S. Lucia
Tratto dal libro: SANTA
LUCIA di Ines Belski Lagazzi
Di questa Santa martire che risplende tra le più
luminose costellazioni del Paradiso, gli Atti greci e latini ci hanno
tramandato poche notizie. Della sua vita e del suo martirio ci parlano però
ampiamente le memorie lasciate da San Gregorio Magno, Padre della chiesa
occidentale vissuto nel secolo VI, e un poema in versi "De Laudibus
Virginum" di S. Adelmo vissuto nel VII secolo.
Ma se poche sono le notizie storiche che
sono pervenute fino a noi, immensa è la fama che di sé ha lasciato questa
giovine circonfusa dall'aureola della santità, adorna delle due palma gloriose
del martirio e della purezza.
Siracusa fu la sua culla.
Siracusa, fondata dai Greci nell'VIII secolo
avanti Cristo, si chiamò dapprima Ortigia dal nome dell'isolotto su cui sorse
poi Siraka, dal nome di una vicina palude (nome fenicio che pare significasse
"luogo orientale").
Divenne ben presto potente e famoso centro
di raffinata civiltà dove fiorivano le lettere e le arti, dove sostavano
volentieri poeti e filosofi, come Eschilo e Pindaro.
Atene guardò con gelosia alla splendida
città, le mosse guerra, ma ne fu sconfitta.
Siracusa dominò il Mediterraneo,
raggiungendo il massimo splendore con Dionigi il Vecchio, che le donò un
meraviglioso periodo di pace. Più tardi condusse una vittoriosa lotta contro
Cartagine. Ma Cartagine era troppo potente e Siracusa, sola, non poteva
resisterle. Così si alleò con Roma. La Prima Guerra Punica portò alla sconfitta
di Cartagine.
Nel 214 a. C. Il console romano Marcello
assediò la bella città siciliana, nel 212 la conquistò.
Durante il dominio di Roma, benché restasse
capitale dell'isola e culla d'arte e di bellezza, Siracusa decadde a poco a
poco.
A Siracusa, dunque, grande e splendida città
del mondo antico, nacque sui finire del III secolo - pare nel 280- LUCIA, di
ricca famiglia patrizia.
Non conosciamo nemmeno il nome del padre,
possiamo tuttavia supporre che si chiamasse Lucio, purché era abitudine di quei
tempi imporre ai figli il nome del padre. Sappiamo soltanto che la madre si
chiamava Eutichia.
A Siracusa, nella primavera del 61 aveva
sostato l'apostolo Paolo (Atti, XXVIII/12) e il primo vescovo era stato S.
Marciano.
Ignoriamo però a quale età la bimba
ricevette il battesimo, e se i suoi genitori fossero già cristiani quando ella
nacque o se si convertissero in seguito. Sappiamo appena che quando Lucia
aperse gli occhi alla luce, la colonia cristiana era numerosa. Vi erano
certamente alcune chiese e numerose catacombe. Non si osava però adorare Gesù
pubblicamente.
Erano strani tempi per la nostra religione,
che andava rapidamente diffondendosi, apportatrice di speranza, di carità, di
amore e di pace nelle tenebre del paganesimo.
L'Impero Romano, raggiunto il massimo
splendore, stava lentamente, ma inesorabilmente, decadendo. Tra continue feste
e banchetti - che talvolta diventavano orge - i romani, che erano stati
meravigliosi soldati, non si preoccupavano più della loro potenza militare.
Nell'esercito regnava l'anarchia; basti dire che dei ventisette imperatori
succeduti al saggio Marco Aurelio, fatta eccezione per tre morti di malattia e
due caduti in guerra, tutti gli altri erano stati uccisi proprio dai soldati. E
questo mentre i barbari già premevano alle frontiere.
Il 17 settembre 284 Diocleziano salì al
potere. Per restaurare l'unità e la saldezza dell'Impero, per rimettere insomma
un po' di ordine compì sforzi vigorosi in ogni campo: emise nuove monete, cercò
di impedire il rialzo dei prezzi e ideò la tetrarchia, ricorrendo all'espediente
di associarsi dei colleghi. Valerio Masimiano ebbe come lui il titolo di
Augusto. I due Augusti chiamarono alle loro dipendenze due Cesari: Galerio Gaio
Valerio e Flavio Costanzo Cloro (quest'ultimo padre del futuro imperatore
Costantino).
Diocleziano si stabilì a Nicomedia,
riservandosi di governare l'Oriente; Galerio ebbe le province danubiane e la
Grecia; Costanzo andò a Treviri a controllare la Gallia e la Bretagna;
Massimiano governò da Milano tutto il resto dell'Occidente.
