S. Giovanni Battista De La Salle
Patrono degli Educatori
15 maggio 2000 – cinquantenario della proclamazione
24 maggio 2000 – centenario della Canonizzazione
Tratto dal libro: Jean
Baptiste De La Salle LA FORZA DI DARE LA VITA
Rigida
giornata di ottobre. Tirata da quattro cavalli fumanti, una carrozza percorre veloce
le strette vie di Reims. La precedono due cavalieri con ampio cappello piumato
e spada al fianco. Sul petto il blasone dei De La Salle: un gioco geometrico di
linee in campo azzurro.
La
carrozza entra nell’ampio portale del collegio nobile dei « Bons Enfants ». Un
servo si affretta ad aprire lo sportello. Divisa fiammante, occhi spauriti,
scende un ragazzino di 9 anni. Lo tiene per mano la madre ravvolta in uno splendido
vestito tutto pizzi e svolazzi.
Il
direttore, sigillato nella divisa nera, li riceve con un lieve inchino. Dopo
pochi minuti Jean Baptiste De La Salle è registrato tra i nobili convittori.
Riceve il suo posto nell’aula scolastica severa, passa la mano sui libri
ruvidi e grandi che gli faranno compagnia per, cinque anni di grammatica, due
di retorica e due di filosofia.
Ci
sono altri ragazzini accanto a lui, tutti con la divisa fiammante, tutti con
gli occhi spauriti. Il collegio « Bons Enfants » ha fama di scuola ottima e
rigida. I maestri sono severi. Persino nelle rare ricreazioni, quei ragazzini
di 9 anni saranno invitati imperiosamente a parlare in latino.
Ora
Jean Baptiste è seduto al banco per la prima lezione. Apre il grande libro,
sente la voce cantilenante del maestro..., e rivede la sua casa, la faccia
buona della nonna. I fratelli e le sorelline, a quest’ora, si staranno
rincorrendo per le sale del ricco palazzo, con tanto chiasso e allegria. Poi
verrà la serata lucente di mille candele, i musici che sui violini e i
clavicembali ricameranno le dolci melodie di Lulli e Frescobaldi.
Quand’era
più piccolo, la musica lo annoiava presto, e lui si arrampicava sulle ginocchia
della nonna. L’anziana signora dalla larga faccia buona se lo prendeva in
collo. Poi adagio, per non disturbare, lo portava di là in camera sua. Apriva
uno dei bei volumi del suo scaffale, e gli leggeva la vita dei Santi.
Jean
Baptiste ascoltava incantato la storia dei martiri gettati alle fiere, degli
antichi eremiti nelle caverne solitarie, del soldato Ignazio ferito sotto le
mura di Pamplona e toccato da Dio, del missionario Francesco Saverio che aveva
navigato fino alle Indie per portare la fede ai pagani.
Sulle
ginocchia della norma, anche Jean Baptiste aveva sognato di diventare santo:
nelle caverne degli eremiti, o sulle navi dei missionari in partenza per altri
mondi, o magari gettato alle fiere per amore di Gesù. Invece era stato gettato
in quel collegio severo. Chissà se si poteva diventare santi anche lì?
Intanto
che Jean Baptiste, nel 1660, inizia la sua dura fatica nel collegio dei « Bons
Enfants », attorno a lui la realtà è molto più dura.
Parigi,
la capitale della Francia, ha soltanto 300 mila abitanti. La Francia intera è
abitata da 17 milioni di persone. Quarant’anni dopo, alla fine del secolo, gli
abitanti della Francia saranno solo 14 milioni. Fame, guerra, peste, carestia
stanno devastando non solo la terra francese, ma l’Europa intera.
Dal
1618 al 1648, la terribile Guerra dei Trent’anni ha devastato la Germania,
l’Olanda, la Francia, la Spagna. Anche dopo la pace (1648), la Francia ha
continuato per conto suo la guerra contro la Spagna per altri 10 anni. Nel 1658
(due anni prima che Jean Baptiste entri nel « Bons Enfants »), tra le spiagge e
le dune di Dunkerque, l’esercito francese guidato da Turenne ha disfatto sanguinosamente
l’armata spagnola.
La
Germania, dalla Guerra dei Trent’anni, è uscita distrutta: la popolazione
scesa da 20 milioni di persone a sei-sette milioni, la vita rinselvatichita, i
briganti che spadroneggiano su zone vastissime.
In
Francia, i vagabondi mendicanti sono folle che si trascinano per le strade:
contadini senza terra, artigiani, senza lavoro, donne senza famiglia, bambini
senza nessuno, che vanno verso le città, specialmente verso Parigi. Campano (se
campano) tendendo la mano davanti alle chiese e ai palazzi dei nobili. Si
calcola che in quel 1660 i vagabondi mendicanti in Francia siano 2 milioni (su
17 di popolazione), a Parigi 40 mila, a Rouen (su 26 mila abitanti) 12 mila.
In
quel 1660, mentre Jean Baptiste si curva con impegno sui libri al « Bons
Enfants » di Reims, c’è un uomo, un santo, che consuma gli ultimi mesi di vita
per arginare il dilagare della miseria in terra di Francia. Si chiama Vincenzo
de’ Paoli. Non è di famiglia nobile, ma figlio di un allevatore di porci. Solo,
senza eserciti e senza tesori, questo piccolo uomo dalla faccia pallida ha
organizzato una rete di carità che lascia sbalorditi. Ha raggiunto e soccorso
galeotti, ignoranti, orfani, poveri, ammalati. Ha inventato gli ospedali e le
suore degli ospedali. Il nobile Jean Baptiste De La Salle sentirà presto
parlare di questo santo plebeo, e sulla strada da lui tracciata farà un lungo
cammino.
1662.
Jean Baptiste compie 11 anni. Ha studiato intensamente, durante questo tempo,
e la sua intelligenza si è rivelata vivida e pronta. Ma non ha solo studiato.
Nella cappella, dove ogni giorno si assiste alla santa Messa, ha imparato a
parlare con Dio. Con rispetto, ma con confidenza. Ha capito che la vita l’ha
ricevuta da lui, e che non può spenderla come una cosa qualunque. Fissando a
lungo Gesù crocifisso, morto per nostro amore, un giorno gli ha detto:
«
Tu hai dato la tua vita per me. Anch’io voglio darla per te ».
In
un incontro con papà e mamma, chiede loro di poter diventare sacerdote. È una
domanda strana, per quel tempo. Il primogenito delle famiglie nobili deve
continuare la professione del padre, prendere il suo posto come capo-famiglia
ed ereditare i suoi titoli, quando egli viene a mancare. Sono i figli minori
che possono lasciare la casa, per entrare nell’esercito o nel seminario.
Ma
i De La Salle sono cristiani sul serio. E quando capiscono che la richiesta di
Jean Baptiste non è un capriccio, ma una scelta profonda e pensata, accettano.
11
marzo. Jean Baptiste riceve la tonsura. In questa cerimonia il vescovo
recideva al giovane un piccolo ciuffo di capelli. Era un segno: il ragazzo cominciava
a rinunciare alla moda, all’eleganza eccessiva, per preparare la sua donazione
al Signore. Il vescovo lo considerava una « promessa » della comunità cristiana
da seguire con attenzione, e anche da aiutare in momenti di difficoltà.
Lo
zio di Jean Baptiste, Pierre Dozet, è cancelliere dell’Università e canonico
della cattedrale di Reims. Ha seguito i brillanti studi del nipote durante i
cinque anni di grammatica e i due di retorica. Ha assistito con fierezza a una
sua gara di cultura. Decide che, appena possibile, gli cederà il titolo di «
canonico ».
17
gennaio 1667. A soli 16 anni, Jean Baptiste De La Salle, avvolto in mantello
violaceo, entra nel coro dei canonici e prende posto in uno stallo. Fa
malinconia descrivere cos’era a quei tempi un canonico. Per recarsi ogni giorno
nel coro a pregare per il popolo di Dio (questo è il compito del canonico)
doveva essere di famiglia nobile, riceveva un lussuoso stipendio, aveva al suo
servizio carrozze e cavalli.
Cristo
aveva detto ai primi che volevano seguirlo:
«
Badate che non posseggo nemmeno un sasso dove posare il capo di notte ». In
quel tempo si diceva invece: « Se diventi canonico, possederai carrozze e
servi, e avrai un alto stipendio ». Jean Baptiste accetta di diventare
canonico, ma riesce a rimanere un buon cristiano. Lo stipendio non gli
interessa. Va ogni giorno a pregare per prepararsi meglio ad essere sacerdote,
e continua una rigida vita di studio iscrivendosi all’Università di Reims.
490
persone per il pranzo del re
Da
9 anni, intanto, la Francia è governata da Luigi XIV. Ha preso per suo emblema
il sole nascente questo giovane re, e viene chiamato per lo splendore della sua
corte « il re sole ».
