Arrosto e patatine

di Silvio Falcone
silfalc@tin.it



L'odore di carne arrostita aveva saturato la cucina e cominciava a propagarsi nelle altre stanze della grande casa. Le patate, nel forno, stavano assumendo il classico colore biondo, mentre l'olio in cui erano immerse ribolliva schizzando su di esse le sue roventi gocce. Nella vaschetta del lavello erano accatastati alcuni piatti, qualche padella e l'arrosticarne che aveva appena utilizzato. Dopo pranzo avrebbe avuto molto da fare per ripulire. Ormai c'era abituata, non faceva altro da dieci anni. Non era stato sempre così. Solo dal fallimento dell'azienda, in poi. Impugnò una presina e aprì il forno. Dall'aspetto, le patate dovevano essere cotte al punto giusto. Sfilò la pirofila e la poggiò sul ripiano di marmo. La tavola era già apparecchiata.

"Lo conosceva da vent'anni. Una studentessa al secondo anno di medicina e un promettente ingegnere al quarto anno. Diventare un medico. Era stato il sogno della sua vita. Laurearsi in medicina e specializzarsi in pediatria. Adorava i bambini e avrebbe contribuito al loro benessere. Poteva fare di meglio, poteva fare la mamma; con tanti marmocchi con cui affrontare la vita. L'aborto l'aveva svegliata e il sogno era svanito. Le aveva negato ogni altra possibilità di gravidanza. Si chiedeva spesso se la sua vita, con un figlio, sarebbe stata diversa. Forse per Alberto. La responsabilità di qualcuno a cui affidare il bagaglio delle proprie esperienze, non gli avrebbe fatto distruggere quello che insieme avevano costruito. Ma la vita è un cielo cosparso di "se" che brillano come le stelle, ma, come le stelle sono luce che viene dal passato, così le ipotesi sono vere solo quando i fatti sono già di ieri."

Versò un filo d'olio sulla fetta di carne ancora fumante e la regolò di sale. Raccolse le patate in un piatto e portò tutto sulla tavola. Una veloce occhiata per controllare che non mancasse nulla. Le posate erano disposte nel modo giusto, ai lati dell'unico piatto sulla tavola. Come sempre, accanto alla brocca d'acqua, c'era una bottiglia di vino rosso e, davanti, due bicchieri per le due bevande. Era un'accanita sostenitrice della necessità di comportarsi in maniera corretta in qualsiasi occasione, anche quando a tavola c'era un unico commensale, anche quando quell'unico commensale era lei stessa.

"Gliel'aveva presentato Chiara, la sua migliore amica. L'unica vera amica. Le confidava i suoi segreti, i suoi desideri, le sue ansie. Dov'era adesso che aveva bisogno di lei? Forse in quel momento stava facendo l'amore con il suo uomo. Forse aveva dimenticato Ilaria. Da quanto tempo non la vedeva! Adesso che ne aveva segreti da raccontare! Ne aveva tanti. Le aveva fatto conoscere Alberto perché ne era innamorata. A Chiara piaceva Alberto e Ilaria doveva conoscerlo, era la regola. Niente segreti. Ma, come sempre succede, i fatti procedono esattamente al contrario di come vorremmo che procedessero, e Alberto non si accorse di Chiara. In compenso si innamorò di Ilaria. Guadagnò un corteggiatore e perse per sempre un'amica. La sua unica vera amica. Non le perdonò di averle soffiato il ragazzo e sparì per sempre dalla sua vita. L'incidente non la turbò più di tanto. Lui era un ragazzo eccezionale, bello, intelligente, allegro. Fu il classico colpo di fulmine. Anche lei era molto bella. Aveva diciotto anni allora e trenta chili di meno. Una ragazza semplice, ma curata nell'aspetto e nel vestire. La invitò ad assistere alla partita di calcio per il sabato successivo. Giocava con la squadra della sua facoltà, contro gli studenti di fisica. Odiava il calcio, ma non avrebbe saltato quell'appuntamento per nulla al mondo. Accettò, prima ancora che lui finisse di proporglielo."