Nel cuore della Sicilia, Valerio Massimiano
edificò per il soggiorno e le cacce della famiglia imperiale una sontuosa villa
(oggi non lontano da Piazza Armerina possiamo ammirare gli splendidi mosaici
venuti alla luce con recenti scavi).
Quanto alla posizione dei Cristiani, esisteva
nel diritto romano un decreto dell'imperatore Traiano che diceva: " I
Cristiani non son da ricercare: denunziati e convinti si devono punire ".
Era una norma contraddittoria, perché una
delle due: o i cristiani non dovevano esser ricercati perché innocenti, oppure
dovevano essere puniti come rei e quindi si doveva snidarli. Tuttavia, anche se
fossero stati denunziati, visto che non si trattava di colpevoli, bisognava
assolverli.
Così avveniva che il decreto fosse applicato
secondo i capricci e l'umore degli Imperatori e dei loro ministri.
Quando, nel 262, l'imperatore Publio Licinio
Gallieno aveva pubblicato un suo editto di tolleranza della nuova religione,
l'organizzazione ecclesiastica si era sviluppata: molti funzionari e magistrati
avevano abbracciata la nuova fede.
Anche Prisca e Valeria, moglie e figlia di
Diocleziano eran diventate cristiane e Diocleziano stesso dapprincipio non
guardò con occhio malevolo i seguaci di Gesù.
La piccola Lucia, bella e gentile, cresceva
accanto alla buona Eutichia che aveva per lei le cure più affettuose e
l'educava a sentimenti nobili e generosi. La bimba aveva soltanto cinque anni
quando suo padre morì. Più di prima, madre e figlia vissero l'una per l'altra.
Possiamo immaginare Lucia, fanciulla,
adolescente, giovinetta imparare dalla mamma a reggere la casa, a dar ordini
alle ancelle, a lavorar d'ago. Forse andò a scuola e imparò greco, latino e
aritmetica, musica e canto, o forse ebbe un precettore privato, anche se a quei
tempi non s'usava dare istruzione alle donne.
Par di vedere la madre sollecita e la
leggiadra giovinetta compiere insieme lunghe passeggiate sotto il cielo
purissimo, di fronte al mare di zaffiro, tra mandorli in fiore e zàgare
profumatissime. Visitavano sicuramente le Latomie, quelle vecchie cave da cui
si estraeva il calcare biancastro è il materiale madreporico di cui eran
costruiti tutti i monumenti di Siracusa; sostavano dinanzi a quella già del
tutto sfruttata e trasformata in carcere dove il tiranno Dionigi gettava i
prigionieri: una latomia particolare dotata di una eco strana che non solo
ripete le voci e i rumori, ma li ingrandisce, tanto che una parola detta a fior
di labbra vien ripetuta come se fosse gridata ad alta voce. La grotta ha in
fondo un'apertura (l'orecchio di Dionigi): il tiranno da lì ascoltava i gemiti
e le parole dei prigionieri: anche se pronunciate pianissimo gli giungevano ben
chiare all'orecchio.
O forse Lucia si recava talvolta alla fonte
Aretusa della quale conosceva la gentile leggenda: Aretusa era una ninfa che
viveva in Grecia. Un giorno inseguita da Alfeo, figlio dell'Oceano, essa fuggì
in Sicilia, e per non farsi riconoscere si tramutò in fonte. Alfeo quando lo
seppe si mutò a sua volta in fiume, e attraversato il mare, raggiunse Aretusa
mescolandosi con le sue acque.
Di sicuro visitò i quartieri della sua
città; Ortigia, l'isola amena adorna di verdi papiri, popolata di canori
uccelletti; Acradina, folta di vegetazione; Neapolis, con le sue case nuove;
Tyche ed Epipolis in periferia.
Certissimo è che Lucia si recava spesso alle
catacombe nella campagna a nord di Siracusa, e in quella città sotterranea
scavata nel tufo assisteva alle funzioni religiose, elevava lo spirito nella
contemplazione del divin Creatore, rafforzava la fede nel Dio Crocifisso.
I tempi incerti invitavano i Cristiani alla
prudenza, e le riunioni dei fedeli avvenivano per lo più di notte, nelle
catacombe, in luoghi appartati dalla città, in località campestri. Si erano già
formate molte diocesi, alle quali erano preposti i Vescovi, coadiuvati dai
diaconi e dal clero che più specialmente si dedicavano alla diffusione della
fede con la predicazione, l'istruzione dei Catecumeni, la loro preparazione al
Battesimo e agli altri Sacramenti, le opere di carità.
Lucia non amava le feste mondane
dell'ambiente ricco e patrizio cui apparteneva; sdegnava la vita oziosa,
piacevole e spensierata che i suoi coetanei conducevano. Educata dalla madre
alla rettitudine, alla pietà, alla carità trascorreva molto del suo tempo nella
preghiera, nello studio della religione, nella meditazione, soccorreva i poveri
con grazia gentile.