Si
è impossessato del pieno potere a soli 18 anni, e governa come un dittatore
assoluto. Si è dichiarato « fonte della legge e della giustizia », capo
dell’amministrazione statale e condottiero degli eserciti. Può imporre tasse
senza il consenso dei sudditi, può imprigionare e condannare senza giudizio
di tribunali.
Luigi
XIV è letteralmente « adorato » dalla corte dove si danno convegno nobili,
feudatari, letterati, artisti. La sua levata è un rito: dura due ore e ogni
indumento gli viene presentato da un nobile (la camicia gli è consegnata solo
da un principe). Durante la Messa i cortigiani voltano la schiena all’altare e
il volto al re. Il pranzo è ugualmente un rito complicato: ogni piatto viene
portato da un gentiluomo preceduto da una guardia e da un maggiordomo, e
seguito da tre guardie armate di fucile. Per il solo servizio di mensa del re,
sono impiegate 490 persone.
Tutta
quella folla di nobili oziosi e mantenuti a spese dello stato, è un insulto e
un peso insopportabile per la povera gente.
Nel
1665, dopo aver speso somme ingentissime per rafforzare l’esercito, Luigi XIV
ha ricominciato le guerre. Per tre anni Spagnoli e Francesi sono tornati a
dilaniarsi in battaglie sanguinose, a devastare le campagne. I raccolti sono
perduti, si ricomincia a morire di fame. Alle porte di Parigi continua uno
spaventoso mercato di bambini, con prezzi che variano da 8 soldi a una lira
ciascuno. Sono venduti a dei mendicanti che li storpiano per eccitare la pietà
dei passanti, o a stregoni per le loro arti magiche.
Anche
la religione cattolica attraversa un periodo di grave decadenza. I vescovi
(quasi tutti di nobile famiglia) abbandonano le diocesi e si trasformano in
cortigiani del re. La corte di Versailles, che assiste ogni giorno alla Messa
guardando non l’altare ma il sovrano, le comunioni mescolate a una vita di
ozio e di vizio, i vescovi che lasciano le diocesi ai « vicari » per vivere a
Versailles, la gente dei campi costretta a pagare « rendite » ingenti ai nobili
e ai vescovi « sono — afferma Joseph Lortz —
un dileggio del comandamento cristiano, e spesso fanno apparire la
professione cattolica un’ipocrisia ».
Ma proprio mentre questa decadenza religiosa raggiunge forme squallide, all’interno della Chiesa di Francia inizia un profondo rinnovamento spirituale. Figure come il nobile Francesco di Sales e il plebeo Vincenzo de’ Paoli hanno tracciato la strada: ritorno alla vita di preghiera per incontrare Dio, e ritorno all’amore concreto per i poveri.
Il
seminario di Saint Sulpice, al centro di un quartiere popolare di Parigi,
diviene il punto centrale di questo rinnovamento. Qui vengono formati (da
uomini formidabili come il card. de Bérulle e l’Olier) i migliori candidati al
sacerdozio, che porteranno la Chiesa di Francia a una rinascita fiorente.
Jean
Baptiste De La Salle entra in Saint Sulpice nel 1670, a 19 anni. La regola è
rigida: levata alle 4 del mattino, frequenza alle lezioni di teologia presso
l’Università della Sorbona (l’università più celebre del mondo), lunghi tempi
di preghiera e di raccoglimento, riposo alle 8 di sera.
Jean
Baptiste è condotto dal direttore spirituale, abate Louis Tronson, a una vita
serena ma decisa di povertà, obbedienza, distacco dal mondo. Nei lunghi spazi
di silenzio parla con Dio. Andando e tornando dall’università è assalito dalla
moltitudine di mendicanti che tendono la mano. È un impatto così scioccante con
la miseria che ne rimane sconvolto.
Ma
la povertà non la incontra solo per le strade. L’abate Tronson vuole che i suoi
seminaristi (quasi tutti di famiglia nobile) la sentano sulla loro pelle.
Devono scopare la casa, lavare i piatti e le pentole, pensare alle pulizie. «
Bisogna vivere come i poveri, per capire i poveri », ha detto Vincenzo de’
Paoli.
Nei
18 mesi che passa in seminario, Jean Baptiste può farsi un quadro completo
della vita che conducono i ragazzi del popolo. Alla domenica, insieme ad altri
suoi amici, percorre le strade del quartiere in cerca di ragazzi. Li scova in
viuzze strette, umide, in case scomode e malsane. Quei ragazzi hanno gli occhi
spenti. Se li trascina dietro a giocare, racconta loro le splendide storie dei
santi, e lo ascoltano come incantati. Ma quando porge loro qualche libretto
perché leggano, scuotono il capo. Non sanno né leggere né scrivere, e non hanno
nessuna prospettiva di poterlo imparare.
Ci
sono scuole in città, ma solo a pagamento. I poveri sono tagliati fuori: senza
la capacità di leggere, di scrivere, di usare i numeri, hanno pochissimi mezzi
per difendere i loro diritti.
Nel
seminario si sente l’urgenza di aprire scuole gratuite per portare l’istruzione
ai poveri. Accanto alla chiesa parrocchiale si prova ad aprire la École Paroissiale (Scuola Parrocchiale)
interamente gratuita, con maestri stipendiati dal parroco. Ma i maestri sono
spesso incapaci di tenere a freno quella turba irrequieta di ragazzi. La scuola
ha alti e bassi, periodi di fioritura e periodi di crisi. Jean Baptiste la
segue con interesse. È il primo spiraglio che si apre sulla missione che Dio
sta per affidargli.
19 luglio
1671. È uno dei giorni più tristi nella vita di Jean Baptiste: muore sua madre.
Nove mesi dopo, il 19 aprile 1672, inaspettatamente muore anche suo padre. I
sette figli dei De La Salle sono orfani.
Jean
Baptiste lascia immediatamente il seminario di Parigi e torna a Reims. Come
primogenito (ha solo 20 anni) deve prendere in mano la direzione della casa,
dedicarsi all’amministrazione del patrimonio familiare, occuparsi dell’educazione
dei fratelli e delle sorelle: Louis ha 8 anni, Pierre 6.
È
un’esperienza decisiva per Jean Baptiste. Dalla vita « pensata » deve passare
nello spazio di 24 ore alla vita « vissuta ». Deve affrontare e risolvere
notevoli problemi organizzativi e direttivi. Una severa lezione che tempra il
suo carattere e lo fa diventare « adulto » in brevissimo tempo. C’è il problema
del sacerdozio. Deve lasciarlo, dopo tanti anni di preparazione? Lo spingono in
questa direzione parenti e amici. Ma vuoi pensarci con calma prima di decidere.
Passati i primi mesi durissimi, va a confidare il suo dubbio a un prete amico,
l’abate Nicolas Roland. Ha solo una trentina d’anni, Roland, ma è un saggio. Ha
dedicato tutta la vita a Dio, e una santità concreta e senza tentennamenti
traspare da ogni sua azione.
Sente
le parole di Jean Baptiste, ci riflette, poi dice:
«
La risposta devono dartela i fatti. Se i tuoi hanno veramente bisogno di te,
allora Dio devi cercarlo nella tua famiglia. Ma se ti accorgerai che possono
fare senza di te, allora Dio continua a chiamarti per la strada del sacerdozio.
Non badare alle chiacchiere di chi ti sta intorno ».
Col
passare dei giorni i fatti danno la risposta. Remi, il fratello secondogenito
che ha 19 anni, e Marie che ne ha 18, danno una buona mano agli affari di
famiglia. E lui, pur adempiendo tutti i suoi doveri di fratello maggiore, può
proseguire con una certa continuità gli studi.
E
adesso, che farai?
9
aprile 1678. È sabato santo, vigilia di Pasqua. Nella cattedrale di Reims,
rivestito di camice bianco, Jean Baptiste si prostra con la faccia a terra, davanti
all’altare. L’organo intona le note maestose delle « Litanie dei Santi ».
L’arcivescovo Le Tellier invoca a uno a uno i grandi Santi della Chiesa:
Pietro, Paolo, Benedetto, Francesco... Poi pone le sue mani sulla testa di quel
giovane uomo, e invoca lo Spirito Santo che venga ad imprimere nella sua anima
il sigillo sacerdotale.
Quando
si alza per ricevere l’abbraccio del suo vescovo, Jean Baptiste De La Salle è
sacerdote. Si è fatto un uomo alto e slanciato, Jean Baptiste. Ha la fronte
spaziosa, il volto aperto e franco. Porta i capelli lunghi, secondo l’usanza
del tempo. Gli occhi azzurri sanno sorridere, ma sanno anche esprimere forza e
decisione.
