Adele canticchiava queste parole appena arrivati a Djerba durante una passeggiata nella zona vicina al primo hotel in cui abbiamo dormito.
Mi è rimasta in mente per tutto il viaggio e quando, al ritorno in Italia, l’ho riascoltata cantata dalla grande Ella mi ha fatto rivivere in un momento tutto quello che avevo visto.
Ora che sto scrivendo queste righe la sto ascoltando in sottofondo…
7 Agosto 2006 - Djerba
Pensavo di passare un pacifico Agosto a Roma riposando mente e corpo dalle dure fatiche del lavoro quando Adele, in una delle nostre chiacchierate telefoniche, mi proponeva di fare una vacanza insieme. Pensiamo: “UN LAST MINUTE !!”.
Piccola ricerca sul sito lastminute.com e mi salta fuori “DUNE E MIRAGGI”, lo propongo a Adele e lei accetta.
Ed eccoci, una settimana dopo, a gironzolare intorno ai menzel vicino all’hotel curiosando tra i cancelli azzurri e le mura di recinzione bianchissime e guardando stupiti la quantità di cavalli “maschi” a riposo dopo aver trainato i carretti per portare i turisti in giro per l’isola.
Come in tutti i last minute ci sono i piccoli sacrifici da sopportare, tipo la partenza in aereo alle 6 del mattino (che significa stare all’aeroporto alle 4 e quindi partire da casa alle 3 e una manciata di minuti ed alzarsi alle 2.30)……n’ammazzata!!!
Però per andare in vacanza si fa di tutto…
Passiamo il resto della giornata in piscina e gozzovigliando tra i buffet…poi a nanna !!!
8 Agosto 2006 – Djerba – Medenine – Tataouine – Chenini – Ain Essbat
Si parte per il tour….de force!
Ci svegliamo (a fatica) alle 7.30, facciamo colazione, prendiamo i bagagli, usciamo dall’hotel e…Sorpresa!!! Troviamo una fila di Jeep che ci aspettano per partire.
Si viaggia in fuoristrada!!
Fantastico! Questa non la sapevamo, eravamo convinti di fare il solito viaggio in pullman e invece ci aspetta una fila di Toyota Land Cruiser pronti a partire.
Si formano i gruppi, 6 per jeep e noi capitiamo con quattro simpatici ragazzi toscani di Poggibonsi: Emiliano, Katia, Ambrogio (un po’ meno toscano) e Barbara.
Ci hanno insegnato un sacco di termini toscani, ma tutta la complicazione dei “codesto costì” “codesto costà” me la dovrò far rispiegare perché “un c’ho hapito nulla!!”.
Formati tutti i gruppi, la carovana parte verso le prime mete.
La prima tappa è alla sinagoga La Ghirba, sull’isola di Djerba. Questa è la più antica sinagoga in terra Africana ed è un luogo molto importante non solo per la comunità ebrea che vive a Djerba, ma per gli ebrei di tutto il mondo.
Non a caso, nel 2002 ci fu un attentato rivendicato da Al Qaida, quindi per entrare subiamo dei controlli uguali a quelli che vengono effettuati in aeroporto.
Comunque…ci si levano le scarpe, si mette la papalina, si lascia il dinaro per le foto e si entra.
La sinagoga è molto curata e molto decorata proprio a significare la sua importanza.
All’uscita dalla sala interna, mentre mi rimetto le scarpe, noto dei personaggi molto particolari che sono seduti in preghiera: uno ha una lunga barba bianca e l’altro è un po’ grassoccio, sembrano provenire da altri tempi. Molto curiosi. Ne parla anche la guida Routard che ho con me (quest’anno ho tradito la mia fidata Lonely Planet perché non l’ho trovata!).
Dopo la visita alla sinagoga, ci dirigiamo verso Medenine, sulla terraferma, attraversando il “Ponte Romano” che collega l’isola di Djerba alla Tunisia. Più che un ponte è una strada rialzata su un tratto di mare molto poco profondo e, per questo motivo, paludoso. Lungo la strada si possono notare molte barchette da pesca ormeggiate o abbandonate.
Il paesaggio di Djerba è molto arido, sabbioso e BASSO !! La cima più alta di Djerba è al museo di Guellala che è di ben 52 metri s.l.m. !!! Da vertigini!!
Viaggiando sulla rete di strade che si intersecano sull’isola, si notano moltissimi pozzi, piante di ulivi e palme da dattero e le tipiche costruzioni, recintate per evitare che il vento “salino” bruci quel po’ di verde che c’è.
Si ha un’impressione generale di aridità, ma il posto è anche affascinante e tranquillo.
Il mare non è un granché: ad un certo punto della giornata arriva una bella striscia di alghe che ti fa passare la voglia di bagnarti.
Insomma, se volete il mare bello, andate in Italia che è meglio !!!
Appena arrivati sulla terraferma, dopo un piccolo briefing sul programma della giornata si continua per Medenine. Lungo la strada ogni tanto ci sono delle vecchie pompe manuali montate su dei barili vicino a delle file di taniche.
Chiedo cosa sono, in un francese un po’ arrangiato, al nostro autista che ci conferma che sono piene di benzina che è venduta di contrabbando.
Ci trovavamo vicino ai confini con la Libia ed evidentemente ci deve essere un bel traffico clandestino di benzina.
Detto questo, se per caso nei prossimi giorni scomparissi dalla circolazione, preoccupatevi e mandatemi a cercare, perché forse qualche contrabbandiere libico/tunisino mi ha rapito per farmela pagare!!
Si entra a Medenine e le pompe clandestine sono tantissime.
Avete presente, quando la gente aspetta i ciclisti che passano al giro d’Italia? UGUALE !! Solo che al posto della gente ci sono i contrabbandieri e al posto dell’acqua c’è la benzina.
Ad un certo punto ci blocchiamo nel traffico di una strada centrale dove, guarda caso, ci sono solo officine, se così possiamo chiamarle.
Tranne qualche rarissimo caso, tutti i locali della strada sono adibiti ad officina: una concorrenza spietata!
E’ interessante notare come in ogni “officina” c'è una macchina smontata e gruppi di persone intorno (meccanici?) che ci lavorano.
Adele si scatena con la sua fotocamera digitale, pare un giapponese, riprende tutto quello che vede…e fa bene perché tutta l’atmosfera è molto particolare.
L’obbiettivo della visita nella città sono le Ghorfas, antichi granai berberi fortificati, formati da tante cellette affiancate costruite in argilla su più piani le cui entrate sono tutte verso una piazza centrale; oggi sono state trasformate in negozi.
Infatti, appena entriamo nella piazza siamo circondati dai commercianti che cercano di portarci nel loro negozio, mentre noi vogliamo soltanto cercare di vedere la bellezza di queste costruzioni.
Io in particolare voglio fare foto. Mentre giri per la piazza, alcuni ti corrono dietro dicendoti “prima foto poi vedi mio negozio”, altri ti passano davanti indicandoti quello che stai fotografando (e io che gli dico ”e levate, non lo vedi che sto’ a fa’ la foto?”), altri ancora ti spuntano fuori dal nulla! E’ una vera comica.