Scostò la sedia dal tavolo e vi si appoggiò sopra pesantemente. Puntò il telecomando sul televisore incastrato tra le mensole della dispensa e scorse i pochi canali che riusciva a ricevere sull'apparecchio. Fermò sul quarto, dove trasmettevano l'ennesima puntata della soap-opera che seguiva da una vita, senza mai vederne la fine. Era convinta che non esistesse una sceneggiatura vera e propria e che inventassero al momento la trama di ciascuna puntata. In realtà non esisteva una trama, non c'era una storia, semplicemente l'avvicendarsi di tutte le possibili combinazioni degli accoppiamenti tra i personaggi maschili e quelli femminili. Ad ogni puntata cambiava lo scenario sentimentale e, quando tutti erano stati fidanzati con tutte e viceversa, si ricominciava daccapo.

"Da quel sabato cominciarono a vedersi molto spesso. Quando era con lui, dimenticava il resto del mondo. Parlavano per ore e avevano sempre qualcosa da dirsi. Finché un giorno le prese il viso tra le mani e la baciò. Aveva baciato altri ragazzi prima, ma fu la prima volta che chiuse gli occhi e le mancò il terreno sotto i piedi. Era tutto suo, era la sua donna, e lo sarebbe stata per tutta la vita. Le giornate, con Alberto, volavano. Non riusciva più a immaginare la sua vita senza di lui. Era parte inscindibile della sua esistenza. Sapeva renderla felice con uno sguardo. Conosceva tutti i suoi punti deboli e non ne approfittava, condivideva le sue aspirazioni e i suoi progetti, leggeva nel profondo della sua anima come in un libro aperto. Riusciva sempre a sorprenderla. Ogni giorno era un giorno diverso. Non ricordava di essersi mai annoiata al suo fianco."

Cominciò a tagliare la carne. Pezzettini molto piccoli. Riusciva a masticare solo dal lato sinistro, sul lato opposto le mancavano due molari e quelli rimasti erano invasi dalla carie. Notò un capello che galleggiava sull'olio. Lo tolse. Ultimamente ne perdeva molti. Il medico le aveva detto che si trattava di stress, stress fisico e psichico. Stronzate! Era la vecchiaia. Quarant'anni che valevano ottanta!

"La prima volta che fecero all'amore... Sembrava di volare su un altro pianeta. Un pianeta circondato da bolle colorate, nel quale i fiori di ogni specie sbocciavano, si aprivano ed esplodevano, lasciando il posto ad altri fiori ed altri ancora. Era di notte, sulla spiaggia, con la luna piena. Dopo avevano fatto il bagno nudi e lui l'aveva presa di nuovo, lì, nell'acqua. Non aveva mai provato sensazioni così forti, così travolgenti. Quel giorno si rese veramente conto che avrebbe diviso il resto della sua vita con lui, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. Nel bene... e nel male, nella gioia... e nel dolore..."

Le patate sapevano di terra. L'indomani avrebbe protestato al mercato. Con quello che le facevano pagare. La carne era dura. Avrebbe tagliato pezzettini più piccoli. Patate e carne. La vita che comincia nella terra e la vita che finisce nella terra. Non c'era accoppiata migliore.