Il
giorno dopo, nella Pasqua della Risurrezione, celebra la sua prima Messa. Gli
sono accanto le sorelle, i fratelli e la vecchia nonna dalla faccia larga e
buona, che da piccolo lo prendeva in collo e gli leggeva la vita dei Santi.
Mancano tanto mamma e papà. Li ricorda a lungo al « memento» dei morti, e gli
pare che siano lì, nell’aria, come le fiamme dei ceri che bruciano crepitando
adagio.
In
quella prima Messa lo assiste il suo grande amico, l’abate Nicolas Roland. Ha
la faccia pallida e tiratissima. Al termine del rito, mentre Jean Baptiste
ancora commosso si toglie la pianeta, Nicolas lo richiama rudemente alla
realtà:
E
adesso che farai?
Non
so — mormora —, non ci ho ancora pensato.
Te
lo dico io —. Nella voce debole di Nicolas, c’è una forza grande. — Verrai a darmi una mano presso le Suore del
Bambino Gesù. Ci sono quattro scuole per fanciulle povere minacciate di
chiusura. Bisogna salvarle e tirare avanti. Ti aspetto domani.
La ricchissima nobildonna Jeanne De Maillefer era conosciuta nella regione di Rouen per la sua bellezza e la sua vanità. Nei salotti della nobiltà si sussurrava anche delle sue stranezze: si era fatta scolpire una statua-manichino dalle perfette proporzioni del suo corpo, e passava il tempo a studiare l’effetto dei nuovi vestiti e di acconciature sofisticate.
In
un pomeriggio inoltrato si presentò alla porta del suo palazzo un poveraccio
con il volto segnato dalla fatica e dalla fame. Chiedeva di poter passare la
notte al riparo, perché si sentiva morire. Fu la nobildonna stessa a cacciano
via, nauseata dalla sua sporcizia puzzolente.
Ma
un cocchiere ne ebbe pietà. Senza che la padrona ne sapesse niente, lo fece
riposare sulla paglia asciutta, in un angolo della scuderia.
Durante
la notte il poveruomo morì.
Il
cocchiere ebbe l’ingrato compito di avvisarne la padrona. La « nobildonna » ebbe
una mezza crisi isterica:
strillò,
lacerò pizzi e merletti, pestò i piedi, minacciò di licenziare il cocchiere, e
come ossessionata gridava:
—
Un morto in casa mia! Non lo voglio, non lo voglio! Portatelo via!
—
Ci vuole qualcosa per seppellirlo — ebbe il coraggio di mormorare il cocchiere.
La
signora afferrò il primo lenzuolo che gli capitò a portata di mano e glielo
gettò:
—
Per un mendicante può bastare! E adesso, fuori!
Il
poveraccio morto sulla paglia fu sepolto quel giorno stesso, ravvolto soltanto
in quel lenzuolo.
Ed
ecco il fatto stranissimo che si verificò il giorno seguente. Quando madame De
Maillefer si recò in sala da
pranzo,
trovò accuratamente piegato e deposto sulla tavola un lenzuolo. Lo afferrò:
aveva ai bordi le sue cifre, ed era identico a quello che aveva gettato per
seppellire il mendicante.
Nuova
crisi isterica. Il cocchiere e gli altri servi sono chiamati tra strilli e
minacce. Guardano il lenzuolo. Sembra proprio quello usato per la sepoltura. Ma
tutti giurano di non sapere come mai si trovi lì. Madame impallidisce, strabuzza
gli occhi e cade svenuta.
Un’idea
le mantella la mente da quel giorno: « il mendicante ha rifiutato la mia
elemosina fatta con rabbia, e mi ha rimandato dall’altra vita il lenzuolo ».
Fa
chiamare padre Barré, un santo religioso conosciuto in tutta la Normandia
perché ha aperto delle scuole per i poveri. Madame gli racconta tremando ogni
cosa.
—
Signora — le dice franco padre Barré —, io non credo tanto facilmente ai miracoli.
Quel lenzuolo sulla tavola da pranzo può essere stato un macabro scherzo di
uno dei suoi servi. Ma nel Vangelo, Cristo ha detto che ciò che facciamo ai
piccoli, ai miserabili, lo facciamo a lui. Respingendo in modo villano quel
mendicante, lei ha respinto Cristo in persona. Lenzuolo o non lenzuolo, è ora
che lei cambi vita, se non vuole che Dio la giudichi molto severamente.
— E
che debbo fare?
—
Si guardi attorno. C’è tanta miseria da piangere. E lei sciupa i soldi in
vestiti e in parrucche. Ci sono centinaia di bambine e di bambini per le
strade, senza scuola, che imparano a rubare e a fare il male.
—
Mi presenti un progetto preciso, padre. Non la deluderò.
—
Spero che sia Dio a non rimanere deluso di lei, madame.
Padre
Barré presenta in brevissimo tempo il suo progetto, e madame De Maillefer lo
adotta. Scuole gratuite vengono aperte nella periferia di Rouen. A Parigi, in
via San Mauro, viene istituito un « noviziato » per suore-maestre, che
intendono dedicare la vita alla scuola delle bambine povere. Padre Barré dà ad
esse il nome di « Suore del Bambino Gesù ».
Anno
dopo anno, escono dal noviziato suore-maestre che vanno ad aprire scuole
gratuite nelle principali città della Francia.
La
famiglia di madame De Maillefer è originaria di Reims, ed essa prega un giorno
padre Barré, di pensare anche a quella città. Il padre si mette in contatto con
l’abate Nicolas Roland. Invia lassù quattro suore. Vi trovano una casa per
abitare e quattro scuole da far funzionare nei rioni più poveri di Reims.
Nicolas
Roland, però, non è riuscito a ottenere l’approvazione della nuova opera dal
Consiglio comunale: « Le opere religiose sono troppe — si dichiara in municipio
—. Il bilancio comunale non può far fronte alla richiesta di nuovi sussidi ».
Roland spiega più volte che « quelle » suore sono diverse da tutte le altre:
sono venute non per aprire collegi per i nobili o per i borghesi, ma per la
povera gente. Se non ricevono un sussidio, devono andare a elemosinare il pane
per sopravvivere.
Niente
da fare. L’unica persona che potrebbe intervenire con autorità per far mutare
opinione all’amministrazione cittadina è il potente arcivescovo Le Tellier. Ma
è purtroppo uno di quei vescovi che abitano più alla corte di Luigi XIV che
nella loro diocesi. Quell’inverno, per esempio, l’ha trascorso quasi
interamente a Versailles.
Quindici
minuti che costano una vita.
L’abate
Roland, che aveva assoluto bisogno di parlare con lui, ha fatto anticamera
quasi ininterrottamente dalla fine del novembre 1677 ai primi di aprile 1678.
Non volendo perdere il posto nella lunga fila dei postulanti, per quattro mesi
ha passato la mattinata nella gelida anticamera arcivescovile. Si nutriva con
del pane portato nella borsa, si rannicchiava in un angolo e aspettava.
Quelle
lunghe attese nel freddo gli hanno procurato una tosse convulsa che gli spezza
i polmoni. La faccia è tiratissima, gli occhi cerchiati di nero.
Solo
all’inizio di aprile l’arcivescovo Le Tellier ha tempo di ricevere quell’abate
cocciuto. Tra un’esplosione e l’altra di tosse, Roland implora il suo
intervento per la sopravvivenza delle suore dei poveri. L’arcivescovo promette
che s’interesserà della cosa. Quindici minuti, e Nicolas Roland è nuovamente
alla porta. Quei quindici minuti gli sono costati quattro mesi di attesa, e gli
costeranno la vita.
Pochi
giorni dopo, il 10 aprile, assiste alla prima Messa del suo amico Jean
Baptiste, e lo chiama a dargli una mano; una delle ultime cose che può fare:
dieci giorni dopo un’emorragia violenta lo stronca a 33 anni.
Nel
suo testamento indica il canonico De La Salle come erede della sua opera, e lo
prega di fare tutto il possibile perché le scuole per le bambine povere non
debbano chiudere.
Gli
oppositori alle scuole gratuite per i poveri sono i maestri che insegnano nelle
« petites écoles » governative, dove si entra pagando una retta, e sono anche i
« maestri scrivani », fino a pochi anni prima insegnanti di calligrafia e ora
(soppiantati dalla diffusione della stampa) impegnati presso le famiglie
private come maestri, o impiegati in scuole private a pagamento.
Jean
Baptiste si pone con energia nell’opera lasciata a metà da Roland.
All’arcivescovo e agli amministratori comunali traccia un quadro realistico
della situazione dei ragazzi:
«
Gli artigiani e i poveri lasciano i loro figli in stato di abbandono fino al
momento in cui li possono impiegare in qualche lavoro. Gli stabilimenti dove il
lavoro è organizzato, tengono gli uomini lontani da casa per quasi tutta la
giornata, con orari e stipendi spesso penosi. Anche le mamme compiono spesso
lavori fuori casa. Così i figli vivono nelle strade, in piccole bande, finché
non hanno l’età sufficiente per lavorare.