Ma ecco che Galerio si accorse un giorno che
la nuova fede si era diffusa anche tra i militari. Pensò con sgomento che i
principi del Cristianesimo avrebbero portato i soldati a disdegnare l'uso delle
armi, proprio in momenti in cui sarebbero state più che mai necessarie,
incombendo infatti il pericolo delle invasioni barbariche.
Fu tanto abile spronato anche dalla madre
Romula, una contadina fanatica, che odiava i Cristiani da piegare al suo
desiderio il vecchio imperatore, che malvolentieri spargeva sangue.
Un primo severo editto, quello di Nicomedia,
venne proclamato il 24 febbraio 303.
Intanto Lucia, garrula brunetta, cresceva in
bellezza e virtù. La madre guardava a quel suo splendido fiore con trepidazione
e compiacenza. La gente l'ammirava, i baldi giovani della città le sorridevano.
Eutichia sognava per la sua figliola uno sposo bello e ricco, di nobile origine
che potesse offrire a Lucia una vita comoda, che l'amasse e sapesse apprezzare
in lei le mirabili doti di modestia, di pietà, di intelligenza, di cultura.
Ma nel puro cuore della fanciulla si faceva
strada un altro desiderio e diventava ogni giorno più intenso e prepotente:
quello di somigliare sempre più alla Vergine; di consacrarsi come Lei al
Signore, di non accettare nessuno sposo terreno, per restare soltanto di Dio.
Non osava confidarsi con la buona Eutichia,
udendola far progetti di un futuro matrimonio. Ma, nel segreto del suo cuore,
ella, un giorno, promise solennemente al Signore che non sarebbe stata mai
d'altri che Sua.
Proprio mentre Lucia si consacrava al suo
Sposo Celeste, un giovane attratto dalla grazia semplice e gentile di lei,
incantato dalla sua bontà, chiese ad Eutichia la mano della fanciulla.
Non conosciamo il nome del giovanotto,
sappiamo che era bello, nobile, ricco, proprio come Eutichia l'aveva sognato
Era pagano, è vero, ma la donna, conoscendo l'animo buono e mite del patrizio,
pensava che si sarebbe convertito alla vera fede.
Povera, generosa Eutichia! Ella si
preoccupava dell'avvenire della sua bambina perché da anni soffriva di una
grave incurabile malattia del sangue, che la indeboliva ogni giorno di più:
giusto ed umano che non volesse lasciar sola
la sua cara quando sarebbe giunta la sua ora.
Lucia che amava infinitamente la sua mamma
era preoccupata per la salute di lei e pregava fervidamente il Signore. Sapeva
che i medici avevano dichiarato non esserci più speranza, ma Iddio, se vuole,
può sempre compiere un miracolo..
Fu così che dopo aver molto meditato, la
giovane propose alla madre un pellegrinaggio nella non lontana città di
Catania, alla tomba di S. Agata, morta martire durante la persecuzione di Decio
Imperatore nell'anno 251.
I prodigi che avvenivano presso quel sepolcro
attiravano folle da ogni parte della Sicilia.
Madre e figlia si misero in cammino lungo le
cinquanta miglia che separano Siracusa da Catania. Qui giunsero il 5 febbraio,
giorno della festa della Santa.
Assistettero devotamente alle sacre
funzioni. Quando il celebrante lesse il passo del Vangelo, Eutichia e Lucia
stupirono alla strana coincidenza. Era il brano di S. Matteo che narra la
guarigione della emoroissa.
" . . .Ed ecco una donna, la quale da
dodici anni pativa perdite di sangue, si accostò a Gesù da tergo e toccò il
lembo della sua veste: perché diceva dentro di sé: " Sol ch'io tocchi la
sua veste, sarò guarita ". Ma Gesù rivoltosi e miratala le disse:
Sta' di buon animo, figlia, la tua fede ti
ha salvata". E da quel momento la donna fu guarita " (IX/20-22).
Le due donne, commosse, pregarono
ardentemente Santa Agata perché chiedesse al Signore la grazia della
guarigione.
- Oh,
mamma, la cara santa che ha patito ed è morta per Gesù ci aiuterà, intercederà
per te. Tocca il suo sepolcro e guarirai . . ., mormorò Lucia con l'animo colmo di fiducia.
Finita la Messa, i fedeli se ne andarono;
Lucia e la madre restarono ancora inginocchiate a pregare nella penombra del
tempio, accanto al venerato sepolcro.
La fanciulla era stanca, emozionata;
lentamente chiuse gli occhi, si addormentò profondamente. Ed ecco, le apparve
Santa Agata. Splendente di purissima luce, circondata da schiere di angeli
sorrise, si accostò a Lucia, le disse:
Lucia, sorella mia, sposa di Gesù, perché
domandi a me quello che tu stessa, da sola, puoi ottenere per tua madre ?