"Erano una coppia perfetta. Gli amici li invidiavano. Alberto ed Ilaria. L'abbinamento dei loro nomi era ormai un'istituzione. Sembrava fossero nati per stare l'uno con l'altra. Nessuno riusciva a pensare ad uno dei due con nessuno che non fosse l'altro. Il matrimonio fu la naturale conseguenza di una storia d'amore vissuta intensamente. Il suo matrimonio. Non avrebbe mai dimenticato, avesse vissuto cent'anni, il giorno in cui aveva detto sì. Il 10 luglio 1982, sabato. Gente dappertutto a casa. Le vecchie zie signorine, che erano pronte e imbellettate fin dalla mattina e che non smettevano di piangere augurandole ogni bene possibile. Sua madre che in sottana andava avanti e indietro impartendo ordini al resto della famiglia e ad ogni passaggio sistemava qualcosa che a suo dire non andava nel vestito della sposa. Suo padre, col colletto della camicia rialzato, la rincorreva con quattro cravatte tra le mani per farle decidere quale avrebbe dovuto indossare. Le immancabili cugine della Calabria con prole al seguito, quattro scatenatissimi frugoletti tra i tre e i sette anni, che inutilmente cercavano di trattenere dal mettere sottosopra tutto ciò che incrociavano. E lei, che non vedeva e non ascoltava nessuno, e continuava a rigirarsi nel suo bellissimo abito bianco e si preparava a tuffarsi nella felicità assoluta. Quando finalmente arrivò in chiesa, al braccio del padre che alla fine aveva scelto la cravatta peggiore, lo vide. Le decine di invitati che gli erano attorno, sembravano far parte abituale del paesaggio, soltanto lui brillava di luce propria, era circondato da un'aura luminosa e le veniva incontro. Era convinta di essere giunta all'altare senza camminare, sospesa a qualche centimetro da terra, attratta dal magnetismo che emanava l'uomo che l'avrebbe fatta felice per tutta la vita. Rispondeva meccanicamente ai rituali che aveva provato per giorni interi, esisteva soltanto lui, Alberto. Della festa ricordava solo tante facce intente a masticare i cibi delle numerose portate. Poi, finalmente, soli. Tutta la notte ad amarsi. E il giorno dopo, e tutti i giorni che avrebbero voluto."

Il pezzo che aveva scelto per l'arrosto era particolarmente nervoso. Prima di passarlo sul fuoco l'aveva ripulito per bene. Odiava mettere sotto i denti sfilacci di grasso. Non riusciva a masticarli e le davano un senso di nausea. Fin da ragazza, quando mangiava carne, sembrava procedesse a un'operazione di alta chirurgia per come maneggiava il coltello nel ripulirla dagli sfilacci nervosi. Forse per questo aveva sognato di fare il medico. Ma nonostante la minuziosa ispezione pre-cottura, faticava a macinare a dovere le pur piccole porzioni che portava alla bocca.

"Alberto aveva messo su un'impresa con due amici. Gli affari sembravano andare per il meglio. C'era molto lavoro; il denaro non mancava. Si erano costruiti una casetta fuori città dove vivevano la loro interminabile luna di miele. Avevano un giardino che Alberto riusciva a riempire di fiori anche d'inverno. Nonostante il matrimonio, aveva continuato a studiare. Di comune accordo avevano deciso che non era il caso di avere bambini finché non si sarebbe laureata. Diventare madre era una grossa responsabilità e voleva affrontarla dedicandovi tutta se stessa, con la massima concentrazione possibile. Gli esami procedevano abbastanza bene, anche se un po' a rilento. Alberto era spesso fuori per lavoro e lei aveva tutto il tempo per studiare. Ogni volta che rientrava era una festa. Gli faceva trovare cenette al lume di candela con i suoi piatti preferiti e per dessert... l'amore."

Sputò nel piatto un groviglio di nervi e carne che non riusciva a masticare. Si versò del vino e buttò giù quello che ancora era rimasto in bocca. La sera avrebbe preparato le polpette. Almeno non avrebbe avuto problemi di masticazione.