A
questa triste situazione si può rimediare mediante le scuole cristiane, in cui
si insegna gratuitamente e solo per la gloria di Dio. Qui gli alunni possono
rimanere tutto il giorno: imparano a leggere, a scrivere e imparano i primi
rudimenti della religione ».
Conclude
con parole drammatiche: « Il rifiuto di continuare le scuole dove sono educate
più di mille ragazze povere, significa rendersi responsabili del loro
traviamento.
E’
vergogna, disonore e triste responsabilità per i tutori del bene pubblico ».
Le
autorità si arrendono. L’arcivescovo risponde con parole di elogio per lo
scomparso abate Roland, e assicura che solleciterà l’approvazione stessa del re
Luigi XIV, che renderà intoccabile l’opera.
L’approvazione
ufficiale del re giunge il 17 febbraio 1679.
Jean
Baptiste crede che il suo futuro sia ormai legato per sempre a questa opera.
Invece, appena giunta l’approvazione reale, l’arcivescovo nomina un altro prete
« superiore per le scuole del Bambino Gesù ». Il Signore non chiama il canonico
La Salle alle scuole femminili.
Trenta
giorni dopo, un mattino di marzo. Jean Baptiste si reca a celebrare la Messa
dalle Suore del Bambino Gesù (dove è sempre ben accolto). Sulla soglia della
casa, in attesa che qualcuno apra loro la porta, stanno un signore sui
cinquant’anni, dal sorriso timido e buono, e un ragazzotto sui quindici anni.
Quel signore è Adrien Niel. Aiutato dalla signora De Maillefer ha aperto scuole
per ragazzi poveri a Rouen. Ora egli giunge a Reims con due lettere di madame
Maillefer. Una è indirizzata alla superiora, suor Francoise Duval, la seconda è
per il canonico La Salle.
In
esse, la nobildonna espone la sua soddisfazione per il bene che le suore stanno
facendo per le bambine di Reims, ma si rammarica che non si faccia ancora nulla
per i ragazzi. Per questo manda il maestro Niel e un suo aiutante. Domanda al
canonico di dare loro una mano per aprire una prima scuola per ragazzi. Al
denaro occorrente, penserà lei da Rouen.
Jean
Baptiste tende la mano al maestro Niel e all’aiutante:
—
Sarò lieto di mettermi a vostra disposizione per un’opera così importante.
Ora
Niel dovrebbe andare a prendere alloggio presso l’abate Dubois, un fratello di
madame Maillefer che abita in Reims. Ma De La Salle gli dice:
—
Se accetta un mio consiglio, è meglio che non vada dall’abate Dubois. Egli è
amico di molti maestri che insegnano nelle « petites écoles ». Appena essi
sapranno del vostro arrivo, vi faranno guerra per paura che rubiate loro gli
scolari. In questo caso aprire la scuola diventerà terribilmente difficile.
Venite ad alloggiare a casa mia.
Nei
giorni seguenti, il canonico La Salle si mette al lavoro, con la sua calma e la
sua tenacia. Avvicina le autorità, parla delle condizioni disastrose dei
ragazzi abbandonati nelle strade di Reims, propone l’apertura di una prima
scuola « sperimentale ». In tre settimane riesce a ottenere il consenso di
tutti.
13
aprile 1679. Il parroco di San Maurizio, in un quartiere popolato di povera
gente, affida al maestro Niel la direzione di una scuola gratuita per ragazzi.
La classe è gremitissima fin dal primo giorno, come un segnale di partenza.
Tutti si accorgono all’improvviso dell’urgenza di aprire scuole. Una ricca
signora di Reims comunica al La Salle e al Niel che è pronta a finanziare una
scuola per ragazzi poveri nel suo rione. La seguono altre. Nello spazio di sei
mesi, vengono aperte cinque scuole, per le quali i maestri.., devono essere
quasi improvvisati.
E’
questo il grave problema che si presenta al La Salle:
dove
trovare i maestri? Quelli che girano in cerca di un posto e di uno stipendio,
nella maggior parte dei casi sono delle caricature di maestri. Non sanno nulla
sul come trattare i ragazzi. Hanno studiato il minimo indispensabile per leggere,
scrivere e usare i numeri. Si sono rassegnati a fare quel mestiere perché non
hanno trovato un posto nell’amministrazione statale o nel commercio.
Il
parroco di San Maurizio ha alloggiato all’inizio i maestri delle nuove scuole
in casa sua. Ma quella gente rozza, rumorosa, spesso avvinazzata, gli ha fatto
perdere la pazienza. Vuole disfarsene a tutti i costi. Jean Baptiste, nel
Natale del 1679, sistema i maestri in una casa vicina alla sua. Cerca di dar
loro un regolamento, va spesso a passare qualche ora con loro, discute.
E’
in queste conversazioni che comincia a emergere il contrasto di fondo tra il
canonico La Salle e i maestri del tempo. Jean Baptiste è già guidato da quelle
convinzioni che faranno di lui l’iniziatore di una pedagogia (= scienza e arte di educare i ragazzi) nuova,
di una maniera diversa di capire e trattare i ragazzi.
Per
quei maestri (e per la stragrande maggioranza dei loro colleghi) il ragazzo è
più un animaletto da addomesticare che una persona fornita di diritti e di
doveri. Lasciato a se stesso, si pensa in quel tempo, il ragazzo non può che
commettere del male. Bisogna quindi «mettergli buone briglie sul collo»,
tirarlo su con rigorosa severità, urlacci e bacchettate.
Per
il canonico La Salle il ragazzo è tutt’un’altra cosa:
una
persona da formare, una freschezza innocente da custodire e incoraggiare, un
figlio di Dio da rispettare e da amare. Il ragazzo non è la disperazione
dell’educatore, ma «la speranza, la gioia, il motivo della sua gloria ».
Jean
Baptiste vorrebbe che Niel si interessasse a formare i maestri: le scuole diventano quasi inutili se loro sono
ignoranti e rozzi. Ma Niel non se la sente: il suo entusiasmo lo porta a
iniziare dovunque nuove scuole, ma non ha l’autorità né la costanza per
diventare « maestro dei maestri ». La Salle è preoccupato: se non si risolve
questo problema, le nuove scuole saranno un fuoco di paglia che si spegnerà
rapidamente.
Si
reca da padre Barré, gli espone la situazione e gli domanda:
— A
chi debbo affidare la formazione dei maestri?
— A
nessuno — risponde deciso il padre —. Deve formarli lei stesso. .! questa la
missione che Dio le affida. Li ospiti in casa sua, faccia una famiglia con
loro. E sia deciso a scartare quelli che non sono adatti. I suoi maestri devono
servire Cristo presente nei poveri. Cristo non si può servire con degli scarti.
Jean
Baptiste rimane sorpreso da queste parole, ma obbedisce. Se questa è la volontà
di Dio, la seguirà a qualunque prezzo.
Nel
giugno del 1680 i maestri entrano come ospiti nel palazzo dei La Salle. Jean
Baptiste li fa sedere alla sua mensa, vive con loro, perfeziona la loro
istruzione, li incoraggia ad essere sempre più degni della missione a cui si
sono votati. Così, giorno dopo giorno, egli diventa il loro animatore e il loro
sostegno.
1681.
Niel se ne va. Segue la sua vocazione di « seminatore » entusiasta, e si reca
a fondare nuove scuole per i poveri nella città di Guise. Ora tutto il compito
di seguire le scuole di Reims è sulle spalle del canonico La Salle. E si sta
levando una grande burrasca. I fratelli e i parenti hanno accettato di
malavoglia l’entrata nel loro palazzo di quei rozzi maestri. Vi si sono
adattati credendola una soluzione provvisoria. Ma più il tempo passa, più si
dimostrano ostili verso Jean Baptiste. Insistono che mandi fuori dei piedi
quella gente che non ha niente a che fare con la famiglia.
24
giugno 1682. La Salle accetta di far uscire dal palazzo i maestri, ma esce con
loro. Abbandona per sempre la sua famiglia. Ha affittato una casa povera nel quartiere
di San Remigio e vi si trasferisce con i maestri. Il 24 giugno è ancor oggi
ricordato dai « Fratelli delle Scuole Cristiane » come il giorno della loro
nascita.
Nel
1680 Luigi XIV, dopo aver rafforzato i suoi eserciti fino a farli diventare i
più potenti d’Europa, ha ricominciato la guerra. Per anni, le province del Nord
sono sconvolte dai suoi « colpi di mano » che vogliono ingrandire il territorio
della Francia a danno degli stati confinanti.
Passaggio
di truppe armate, improvvise battaglie. Dalle campagne devastate e incendiate,
gruppi di famiglie e di sbandati si muovono di nuovo verso le città.
