Impariamo a recuperare
l'eredità architettonica,
spesso
testimonianza
culturale
di storia e d'arte
di Tullio Bertamini
La cerchia muraria trecentesca pentagonale del borgo di Domodossola costituisce uno dei documenti storici più significativi della capitale ossolana. La sua conservazione fu impegno costante e dispendioso, dal 1300 in poi, da parte dei vari governi, il Vescovo di Novara, i Visconti, gli Sforza, i Re di Spagna e poi di Sardegna che sono succeduti in Ossola. La cerchia muraria era corredata di torri di difesa specialmente sugli angoli del pentagono e dove si aprivano le porte: Porta Briona e Porta Castello. Porta Castello era così denominata perchè era vicina al Castello, costruito dal vescovo di Novara anteriormente al 1000 e successivamente ingrandito e trasformato dai Visconti e dagli Sforza nel secolo XV.
Porta Castello immetteva nel borgo ed era direttamente controllata dalla guarnigione del Castello in caso di pericolo. Un connestabile provvedeva al controllo giornaliero dei passanti ed a chiuderla nella notte perchè nessuno potesse entrare od uscire. Alcuni disegni ce la presentano situata alla fine della lunga muraglia che scendeva direttamente dall'angolo di Nord-Ovest delle mura, dove c'era una torretta, e si congiungeva, mediante un breve tratto di mura, con il Castello. La porta era inserita in una torre che aveva all'esterno il profondo fossato che isolava anche il Castello. Sul fossato nel secolo XVII erano abbassati due ponti levatoi, uno mediante due bilancieri serviva per i carri e i cavalli, un secondo, più stretto, con un solo bilanciere, per i pedoni. Una seconda porta a saracinesca ed una terza permettevano di chiudere la torre verso il borgo ai carri ed ai pedoni. Superiormente la torre era collegata con il cammino di ronda delle mura e con il Castello con accessi opportuni che si aprivano su un ampio locale dove erano allogati i meccanismi necessari per calare e ritrarre i ponti levatoi ed abbassare le saracinesche. Vi alloggiava una guardia permanente inviata dal Castello. Nello scantinato della torre un ampio locale poteva essere adibito a deposito oppure a prigione.
Di fronte alla Porta Castello fu anche costruito un "rivellino", una costruzione di difesa della porta stessa perchè non fosse direttamente colpita dalle infilate delle artiglierie nemiche e ne fosse controllato l'accesso; questo avveniva lateralmente dalla parte del Castello attraverso una costruzione più bassa e a cuneo, il "rivellino", appunto.
Le esigenze difensive del borgo di Domo imponevano che in vicinanza delle mura non vi fossero costruzioni murarie di qualunque tipo giacchè potevano diventare teste di ponte del nemico; perciò, tutte le abitazioni, gli uffici pubblici, le osterie ecc, erano all'interno della cerchia muraria che restava chiusa per tutti nella notte e vigilata dalle scolte del castellano.
Così fu fino ai primi decenni del secolo XIX, fino a quando cioè, con l'avvento della dominazione francese, l'Ossola non fu attraversata (1805) dalla nuova strada, adatta alle carrozze ed ai cannoni, come era nel disegno di Napoleone, per collegare direttamente Parigi con Milano, la Francia con l'Italia. La strada napoleonica si tradusse per Domodossola in una ventata violenta di modernizzazione. Le mura del borgo non servivano più, le porte tanto meno. La strada napoleonica che sarebbe potuta decorrere meglio a fianco delle mura, la si volle attraverso il borgo. Ciò comportò la distruzione del Palazzo trecentesco del Comune in Piazza Mercato e della Porta Briona, nonchè l'abbattimento del tratto di muro che collegava la Porta Castello al Castello.
Il vento dissacratore delle antiche istituzioni continuò a spirare anche dopo il tramonto dell'astro napoleonico, con la svendita di tratti delle mura e di terreni demaniali limitrofi. La strada del Sempione portava viaggiatori e merci, occorrevano nuove infrastrutture. Il Castello fu trasformato in albergo e divenne il "Grand Hotel de la Ville" presso cui si fermavano tutte le diligenze postali dirette in Svizzera o a Milano. Piazza Castello divenne il centro commerciale ed internazionale di Domodossola. Anche la Porta Castello con un tratto di muro ed il rivello antistante furono venduti ed i fossati riempiti. Sulla Porta Castello demolita superiormente e sul rivello si innalzò un albergo che prese il sonante nome di "Hotel Espagne", con stalle e depositi per i cavalli. Poco dopo, attorno al 1870, si allinea al medesimo un altro albergo che prende il nome di "Hotel Terminus". Chiaro il riferimento a stazione di sosta delle carrozze e dei "Char à banc" in transito. La Piazza Castello , chissà perchè, prese il nome di "Piazza del Vino", e poco dopo, attorno al 1880 un lungo tratto delle mura viene abbattuto per aprire una strada che dalla piazza si dirige verso Bognanco (via Bognanco). Qualche anno ancora e i due alberghi affiancati hanno un unico proprietario che provvede ad una completa ristrutturazione, mantenendo tuttavia uniti i titoli di Hotel Terminus ed Albergo Spagna. Le antiche fotografie dei primi anni del '900 ce lo presentano solenne e dignitoso.