C’è da dire che se dimostri di non essere interessato ti lasciano subito in pace perché vanno a caccia di qualcuno più intenzionato a comprare.
Dopo la visita ripartiamo per Tataouine dove dobbiamo visitare il mercato. Le jeep però si fermano davanti ad una pasticceria dove vengono prodotti i dolci tipici della città : “Le corna di gazzella”. Questo dolce ipercalorico consiste in una specie di involtino di sfoglia ripieno di mandorle triturate e semi di soia. Il tutto è imbevuto in uno sciroppo di zucchero. Uno spettacolo!! Entriamo dentro e ci fanno vedere come “fanno le corna”, l’acquolina sale e con Adele, visto che nessuno ce le fa, ne compriamo una scatola da 30 per riportarle in Italia.
Sulla scatola scrivono il nome Adel (e non Adele) in arabo.
Adel in arabo è un nome maschile e tutti restano stupiti quando lo vedono attribuito ad una ragazza. Non riesco a capire perché si perdono la “e”. Noi gli diciamo A-DE-LE e loro rispondono A-DEL !
Fa niente, ci prendiamo Adel, pazienza… andiamo al mercato.
La guida ci spiega che nei mercati bisogna trattare, che è una tradizione, ai negozianti piace trattare e ci restano male se non lo fai.
Pronti, via!! “20 minuti e si riparte!! “ urla la guida.
In 20 minuti dobbiamo entrare nel mercato, farci un giro, magari scattare qualche foto, individuare quello che ci piace e trattare! Bah! I tour organizzati!
Il mercato è come tutti gli altri, ci sono molte spezie e Adele inizia a farne scorta. Anzi, ne compra una bustina per ogni tipo strappando un buon prezzo.
Compriamo anche del the alla menta che, anche se siamo al secondo giorno di viaggio, iniziamo davvero a gradire.
Tempo scaduto. Corri Adele sennò ci lasciano qui!
Mentre ci affrettiamo verso le jeep altri commercianti tentano di attirarci ma abbiamo messo i paraocchi. Poveracci! Se tutti i tour fossero come il nostro non farebbero mai un dinaro!!
Da Tataouine ripartiamo verso Cheneni, uno dei tantissimi ksour (plurale di ksar) che rappresentano la maggiore attrazione della zona. In pratica si tratta di fortezze arroccate e in parte scavate nella roccia che venivano utilizzate per conservare raccolti e provviste e proteggere il tutto dalle incursioni dei predoni.
La vista dello ksour arroccato sulla montagna è veramente eccezionale. Prima di andare a visitarlo entriamo a mangiare del kous kous al ristorante che si trova ai piedi della montagna.
Dopo pranzo iniziamo la digestione. Nel senso che iniziamo subito il giro dello ksour salendo fino in cima da dove la vista di tutte quelle costruzioni mezze diroccate è veramente suggestiva.
Questi ruderi sono in parte ancora abitati e c’è una vera e propria comunità che è autosufficiente (così dicono, ma era pieno di turisti…che portano soldi) ed ha anche il proprio medico che dicono sia molto bravo. Ci sono persone che hanno più di cento anni!!!
Dopo la bella scarpinata e…digerita… ripartiamo verso l’accampamento di Ain Sebat a 17 Km da Ksar Ghilaine dove ci aspetta una stupenda notte nelle tende berbere.
Ora fermiamoci un attimo perché è assolutamente necessario fare alcune considerazioni.
Ksar Ghilaine è la porta del Sahara che è un deserto.
Un deserto, dovunque esso si trovi, è deserto perché fondamentalmente non c’è acqua o, perlomeno, ci capita molto raramente.
Quante possibilità ci sono, in una vita, di incontrare quel “molto raramente” in un deserto?
Dicono che piove ogni 7/10 anni, quindi calcolando che in una vita, se non fai la Parigi - Dakkar o non sei un documentarista o uno che fa un lavoro per cui spesso vai nel deserto quindi NON IO, forse un 1 o 2% di probabilità me la darei.
Le guide dicono che in estate la sera nel deserto può essere fresco e che possono esserci tempeste di sabbia (quindi vento), ma di giorno il caldo è insopportabile.
Detto questo, andiamo avanti.
La strada che va da Cheneni a Ain Essbat, dopo un po’ non è più asfaltata e le jeep iniziano a fare il loro bel lavoro di fuoristrada.
Il paesaggio è stupendo. Si inizia ad entrare nel deserto rosso, roccioso e piatto con qualche duna di sabbia che spezza la monotonia.
La jeep percorre il fuoristrada sobbalzando e alzando polvere.
Facciamo una piccola pausa in un caffè disperso nel deserto dove prendiamo un paio di bibite e, una volta finite, riempiamo le bottigliette con la sabbia rossa.
E’ bellissimo. A parte i nostri rumori, intorno c’è il silenzio.
Riprendiamo il tragitto ed arriviamo all’accampamento di Ain Essbat.
C’è vento, e pure parecchio.
Il posto è veramente molto bello. E’ una piccola oasi con una sorgente termale con tanto di piscina con acqua marrone scuro, molto scuro.
Con Adele decidiamo di fare un giro fuori del recinto dell’accampamento dove il paesaggio è lunare, piatto e deserto fino all’orizzonte.
Usciamo fuori e ci allontaniamo per godere di più della solitudine, il sole comincia a scendere ma le nuvole lo coprono (si ho detto NUVOLE!).
Noi siamo persi in quella stupenda solitudine e dopo qualche foto con autoscatto, nonostante il vento, camminiamo intorno all’accampamento allontanandoci dall’entrata per sentirci ancora più isolati.
Il vento aumenta ma a noi piace sentirci spingere dalla sua forza. Nel frattempo il sole è sceso sotto l’orizzonte e siamo riusciti a vederne, solo per un istante, un filino rosso tra…LE NUVOLE. Dall’altra parte inizia ad alzarsi la luna. E’ enorme perché è bassa, fa impressione ma è bellissima. Siamo immersi in una situazione di paura e di felicità, sarà l’effetto della natura selvaggia o del deserto, questo sconosciuto. Adele fotografa tutto, anche i resti rinsecchiti di un piccolo di caimano che incontriamo sui nostri passi.
Io cerco di fotografare evitando che la sabbia distrugga irreparabilmente la mia reflex e che i granellini di sabbia inizino a rigare la pellicola.
Inizia a fare buio e ci ritroviamo davanti all’entrata dell’accampamento. E’ ora di rientrare.
Nella zona “mensa” iniziano i preparativi per la cena sotto le stelle, noi ci dirigiamo verso le tende dove troviamo i nostri compagni di jeep (e di tenda) che in qualche modo si sono sistemati e docciati (anche se la sabbia si riappiccica subito sulla pelle bagnata). Io e Adele, quindi, decidiamo di rimanere “sporchi”.
In cielo, spinte dal vento, si muovono tante piccole NUVOLE.