Ordini
severi sono stati impartiti dalle autorità per fermare queste « ondate di
miseria ». Le compagnie armate della polizia, alle porte delle città, non
esitano a sparare sui miserabili in marcia. Ma il più delle volte è la folla
dei cenciosi a travolgere gli sbarramenti della polizia e ad allargare vie e
piazze con la sua miseria.
Si
installano davanti alle chiese, ai teatri, ai palazzi, alle scuole. Chiedono
l’elemosina a voce alta, a volte circondano minacciosamente i passanti.
E
riprende il triste mercato dei bambini abbandonati, che vengono venduti e
comprati per fare dei piccoli storpi, che eccitino maggiormente la pietà della
gente.
Nella
casa di San Remigio, in Reims, i giovani maestri che vivono con La Salle sono
una ventina. La comunità si organizza con uno stile di vita religiosa. Si
ritrovano alla sera, al termine della scuola, fanno cena insieme e dedicano le
ore prima del riposo alla preghiera, allo studio, alla preparazione della
scuola.
Alcuni
non resistono a questa vita « da monaci» e abbandonano. Ma altri giovani maestri,
formati nella comunità, partono a fondare nuove scuole: a Rethel, a Laon, a
Guise.
La
povertà si fa di mese in mese più dura per tutti. Nel 1684 guerra e carestia
hanno distrutto il raccolto, le strade sono più affollate che mai di
mendicanti. Jean Baptiste raccomanda ai suoi la confidenza in Dio: «
Continuiamo a servire i poveri, e la Provvidenza non ci abbandonerà ».
Alcuni
giovani maestri, però, sono inquieti per il loro avvenire. Potrebbero trovare
buoni impieghi presso famiglie nobili, come precettori. Continuare a far
scuola ai poveri vuol dire chiudersi ogni possibilità di carriera.
Quelle
parole sono come una frustata. Il canonico La Salle capisce che sono vere. Come
può incoraggiare a confidare nella Provvidenza i suoi discepoli se non
rinuncia lui per primo alle sue ricchezze?
Durante
i primi mesi del 1684 vende ogni cosa che gli appartiene, dai terreni ai
gioielli di famiglia. Con l’aiuto dei suoi maestri distribuisce tutto il
ricavato ai poveri, con oculatezza e senza far chiasso. Ai ragazzi più poveri
delle scuole consegnano delle somme da portare ai genitori. Portano aiuti alle
famiglie disagiate che hanno vergogna a mostrare in pubblico la loro povertà.
Preparano cibo caldo per le lunghe file di mendicanti che girano per la città.
Jean
Baptiste rinuncia anche al canonicato. Non vuole avere uno stipendio fisso.
In
fila con i poveri.
Parole
come frustate
Una
sera Jean Baptiste, nel momento della preghiera, legge e commenta ai suoi un
brano del vangelo di Matteo:
«
Disse il Signore: Non preoccupatevi troppo della vita terrena, per ciò che
mangerete o berrete, né per il vostro corpo di come vestirete. Guardate gli
uccelli del cielo: essi non seminano, non mietono, non mettono il raccolto nei
granai, eppure il Padre vostro che è in Cielo li nutre. Voi non siete forse
molto più importanti di loro? Perciò, non preoccupatevi troppo per il domani
».
—
Sì, certo — dice a bassa voce uno dei più giovani —, questa è la parola di Dio.
Ma come può capirla e insegnarla uno come lei? Lei è ricco, ha palazzi e
rendite che la garantiscono contro ogni imprevisto.
Quando
non ebbe proprio più nulla, padre La Salle (come ora lo chiamavano) volle anche
provare sulla sua pelle l’umiliazione dei poveri: per più giorni andò a
mendicare insieme ai miserabili, mettendosi in fila con loro. Visse di pane e
acqua avuti in elemosina.
Ora
poteva parlare di povertà senza arrossire. E poteva invitare i suoi maestri a
dedicarsi con più generosità al Signore.
Nel
mese di aprile radunò attorno a sé il gruppo dei più impegnati e propose di
consacrare la vita ai ragazzi poveri, facendo voto al Signore di vivere nella
sottomissione, nella povertà e nella castità. Avrebbero rinunciato a farsi una
propria famiglia terrena, ma avrebbero vissuto insieme, considerando come figli
spirituali i ragazzi poveri che il Signore mandava alle loro scuole.
Ci
pensarono seriamente in un ritiro spirituale che durò 18 giorni.
Il
9 maggio pronunciarono alla presenza di Dio la solenne promessa di vivere
obbedienti, poveri e casti. Poi andarono a piedi fino al Santuario della
Madonna di Liesse, a domandare la forza di vivere come avevano promesso.
Il
24 giugno 1682 aveva visto la nascita della prima comunità dei « Fratelli delle
Scuole Cristiane ». Il 9 maggio 1684 vide la loro prima consacrazione al
Signore.
L’inverno
del 1685 è rigidissimo. Il sindaco di Reims, che vede ogni mattina i maestri
recarsi frettolosamente verso la loro scuola sotto la pioggia e la neve,
provvede a tutti un rozzo mantello, lo stesso che portano sulle spalle i contadini
dello Champagne. Nasce così, dalla povertà e dall’elemosina, la divisa
ufficiale dei Fratelli.
Jean
Baptiste De La Salle ha scelto per sé la cameretta più scomoda, proprio sotto
il tetto, dove ogni mattina alzandosi deve fare attenzione per non picchiare
la testa contro le travi del soffitto. L’abito più rattoppato e stinto è sempre
il suo. Ma sente ancora un certo disagio ad essere l’unico sacerdote in questa
famiglia di Fratelli tutti uguali. Teme di essere un privilegiato.
Un
giorno egli raduna la comunità e si dimette dalla carica di superiore. Prega
fratello Henri L’Heureux di accettare la direzione generale delle opere. Henri
è stimato da tutti, e, preso alla sprovvista, finisce per accettare.
Nei
giorni seguenti, Jean Baptiste sostituisce nella scuola un fratello stanco,
prepara e sprepara le tavole, sbriga i servizi più faticosi. Ed è enormemente
contento.
Ma
fratello Izlenri non è persuaso di questo cambiamento repentino. Avverte
l’arcivescovo e ne chiede il parere. Dall’arcivescovado arriva a breve giro di
posta una lettera personale di mons. Le Tellier: padre La Salle è pregato di riprendere
immediatamente il suo posto.
24
febbraio 1688. La vita di padre La Salle e dei suoi Fratelli subisce una svolta
profonda. Da Parigi, proprio dalla parrocchia di Saint Sulpice dov’egli girava
per le strade a radunare monelli, giunge l’invito a dirigere la scuola parrocchiale.
Ci
sono 200 ragazzi nella scuola. Affollano un vasto locale durante le ore di
lezione, e dedicano il resto della giornata al lavoro in una fabbrica-filanda
lì accanto. Finora loro maestro è stato monsieur Compagnon, ma ora il
pover’uomo non ne può più: ha i nervi a pezzi. « È una babele quella scuola —
scrive un testimone —. Non c’è nessun orario e nessun senso di disciplina ».
Padre
La Salle parte per Parigi a piedi, insieme a due Fratelli. Lascia come
direttore delle opere di Reims fratello Henri.
La
capitale della Francia appare ai tre Fratelli in tutto il suo splendore e in tutta
la sua miseria. Accanto a chiese e palazzi ricchissimi, folle di cenciosi
conducono una sotto-vita di miseria nera.
Sono
ospitati dal parroco, padre De La Barmondière, in Rue Princesse, proprio
accanto alla scuola loro destinata.
Padre
La Salle, il giorno dopo, vide duecento ragazzi sparuti, indisciplinati e male
organizzati. Cominciò col dividerli in tre classi, secondo l’età e
l’intelligenza. Diminuì drasticamente le ore di lavoro: i ragazzi erano troppo
affaticati. Tracciò un orario che comprendeva ogni giorno la Messa e
l’insegnamento del catechismo, lezioni di scrittura e di aritmetica, tempo per
la lettura e tempo abbondante per giocare all’aria aperta.
Il
nuovo metodo e la bontà dei tre Fratelli produssero una specie di miracolo:
quei monelli si trasformarono e si affezionarono ai loro educatori.
La
notizia della trasformazione della scuola si diffuse rapidamente e gli allievi
crebbero di numero. Padre La Salle fu pregato di aprire nuove classi. Dovette
far venire rinforzi da Reims. Chiamò i Fratelli meglio preparati, tra cui
fratello Henri: prevedeva infatti che a Parigi la Congregazione dei Fratelli
avrebbe avuto uno sviluppo grande e definitivo.
La
previsione era esatta, ma incompleta. Jean Baptiste non sapeva che su di loro
stava per abbattersi una grave tempesta.