"Il paradiso era durato appena cinque anni. Alberto volle tentare il passo più lungo della propria gamba. Decise di separarsi dagli amici e continuare in proprio. Aveva fiducia in lui, era sicura che aveva scelto la soluzione migliore. Non fu così. L'operazione gli costò molto in termini di investimenti e, naturalmente, andò male. In breve tempo bruciò il piccolo capitale che era riuscito ad accumulare nei primi anni di attività e si ritrovò indebitato fino al collo. Nonostante fosse arrivata a pochi esami dalla laurea, dovette abbandonare gli studi e cercarsi un lavoro per dargli una mano a tentare di riprendersi. Lo scivolone cambiò radicalmente il suo Alberto. Cominciò a bere. Tornava a casa quasi sempre ubriaco. Non era più il ragazzo dolce e gentile che aveva sposato. Forse non lo era mai stato, forse il fallimento della sua vita aveva fatto uscire la sua vera natura, di uomo geloso, violento, prepotente."

Era sazia, ma non avrebbe lasciato neanche un pezzetto della carne che stava mangiando. Era una questione di principio. Le patate no. Le patate le avrebbe date al gatto.

"Non sopportava che lei, la piccola, incapace, imbranata Ilaria, fosse quella che tirava avanti la famiglia, e lo faceva a costo di enormi sacrifici. Faceva la commessa in un supermercato. Tutto quello che guadagnava serviva a pagare i debiti del marito che ormai non se ne curava più. Alberto passava tutto il giorno in casa, nel letto, con una bottiglia in una mano e la sigaretta nell'altra. Oltre a bere e a fumare, la sua occupazione preferita era guardare la tv. Passava intere giornate a seguire programmi stupidi, film d'anteguerra, vendite promozionali. La sera usciva già ubriaco e tornava fradicio la mattina dopo. E puntualmente la svegliava perché voleva fare all'amore. Non era più l'amore in riva al mare o le nottate da sogno dei primi anni del loro matrimonio. Quando tornava e si reggeva ancora in piedi, la scaraventava giù dal letto, le strappava da dosso la camicia da notte e le saltava addosso letteralmente violentandola. Ormai non dormiva più, viveva nel terrore nell'attesa del suo ritorno e delle violenze che avrebbe dovuto subire. La sottoponeva ad ogni specie di sevizie e se si opponeva, giù botte. Tutti i giochi che un tempo erano piacevoli preliminari ad un rapporto intenso e profondo, erano diventate armi letali nelle mani dell'uomo che ne aveva inventati di nuovi, sempre più violenti e umilianti. Le bruciature di sigaretta e le striature delle cinghiate, testimoniavano sul suo corpo la rabbia e la violenza non più represse di un uomo che non aveva più futuro. Ogni volta sperava di vederlo tornare talmente ubriaco da non reggersi in piedi, stramazzare al suolo e lì addormentarsi, fino alla sera dopo."

Finalmente finì di mangiare l'arrosto. Buttò giù qualche chicco d'uva da un grappolo che era nel cestino e accese una sigaretta. Dopo pranzo le piaceva rimanere qualche minuto a fumare, rilassata, senza pensare a nulla.

"Quando non abusava sessualmente di lei, si divertiva a picchiarla. Le alzava le mani addosso per un nonnulla. Vedeva amanti dappertutto. Spesso piombava nel supermercato, convinto di sorprenderla ad amoreggiare con lo spasimante di turno. Ovviamente restava deluso, e allora scenate allucinanti perché aveva sorriso a quel cliente o era stata troppo gentile con quell'altro. Più volte aveva rischiato di essere licenziata e aveva dovuto faticare non poco per convincere il direttore a darle un'altra possibilità, non senza aver promesso che il marito non avrebbe più messo piede in quei locali. Altre volte tornava a casa e, appena richiusa la porta alle spalle le saltava addosso e giù schiaffi, pugni, calci per farle pagare chissà quale tradimento. Una volta, sotto la minaccia di un coltello, la costrinse a denudarsi e la frustò a sangue con la cinghia, sulle natiche. Un'altra volta le ruppe il setto nasale con una testata. Ogni volta doveva trovare una scusa diversa quando non poteva fare a meno di farsi medicare all'ospedale. Caduta dalle scale, scivolata nella vasca, inciampata nel tappeto, e così via. Avrebbe potuto lasciarlo, denunciarlo, scappare lontano. Aveva minacciato di ucciderla, se solo si fosse azzardata a pensarlo. E l'avrebbe fatto, ne era sicura. Nessuno poteva proteggerla. Il giudice gli avrebbe intimato di lasciarla in pace e l'avrebbe diffidato, ma sarebbe rimasto a piede libero. L'avrebbe uccisa. E poi la giustizia non era in grado di fargli pagare al giusto prezzo i debiti che aveva contratto con lei. Lo odiava, esattamente quanto lo aveva amato. Restava con lui per trovare il coraggio di fargliele pagare tutte. La prima volta che pensò seriamente di ucciderlo, fu quando le procurò l'aborto."