Ma con l'arrivo delle linee ferroviarie e soprattutto con il Traforo del Sempione gli alberghi di Piazza Castello perdettero importanza; erano troppo lontani dalla stazione ed era tramontato il tempo delle diligenze e dei "char à banc". Parte dell'albergo Terminus-Espagne sopravvisse come ristorante con alloggio, parte accolse una officina meccanica e appartamenti.
Un primo progetto di rinnovamento dell'intero fabbricato, reso necessario dalla generale fatiscenza, negli ani 80 del nostro secolo prevedeva l'abbattimento e la costruzione di un edificio di notevole altezza e volumetria completamente moderno. Questo progetto di radicale trasformazione non potè essere realizzato, ostando le norme che riguardano la conservazione dei beni culturali. Una relazione alla Soprintendenza faceva notare che , l'edificio, non solo datava da oltre cento anni, ma conteneva elementi importanti dell'antica struttura di Porta Castello. Questi elementi erano stati conservati negli androni del piano terreno a Nord-Est e nello scantinato sottostante dove era possibile vedere la "scarpia" della torre della porta sul fossato antistante. Restava, anche, ben visibile e conservata in una delle porte ad arco verso il borgo, la coulisse ricavata nella pietra per far calare e scorrere la saracinesca dell'antica porta.
IL secondo progetto, più aderente alle norme di conservazione dei beni storici ed ambientali, approvato dagli organi competenti, prevedeva la conservazione di tutti gli elementi dell'antica struttura al pian terreno e nelle cantine e la ristrutturazione della porta superiore e della copertura, con leggere modifiche del disegno della facciata che meglio ne armonizzasse l'insieme.
Ogni intervento di questo genere necessita di una progettazione attenta e intelligente, anzitutto per impedire un ulteriore degrado degli elementi più significativi e preziosi sotto l'aspetto ambientale e storico, e in seguito per proporli, anche se parzialmente, in un contesto architettonico ed ambientale non solo accettabile, ma anche apprezzabile, esteticamente e funzionalmente.
Tutto questo mi pare sia stato ottenuto. Per quanto riguarda la parte sotterranea è stato conservato e salvaguardato l'antico muro frontale del basamento della porta. Per quanto riguarda la porta stessa e gli androni, furono recuperati e messi in evidenza anzitutto l'arco completo dove scorreva la porta a saracinesca, debitamente ripulito e trattato al fine di una congrua conservazione, e così pure i tratti meglio conservati e più significativi dei pilastri degli androni e delle pesanti volte in pietra nei tratti più sicuramente originali e non manomessi. L'ambiente adibito attualmente a ristorante, con l'antico titolo di "Terminus", resta veramente impreziosito da questo recupero dei tratti murari "autenticamente antichi" e storicamente certi, che debitamente evidenziati, non contrastano minimamente con quanto di "nuovo" e moderno viene proposto dalla nuova destinazione, anzi vestono l'ambiente di un'atmosfera che, mentre si adegua alle nuove esigenze di volume, di luce e di funzionalità imposte ad un moderno ristorante, mantiene il legame con la storia antica del borgo.
Negli antichi androni restaurati e debitamente attrezzati, assieme al servizio di cibi e bevande, offerto ai clienti del nuovo ristorante, potrà insorgere anche uno stimolante interesse culturale indotto dall'evidenza del cimelio storico: "Questa è la porta che per mezzo millennio, fra il 1300 e il 1800, ha dato il passo a tutti i Domesi antichi, e a tanti personaggi illustri. Essa, sia aperta o chiusa per la difesa del borgo, ne potrebbe raccontare tutte le vicende".
E per chi ascolta la storia del proprio paese e ne apprezza le testimonianze, anche le pietre consunte dal tempo dell'antica Porta Castello continuano a raccontare.