A
far scattare la prima scintilla fu monsieur Compagnon. Umiliato dai successi
dei Fratelli, questo povero signore pensò di vendicarsi diffondendo basse
calunnie contro di loro. Raccontava cose incredibili, li dipingeva come gente
avida e immorale. I particolari delle storie erano talmente precisi, che più
d’uno ci credette. Il parroco ne fu talmente sconvolto che decise di licenziare
i Fratelli in tronco.
Padre
La Salle fu avvisato delle calunnie da alcuni amici. Prima di essere convocato,
si recò lui stesso dal parroco per annunciargli il loro ritiro. Padre La
Barmondière s’aspettava di trovarsi davanti un uomo spaventato, oppure
disgustato dalle calunnie e pronto a contrattaccare. Lo vide invece sereno e
tranquillo e capì che si trovava davanti a un uomo di Dio. Lo guardò con
simpatia, e disse: « Aspettate a lasciare questa scuola, ve ne prego ».
In
pochi giorni, le voci messe in giro da monsieur Compagnon si rivelarono prive
di qualsiasi fondamento. Il parroco di Saint Sulpice fu felice di riparare al
male fatto aprendo per i Fratelli una nuova scuola in Rue du Bac. Anche questa
fu gremita di ragazzi in pochi giorni.
Ma
l’offensiva del Compagnon non era che la prima scintilla di un grande incendio.
i «
maestri scrivani » della capitale erano uniti in un forte sindacato e
difendevano a denti stretti il loro diritto di insegnare a pagamento.
I «
maestri scrivani » muovono all’attacco dei Fratelli nel 1690. Avendo saputo che
nella scuola di Rue du Bac sono stati accettati anche ragazzi di famiglia non
proprio povera, organizzano una dimostrazione clamorosa per le vie di Parigi.
Gridano che è un’infamia che dei frati stiano loro rubando il pane. Poi dalle
parole passano ai fatti. Si recano in Rue du Bac, invadono la scuola, spezzano
e gettano dalle finestre banchi e cattedre. Si recano quindi in tribunale e
fanno regolare denuncia contro i Fratelli, con richiesta di chiusura delle loro
scuole.
Padre
La Salle ha una grande avversione per i processi. Litigare per il mio e per il
tuo gli dà un profondo disagio. Ma qui si tratta dei diritti dei poveri, e si
appella al Parlamento di Parigi.
Non
si fa appoggiare da amici influenti, anche se a Parigi ne ha molti. Con i
Fratelli si reca in pellegrinaggio al Santuario della Madonna in Aubervilliers.
Affidano a Lei la cura dei ragazzi rifiutati.
Poi
il Padre si reca in Parlamento, ed espone con calma l’urgenza di tirar via
dalle strade i ragazzi, e le caratteristiche delle sue scuole. Il Parlamento
respinge la denuncia dei « maestri scrivani ».
Ma
le difficoltà aumentano.
Muore
all’improvviso, assalito da febbre altissima, fratello Henri L’Heureux, che
padre La Salle considerava già come il suo successore.
I
parroci, dove i Fratelli hanno aperto scuole, pretendono di imporre metodi di
educazione diversa. Padre La Salle deve difendere con fermezza il metodo delle
scuole.
Altre
gravi difficoltà provengono dal «movimento giansenista » che sta spezzando in
due la Chiesa di Francia. E’ una strana e severa concezione della vita
cristiana, il giansenismo: « Dio dona la salvezza soltanto a un piccolo numero
di uomini, mediante una grazia irresistibile — affermano i giansenisti —.
Davanti a Dio si possono alzare gli occhi soltanto tremando; ci si può
accostare alla comunione rare volte, e solo dopo un esame rigoroso ».
Il
movimento viene condannato da papa Innocenzo X come eretico, ma i giansenisti
si appellano a un futuro Concilio contro il Papa e non disarmano.
Padre
De La Salle, che ormai molti riconoscono ed apprezzano in Francia, viene
esaltato dai giansenisti. Essi sperano che si schieri dalla loro parte. Appena
si rende conto della faccenda, egli non solo dichiara la sua fedeltà alla
Chiesa cattolica, ma comincia ad aggiungere alla sua firma la dicitura « prete
romano ». Un simile atteggiamento gli scatena contro l’opposizione di molti
ecclesiastici, tra cui vescovi e arcivescovi.
Nel
1691 la crisi tocca il vertice. Si sono sciolte le comunità di Laon, Guise e
Rethel. Sei giovani Fratelli sono morti per la scarsità di cibo e la fatica
eccessiva. Altri hanno abbandonato. Da anni, nessun giovane è venuto ad
accrescere la famiglia dei Fratelli. La Congregazione sembra soccombere.
Padre
La Salle ha un attimo di smarrimento: tutte queste avversità non sono un segno
di Dio? Non è meglio chiudere le scuole, lasciare che tutto finisca?
Ma
non può rassegnarsi al pensiero che i suoi ragazzi saranno ricacciati nelle
strade, tra la miseria e l’ignoranza. Dio non può volerlo. E allora reagisce
con un atto che sembra folle: insieme ad altri due Fratelli giura davanti a
Dio che non abbandonerà mai le scuole, anche se sarà costretto a chiedere
l’elemosina di casa in casa per vivere.
In
quello stesso anno compie un secondo atto di fiducia nel futuro: acquista un
caseggiato vecchio e sconnesso nel borgo di Vaugirard, a tre chilometri da
Saint Sulpice. Vi chiama a raccolta i Fratelli rimasti, per una pausa di riposo
e di riflessione. Quello stesso anno giungono sei giovanotti che chiedono di
entrare nella Congregazione. E’ la sorpresa del Signore dopo le ore di agonia.
La
casa di Vaugirard si trasforma in noviziato: d’ora innanzi le giovani «
vocazioni » non mancheranno più.
Le
guerre e le carestie continuano a succedersi sulla desolata terra francese. Dal
1686 al 1697 si combatte la sanguinosissima « guerra contro la Lega di Augusta
» che porta Francia, Germania e Olanda sull’orlo del disastro totale. Nel 1700
inizierà la « guerra di successione spagnola », che durerà 14 anni. Verrà
ricordata come un’epoca allucinante, un vero « tempo delle streghe ». Il lungo
regno del « re sole » si avvia al tramonto in un mare di sangue e di rovine.
Gli
eserciti enormi che percorrono l’Europa saccheggiano sistematicamente campagne
e città, distruggono, incendiano. Sul loro cammino lasciano desolazione, fame,
epidemie.
«
Il passaggio di un esercito — scrive uno storico — era più dannoso per lo
strascico di morbi che si lasciava dietro, che per le distruzioni e le uccisioni
operate, che pure erano spesso efferate all’estremo ». Spagna, Germania,
Svizzera, Paesi Bassi, Italia settentrionale, Austria, Francia del nord sono
devastati dai virus della peste e del colera.
Gli
eserciti sono ammucchiate di gente d’ogni patria e d’ogni condizione « che non
sanno né per chi né perché combattono — scrive un altro storico —. Per tenere
la disciplina occorre il bastone, la punizione, la violenza. Ma fuori del
servizio godono di assoluta libertà. Poiché non ricevono stipendio, è pienamente
attuato il principio che “la guerra vive della guerra “. Ognuno deve
arrangiarsi per vivere, col furto, col saccheggio, con la devastazione, considerate
dai soldati come logiche e normali consuetudini. Gli eccessi delle soldataglie
sono tanto più gravi perché ciascuno conduce con sé moglie e figli, sicché un
esercito di 30-40 mila combattenti è seguito spesso da una moltitudine di
centomila non combattenti, donne, bambini, oziosi, vagabondi, briganti. E’
terribile la sorte dei borghi, case e persone sulle quali si abbattono le
truppe ».
A
Vaugirard, padre La Salle segue personalmente la formazione dei novizi, i
giovani che si preparano ad essere Fratelli. Ricorda loro le parole di Vincenzo
de’ Paoli: « Bisogna vivere come i poveri, per capire i poveri ». Vuole che la
povertà la sentano sulla loro pelle.
Con
un gran cappello in testa per ripararsi dal sole, una veste sbiadita, zappa
nell’orto circondato dai giovani, scopa, lava, pulisce.
Gli
inverni sono durissimi. Nelle stanze gelide, per mille fessure penetrano il
vento, la pioggia, la neve.
Il
vitto è quello dei poveri veri: ogni mattino un novizio parte con una grande
sporta sulla schiena. Torna con gli avanzi delle comunità di Rue Princesse, Rue
du Bac, del Seminario, di qualche famiglia benestante. L’arrivo della sporta è
l’ora del pranzo. Il suo contenuto è il menù.
In
quegli anni di riflessione e di povertà, padre La Salle comincia a scrivere i
libri che diventeranno le « strutture portanti » della sua Congregazione.
