I 100 ANNI DEL "DRACULA" DI BRAM STOKER

 

Poco più di 100 anni fa la casa editrice Constable metteva alle stampe una delle opere più note della letteratura universale, il "Dracula". Il successo di questo romanzo, che narrava gli orrori del vampiro più famoso nel mondo, oscurò persino il nome del suo autore, l’irlandese Bram Stoker, che, se non fosse stato per la pellicola di F. Ford Coppola, sarebbe ancora oggi, per tantissimi, un emerito sconosciuto. D’altro canto il "caso" suscitato da questo romanzo, che propose all’attenzione del grande pubblico il tipo del vampiro letterario, è in effetti ben lontano dalle precedenti prove editoriali stokeriane, che pure avevano ricevuto un buon successo di critica. Dai cartigli dell’autore, si sa che Stoker iniziò a lavorare all’idea del "Dracula" già nel 1890, l’anno in cui Sir James Frazer pubblicava "Il ramo d’oro", una sorta di enciclopedia folclorica (e ancora oggi un’importantissima opera antropologica) in cui venivano analizzate diverse specie di vampiri. Alcune biografie invece, certo concedendo qualcosa all’aneddotico, vogliono che l’idea del romanzo sia nata nel 1895, in seguito ad un incubo notturno causato da un’indigestione di gamberi (o granchi) in insalata (si pensi però anche che pochi giorni prima il suo amico Oscar Wilde era stato condannato ai lavori forzati per "pratiche illecite"!). Non è difficile inserire quest’aneddoto nel solco di una consolidata tradizione che vuole "Il castello di Otranto" di Walpole (non per nulla considerato il capostipite della letteratura gotica), il "Frankenstein" di Mery Shelley, "Il dottor Jekyll e Mr. Hyde" di Stevenson nati da sogni terrorizzanti e angosciosi. La gestazione del romanzo però - come s’è detto - fu molto più lunga e travagliata. Stoker doveva infatti lavorarvi nel tempo libero che riusciva a stralciare dal suo incarico di direttore artistico al The London Lyceum, la compagnia teatrale dell’attore Henry Irving, al quale Bram rimarrà legato fino alla morte in un ambivalente rapporto di amore e odio (proprio come una vittima al suo vampiro-carnefice). Il piano dell’opera fu così ampiamente rimaneggiato; infatti, con ogni probabilità, il "Dracula" nacque come dramma in quattro atti e solo successivamente assumerà la forma composita con la quale fu pubblicato, una felice mistione di struttura diaristica, epistolare, giornalistica, sulla falsa riga del precedente "La donna in bianco" di Wilkie Collins (1860), struttura che Stoker utilizzerà anche in un romanzo successivo "La dama del sudario" del 1909. Il titolo stesso con cui lo presentò agli editori fu "The Undead" ("Il non-morto"), che solo all’ultimo minuto fu sostituito da quello di "Dracula". Anche un elemento, peraltro sostanziale come il nome del protagonista, subì una modificazione: il nostro Conte Dracula infatti originariamente si chiamava Conte Wampyr e assunse il nome che tutti oggi conoscono così bene in seguito a lunghe ricerche bibliografiche che fecero conoscere a Stoker la figura e le imprese di un Voivoda (Principe) Valacco del XV secolo, Vlad Tepes l’"Impalatore", detto Drakul. La figura di questo condottiero rumeno fu conosciuto in Occidente solo attraverso fonti a lui ostili, che, pertanto, lo presentarono come un despota folle e sanguinario, un diavolo incarnato, quando, in realtà Vlad III fu considerato dalle popolazioni locali una sorta di Robin Hood dei Balcani. Il lavoro bibliografico di Stoker fu certo molto accurato, ma non dobbiamo dimenticare che il "Dracula" è un romanzo! Tanti infatti hanno voluto vedere nelle sue pagine verità palesi e verità nascoste e le hanno accolte come tali; per questo la Transilvania è diventata nell’immaginario collettivo La Terra dei Vampiri, la più selvaggia e ricca di superstizioni sui non-morti, quando, in realtà, Stoker non la visitò mai e la elevò (proprio perché poco nota nelle pagine giornalistiche occidentali) a santuario di un male che cova e medita la sua vendetta nell’ombra, una terra irreale, sufficientemente lontana e sconosciuta per divenire una sorta di "selva selvaggia aspra e forte", il bosco incantato e terrorizzante delle fiabe che la madre gli narrava quando era bambino. Tante comunque furono le sollecitazioni e gli spunti che confluirono nelle pagine del più noto romanzo di vampiri: le fiabe paurose della madre (che gli avevano già fatto scrivere un’antologia di racconti del terrore per bambini nel 1881), i racconti popolari raccolti da Sir William e Lady Wilde (suoi amici di famiglia), la sua conoscenza della precedente letteratura gotica, le notizie di "nera" (che Stoker succhiava avidamente come un ... vampiro... Si pensi che Jack lo Squartatore si aggirava per i quartieri londinesi nel 1888...) e certe conoscenze personali, come l’orientalista Arminius Vambéry o dell’esploratore Richard Burton, che aveva tradotto in inglese "Le mille e una notte" e un’antologia di storie indiane sui vampiri. Ma queste non sono che poche componenti che hanno contribuito a plasmare la complessa (certo la più complessa) opera stokeriana. Il Conte Dracula è infatti una figura ibrida, che ha "succhiato" i caratteri e gli attributi di tanti personaggi, reali e/o romanzeschi: il Voivoda Valacco, la contessa Bathory, realmente esistita, la quale uccise più di 600 ragazze (rigorosamente vergini) per cibarsi del loro sangue, i vampiri della precedente letteratura, il vampiro del folclore continentale...