Schiacciò il mozzicone della sigaretta che aveva appena finito di ridurre in cenere e si alzò. Versò alcune dosi di detersivo nella vaschetta del lavello e aprì il rubinetto dell'acqua calda. Avrebbe ripulito tutto e poi avrebbe preparato la cena per la sera. Polpette. L'arrosto le era rimasto tra i denti. Almeno le polpette non le avrebbero causato dolori ai molari cariati.

"In una delle sue incursioni notturne, l'aveva fatta secca. Era rimasta incinta. In un'altra occasione la cosa l'avrebbe resa felice oltremodo. Ma con lui senza lavoro e soprattutto nella condizione di terrore in cui viveva era la peggiore cosa che potesse capitarle. Però decise di tenersi il bambino, avrebbe avuto qualcuno per il quale sarebbe valsa la pena continuare a vivere. Non gli disse niente. Al quarto mese però non riuscì più a nasconderglielo, la pancia era evidente e, sebbene avesse fuso il cervello, non era scimunito al punto da non accorgersene. Tornò a casa alle cinque del mattino, come sempre sbronzo, di ritorno da chissà quale bordello. Era sveglia, ma, come sempre, fingeva di dormire nella speranza di essere lasciata in pace. E lui, come sempre, entrò urlando che aveva bisogno di ritrovarsi a casa, vicino alla mogliettina che gli faceva le fusa. Le si avvicinò barcollando e strappò via le lenzuola che la ricoprivano. Immediatamente arrivarono due schiaffi perché aveva indossato la camicia da notte e non era rimasta nuda, come lui pretendeva di trovarla ogni volta che rientrava. La camicia, comunque non era un problema, fu strappata via come le lenzuola. Lei piangeva in silenzio, ingoiando le lacrime che non andavano a bagnare il cuscino. Le era proibito anche piangere. Le si buttò addosso ancora vestito. Puzzava di alcool e di sudore, misti a profumo femminile di pessima qualità. Cercava di baciarla e contemporaneamente armeggiava con i propri abiti, nell'intento di liberarsene. Riuscì a sfuggirgli e rotolò giù dal letto. Liberatosi dei calzoni le si avventò contro. La mancò perché con uno scatto era scivolata fino all'angolo, dietro all'armadio. Era decisa a respingerlo con tutte le sue forze. Aveva bisogno di dimostrare a suo figlio che aveva ancora un briciolo di dignità. Alberto era furioso. Era la prima volta che lei si ribellava con decisione alle sue "advances". Si guardò intorno e prese la prima cosa che gli capitò sotto mano, una scopa che era rimasta appoggiata al muro dopo le pulizie serali. Lo vide arrivare come un toro infuriato. Il primo colpo la raggiunse sul braccio che aveva proteso per proteggersi, il secondo le fece sanguinare l'orecchio destro dopo aver spezzato il manico. La trascinò semisvenuta al centro della stanza e, per punirla per la sua impudenza, la sodomizzò col pezzo del manico spaccato. Il dolore per la propria dignità di donna ferita, fu di molto superiore al dolore fisico per la brutalità che subiva. Quando finalmente decise che poteva bastare, la lasciò dolorante e sanguinante, stesa sul pavimento. Tra le lacrime e con un filo di voce gli confessò di essere incinta, che aspettava un figlio suo. Sperava in qualche modo di calmarlo, di addolcirlo. Lui sbiancò in volto e cominciò a girare per la stanza scagliando per aria tutto quello che trovava e sferrando pugni alle pareti. Cominciò a urlare che era una cagna, che quel figlio non poteva essere suo, che certamente aveva trovato qualcuno che la sbatteva in sua assenza. Quando ebbe finito di prendersela con l'arredamento, cominciò a scaricare la sua rabbia su di lei. Era ancora distesa per terra e non riuscì ad evitare il calcio nella schiena, né riuscì ad evitare i successivi che la colpirono ai fianchi, sui seni. Quando la colpì con violenza per ben due volte sulla pancia, avvertì un dolore lancinante all'interno del ventre e sentì un calore tra le cosce. La sua vescica aveva ceduto, ma, insieme all'urina, cominciò a fuoriuscire sangue molto abbondante. All'ospedale dovette firmare più di una dichiarazione in cui sosteneva che era caduta per le scale del solaio mentre cercava di cambiare una lampadina in soffitta. Da quel momento decise che lo avrebbe ucciso. Aveva ammazzato suo figlio, la sua unica speranza. Ma con l'odio crebbe anche il terrore per quell'uomo che, ormai consapevole di averla in totale potere, sfogava su lei tutti i suoi peggiori istinti."