Nel “ristorante sous les etoiles” ci sono dei lunghi tavoli di pietra con delle panche. Ci accomodiamo su una panca insieme ai nostri amici toscani e in un attimo ci rendiamo conto che mangeremo tutta la cena condita anche con la sabbia. Infatti il vento ha già riempito di sabbia fina i nostri piatti ancora vuoti.
Iniziano a servire una zuppa senza sabbia poi mangiamo kous kous con un po’ di sabbia e infine SABBIA.
Il vento continua ad alzarsi e, nonostante le recinzioni, la sabbia entra nell’accampamento.
Dopo cena un gruppetto locale inizia a suonare musiche folcloristiche tunisine con percussioni e una specie di cornamusa cercando di coinvolgere i turisti nei loro balli.
L’atmosfera è particolare, ti rendi perfettamente conto di essere nel deserto e quella musica ci sta tutta.
Dopo le danze si va in branda a prepararsi per la notte.
Mentre siamo sotto le tende passano due addetti del camping che “cuciono” sull’apertura della tenda due coperte per ripararci dal vento e dalla sabbia che continuano a perseguitarci.
Le luci, tenute accese da un generatore a motore nascosto fuori dall’accampamento, si spengono ed iniziamo a dormire.
Dopo circa un paio d’ore il vento cessa e finalmente c’è un po’ di quiete…la quiete prima della tempesta. Mi affaccio fuori della tenda e guardando in cielo mi accorgo che il colore è rossastro, tipo quando le nuvole sono tutte pare e la luce della luna le illumina.
“Rosso di sera, bel tempo si spera”, dico tra me e me.
Dopo qualche minuto si inizia a sentire un ticchettio sulla tenda.
Ma se nel Sahara non piove mai, chi è che provoca questo ticchettio sulle nostre tende? Forse un’invasione di cavallette? Qualcuno che ci tira i sassolini?
NO! E’ la pioggia!
Ebbene si, è l’8 agosto 2006, siamo in pieno deserto, alle porte del Sahara e…PIOVE!!
La prima cosa che faccio io, come anche gli amici toscani, è prendere le valigie e metterle al riparo sotto al letto.
Adele dorme, la valigia l’aveva già sistemata prima nella tenda.
Le do una scrollatina per farle vivere lo stesso mio “sogno”. Adele si sveglia di botto, si drizza sul letto e mi chiede : “E’ ora? Dobbiamo andare via?”
“No, PIOVE!” le rispondo.
La pioggia aumenta di intensità e si trasforma in un vero e proprio diluvio. Nella tenda inizia a entrare acqua, soprattutto dai lati.
Ci organizziamo tutti e sei spostando i letti al centro. Io copro il letto bagnato con una delle coperte che avremmo dovuto usare per coprirci dal fresco del deserto e riprovo a dormire. Adele si è soltanto riaccucciata e dorme beatamente.
Katia scopre uno scarafaggio sotto il cuscino dove aveva dormito finora e inizia a saltare dappertutto. Emiliano invita lo scarafaggio ad uscire dalla tenda e lo convince subito.
Dalle altre tende si sentono le urla e le grida degli altri che si stanno riorganizzando.
Durante tutto questo casino, è passata la guida chiedendo candidamente:”come va?” e noi tutti in coro: “PIOVE!!!!”.
La pioggia continua ed inizio a vedere qualche lampo. Porca ……!!
I fulmini no!!
Ma ve lo immaginate?
Siamo nel deserto, tutto piatto, la punta più alta che c’è è la cima delle nostre tende, dove mai potrebbe cadere un fulmine! Non voglio dirlo. Sto in vacanza e non devo pensare.
Adele dorme.
Mi giro dall’altra parte e mi addormento anche io.
9 Agosto 2006 – Ksar Ghilane – Douz – Zaafrane – Es Sabria
Quando si fa giorno siamo tutti stravolti e non vediamo l’ora di partire sperando di incontrare un po’ di bel tempo.
A colazione scopriamo che durante la notte una delle tende è crollata e gli occupanti sono dovuti scappare nella costruzione adibita a ristorante con tutte le valige e dormire li.
In fondo a noi è andata meglio.
Dopo una sciacquata al viso con l’acqua un po’ salata dei bagni (è quella della sorgente termale) prendiamo i nostri bagagli e ripartiamo in jeep verso l’oasi di Ksar Ghilane.
E’ impossibile non scorgerla da lontano in mezzo al piattume del deserto: una macchia verde scuro circondata da accampamenti e costruzioni berbere.
Entrando dentro l’oasi ci si trova immersi in un verde tropicale con palme e tantissima vegetazione lussureggiante. Una vera ricchezza per la gente che vive qui.
L’acqua proviene da sorgenti termali sotterranee che, risalendo in superficie, creano delle bellissime piscine naturali (l’acqua è molto più chiara di quella dell’accampamento).
Purtroppo il posto è molto frequentato da turisti e quindi è meno affascinante dell’accampamento da cui provenivamo.
Arrivati dalla parte opposta dell’oasi proseguiamo a piedi e, uscendo dall’area verde, ci ritroviamo davanti ad uno spettacolo mozzafiato: dune di sabbia rossa tutto intorno.
Non sono le dune dell’Erg, quelle alte e difficili da scalare, ma lo spettacolo è altrettanto bello e soprattutto unico, visto che degli enormi nuvoloni incombono e la sabbia è bagnata.
Facciamo tante foto e poi inizia a piovigginare. Ci bagniamo un po’, è piacevole, non capita tutti i giorni di fare una doccia a cielo aperto nel deserto del Sahara.
Torniamo nella jeep.
Si parte per Douz, altra oasi alle porte del Sahara. La strada è sempre più impervia e bellissima. Si seguono piste, si devia scavalcando dune che nella note le hanno ricoperte, sembra di stare su un “tacadà”.
Il paesaggio intorno è … desertico!
Enormi nuvole e un po’ di pioggia continuano a farci compagnia.
Ci fermiamo per una sosta in un punto di ristoro: il caffè Bir Soltane. E’ un punto di riferimento sulla strada che congiunge Douz con Ksar Ghilane. Praticamente ci si fermano tutti. La pista che ci passa davanti è chiamata “del pipe-line” perché lateralmente alla strada si notano i tubi utilizzati per la costruzione e riparazione e delle condutture che trasportano benzina (o petrolio) attraverso la Tunisia.
Un ciuco si ferma sulla strada e osserva i mezzi che passano (tanti, se si pensa che siamo nel deserto), un WC sembra costruito in mezzo al nulla, un cartello indica lavori in corso ma davanti c’è solo deserto. Entriamo nel ristoro.
Una folla di turisti fanno la fila per comprare il pane che viene cotto al momento sotto la cenere.
Io e Adele compriamo qualcosa da bere e ci sediamo fuori in attesa di ripartire.
Lungo la pista passa di tutto, jeep di turisti, camion che trasportano i materiali per la costruzione degli oleodotti, camioncini che trasportano animali (pecore, cammelli, capre, ecc…) carretti trainati da asini e amanti dell’avventura che viaggiano su moto da enduro superequipaggiate.