Eutichia è guarita; la tua vivida fede l'ha salvata. Ella sta bene ora, e il
merito è tuo che hai fatto del tuo cuore un santuario di Dio, della tua pura
anima un'offerta al Signore.
Piano piano la visione dolcissima si
dileguò, e Lucia si svegliò. Vide la madre ancora inginocchiata in preghiera,
la chiamò sommessamente, sorridendole:
- Mamma,
Sant’Agata ha chiesto la grazia a Gesù, e il Signore ti ha guarita.
Raggiante, Eutichia che sentiva ritornare le
forze, si prostrò in adorazione. Il suo cuore era colmo d'amore e di
riconoscenza. Che non avrebbe fatto per il suo Dio in quel momento gaudioso?
La fanciulla comprese che poteva finalmente rivelare
a sua madre di essersi consacrata a Dio e dirle che non avrebbe mai potuto
accettare uno sposo terreno. Suo sposo celeste era, e sarebbe stato sempre
Gesù.
Eutichia era così felice che non si
rammaricò troppo delle decisioni della figliola:
Sia come tu vuoi.
- Madre
mia - continuò Lucia - io ti
scongiuro di non parlarmi più di fidanzamenti e ti prego ancora di donare ai
poveri tutto ciò che avresti voluto darmi come dote nuziale.
- Lucia,
figliola mia cara, io ho conservato integri i beni miei e quelli di tuo padre,
ho anzi migliorato il patrimonio familiare con convenienti acquisti di terre,
però preferirei che tu prendessi possesso di tutte le sostanze dopo la mia
morte. Allora potrai disporne a piacer tuo.
- Mamma,
questa tua proposta non può tornar pienamente gradita a Gesù. Egli ti ha
beneficato, se tu vuoi ringraziarlo degnamente offri gli subito tutti quei beni
che dovrai ugualmente lasciare dopo morta…
Eutichia non promise e non rifiutò.
Madre e figlia partirono alla volta di
Siracusa, liete entrambi, le prima rinvigorita nel corpo e nello spirito, la
seconda felice per la visione avuta e per aver ribadito il suo voto di purezza.
Giunte che furono alla loro casa, Lucia
riprese a parlare dell'ideale di perfetta povertà, tornò a insistere sul suo
desiderio di distribuire ogni ricchezza ai poveri. Non aveva forse detto Gesù
al giovane ricco: "Va’, vendi quello che hai, dà il ricavato ai poveri e
seguimi."?
La donna, al fine, si persuase, e decise di
vendere le sue terre.
Ma intanto . . . la situazione s'era fatta
più grave. Al primo editto, Diocleziano ne aveva fatto seguire un altro più
severo, e poi un terzo, gravissimo. Le pene minacciate erano dure, finché un
ultimo editto intimò l'apostasia, ossia la pubblica rinuncia alla religione
cristiana.
Coloro che erano incaricati di far
rispettare la legge ci si misero con molto zelo: chi si rifiutava di offrire
agli idoli pubblici sacrifici veniva persuaso con mezzi giudicati efficaci:
percosse e colpi di spada, torture inflitte con uncini di ferro, cavalletti per
stirare e snodare le membra . . . Belve erano pronte negli anfiteatri; cataste
di legno per farne roghi erano preparate in vari punti della città.
Vigili spie stavano annidate dappertutto: al
minimo indizio denunciavano ai ministri dell'imperatore i seguaci del
Cristianesimo.
E infine l'odio contro la nuova religione si
scatenò, non conobbe più limiti. Si giunse perfino ad eccessi ridicoli: nella
Galizia i generi alimentari non venivano messi in vendita senza esser stati
consacrati agli Dei; a Roma furono poste guardie alle fontane pubbliche e
nessuno poteva attingere acqua se prima non compiva un gesto di omaggio agli
idoli.
Chi resisteva era punito col fuoco, con la
croce, veniva annegato . . . La " bella morte " come era chiamata la
decapitazione - era riservata alle persone di nobile origine.
Lattanzio, uno storico romano che proprio
intorno al 303 aveva abbracciato la fede cristiana scrisse un libro intitolato
" La morte dei persecutori " dove, senza mezzi termini, accusava i
persecutori di essere dei volgari delinquenti e definiva le persecuzioni
delitti comuni.
Scrisse: " La persecuzione desolava
tutte le province dell'impero, ed eccetto le Gallie, dall'Oriente
all'Occidente, tutto gemeva sotto il furore di tre belve. Quand'anche io avessi
cento lingue e cento bocche ed una voce di ferro, non arriverei mai a
raccontare i tormenti coi quali furono straziati i fedeli ". (Le tre belve
erano Diocleziano, Massimiano e Galerio. Quanto alle Gallie, esse erano
governate da Costanzo Cloro che si mostrava più tollerante verso i cristiani).