Finì di lavare i piatti e pulì il ripiano di marmo. Staccò dall'osso alcuni pezzi di carne e li infilò nel tritatutto. Ripassò più volte la massa tritata, le polpette sarebbero state morbide e, con un sugo speciale, le avrebbe gustate più dell'arrosto che le si era piazzato sullo stomaco. Fischiettando raccolse sul tagliere alcune carote, cipolle e sedano e, con la mezzaluna, li ridusse in poltiglia.
Versò un filo d'olio nella padella e vi fece saltare il composto. Dopo qualche secondo, prima che arrivasse a friggere, versò il contenuto di due scatole di pelati e amalgamò il tutto.

"Da quella sera prese l'abitudine di andare a letto tenendo sotto il materasso un coltellaccio preso in cucina. Aveva giurato a se stessa e al figlio mai nato, che alla prima occasione glielo avrebbe piantato nella gola. Purtroppo non aveva il coraggio di farlo. Non aveva scrupoli nei confronti di quello che era diventato suo marito, ma aveva paura di fallire e di essere uccisa a sua volta. Continuava a vivere nel terrore e a subire i suoi oltraggiosi assalti. Più passavano i giorni e più cresceva il suo odio verso di lui e la determinazione ad ucciderlo. Doveva risolvere la questione da sola. Aveva fatto una promessa a suo figlio, e l'avrebbe mantenuta. Doveva soltanto aspettare il momento giusto. Passavano i mesi, ma guardandosi le sembrava fossero passati anni. Si era lasciata andare totalmente. Ingrassò di parecchi chili, non si pettinava quasi più, si lavava solo quando non ne poteva più fare a meno. Nulla di lei faceva più pensare alla ragazza di qualche anno prima. Non gliene importava più niente, aveva un solo scopo nella vita, ormai, ammazzare suo marito. E voleva farlo nel modo più atroce possibile. Voleva vederlo soffrire, doveva chiederle pietà e lei, per tutta risposta, lo avrebbe sgozzato."

Riempì con la carne tritata una zuppiera e vi ruppe sopra due uova, regolò di sale e, con una forchetta, cominciò ad amalgamare il tutto. Ogni tanto dava un'occhiata al sugo che borbottava nella padella sul fuoco, lo rigirava con un mestolo di legno e, quando le sembrava troppo tirato, aggiungeva mezzo bicchiere d'acqua.