E’ il momento di ripartire verso Douz: risaliamo in jeep.
Arrivati a Douz facciamo un giro del mercato al centro del villaggio. E’ un mercato molto vivace dove si vendono animali, spezie, ma soprattutto tanta frutta. Facciamo un giro per le strade del mercato e poi ci infiliamo dentro alcuni vicoli scoprendo la varietà di porte colorate che ci stanno accompagnando in tutta questa vacanza. Le fotografiamo tutte così le potremo raccogliere tutte in un quadro. Le porte sono una particolarità della Tunisia. Se si vede un cantiere di una casa in costruzione, si può notare che la porta è la prima cosa che viene costruita; di solito è azzurra con dei disegni tipici.
Finita la visita del centro di Douz si va in hotel per il pranzo.
Finito il pranzo partiamo per la gita pomeridiana. Sappiamo già che verso il tramonto dovremo andare verso le dune in cammello per assistere allo spettacolo del tramonto, ma il tempo sembra molto contrario a tutto ciò.
Le jeep partono verso la grande duna di Offra. Si trova non molto distante da Douz ed è la meta pomeridiana di tutti i fuoristrada che si trovano nella zona.
Arriviamo insieme alle altre jeep del nostro gruppo prendendo la rincorsa dal basso fino a fermarci in cima alla duna. La sabbia, a differenza di Ksar Ghilane è molto più chiara, più gialla. Dalla cima della duna si vede il deserto fino all’orizzonte, poi ci sono le nuvole nerissime che minacciano qualcosa di grosso.
Facciamo in tempo a fare qualche foto quando alle nostre spalle cominciano ad arrivare decine di jeep che si arrampicano tutte velocemente per fermarsi in cima alla duna.
Per fortuna ci richiamano ed andiamo via prima di avere la sensazione di stare in un parcheggio all’aperto. Prima di andarcene però, Adele riempie un’altra bottiglietta di sabbia da portare via.
Credo che i tunisini dovrebbero ringraziarci: gli abbiamo portato la pioggia e gli portiamo via il deserto…gratis!
La jeep scende dalla duna e attraversa delle piste fuoristrada per andare verso l’oasi di Zaafrane che attraversiamo per arrivare all’oasi di Es Sabria dove la sabbia tenta continuamente di inghiottire le case del villaggio berbero.
Scendiamo dalle jeep e un gruppo di bambini ci circonda chiedendoci caramelle e dinari.
Qualcuno da dei soldi per farsi fare le foto insieme. Alcune bambine si fanno fotografare titubanti, altre rimproverano quelle che si fanno fotografare ma dopo un po’ sono tutte li che si mettono in posa e accettano volentieri le monetine che gli vengono date. Per loro è un vero gioco e ci guadagnano anche qualcosina.
Saliamo su una piccola duna che apre ad una bellissima vista del deserto disseminato da palme e sovrastato da nuvoloni neri sempre più minacciosi.
La sosta è breve, si risale in jeep per tornare a Douz dove ci aspetta la passeggiata a dorso del dromedario per ammirare il tramonto (?).
Mentre andiamo, ci chiediamo se il cielo riuscirà ad aprirsi per concederci una tregua di almeno un’ora, ma siamo tutti molto scettici.
Arrivati a Douz entriamo in un’area molto turistica dove un numero impressionante di dromedari aspetta accovacciato che i turisti salgano sul loro dorso per portarli a passeggio sulle dune. Ci danno delle cose tipiche da indossare, sono a rigoni bianchi e neri e sembriamo tutti galeotti se non juventini, e non so cosa sia peggio!
Andiamo verso i nostri cammelli. Io ed Adele stiamo vicini per cercare di prendere due dromedari in coppia e “viaggiare” insieme. Ci fanno sedere sui cammelli che di colpo ci scuotono in avanti e poi indietro. In un attimo, senza quasi accorgersene, siamo molto più alti. Bisogna assestarsi un attimo perché la sella tende a farti scivolare all’indietro, ma dopo un po’ di assestamenti si raggiunge l’equilibrio.
Pronti! Preparo la macchina fotografica e mi accingo a partire.
Il cielo è sempre più nero ma si parte lo stesso.
I cammelli iniziano a muoversi e la cosa è molto piacevole. Dopo i primi passi si riesce a prendere il ritmo e a camminare anche senza essere aggrappati alla sella.
Appena riusciamo ad ambientarci inizia a cadere qualche gocciolina d’acqua.
Le goccioline iniziano a moltiplicarsi, rimetto la macchina fotografica nella borsa e la chiudo bene. Piove.
La pioggia aumenta e la gente inizia a lamentarsi perché ci stiamo letteralmente inzuppando.
Ad un certo punto il cammelliere ci chiede “Volete tornare?” …ma che domanda è?
Ma che cavolo di tramonto vado a vedere se sta diluviando?
Un enorme tribù di Fantozzi fa retromarcia e ritorna da dove era partita.
Scendiamo dal cammello e corriamo a posare gli indumenti, ormai zuppi, che ci avevano dato.
Torniamo fuori e assistiamo a delle scene davvero fantozziane. Turisti zuppi che tornano alla base.
Intanto con Adele iniziamo a scattare foto perché sullo sfondo si erano formati dei colori bellissimi causati dalla combinazione della luce filtrata delle nuvole, il colore riflesso del deserto ed il sole che stava tramontando.
Sfumata la passeggiata in cammello al tramonto, risaliamo sulla nostra jeep che ci riporta in hotel.
Domani mattina ripeteremo l’esperienza per vedere l’alba, speriamo bene.
10 Agosto 2006 – Douz – Tozeur – Tamerza – Chebika
Sveglia alle 3.30!!
Un vero trauma!
Io, che ho bisogno di almeno un’ora di beep-beep della sveglia per riuscire a connettere, salto giù dal letto letteralmente rinco.
Adele non è da meno!
Ci prepariamo e, dopo una piccola colazione, andiamo verso questa nuova avventura.
Il cielo è sereno, sembra un miracolo ma è proprio così. Si vedono le stelle e la luna brilla alta nel cielo.
Facciamo fermare un momento la jeep per fare una foto al monumento che rappresenta una grande chiave che apre le porte del deserto.
Torniamo allo stesso punto di partenza della sera prima.
Indossiamo gli stessi indumenti e saliamo di nuovo sui dromedari.
Partiamo verso il deserto.
Mi accorgo subito di un particolare a cui pensavo anche la sera prima: ma se nella direzione in cui andavamo avremmo dovuto vedere il tramonto, l’alba sicuramente sarà alle nostre spalle. Quindi non sarà sul deserto!
Infatti davanti a noi c’è la luna e per fotografare l’alba devo fare il contorsionista sul dromedario che cammina mi scuote.
Adele è dietro di me e ogni tanto mi giro per farle una foto; lei invece mi fa le foto mentre faccio i miei contorsionismi. Fotografiamo anche i nostri amici toscani quando ci passano vicini ed anche altre persone. Al ritorno dal viaggio ci sarà tutto uno scambio di foto via e-mail.