Era l'ora dei Martiri: tanti e tanti Martiri
senza nome e senza gloria se non presso il trono di Dio.
In quell'atmosfera arroventata Eutichia
vendeva le sue proprietà e donava il ricavato ai poveri.
Tutti i Santi hanno amato la povertà e i
poveri. Cristo volle sì nascere dalla stirpe regale di Davide, ma in condizioni
di assoluta povertà . . . Poveri furono Maria e Giuseppe, poveri gli Apostoli,
i discepoli tutti
Ma se il " voler esser poveri tra i
poveri " era un atteggiamento comune e ben compreso dalla comunità
cristiana di Siracusa, destava invece un gran sospetto tra i pagani per i quali
la ricchezza costituiva lo scopo della vita stessa.
Il giovane pretendente alla mano di Lucia si
accorse che Eutichia aveva messo in vendita le terre, le vesti preziose, i
gioielli, ne fu stupito. E infine si allarmò quando vide le due donne
distribuire forti somme ai poveri della città.
Si recò da Eutichia e le domandò come mai si
comportasse in quel modo imprevidente.
La donna trovò una risposta evasiva:
- Lucia
ha trovato più nobili e redditizie proprietà che non perderanno mai di valore.
Vendiamo dunque queste per avere le altre: ci sembra saggio.
Il giovane, per il momento, si tranquillizzò,
riservandosi di tenere gli occhi ben aperti. Ed ecco venne a sapere da alcuni
amici che la fanciulla che egli desiderava sposare era cristiana. Comprese
allora a quali nobili proprietà redditizie avesse alluso Eutichia: sapeva che i
cristiani aspirano al premio eterno e cercano di meritarselo con le opere di
carità.
Decise di chiarire la situazione.
Era il 13 dicembre dell'anno 304, una delle
poche date che si conoscano con certezza nella vita di Lucia.
Il giovane si recò a casa di Eutichia,
mentre madre e figlia coi servi convertiti alla fede, stavano raccolte in
preghiera in un locale del palazzo trasformato in cappella. Gli animi erano in
grande trepidazione per le notizie delle nuove, sempre più feroci pene che
venivano inflitte ai cristiani che rifiutavano di apostatare. E rifiutavano
tutti, andavano al sacrificio cantando; le loro sofferenze rinsaldavano la
coscienza dei dubbiosi, la cui fede si faceva ardente. Dal sangue dei martiri,
altri martiri sorgevano per la gloria di Dio.
Il giovane si fece annunciare. Lucia lo
ricevette con riserbo dignitoso; con ferma gentilezza gli disse che non si
sentiva di diventare sua sposa, perché ella aveva già offerto il suo cuore a
Gesù.
Egli tentò dapprima di dissuadere la
fanciulla; le promise che sarebbero stati felici insieme, che egli sarebbe
stato uno sposo tenero e devoto…
La fermezza serena di Lucia, soprattutto
quella luce di felicità che brillava negli splendidi occhi azzurri,
l'impossibilità di veder realizzato il suo sogno lo inviperirono. Il suo amore
diventò odio e fuggì da quella casa con l'animo colmo di rancore. Pensò
soltanto al modo di vendicarsi. Non ce n'era che uno.
Si recò infatti al Tribunale del Proconsole
Pascasio dove si raccoglievano le denunce contro i cristiani e presentò formale
accusa contro le due donne:
- Io ho chiesto in sposa una giovane di
nome Lucia. Questa ragazza, d'accordo con la madre Eutichia, non obbedisce ai
potenti Imperatori di Roma, presta culto a Cristo) contrariamente alle norme
dell'editto 24 febbraio 303.
La legge di Diocleziano doveva dunque
colpirle.
Pascasio non pose tempo in mezzo, chiamò i
suoi littori e diede ordine che gli portassero dinanzi la giovane cristiana di
nome Lucia.
La fanciulla si presentò tranquilla, serena:
di che doveva temere ? Di perdere la vita ? Ma se non chiedeva altro che di
donarla al suo Creatore
Ella aveva Gesù nel cuore. Egli le avrebbe
suggerito le risposte da dare al suo persecutore quando l'avesse interrogata,
Egli le avrebbe dato la forza di sopportare i patimenti cui sarebbe stata
condannata. Egli l'avrebbe attesa in cielo: non era la sua sposa?
E le avrebbe offerto, nella gloria celeste,
la felicità eterna,
Pascasio guardò affascinato la bella
fanciulla dai lunghi capelli bruni, la fissò nei dolci occhi color del cielo.
Cominciò a interrogarla con deferenza,
conoscendone la elevata condizione sociale.