"Arrivò così il giorno di Natale del 1996. Da tempo ormai non esistevano feste per lei. Alberto usciva e a volte si ritirava dopo alcuni giorni. Era fuori da tre giorni quando lo sentì entrare in casa, seguito da due amici più ubriachi di lui. Entrarono gracchiando insieme Gingle Bell. Lei era a letto, nuda sotto le coperte, come aveva ordinato lui. Piombarono nella stanza e accesero le luci. Si avvicinò alla moglie e le mise tra le labbra una bottiglia di spumante semivuota, versandole il contenuto sulla faccia e sul collo. Gli amici, due poveri cristi raccattati in chissà quale immondezzaio, ridevano a crepapelle. Glieli presentò raccontandole che, in occasione del Santo Natale, aveva deciso di compiere una buona azione verso chi non aveva, come lui, la fortuna di avere una dolce mogliettina che lo aspettava a casa. Lei sarebbe stata il regalo di Natale per i suoi amici. Si sentì gelare il sangue nelle vene. Il coltello era sotto al materasso, ma non poteva prenderlo senza farsene accorgere. Si avvolse le coperte attorno al corpo e sedette sul letto. Gli disse, con molta calma, che sarebbe stato meglio che, prima di dire simili stupidaggini, avesse messo la testa sotto la doccia. Non finì di dirlo, che gli arrivò un manrovescio sul lato destro della faccia. Sentì il dolce sapore del proprio sangue che fuoriusciva dalle labbra perforate dal canino. Si ritrovò un coltello a serramanico puntato sotto il mento e il viso del marito a pochi centimetri dal suo che sghignazzava. Gli altri due, invitati al banchetto da Alberto, le furono addosso in un lampo e, liberatala dalle coperte che la avvolgevano, la oltraggiarono in tutti i modi possibili senza risparmiarle nessuna delle fantasie di cui quella sera furono molto prolifici. Tutto sotto gli occhi di Alberto che sghignazzava e fingeva di riprendere la scena con una telecamera formata dalle sue dita incrociate. Quando finalmente furono soddisfatti e totalmente appagati, la lasciarono. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto, non aveva più lacrime da piangere, non aveva detto una parola. Era arrivato il momento."

Quando la carne e gli altri ingredienti furono ben amalgamati, cominciò a prelevare porzioni tutte uguali e prese a modellarle tra le mani. Quando le sembravano della forma e della consistenza giuste, le passava nella farina e le poggiava in buon ordine su un grosso piatto. Il sugo diffondeva per la stanza un buon odore. Era di ottimo umore. Appena finì di sistemare le polpette, mise un'altra padella piena d'olio sul fuoco. Preparava le polpette come lo faceva la sua povera mamma, morta molti anni prima. Le friggeva e poi le lasciava cuocere per qualche minuto nel sugo di pomodoro. Erano deliziose.