         


A questo punto però è giusto domandarsi cosa ha fatto sì che il "Dracula" divenisse un tale "caso" letterario. Per rispondere ad una domanda così complessa occorrerà partire dalle parole di un celebre studioso della letteratura gotica, D. Punter, il quale scrive: "Il richiamo alla paura è un richiamo persino quasi più universale di quello dell’amore fra i sessi". Il "Dracula", allora, sfruttando questa potenzialità, compie un’operazione quantomeno "rivoluzionaria", perché non inserisce più l’Orrore in epoche e terre remote, come accadeva nel romanzo gotico tradizionale, ma lo cala in un’ambientazione contemporanea, quella della tarda età vittoriana. Le pagine del "Dracula" promettono di rivelare i segreti che sarebbe meglio non rivelare e le cose che sarebbe meglio tacere, disse una volta Stephen King. Ebbene, qualunque sia la formula dell’eterna giovinezza del "Dracula", si può solo constatare che è stato letto, "ridotto" teatralmente (l’anno stesso della sua pubblicazione) e cinematograficamente, studiato sotto tutti gli aspetti e da tutti i punti di vista (alla luce del simbolismo sessuale, di quello sociale e politico, delle interpretazioni psicoanalitiche - freudiane e no -, come parodia cristiana e come allegoria dei Tarocchi e della quête del Santo Graal...). Da qualcuno è stato persino proposto di leggere "I Promessi Sposi" come una versione del "Dracula": Dracula si sdoppierebbe nell’Innominato e in Don Rodrigo, Lucy sarebbe Lucia, Van Helsing invece Fra Cristoforo e così via. E se persino lo stesso Manzoni fosse stato un vampiro? Quando nel 1959 il suo corpo fu esumato era in perfetto stato di conservazione... Insomma questo romanzo è stato un best seller e ancora oggi, a cent’anni dalla sua pubblicazione, continua a far parlare di sé.

Quando Stoker morì, nel 1912, il "Dracula" era già alla sua nona edizione, mentre la morte del suo autore passò quasi inosservata: cinque giorni prima era affondato il Titanic...

 

Elissa Piccinini

elissa.p@tiscalinet.it

 

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