Come al solito il giudizio si svolgeva
all'aperto, dinanzi a una gran folla, e molti sapevano quanto generosa la
giovane fosse stata coi poveri.
- Tu
professi la religione cristiana ?
- Sì
- rispose Lucia.
Pascasio cercò dapprima di persuadere la
fanciulla con parole pacate, con consigli ed esortazioni quasi paterne, ma si
accorse subito che la giovane dall'aspetto dolce e gentile possedeva un
carattere forte e deciso e allora non fece più tanti complimenti:
- Non
conosci i decreti dei divini imperatori Diocleziano e Massimiano, i quali
comandano a tutti i sudditi dell'Impero di adorare e sacrificare ai nostri Dei
?
Chiamò i soldati e ordinò loro di trascinare
Lucia dinanzi alla statua di Giove.
- Ora
spargi incenso sopra il tripode le disse e onora il padre degli Dei.
Lucia fieramente rispose:
- Il
vero sacrificio presso Dio è quello di visitare e soccorrere le vedove, gli orfani,
di aiutarli e confortarli. Da tre anni, da quando cioè ho deciso di consacrarmi
al Signore, io compio tali sacrifici adoperando il mio patrimonio. Ora non mi
resta più nulla, non ho altro da offrire al mio Dio che me stessa. Faccia Egli
di me ciò che gli piace.
- Queste
storie puoi raccontarle ai cristiani; io devo far rispettare gli ordini dei
Cesari; ho altro da fare che ascoltare le tue stolte fandonie…
Tu osservi le leggi dei Cesari, - rispose con grande nobiltà la fanciulla - io
quelle del mio Dio: tu porti rispetto ai tuoi superiori, io rendo omaggio al
mio Signore; tu non vuoi offendere i Cesari, vorrò forse io offendere Iddio ?
Tu ti studi di piacere agli Imperatori, io voglio piacere a Dio . . . Fa'
dunque quello che credi sia giusto per te; io opero secondo l'animo mio e
secondo i miei principi.
- Tu
hai prodigato le tue sostanze - l'accusò
Pascasio, irritato - le hai distribuite a persone indegne.
E Lucia: - Ho messo al sicuro il mio
patrimonio, mi sono creata un tesoro in cielo; ho promesso di conservare la mia
purezza..
- La
tua è pura e semplice disonestà...
- Siete
voi i disonesti, i malvagi. Voi corrompete le anime degli uomini per
allontanarli da Dio, voi servite il diavolo, voi sarete dannati in eterno - proruppe Lucia, gli occhi fiammeggianti.
- Ora
basta, smetti le tue chiacchiere ! urlò
Pascasio, furente.
- Non
posso tacere. Tu non puoi imporre il silenzio alle parole del Signore.
L'altro sghignazzò: - Tu saresti Dio ?
Lucia, umilmente, ma con un lampo di gioia
negli occhi rispose: - Oh, io sono soltanto la serva del Dio eterno, ma
parlo con la sua parola. Egli ha detto; "Quando sarete condotti dinanzi al
re e ai principi, non vi date pensiero del come o di ciò che dovete dire,
poiché non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo che parla in voi".
Pascasio, ribollendo di collera, ma suo
malgrado trascinato:
- Dentro dite c'è dunque lo Spirito Santo
?
Lucia rispose con le parole di San Paolo: - Coloro
che vivono castamente e piamente sono tempio di Dio; lo Spirito Santo abita in
essi.
Erano concetti che Pascasio con la sua
mentalità di gaudente non poteva comprendere.
Troverò bene il modo di cacciare da te
questo Spirito che tu proclami Santo. Ah, tu vuoi dunque restar sposa fedele
del tuo Dio? Ebbene, ti costringerò a subire violenze. Vedrai come fuggirà da
te, inorridito, questo Spirito Santo, se è vero che lo porti nel cuore...
Lucia ebbe paura, ma non volle dimostrarlo.
Rispose fieramente:
- Per
peccare occorre la volontà. Se tu mettessi l’incenso nelle mie mani e con le
stesse mie mani tu offrissi il sacrificio agli idoli, Iddio vedrebbe i miei
pensieri e i tuoi. Egli giudica dalla coscienza e dalla volontà. . . Tu potrai
costringermi a qualunque azione. . . Ma il Signore mi darà doppia corona. . .
Eccomi, son qui, fa di me quello che vuoi, ricorri a qualunque tortura; perché
indugi ancora? Metti dunque in opera ciò che il demonio ti suggerisce . . .
Egli, il demonio, è il tuo vero padre
…
NdA Pascasio continuò, in preda ad una gran collera, il dialogo con Lucia
che sempre più determinata e ispirata non cedette neanche di fronte alle
violenze che successivamente gli furono inflitte nel tentativo di umiliare la
sua fede.