Davanti a noi due cammelli si fermano, allargano le zampe posteriori e iniziano a fare pipì. Dopo un quarto d’ora (dovevano avere la vescica un po’ piena) si rimettono in sesto e possiamo ripartire verso le dune più lontane.
Intanto il sole sorge…alle nostre spalle.
Arrivati al punto di ritrovo, scendiamo dai dromedari e sgranchiamo le nostre gambe.
La luce bassa del sole che sorge proietta delle lunghe ombre, le nostre ombre sul deserto che assume un colore giallo caldo. I cammellieri e una persona che ci ha seguiti nel percorso tirano fuori della pasta per il pane, la schiacciano, accendono un fuoco e mettono a cuocere il pane sotto la cenere e la sabbia.
Un tizio gironzola tra i turisti con un piccolo fennec offrendolo per fare foto in cambio di qualche dinaro.
Adele, tra una foto e l’altra, raccoglie altra sabbia. Io faccio altrettanto.
Ci sediamo assistendo alla cottura del pane.
Una volta cotto, viene estratto dalla cenere e sbattuto con uno straccio per eliminare tutti i residui e viene spezzato in tante piccole parti per distribuirlo ai presenti.
E’ strano. Nonostante sia una cosa prettamente turistica e ne siamo tutti coscienti, questa azione di spezzare il pane in mezzo al deserto conserva un qualcosa di mistico.
Assaggiamo il pane che è buonissimo e regaliamo al “panettiere” qualche dinaro per riconoscenza.
Risaliamo sui dromedari e torniamo indietro continuando a fotografare il paesaggio.
Mentre torniamo, noto un motorino che viaggia veloce verso il punto di partenza delle escursioni e riconosco in sella al dueruote il tipo che stava scattando le foto ai turisti e che aveva tentato di farne anche a noi. Accidenti che organizzazione!
Appena rientriamo, infatti, ci sono tutte le foto dei nostri compagni d’avventura sui loro cammelli. Sono stampate veramente male. Sono sbiadite, mi ricordano le foto dei miei nonni con i colori tendenti al giallino.
Torniamo alle jeep e partiamo verso il grande lago salato Chott El Jerid vicino ai confini con l’Algeria.
Il viaggio è ancora un po’ fuoristrada, ma nulla può disturbare i nostri sonnellini. A turno un po’ tutti dormiamo “cullati” dagli sbalzellii provocati dai cumuli di sabbia che ricoprono le piste. Ad un certo punto il paesaggio inizia a cambiare, la strada ridiventa asfaltata ed intriamo in una immensa piana bianca e sterminata.
E’ il Chott El Jerid.
Di colpo mi torna in mente Badwater in Death Valley, anche se qui gli spazi sono molto più grandi e l’orizzonte è piatto.
La strada taglia a metà il lago e ogni tanto ci sono dei punti di ristoro con tanto di bagni e banchetti per la vendita di souvenir.
Ci fermiamo in uno di questi e andiamo subito a passeggiare sul sale. A tratti ci sono delle pozze di acqua di colore rosso a causa dell’alta concentrazione di sale che rendono il paesaggi ancora più caratteristico. Dopo un bel po’ di foto andiamo a curiosare tra gli oggetti del mercatino e scopriamo delle rose del deserto veramente particolari: ce ne sono sia con i colori naturali che rosse e blu. A detta dei venditori sono ricoperte dei sali colorati provenienti dal lago. Osservandole da vicino e toccandole ci si accorge che sono colorate con dei colori non molto naturali e che strofinandoci sopra le dita il colore viene via.
Più in la un banchetto vende datteri. Ce ne sono di due tipi; uno che è quello dei nostri supermercati e l’altro, naturale, che proviene dai loro palmeti senza ulteriori trattamenti. Io non sono un amante dei datteri, quindi non subisco alcuna attrazione. Adele invece ne compra un po’ strappando anche qui un buon prezzo. Cominciamo ad affilare le lame per le trattative dei prossimi acquisti.
Dopo la passeggiata sul sale, ripartiamo in jeep verso Chebika, un’oasi di montagna che si trova dall’altra parte del lago all’inizio della catena dell’Atlante.
Lungo la strada per Chebika guardando verso l’orizzonte si vedono i famosi miraggi. L’orizzonte sembra disseminato di tante casette nere che però non esistono. Infatti spostandoci in avanti di qualche chilometro le “casette” scompaiono.
Per arrivare a Chebika costeggiamo anche il lago Chott Ek Gharsa, un altro lago salato che si trova al di sotto del livello del mare.
Iniziamo ad avvicinarsi alle montagne ed iniziamo a scorgere le prime palme dell’oasi di Chebika.
Una volta arrivati scendiamo dalle jeep ed iniziamo a salire attraversando il villaggio quasi completamente abbandonato e in rovina. Arrivati in cima al villaggio riusciamo a vedere da una parte le case abbandonate e dall’altra la gola tra le montagne arricchita dal palmeto.
Passiamo attraverso uno stretto passaggio tra le montagne ed iniziamo a scendere verso le sorgenti d’acqua che irrigano l’oasi.
In fondo alla discesa c’è una specie di laghetto. Ci cambiamo e in un attimo siamo in acqua a rinfrescarci dal caldo intenso.
Il bagno è piacevole e il panorama intorno è dorato dal colore delle rocce.
Ci asciughiamo, ci ricambiamo e percorriamo il sentiero in fondo alla gola tra le palme e il corso d’acqua che scende a valle.
Risaliamo sulle jeep e proseguiamo verso Tamerza dove c’è un’altra oasi simile alla precedente e dove si può vedere la grande cascata. In realtà ci fermiamo su un’altura da dove possiamo vedere la gola e la cascata dall’alto. La cascata è grande, ma non è una vista esaltante. Sullo spiazzo c’è un punto di ristoro con annesso mercatino dove vendono i soliti souvenir e attirano i turisti con animali vivi, tipo iguane, vipere cornute (in vetro) e scorpioni (in vetro anche quelli).
Si fa qualche altra foto e si riparte per Tozeur.
Ripercorriamo la strada lungo il Chott El Gharsa e vediamo altri miraggi, sono davvero stupefacenti.
Prima di andare a Tozeur passiamo per Nefta dove posiamo i bagagli nel nostro hotel e pranziamo. Ci prepariamo anche per la fantastica serata che ci aspetta: cena tipica berbera con rappresentazione di un matrimonio berbero.
Arriviamo a Tozeur ed entriamo nel museo Dar Cherait dove sono rappresentate, con delle statue di cera e svariati oggetti in mostra, tutte le testimonianze ed usanze della civiltà tunisina. Il museo è interessante soprattutto perché gli oggetti esposti sono davvero lontani dalla nostra cultura e quindi mai visti prima.
Usciti dal museo andiamo a fare un giro del centro della città, la cui particolarità sono i rivestimenti delle case con mattoni chiari che formano interessanti disegni.
