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Le donne di Castello Stelvia!
Leò! Cinna! Rosa! Maria! Irene! Amelia! Ulda! Giacinta! Candida! Mi sembra di vederle
arrivare, tutte insieme, le donne di Castello! Eccole intervenire se qualcuno ha bisogno
di aiuto. Eccole in prima fila se in paese cè unemergenza. Libera! Timilde!
Gabriella! Anna! Margherita! Olga! Ines! Pina! Ivonne! Renata! Giuliana! Pronte, subito,
su le maniche e via al lavoro, senza tanti discorsi! E giù a correre avanti e indietro
per le piane, sulle crose, con la legna in spalla, con il fieno in testa, con le verdure
dellorto.
E poi svelte a far da mangiare per i mariti, i figli, i genitori, gli infermi, sempre
solerti, attive, attente. Tante sposate, tante vedove, tante sole che i figli vengono ma
per forza. Quando i tedeschi erano in paese in tempo di guerra loro erano bambine
terrorizzate eppure portavano da mangiare di nascosto ai rifugiati. E ognuna pensava al
fratello più giovane che pensava allaltro più giovane e così a sei anni
accendevano il fuoco nella cucina gelida, raccoglievano le castagne, passavano le notti
nei casoni a farle seccare, aiutavano nei campi, e vedevano come noi i sole annegare tra i
monti. E vedevano come noi i giorni passare, Natale arrivare, le vite finire, le amiche
sposare.
E sabato, si balla! Una gonna fatta in casa per la festa: finalmente, stasera esco,
ballo, lo incontro, potro stare unora con "lui" perchè mio padre vuole
che rincaso alle undici. Ma è presto papà, oggi è sabato, capisci? Perchè non capisci?
E dovè finita la mia amica? No, non ci vengo là dietro a vedere con chi è, no,
no... Basta, mi voglio divertire, è la mia serata! |
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Di notte rimaneva qualche ubriaco steso in terra. A volte lo
accompagnavano a casa con la carriola. Per non contare gli scherzi, le secchiate
dacqua, la gara a chi mangia più ciliege per spararle col didietro più lontano
possibile. O quando i soliti maschiacci han fatto una ...caccona sulla porta di un grande
vecchio e lui, uscendo al mattino disse "Che fosse un paese di sciocchi lo sapevo ma
che fosse un paese di "cagaabrettiu" non me lo credevo proprio!
Son famose le fughe dalla finestra quando i genitori dicevano: adesso basta, non esci
più, per poi essere riacciuffati e magari legnati; ma che bello era trasgredire, correre
al fiume e fare il bagno, inseguire le anguille e sognare, zuppi e felici, il nostro
grande amore: una donna? un uomo? Qualche volta: più spesso per i maschiacci era un bella
macchina lunga 6 metri o una montagna di soldi. Poi tutti si tornava in paese, la minestra
era pronta, il vociare della gente sminuiva di colpo fino a che solo profumi volavano
nellaria prima di finalmente coricarsi.
Erano tempi di grande disagio, di sofferenza e fatica ma come sempre ci si univa con le
altre famiglie per tirare avanti e dare un senso al freddo, alla miseria, al sudore della
fatica nei campi.
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Nei giorni di festa i "ricchi", i proprietari
terrieri, passavano in carrozzella e alcuni lanciavano monetine ai ragazzi scalzi che
felici raccoglievano. Non ci sono più adesso. Alcuni di quei ragazzi hanno fatto fortuna
e le donne mostrano orgogliose la pelliccia nuova mentre le altre le guardano e sorridono:
qui la pelliccia non è vista bene, ne sa di superbia e distacco. Sembra che le donne
"arrivate" non ricordino più le corse nei campi coi piedi scalzi, i vestiti
rattoppati, il fango per il viottolo.
Chi è sempre rimasto qui ha il passo leggero e veloce. Non rinnega la fatica della terra
e ama ogni giorno che passa perchè sa che può essere lultimo. Portano i fiori al
cimitero, le donne di Castello, e tutto l'anno. |
Tagliano le erbacce sulla strada, scopano la piazza e curano le piante. Ma sopratutto
hanno cura e amore per quello che fanno. Sanno come è più bello donare che arranfare,
sanno ascoltare e detestano linutile ozio, la calunnia, la diceria.
E noi maschi posiamo la testa sui vostri ventri invecchiati, come abbiamo sempre fatto,
come sempre cerchiamo: in giro per il mondo sempre torniamo al calore delle vostre
braccia. Perchè lamore che resta è in voi.
Dobbiamo noi maschiacci dirvi grazie, magari tacendo, finalmente arrossendo. Ma dirlo: grazie!
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