Le Regole comuni fissano la fisionomia
spirituale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, come si è venuta lentamente
delineando attraverso prove, sofferenze, ripensamenti.
La norma delle scuole è il frutto di lunghi anni
di esperienze, e di tutto l’amore che Jean Baptiste ha portato ai ragazzi
poveri. Fissa le linee fondamentali del « metodo educativo » dei Fratelli.
Questo « metodo » segnerà la rivoluzione totale nelle scuole di Francia e
d’Europa. I castighi corporali e i sistemi antiquati dei « maestri scrivani »
sono definitivamente sepolti. Nasce la figura del maestro-educatore, che
dedica la vita al ragazzo-persona, degno di rispetto e di affettuosa
attenzione.
Per
i Fratelli scrive anche libri più pensosi, più decisamente spirituali. Le
Meditazioni sulla missione dell’educatore cristiano tracciano un panorama
totale della missione del maestro. Egli è colui che trasmette la « parola di
Dio ». Per trasmetterla deve innanzitutto radicarla profondamente in se stesso:
comprenderla, amarla, realizzarla. Solo chi la capisce può farla capire, solo
chi l’ama può farla amare,
solo
chi la realizza può insegnare a realizzarla. I Fratelli sono religiosi che
rinunciano al sacerdozio per dedicare la vita alla trasmissione della parola di
Dio ai giovani nella scuola. « Educatori Cristiani » sono i Fratelli. Educare
cristianamente, per il La Salle, significa condurre i giovani a incontrare Dio
nella preghiera, farli vivere nella luce della sua presenza, guidarli a mettere
in lui il fondamento dell’impegno e della gioia.
Gli
anni che seguono la fondazione di Vaugirard sono tempi buoni per i Fratelli. Da
più parti sono richiesti per opere nuove.
Padre
La Salle però non ha fretta. Gli occorrono vocazioni scelte e ben formate. Solo
quando si vede intorno una sessantina di collaboratori ben preparati, pensa ad
allargare il campo d’azione.
Dopo
aver aperto due scuole per la formazione dei maestri, pensa ad un nuovo genere
di opere: scuole professionali domenicali. Gli operai e i giovani dai 16 ai 20
anni che non hanno potuto frequentare le scuole regolari, possono migliorare
la loro cultura e porre delle basi tecniche al loro mestiere. Nella prima
scuola professionale aperta in Parigi si affollano 200 giovani operai.
E’
il primo tentativo di « insegnamento professionale ». Si svilupperà nei secoli
seguenti sotto forma di « scuole tecniche », « scuole di arti e mestieri », «
avviamento professionale », « centri di formazione professionale ».
A
Chartres, i ragazzi divisi in bande sono la peste dei quartieri popolari:
battaglie, furti organizzati, delinquenza spicciola. Da cinque anni il vescovo
mons. Godet, campagno di scuola e amico di Jean Baptiste, lo tempesta di
richieste perché mandi i Fratelli. Padre La Salle sa che sarà un’impresa dura,
e solo l’8 luglio 1699 invia sette Fratelli. In pochi mesi il lavoro ben
coordinato dà i primi frutti: i discoli della strada si trasformano in ragazzi
normali, desiderosi di giocare rumorosamente e di studiare con impegno per
prepararsi alla vita.
Anche
Calais chiama i Fratelli, e quattro di essi vanno ad aprire scuole per i figli
dei marinai.
1701.
Padre La Salle compie 50 anni e fa un gesto coraggioso: manda due Fratelli a
Roma, per aprire una scuola popolare gratuita nella città del Papa. E’ una
affermazione chiara di fedeltà alla Chiesa e un passo decisivo per portare
l’opera dei Fratelli oltre le frontiere nazionali. A Gabriel e Gérard che
partono, consegna tutto il denaro della comunità: duecento franchi. Nel lungo
viaggio (1200 km) che faranno in gran parte a piedi, dovranno elemosinare di
casa in casa per sopravvivere.
L’apertura
della prima opera in Italia si dimostrerà provvidenziale: quando la
Rivoluzione Francese, al termine del secolo, disperderà i Fratelli, saranno le
opere italiane a salvarli dalla totale distruzione.
Ora
che il piccolo manipolo dei Fratelli si era moltiplicato, padre La Salle sentì
che era iniziata per lui l’ultima « stagione » della vita. Gli anni seguenti
sarebbero stati di lavoro intenso, di problemi sempre più difficili, di opere
che avrebbero sfidato il tempo.
Nelle
poche pagine che ci rimangono, non possiamo seguirlo passo per passo negli
ultimi 17 anni di vita. Accenneremo soltanto alle realizzazioni più grandi e alle
più brucianti sofferenze.
Autunno
1702. Contro i Fratelli di Parigi scoppia una violentissima guerra. Sotto
un’ondata di calunnie, l’arcivescovo destituisce padre La Salle dalla carica
di Superiore. Al suo posto manda in Vaugirard un prete giovane e sconosciuto.
Si
succedono momenti drammatici. I Fratelli decidono di abbandonare in massa la
Congregazione. Padre La Salle si inginocchia davanti a loro, e li supplica di
non affondare l’opera per i ragazzi poveri. Approfittando dell’ora difficile, i
« maestri scrivani » riprendono la loro offensiva. La polizia è mandata a
requisire le scuole dei Fratelli.
È
il febbraio 1704. Padre La Salle ha 53 anni.
La fronte s’è coperta di rughe, i capelli sono ingrigiti. La grande avventura
di portare la parola di Dio ai ragazzi della strada sembra definitivamente
distrutta.
Ma
la speranza di sopravvivere è rinchiusa nei sigilli rossi di una lettera che
giunge da Rouen. È il vescovo di quella città, mons. Colbert, che invita i
Fratelli a dirigere quattro scuole della sua città.
Alcuni
Fratelli partono, mentre a Parigi la crisi è sempre gravissima. L’accoglienza
di Rouen non è quella sperata:
il
popolino, per le strade, ride e si fa beffe di quei parigini che portano sulle
spalle un mantello da contadini. Ma il vescovo li abbraccia a uno a uno, e li
incoraggia: « Anche Cristo fu disprezzato, ma non per questo cessò di fare del
bene ».
In
pochi mesi, le scuole dirette dai Fratelli sono fiorentissime. La gente, ora,
non ride più al passaggio dei « mantelli contadini », ma saluta con rispetto.
Padre
La Salle viene a Rouen. Nello spazio di pochi mesi, vengono trasferiti in
questa città, nel castello di Saint-Yon, il centro direttivo della
Congregazione e il noviziato.
Maestro
dei primi sei novizi, nella casa di Saint-Yon, è fratel Barthélemy, un
religioso di poca salute, ma di mente lucidissima e di animo forte e gentile.
Nelle
prigioni di Rouen ci sono dei ragazzi. La polizia, quando arresta una banda di piccoli
delinquenti, li getta in carcere, nelle stesse celle dove sono rinchiusi
delinquenti incalliti. Quelle celle diventano vere scuole del crimine. Padre La
Salle viene a saperlo, e chiede al tribunale di ospitare quei ragazzi a
Saint-Yon. Glieli mandano.
Attrezza
per loro laboratori di falegnameria, lavorazione del ferro, ebanisteria.
Prepara pure una vasta scuola agricola.
Dall’ozio
delle celle all’aria aperta, ai banconi dei laboratori. E’ un salto che fa del
bene. Molti di quei ragazzi diventano in breve tempo ottimi lavoratori. « La
più parte — riferisce un testimone di quel tempo — rientrarono nella società, e
fecero onore alla casa da cui provenivano dando esempio di vita onesta ».
Padre
La Salle non poté mai dimenticare la vicenda appassionata e triste di uno di
quei « corrigendi ». Era figlio di principi, ma a 17 anni era già un
delinquente. Di notte fuggiva di casa e si dava a imprese pazze.
Arrestato,
finì a Saint-Yon. E qui incontrò padre La Salle. Nei primi tempi rideva della
sua bontà. Ma chiedeva sempre di parlargli. E un giorno, seriamente, domandò di
essere accettato tra i novizi.
«
Ci vuole il consenso dei tuoi genitori — gli rispose —. Ma intanto, se vuoi,
puoi provare a vivere come loro ».
Il
giovanissimo ex-delinquente dimostrò a fatti quanto fosse cambiato « dentro ».
Scopava i corridoi, lavorava in cucina, eseguiva i lavori più faticosi. E si
fermava a lungo in cappella, a pregare.
Partirono
lettere per casa sua, ma le risposte furono prima evasive, poi non arrivarono
più.
Dopo
alcuni mesi, padre La Salle scrisse alla famiglia che, in mancanza di una
risposta negativa, egli avrebbe ammesso il giovane tra i novizi, e a suo tempo
gli avrebbe permesso di pronunciare i voti.