Peccato che, usciti dal museo e saliti sulla jeep, per un malinteso del nostro autista con la guida, perdiamo il resto del gruppo e, dopo vari giri, riusciamo a riunirci quando avevano quasi finito il giro. Di Tozeur ci resterà nella memoria solo una piazzetta con qualche portone tipico, qualche vicoletto e basta. Non che ci fosse tantissimo da vedere, ma almeno una passeggiatina liberi per le stradine avremmo voluto farla.
A questo punto io e Adele dobbiamo cambiare macchina per andare alla cena berbera perché i nostri compagni di jeep hanno rinunciato. Ci piazzano in due macchine diverse e ci ritroviamo davanti all’entrata del posto più turistico che io abbia mai visto.
Sono in piedi davanti all’entrata e penso a chi me lo ha fatto fare. Adele mi raggiunge ed ha il viso sconvolto dalla stanchezza accumulata durante questa lunghissima giornata.
Entriamo. Per prima cosa incontriamo sotto un tendone dei poveracci che danno dimostrazione delle varie arti tunisine: come si intrecciano le palme, come si carda la lana, come si tesse un tappeto, come si macina la farina, come si fa il pane sotto la cenere, e via così.
Andiamo ancora avanti e ci danno un bicchiere con l’aperitivo. Proseguiamo ancora e ci ritroviamo in un piazzale dove alcuni attori si esibiscono in acrobazie a cavallo e sputano fuoco.
Finito lo spettacolino ci ritroviamo sotto un enorme tendone insieme a circa altre 500 persone, se non di più. Ci accomodiamo e iniziano a servirci.
Mentre mangiamo vari gruppi si alternano a suonare musica folcloristica ad un volume assordante ed insopportabile. In più il caldo emanato dalla folla di turisti scalmanati che ballano le danze tunisine come se fosse disco music rende l’aria irrespirabile. Siamo a pezzi e Adele è davvero sfinita. Chiede insistentemente di tornare in albergo.
Finalmente lo strazio finisce e ritorniamo alle jeep per tornare.
Fuori da questo fantastico luogo di ritrovo c’è il caos. Adele non so più dove sia con la sua jeep e io sto dentro un’altra jeep, incastrato in un traffico che Roma in confronto è un deserto e con i nuovi compagni di jeep che ascoltano musica assordante a tutto volume.
Come se tutto ciò non bastasse, usciti dall’ingorgo, l’autista inizia a correre a 130 all’ora sulla stradina che costeggia il lago salato. Era notte e i miraggi non si vedevano, ma è vero che non vedevo l’ora di arrivare.
Arrivato all’hotel Adele, per fortuna, era già collassata nel letto. Buon per lei. Era davvero sfinita…e io pure!
11 Agosto 2006 – Nefta – Fatnassa – Gabes - Matmata
Dopo la sveglia e la colazione, ancora stravolti per la giornata passata, partiamo per il giro in carrozza nell’oasi di Nefta. Le carrette sono molto caratteristiche e sono trainate da un cavallo. La nostra è di un ragazzo giovane che si vede che ci tiene molto al suo cavallo, che oltretutto lo fa vivere.
A bordo della carretta ci inoltriamo nell’oasi di Nefta. La strada è delimitata da grandi palmeti e tanta altra vegetazione. Le proprietà sono delimitate da alte recinzioni e ogni tanto si incontrano i cancelli che ne permettono l’accesso. Ci fermiamo davanti ad una di queste ed entriamo. Si ha la sensazione di stare in una foresta tale è al quantità e varietà di verde che ci circonda. Dalle palme penzolano un’infinità di datteri ancora verdi che sono la base dell’alimentazione e della ricchezza di questi posti. Dopo la passeggiata ecco di nuovo la dimostrazione turistica. Ci sediamo in circolo su delle panche e ci offrono del the alla menta e poi ci fanno fumare una pipetta in argilla con del tabacco strano prodotto da loro. O il tabacco non brucia un granché o la pipa non tira bene, perché si spegne in continuazione e i gestori del posto passano in continuazione con dei fiammiferi per riaccendere le pipe. Mentre beviamo il the e fumiamo ci propongono l’acquisto dei loro datteri che, visto il posto dove ci troviamo, sono davvero autentici e non trattati.
Torniamo alle nostre carrozze che ci riportano in hotel.
Davanti all’hotel ci aspettano dei bambini che vendono l’acqua fresca ad un quarto del prezzo degli hotel e dei punti di ristoro. In particolare un bambino, che avevamo incontrato già il giorno precedente, gira con un motorino traina un rimorchio con l’acqua e il ghiaccio.
Compriamo l’acqua e Emiliano gli regala una maglietta. Emiliano distribuiva le sue magliette ormai non più usate ai bambini tunisini che sembravano gradire molto il regalo.
Partiamo da Nefta per andare a Gabes e poi a Matmata.
Sulla strada deviamo verso Fatnassa. Mentre ci avviciniamo notiamo subito lo strano paesaggio formato da cumuli di sabbia solidificata.
Appena ci fermiamo notiamo sulla sinistra una enorme duna di sabbia bianca e corriamo subito a scalarla. Ormai sono quasi due giorni che non piove e quindi la sabbia è asciutta e arrivare in cima alla duna è una impresa ardua.
Ogni volta che fai un passo in avanti scivoli un po’ in basso. Alla fine iniziamo a correre in salita. Sembra di stare su uno di quegli attrezzi che servono per correre restando fermi: corri e resti quasi fermo. Alla fine raggiungiamo la cima della duna e ci godiamo da una parte il panorama e dall’altra i nostri compagni di viaggio che arrancano anche loro per salire. Scattiamo qualche fot e poi ci spostiamo sulla sabbia solidificata.
E’ davvero strano: la sabbia si indurisce quando si mescola al sale che proviene dal lago salato trasportato dal vento. A vederla da vicino non sembrerebbe neanche sabbia.
Il paesaggio è davvero bello e ce lo godiamo fino in fondo passeggiando in mezzo ai piccoli canyon scavati molto facilmente dall’acqua.
Riprendiamo il viaggio verso Gabes dove abbiamo circa un’ora per visitare il mercato.
Questa volta con Adele mettiamo a punto la nostra tecnica ne mercanteggiare.
Intanto io compro un po’ di spezie e del the alla menta a buon prezzo. Poi andiamo avanti e trovato l’oggetto del desiderio iniziamo a trattare.
Adele inizia la trattativa e abbassa il prezzo richiesto di almeno un terzo. Il commerciante rilancia con prezzi sempre più bassi ma non arriva al prezzo richiesto. Adele si spazientisce e va via. Io le chiedo con un cenno quanto vuole spendere e resto li davanti al commerciante che mi rivolge la sua attenzione continuando a chiedere cifre più alte di quella da noi richiesta. Dopo vari tira e molla faccio finta di cedere e propongo il prezzo da noi voluto. Il commerciante vedendo che Adele stava andando via e io che tiravo ancora cede.
Io richiamo Adele che torna, paga, prende l’oggetto e ce ne andiamo.
Questa tecnica è nata per caso nei giorni precedenti perché Adele si era davvero spazientita!