Misero Pascasio disse con voce alta - perché ti affliggi ? Perché
impallidisci? Perché ti struggi di furore ? Hai avuto prova ch’io sono tempio
di Dio, del vero Dio. Non ti resta che credere nel Dio dei Cristiani.
Ma la grande ora era vicina, Lucia stava per
conquistare la corona del martirio e per congiungersi col suo Creatore, suo
celeste Sposo.
Sant'Agata le era vicina, le sorrideva,
l'invitava.
Gli occhi e l'anima fissi al cielo, Lucia
proferì le sue ultime memorabili profetiche parole.
- E’
giunta la mia ora. Colpisci, Pascasio, e io morrò. Ma ti annuncio che la pace sarà
restituita alla Chiesa di Dio. Diocleziano e Massimiano passeranno, e il
Cristianesimo continuerà a diffondersi.
Poi tacque e offrì la gola al pugnale di un
soldato. Cadde riversa. I suoi meravigliosi occhi azzurri già contemplavano
gloriose schiere di angeli e di beati.
Era il 13 dicembre 304. Lucia, chiusa la sua
giovane vita terrena, rinasceva nella gloria. Il giorno della morte è per i
Santi e per i Martiri quello della vera nascita: il " dies natalis ".
Il popolo di Siracusa, in ginocchio, piangeva
e pregava. Subito dopo il martirio il corpo santo fu pietosamente deposto in un
loculo delle catacombe. Sul prospetto dell'arcosolio fu scolpita una colomba
per ricordare che la Santa, morendo, aveva annunziato la fine delle
persecuzioni e il trionfo della Chiesa.
La tomba di Lucia divenne meta di
pellegrinaggi, di preghiere, di implorazioni da parte dei siracusani che
chiedevano e ottenevano dalla cara Santa, che essi subito avevano eletta loro
Patrona, grazie abbondanti.
Le parole profetiche della fanciulla-martire
si avverarono. Diocleziano e Massimiano, nel maggio del 305 abdicarono e la
persecuzione si attenuò. In Oriente si protrasse ancora fino al 30 aprile del
311, giorno in cui fu pubblicato un editto di tolleranza firmato da Galerio, da
Licinio e da Costantino.
Non basta: Costantino (che sarà poi chiamato
" il Grande ") figlio di Costanzo Cloro e di S. Elena, proclamato
imperatore dall'esercito dopo l'abdicazione di Diocleziano, pubblicò l'Editto
di Milano (era l'anno 313) col quale concedeva ai cristiani piena libertà di
professare la loro religione.
Chiesa dei
santi Geremia e Lucia a Venezia. Sopra l’altare è visibile l’urna di vetro
con il corpo di S. Lucia.
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Sul luogo stesso del martirio fu eretto, in
onore di S. Lucia, un tempio.
I cristiani si contesero ogni palmo di
terreno per esser seppelliti " iuxta martyrem ".
In molte iscrizioni greche, sulle catacombe,
la dolce Santa venne ricordata con parole affettuose: " la nostra santa
Lucia . . . ". Soprattutto famosa è rimasta l'iscrizione di Euskia (venuta
alla luce nel 1894 durante gli scavi archeologici). Essa dice: "Euskia, la
irreprensibile, vissuta buona e pura per circa 25 anni, morì nella festa
della mia santa Lucia, per la quale non vi ha elogio abbastanza degno: fu
cristiana, fedele, perfetta, grata al suo marito di molta gratitudine ".
Chi era questa Euskia ? Non sappiamo, ma certo doveva esser molto devota di
Santa Lucia, perché il marito ritenne lieto presagio per la defunta l'esser
morta il 13 dicembre.
E c'è un altro fatto. Il nome greco Euskia
può tradursi in latino col nome Umbrosa. E poiché Lucia era chiamata Luminosa,
questa iscrizione greca sarebbe il più antico e prezioso documento comprovante
il culto offerto a Lucia, fin dai tempi lontani, come protettrice della vista.
Probabilmente Euskia era cieca o soffriva di qualche difetto agli occhi.
Narra infatti una leggenda (leggenda, non
storia: non sappiamo quindi dove finisce la verità e comincia la favola) che
poco prima della morte, Pascasio chiedesse a Lucia il motivo della sua rinuncia
al mondo, del suo fermo rifiuto alle richieste del giovane che voleva sposarla.
Lucia a sua volta domandò:
Ma infine che trova di bello in me
quell’uomo?
E il tiranno: Egli è stato colpito dalla luce dei tuoi occhi splendenti.
A queste parole Lucia strappò con le proprie
mani senza dar segno di dolore i suoi bellissimi occhi e dopo averli posti in
un piatto disse al carnefice: - Va e portali a colui che li ama tanto.