Non
arrivò nessuna lettera. Arrivò invece una carrozza chiusa, accompagnata da
cavalieri mascherati. Afferrarono all’improvviso il giovane, lo spinsero
all’interno della carrozza e ripartirono al galoppo. La famiglia preferiva un
principe-delinquente a un principe-Fratello.
Due
anni dopo, padre La Salle ricevette una breve lettera. Comunicava che il
giovane principe, assalito da un male misterioso, era morto.
Tutta
l’Europa intanto è travolta dalla « guerra di successione spagnola ».
1704.
L’esercito francese è gravemente sconfitto a Hochstadt dai soldati dell’Impero
germanico guidati da Eugenio di Savoia e dagli inglesi di Marlbotough. I
Francesi sono costretti ad abbandonare la Germania.
Maggio
1706. Nuova tremenda sconfitta a Ramillies. I Francesi devono abbandonare il
Belgio.
Settembre
1706. Altra grave sconfitta sotto le mura di Torino, ad opera degli imperiali
di Eugenio di Savoia. Abbandonato anche il Piemonte, i Francesi devono
difendersi in patria.
Ancora
una sconfitta a Oudenarde nel 1708, e poi il terribile inverno, forse il più
allucinante che la Francia ricordi. La miseria tocca il parossismo. Si muore di
fame, di freddo, ci sono marce di affamati e di disoccupati verso la reggia di
Versailles, si scatenano ribellioni disperate, epidemie di suicidi.
Anche
nella casa di Saint-Yon, in quell’inverno, c’è la fame vera, quella che stronca
il coraggio e fa disperare dell’avvenire. Padre La Salle, in quelle ore di
inquietudine e di angoscia, ripete: « Dio sia benedetto », ma pensa seriamente
di chiudere le scuole. I suoi Fratelli non hanno più la forza di salire in
cattedra, i ragazzi sparuti chiedono del pane, battono i denti per il freddo.
La polmonite si porta via i più deboli.
Ma anche
quel terribile inverno finisce. La primavera, nonostante la guerra che
continua, riporta la speranza.
Febbraio
1711. Dopo aver affidato la direzione della Congregazione a fratel Barthélemy,
padre La Salle parte a piedi per il Sud della Francia: vuole visitare le case
dei Fratelli che si sono aperte laggiù.
Fa una lunga sosta a Marsiglia, dov’è accolto con rispetto e venerazione. Di qui pensa di proseguire per Roma. E’ già al porto con il suo povero bagaglio a mano, quando lo raggiunge sulla banchina il vescovo, mons. Belzunce. Lo supplica: « Restate qui. C’è tanto bisogno di voi, in Francia.
Lungo
l’aspra strada delle Alpi, padre La Salle raggiunge Grenoble. I Fratelli vi
lavorano da sei anni, e sono felici di accoglierlo.
Padre
La Salle è stanco. Chiede ai Fratelli di poter fare un ritiro spirituale. Va a
bussare alla porta della Certosa di San Bruno. Non dice il suo nome. Chiede la
cella più appartata, e per molti giorni si chiude nel silenzio e nella preghiera.
Ritornò
al Nord nell’agosto del 1714. Era più invecchiato, più stanco, ma i suoi occhi
si erano fatti più sereni, ridenti. Riprese con umiltà il suo posto.
Il
venerdì santo di Jean Baptiste De La Salle
Aprile
1716. Jean Baptiste De La Salle compie 65 anni. I Fratelli gli fanno festa,
alcuni signori giungono da Parigi per ringraziarlo del bene che sta facendo
alla Francia. Egli risponde con parole serene ma pensose: « Vi confesso, signori,
che se Iddio, mostrandomi il bene che avrebbe potuto compiere l’Istituto, mi
avesse anche rivelato le sofferenze e le croci che dovevo sostenere, il
coraggio mi sarebbe mancato e non avrei osato toccare neppure con un dito
l’opera da iniziare ».
16
maggio 1717. Padre La Salle ha convocato a Saint-Yon i Fratelli che hanno le
maggiori responsabilità della Congregazione, e li persuade a eleggere un nuovo
superiore mentre lui è ancora in vita:
«
Noi siamo — dice — la prima Congregazione nella Chiesa composta unicamente di
laici. Può accadere che alla mia morte le autorità impongano come superiore un
sacerdote, estraneo all’Istituto. Ciò porterebbe grave danno alle nostre opere
perché egli non potrebbe conoscere il nostro spirito, difendere il nostro
metodo. Per questo vi supplico:
dimenticatevi
di me, eleggete uno di voi, quello che scegliereste in punto di morte ».
Dall’elezione,
a scrutinio segreto, risultò eletto fratel Barthélemy.
Da
quel momento, Jean Baptiste De La Salle fu per tutti un umile e dignitosissimo
esempio d’obbedienza. Chiedeva permesso al superiore per ogni cosa, come un
Fratello qualsiasi. Alternava il tempo tra la stesura dei suoi ultimi libri,
l’insegnamento ai novizi, la preghiera che si prolungava sempre più. Quando la
salute glielo permetteva, scendeva nel cortile tra i ragazzi della scuola. Gli
piaceva guardarli mentre correvano e giocavano spensierati. Era per loro che
aveva speso tutta la vita.
Morì nel pomeriggio del 7
aprile 1719. Era venerdì santo. Negli ultimi istanti, fratel Barthélemy lo
aiutò a mormorare la preghiera che i Fratelli avevano imparato da lui a
recitare tutte le sere: « Maria, Madre di Dio, dolce Madre di Colui che
perdona, difendici Tu dal nemico, e accoglici nell’ora della morte ». Nel 1888
Leone XIII dichiarava il de La Salle beato e nel 1900 lo stesso Pontefice lo
iscriveva nel numero dei Santi. Nel martirologio romano in data 15 maggio si
legge: « A Roano, S. Giovanni Battista de La Salle confessore: rifulse
nell’educazione della gioventù specialmente povera; colla fondazione dell’Istituto
dei Fratelli delle Scuole Cristiane si rese benemerito, oltre ogni elogio,
della religione e della società civile ».
La
gloria del Bernini lo ha visto tra i Santi e la grande basilica lo serba tra i
Fondatori. Il suo corpo pellegrinando a Roma in un’accoglienza festosa di popolo
e di gioventù, riposa in un’urna d’oro sulla terra sacra ai Martiri e ai Santi.
I Fratelli delle Scuole Cristiane gioiscono nel veder compiuto il voto del
Padre.
Nel
I950 S.S. il Papa Pio XII, dichiarava S. Giovanni Battista de La Salle, Patrono
speciale degli educatori dell’infanzia e della gioventù. Il nuovo e particolare
riconoscimento, aggiungeva all’aureola del Santo un nuovo fulgore ed è motivo
di gioia ai Fratelli. Nel breve pontificio egli è detto « uomo esimio per
santità ed intelligenza », « illustre pioniere » e si esortano tutti coloro che
si dedicano all’educazione e all’istruzione della gioventù, a trarre da Lui stimolo
e motivo ad adempiere coscienziosamente un si nobile lavoro.
I Fratelli
delle Scuole Cristiane in particolare, negli insegnamenti del Fondatore, nella
sua ricchezza spirituale, nella sua forza, ritemprano di continuo il pensiero e
l’azione.
L’ISTITUTO DEI
FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE
• Sulle orme di Giovanni Battista de La
Salle, l’Istituto da lui fondato si è esteso al mondo intero. • I Fratelli si consacrano all’educazione
dei fanciulli, dei giovani e, in certi casi, anche degli adulti. Attualmente
dirigono, in 82 paesi, più di 2.000 istituzioni, in cui ricevono l’educazione
950.000 alunni. • Circa 50.000 educatori
e collaboratori laici operano a fianco di 7.500 Fratelli nelle scuote, nei
collegi e in altri centri educativi. Condividono con essi la missione che Dio
e la Chiesa hanno loro affidato: aiutare gli alunni a raggiungere
un’educazione integrale come persone, come cittadini e cristiani. • Le fondazioni scolastiche dell’Istituto
lasalliano comprendono tutti i
livelli dell’educazione: scuola materna,
elementare, media, secondaria e professionale, superiore e universitaria.
Quest’opera educativa viene esercitata in tutti gli ambiti sociali, con una
attenzione speciale per i settori più poveri e bisognosi: i
paesi e le zone in via di sviluppo, i fanciulli e i giovani che
presentano delle difficoltà particolari nell’apprendimento scolastico, nel
comportamento, ecc. • I Fratelli hanno un’attenzione speciale ai
paesi di missione e alle giovani Chiese, particolarmente in Asia e in Africa. • Sulla cartina sono indicati i paesi nei quali
l’Istituto lasalliano è presente. |
Casa Generalizia Fratelli delle Scuole
Cristiane via Aurelia,
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06.665231 Fax 06.6638821 e-mail:
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