Comunque, quando ti vendono una cosa al prezzo che chiedi, alla fine ci guadagnano sempre. L’importante è non pagare quello che chiedono all’inizio.
Ripartiamo da Gabes e andiamo verso Matmata, un villaggio immerso in una bellissima area collinosa, famoso per le case troglodite scavate nella roccia e per un set dove è stato girato Star Wars. I berberi avevano costruito le loro case scavate nella roccia per difendesi dagli arabi che invadevano la zona.
Poiché sono le 15.00 andiamo subito in hotel per pranzare.
L’hotel Diar El Barbar merita una nota perché è costruito sullo stile delle case berbere della zona e quindi è davvero molto caratteristico. Ha una piscina che si affaccia su un panorama davvero suggestivo. Infatti, subito dopo pranzo ci buttiamo in acqua e in relax a bordo piscina.
Nel tardo pomeriggio facciamo una passeggiata vicino all’hotel ed andiamo a visitare una casa berbera. La situazione è davvero incredibile. Prima ci fermiamo ai bordi di un cratere scavato nella roccia e ai nostri piedi vediamo un cortile centrale con una serie di nicchie scavate nella roccia da cui entrano ed escono delle persone.
Queste famiglie permettono ai turisti di visitare le loro case in cambio di mance. Noi avevamo la guida che, ovviamente, aveva già accordi precedenti con loro.
Giriamo intorno alla collina e scendiamo fino all’entrata della casa. Davanti all’entrata c’è un pollaio e un fuoco acceso dove stanno cuocendo il pane. Un portone di legno protegge l’entrata della casa dove si arriva attraversando un lungo cunicolo scavato nella roccia.
Entriamo nella casa accolti dalla padrona che ci offre del the alla menta e del pane caldo con miele e olio fatti da loro. Visitiamo tutte le nicchie che in realtà sono dei veri e propri ambienti scavati nella roccia, ognuno dedicato al proprio scopo; la cucina, il salotto, la camera da letto, ecc…
Non manca nulla. Alcuni locali scavati su piani superiori raggiungibili arrampicandosi con una corda, sono adibiti a ripostigli e per conservare le provviste.
Il sole sta tramontando e l’ambientazione si fa davvero interessante. Le pareti scavate e dipinte di bianco riflettono la luce arancione del tramonto. E’ molto bello.
Noi, intanto, continuiamo a mangiare pane e miele e a bere the.
Finita la visita usciamo ringraziando la padrona di casa e lasciandole qualche moneta.
Torniamo in superficie e camminiamo verso l’hotel. Il paesaggio è molto suggestivo e silenzioso. Facciamo qualche foto di gruppo e poi rientriamo quando è già buio.
Dopo cena ci piazziamo in piscina approfittando del buio per cercare di vedere qualche stella cadente...ma niente.
Visto che dal cielo non veniva giu' niente ordiniamo un nargileh, almeno per provare a fumarlo.
Arrivano anche i nostri amici toscani che approvano la nostra scelta...dopo un po' arriva anche il nostro nargileh
In pratica sulla testa del nargileh viene messo del carbone che brucia il tabacco sottostante, protetto da un foglio di carta stagnola.
Quando si tira, il fumo passa attraverso l'acqua contenuta nell'ampolla in basso e arriva in bocca. Il tabacco in genere e' molto dolce, tipo al gusto di mela e devo dire che non e' affatto male.
Iniziamo a fumare tutti passandoci il "tubone" e rilasciando vampate di fumo...sembravamo tutti fatti, ma in realtà faticavamo a tirare perchè il carbone stava spegnendosi.
Chiamiamo l'uomo dei nargileh che ci porta altro carbone ardente e ricominciamo. Al terzo cambio di carbone ci arrendiamo, tanto ormai abbiamo fumato abbastanza!
Non ci resta che andare a dormire...durante la notte le nostre pance facevano strani rumori....
12 Agosto 2006 – Matmata – Toujene - Djerba
Dopo una bella dormita eccoci di nuovo pronti a partire. Il tempo è buono e noi ben rilassati.
La nostra prima tappa è l’hotel Sidi Driss, in cui è stato girato il film Star Wars. Nell’hotel permettono l’entrata dei turisti che vogliono vedere i resti del set ma vietano l’accesso alla parte riservata ai clienti. Infatti è tutto un viavai di gente che si fa le foto avanti ai reperti.
Io ho preso la mia spada laser e mi sono fatto immortalare da Adele mentre faccio un combattimento da vero Jedi! No, non sono matto…sono un vero Jedi! Uno dei pochi rimasti.
Partiamo da Matmata e andiamo verso Toujene.
Un vero peccato! Ripeto. Un vero peccato! Toujene la vediamo solo da lontano.
Su un grande masso che si trova sullo spiazzo del punto panoramico c’è una scritta “Vue Magic” con una freccia verso destra. Di sotto c’è la vista di Toujene. Sicuramente sarebbe stato molto più interessante passeggiare nelle stradine del villaggio. Purtroppo non era in programma.
Quindi ho portato Adele su un masso sulla destra di quello cui ho appena accennato e ho fatto una foto a una vera “Vue Magic”!
Riprendiamo il viaggio un po’ delusi da questa visita e saliamo sul traghetto che ci riporta sull’isola di Djerba.
Dopo un’ora di traghetto andiamo a Guellala, famosa per l’artigianato delle ceramiche.
Ci portano in un grande negozio dove un bel numero di inservienti ci insegue per proporci l’affare.
Compriamo qualcosa ma poi usciamo e andiamo a vedere gli altri negozi dove non c’era nessuno.
Scopriamo che i prezzi, ovviamente, erano un po’ più bassi e Adele compra altre cosette in ceramica.
Partiamo da Guellala per andare a Houmt Souk.
Houmt Souk è il villaggio più grande di Djerba dove c’è un bel souk e un grande mercato dove tutte le mattine si vende il pesce all’asta.
La guida invece ci descrive queste cose e ci porta in un negozio di tappeti dove devono farci le loro dimostrazioni. Ci servono il solito the e poi iniziano a stendere tappeti di tutti i tipi. Dopo un po’, se non si vuole comprare un tappeto, la cosa diventa noiosa.
Adele scalpita, non resiste più ed esce. Io, molto volentieri, la seguo.
Sfruttiamo quel po’ di tempo in più per gustarci un succo d’arancia in un bar all’aperto molto accogliente e fresco e poi facciamo un giro nel mercatino li vicino.
Dopo un po’ pranziamo e andiamo in hotel.
Il resto della serata lo passiamo a bordo piscina in relax. Ormai il tour…de force è finito e possiamo goderci tranquillamente e a nostro piacimento tutto il nostro tempo.
13 Agosto 2006 – Djerba
Ci svegliamo e alziamo con molta calma. Non ci sembra vero di non avere orari, a parte quello della colazione.
Ci prepariamo e andiamo a prendere un taxi per farci portare a Guellala dove c’è un museo delle arti e delle usanze tunisine; è simile a quello di Tozeur ma in fondo a Djerba non c’è molto altro da vedere.
