla ") sono
pressappoco quelle che la chiesa usa quando consacra i suoi ministri: questione
di " sacerdozio appunto. E i laici cristiani sono anch’essi sacerdoti in
forza del loro stesso battesimo.
C’è un’altra osservazione che è necessario
fare prima di concludere. Spesso ci sì sente rivolgere una domanda (che brucia
soprattutto il cuore dei cristiani che vivono in Piemonte): perché una terra
che sul finire del secolo scorso fu così ricca di " santi sociali " è
oggi così scristianizziata? Che cosa è accaduto? Dove la loro eredità non è
Stata accolta e vissuta?
Beatificando quest’ultimo torinese, un
giovane laico, la Chiesa sembra dare una risposta: bisognava (bisogna)
accogliere l’eredità di Pier Giorgio Frassati (e oggi può essere " il
momento favorevole ").
La santità di Pier Giorgio esprime infatti
un valore di continuità con la tradizione della sua terra e un valore di
novità: ed è questa sua funzione di " cerniera " (nel passaggio
epocale) che occorre saper cogliere.
Da un lato egli ha ereditato la più pura
tradizione dei santi piemontesi: si è innestato nel loro immenso lavoro di
difesa della fede, attraverso la carità profusa nel campo della emarginazione,
prodotta dall’allora nascente contesto industriale-urbano.
Dall’altro lato, egli però ha indicato il
nuovo: la necessità che la fede si confrontasse con tutto l’arco
dell’esperienza umana e " operasse caritatevolmente " in ogni ambito:
negli ambienti dell’università, del lavoro, della stampa (Pier Giorgio
raccoglieva abbonamenti non per il quotidiano di suo padre, ma per quello
cattolico), dell’impegno politico e partitico, e dovunque era necessario
difendere le libertà sociali, cercando sempre di concepire e fomentare
l’associazionismo, come " amicizia cristiana " destinata alla nascita
di un cattolicesimo sociale.
Mentre si apriva e si documentava l’era
della cristianizzazione di massa, Pier Giorgio intuì che occorreva riaprire la
questione del rapporto Fede-Opere: esso era tradizionalmente applicato al campo
caritativo - assistenziale - morale, bisognava estenderlo a tutte le opere
dell’uomo (dalla economia allo sport!), senza accettare limitazioni e spazi
precostituiti.
Di lui resta questa splendida confessione:
Ogni giorno di più comprendo quale grazia
sia l’essere cattolici. Vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere,
senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere ma vivacchiare... Anche
attraverso ogni disillusione dobbiamo ricordare che siamo gli unici che
possediamo la verità.
In un tempo di triste scristianizzazione, in
un tempo di nuova e gioiosa evangelizzazione abbiamo bisogno di uomini così
" persuasi ": laici, cioè cristiani, cioè santi.