La leggenda vuole anche significare che i
Santi non tengono in alcuna considerazione bellezza e fascino quando non sono
mezzi per servire Dio e raggiungere la vita eterna; vuol anche spiegare che l'amore
quando si ferma a un viso grazioso e non tien conto della purezza dello spirito
vale meno di nulla.
La leggenda si diffuse; Lucia fu invocata da
chi soffriva di difetti e malattie della vista: ospedali e case di cura si
intitolarono al suo nome.
Molti pittori raffigurarono la cara Santa
con gli occhi posti in una bacinella d'argento o infilati su uno stiletto.
Dal 304 a oggi
Trascorsero gli anni; uno dopo l’altro, i secoli.
Il culto della nostra Santa martire non si limitò solamente alla Sicilia, ma sin dal primo secolo successivo alla sua morte ebbe così rapida propagazione da renderlo quasi universale tra i cristiani. Il 21 maggio 879 (o dell’800) Siracusa cadde in mano ai Musulmani. Il corpo della Santa fu nascosto in un luogo appartato delle catacombe perché non venisse profanato dagli infedeli. E là rimase finché non giunsero i bizantini a liberare la Sicilia dal dominio arabo, nella primavera (o estate) del 1040.
Un vecchio cristiano indicò a Giorgio Maniace, il generale bizantino, il
luogo dove la salma di S. Lucia era rimasta nascosta; egli pensò bene di
trasportare tanta reliquia a Costantinopoli per farne omaggio alla pia
imperatrice Teodora.
Nel 1204 Costantinopoli fu conquistata dai Crociati Veneziani. Il doge
Enrico Dandolo recò a Venezia il corpo della Santa, che trovò pace nel
magnifico tempio dell’isola di San Giorgio.
Siracusa, che aveva dato a Lucia i natali, ebbe preziose reliquie,
frammenti di costole e del braccio sinistro e poi gli indumenti che vennero
tolti alle sacre reliquie quando vennero trasferite a Costantinopoli: il velo
di sottilissima seta bianca listato di strisce color zafferano; la tunica di
finissima seta color porpora, rabescata con foglie e fiori del medesimo colore,
e poi i coturni di pelle sottile stringati di cuoio, foderati di raso rosso. I
siracusani deposero i sacri frammenti in un reliquiario prezioso e le vesti in
una pregevole urna d’argento.
A Venezia, a Siracusa, in ogni parte d’Italia, Santa Lucia continuò a ricevere onoranze solenni ed Ella continuò a compiere i suoi miracoli gentili, a spargere a piene mani le sue grazie celesti.
Purtroppo nel 1860 la Chiesa di Santa Lucia a Venezia fu destinata alla demolizione, seguendo la triste sorte di tante altre chiese veneziane. Occorreva terreno per la stazione ferroviaria. Forse si sarebbe potuto risolvere diversamente per le esigenze della stazione, comunque le Autorità Ecclesiastiche decisero di trasportare il corpo della Santa nella vicina parrocchia di S. Geremia.
La traslazione avvenne l’11 luglio del 1860; intervenne il patriarca
Ramazzotti con tutto il clero e il popolo della città.
Il sacro corpo rimase per sette giorni sull’altar maggiore, poi fu posto
su un altare laterale in attesa che fosse ultimata la nuova cappella. La quale,
costruita con il materiale del presbiterio della demolita chiesa di S. Lucia,
su modello palladiano, fu inaugurata tre anni dopo, l’11 luglio 1863.
Nel 1935 il patriarca Angelo
Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII di santa memoria, volle che le sacre
reliquie fossero ancor più degnamente valorizzate.
Lo stato del santo corpo è meraviglioso, tuttavia Egli suggerì
l’esecuzione di una maschera d’argento che coprisse il volto. E veramente il
risultato fu sorprendente: Lucia sembra dormire, gli occhi chiusi, i capelli
fluenti.
Vestita di porpora e oro, la mano lestra esce dalle larghe maniche della
tunica. Il capo poggia sopra un cuscino di damasco, il corpo su un materassino
di seta gialla. Spesso la cappella della Santa si orna di fiori, di broccati,
di drappi; centinaia di candele ardono in una luce d’oro.
Nel gran quadro che li raccoglie, aumenta il numero degli ex-voto che la pietà riconoscente dei
fedeli offre alla Santa per le grazie ricevute dal Signore tramite la sua
intercessione.
I pellegrini contemplano commossi il corpo santo della giovine martire:
i loro cuori ascoltano il messaggio d’amore. Par quasi d’udire la voce sommessa
di Lucia che dice a Pascasio, a tutti coloro che hanno orecchie per intendere:
“Quelli che vivono castamente, son detti
dall’Apostolo figli di Dio e in essi abita lo Spirito Santo. . . “. E
ancora: “Dio giudica dalla coscienza e
dalla volontà.