I taxi sono comodissimi per muoversi a Djerba. Costano poco e ce ne sono tantissimi.
L’autista del taxi, prima di lasciarci ci dice che se avevamo bisogno, ci avrebbe aspettato perché dopo non avremmo trovato taxi per tornare.
Noi pensiamo che ci sta provando e rifiutiamo l’offerta.
Visitiamo il museo che è piccolo ma molto carino.
C’è anche una ricostruzione di un frantoio dove un piccolo dromedario spinge le ruote che pestano le olive. Qui accade l’incredibile. Adele si innamora…del dromedario.
Restano li a pomiciare per almeno un quarto d’ora e io che scatto le foto!
E davvero incredibile come quel piccolo dromedario si faccia coccolare da Adele.
Ad un certo punto convinco Adele che la relazione non può avere un futuro perché in fondo hanno interessi diversi e vite diverse e quindi riusciamo ad andare via.
Usciamo dal museo e non c’è neanche l’ombra di un taxi. E’ ora di pranzo e le strade sono deserte.
A un chilometro dal museo c’è il villaggio di Guellala, dove eravamo passati il giorno prima. Decidiamo di andare a piedi sperando di incontrare un taxi di passaggio.
La passeggiata è molto piacevole. Non c’è un’anima, neanche un turista. Non ci sembrava vero. Per me è stata anche una fortuna non avere incontrato subito un taxi perché ci ha permesso di camminare lungo tutto il villaggio scoprendo angoli e cose e incontrando persone che non avremmo mai visto.
In fondo, le visite migliori si fanno quando si va per conto proprio.
Dopo una lunga camminata sotto il sole cocente passa un taxi. Lo prendiamo e ci facciamo portare a Houmt Souk.
Finalmente possiamo girarcela in santa pace.
Per prima cosa, avendo saltato il pranzo, ci sediamo nel nostro bel bar all’aperto per gustarci un bel succo d’arancia e rinfrescarci. Beviamo anche dell’acqua e il cameriere ci offre delle arance che noi non esitiamo ad accettare.
Ci alziamo dal tavolino e Adele viene subito attratta da un negozio di gioielli e oggetti in argento. Lo sapevo, lo diceva già da qualche giorno: doveva comprarsi gli orecchini d’argento.
La trattativa è dura. Il ragazzetto che gestisce il negozio è un osso duro e sa fare bene il suo lavoro. Ha una maglietta di Totti e inizio a parlarci e a fargli un sacco di domande, sia per curiosità mia che per cercare anche di ammorbidirlo sulla trattativa, ma lui è bravo e impara anche un bel po’ di parole italiane. Alla fine Adele sceglie orecchini e bracciale molto belli, tipici del posto e paga. A prescindere dalla trattativa, credo che il valore degli oggetti lo diamo noi e siamo contenti quando pensiamo di averli pagati per il valore che gli diamo.
Dopo l’acquisto riprendiamo a camminare e ci inoltriamo nelle gallerie del souk. E’ molto carino e anche molto piccolo se si paragona ai souk delle grandi città imperiali, però proprio per questo è piacevole da visitare. I negozianti sono poco aggressivi e molto gentili.
Il souk è suddiviso in diverse aree in base alle cose che vengono vendute. Ci sono anche degli anziani sarti che cuciono per strada con la poca luce a disposizione. La caratteristica dei souk infatti è che le stradine sono coperte e con poca luce; talvolta se ne incontrano di aperte con le coperture di tela a rigoni.
Usciti dal souk entriamo nel mercato che però era ormai in chiusura. C’è solo qualche banco di frutta e un negozio di spezie aperto. Vado li per fare una foto alle spezie e il negoziante, che ha capito che non siamo interessati a comprare, mi invita dentro per fare le foto alle sue spezie e per farmi vedere un poster di Totti. E’ una foto del grande Francesco con la maglia della nazionale, ma è pur sempre un grande giocatore della capitale! Ovviamente immortalo la scena con la mia reflex.
Finito il giro prendiamo un taxi e torniamo in hotel per goderci un po’ di relax in piscina.
Al rientro in hotel troviamo i nostri compagni di viaggio insieme ad una incaricata del nostro tour operator che discutevano animatamente.
Scopriamo che non partiremo la prossima notte ma quella successiva alle 3 e che domani dobbiamo lasciare la stanza prima delle 12.00.
Bella storia! Domani siamo senza stanza, senza pranzo e senza cena!
Emiliano si offre per far mettere le nostre valigie nella sua stanza e di farci fare una doccia prima di partire. Anche l’hotel ci lascia una stanza di cortesia, ma accettiamo volentieri l’offerta di Emiliano per poter lasciare le valigie in un posto più sicuro.
Risolta la questione andiamo a farci una doccia e poi a cena.
Dopo cena uno sconvolgente fachiro anima la serata. Siamo estasiati dalla sua bravura!
Ovviamente scherzo! Con Adele, dopo un po’, ci spostiamo a bordo piscina per stare un po’ in pace e soprattutto per cercare di vedere almeno una, dico una, stella cadente!
Niente!!
Buonanotte.
14 Agosto 2006 – Djerba
Ultimo giorno di vacanza.
Come previsto, facciamo colazione, sgombriamo la stanza e posiamo tutto nella camera di Emiliano e Katia. Poi ci buttiamo sotto il sole sulla spiaggia dell’hotel.
Come ho già detto all’inizio del racconto, il mare non è un granché, però il bagno si può fare e la spiaggia è tranquilla. Ogni tanto passa un tunisino con tre dromedari puliti puliti sormontati da selle comodissime ricoperte da teli rosa. Di sicuro diversi da quelli che abbiamo cavalcato sul deserto!
Passa la giornata, compriamo dei panini al tonno e pomodoro per il pranzo e la cena.
Facciamo la doccia, ci prepariamo e a mezzanotte salutiamo tutti quelli che restano e prendiamo il pulman che ci porta all’aeroporto.
Al controllo dei bagagli una poliziotta mi vede con la scatola delle corna di gazzella e mi dice qualcosa. Io dico “corna di gazzella!” e lei mi dice Adel !
I bagagli passano sotto il detector e la poliziotta dice al suo collega “Adel!” e io capisco che hanno letto il nome in arabo sulla scatola. Per un attimo ho provato a spiegarle che non è Adel ma Adele che stava con me, ma poi ho pensato:”Noooo! Pure qui!” e ho detto “Si, sono Adel!”.
Incredibile! Fino all’ultimo.
Sono le 2 di notte (ormai del 15 agosto) e siamo sdraiati sulle panchine davanti al gate numero 5 dell’aeroporto di Djerba. Alle 3 partiremo e in un paio d’ore saremo di nuovo travolti dalla nostra vita quotidiana. Adele dorme. Io provo a dormire ma non ci riesco e ripenso al viaggio che sta finendo.
Il momento più triste di qualsiasi viaggio o vacanza è proprio questo: il momento del ritorno.
15 Agosto 2006 – Roma
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