"Alberto li dovette trascinare fuori dalla porta letteralmente. Avrebbero voluto ricominciare, anche se l'alcool che gli usciva dalle orecchie e la performance appena compiuta, li avevano ridotti all'impotenza. Tornò in camera da letto, dove Ilaria giaceva immobile sul letto, così come l'avevano lasciata, a pancia sotto, di traverso. Aveva lividure e graffi per tutto il corpo. Alberto si avvicinò al letto dal lato dove aveva poggiato la testa. Si sedette e le accarezzò i capelli. Era voltata dall'altra parte. Poi scese a lambirle la schiena e le natiche, cominciò a spogliarsi. Dalle carezze passò ai baci. La baciava e le alitava sul collo. Si voltò e gli sorrise. Alberto non fece in tempo a notare nei suoi occhi un bagliore satanico. Affondò il coltello con tutta la sua forza nel fianco dell'uomo. Sbarrò gli occhi e il viso assunse una strana espressione di stupore. Estrasse la lama e velocemente gliela conficcò alla base del collo. Istintivamente l'uomo fece un balzo all'indietro e cominciò a tossire. Si alzò in ginocchio sul letto. Lui cercava di sfilare il coltello e vomitava sangue. Rinunciò a sfilare l'oggetto dal fodero di carne e le si avventò contro. Riuscì a schivarlo, ma prese comunque un pugno in piena faccia. Sentì le ossa della mascella scricchiolare. Rotolò per terra impigliata nelle coperte. Alberto avrebbe voluto urlare, ma riusciva soltanto a rantolare. Rotolò anche lui giù dal letto trascinandosi dietro il comodino e tutto quello che c'era sopra. Riuscì ad afferrarle una caviglia prima che lei si liberasse del tessuto che la imprigionava. Si arrampicava alla sua gamba come se risalisse su una corda. Era terrorizzata. Riuscì a flettere l’arto rimasto libero e lanciò il tallone con tutta la forza che aveva sul naso dell'uomo. Sentì qualcosa che si rompeva sotto, ma ottenne lo scopo, anche l'altro arto fu libero. Si alzò in piedi e corse in cucina. Aprì il cassetto delle posate in cerca di un altro coltello. La fretta e la paura glielo fecero sfilare con troppa foga e finirono tutte per terra e sui suoi piedi nudi, ferendola in più punti. Si voltò. Alberto era alla porta, con il coltello sporco del suo sangue nella mano destra. Non riusciva a parlare, ma il suo sguardo era molto esplicito. Si inginocchiò cercando qualcosa per difendersi. Le mani le tremavano. Non riusciva a trovare nulla, sebbene il pavimento fosse pieno di posate, tra cui coltelli di dimensioni notevoli. Riuscì ad alzarsi, afferrò la sedia alla sua sinistra e gliela lanciò contro. Lo mancò. Alberto avanzava lentamente. La camicia era rossa, intrisa del suo sangue. Anche dal fianco perdeva il prezioso liquido che gli scorreva lungo la coscia nuda. Girò attorno al tavolo per tentare di sfuggirgli, ma fu un grave errore. L'uomo glielo spinse contro, colpendola violentemente all'inguine. Fu catapultata contro il muro alle sue spalle e rimbalzò sul tavolo sbattendo il volto sulla formica. Avvertì il sibilo e lo spostamento d'aria e si spostò d'istinto, ma non riuscì ad evitare il colpo che le lacerò la carne sulla spalla destra. Incurante del dolore, riuscì a divincolarsi e, con un balzo felino gli fu alle spalle. Afferrò il vecchio ferro da stiro inizi novecento, regalo della nonna come pezzo di antiquariato, e si gettò sul marito con tutte le forze che le rimanevano. Alberto si girò in quell'istante. Fece appena in tempo a vedere qualcosa che gli arrivava in mezzo agli occhi. Il cranio si aprì come un cocomero. Stramazzò a terra, in un lago di sangue. Ilaria continuò a colpire. Urlava, piangeva, rideva. Colpì fino a quando quella che un giorno era stata la testa di Alberto, non fu ridotta a un ammasso informe di schegge ossee, carne e materia cerebrale. Si alzò. Aveva ancora il ferro da stiro stretto nella mano. La spalla le faceva male. Restò a fissarlo per molto tempo, senza muoversi, senza pensare. Poi si guardò intorno. C'era sangue dappertutto. Anche lei era coperta di sangue, e non tutto sangue del marito. Era finita! Era libera! Bisognava soltanto ripulire tutto."

Le polpette erano quasi cotte. Gettò nella pattumiera i ritagli che non aveva tritato. Andò verso il frigo-congelatore. Lo aprì e vi guardò dentro. Avrebbe mangiato carne ancora per una settimana, al massimo dieci giorni. I genitali li avrebbe gustati per ultimi. Le mani e i piedi li avrebbe fatti a pezzetti e sarebbero diventati cibo per i cani randagi che spesso sfamava nel giardino di casa. Però avrebbe prima recuperato la vera nuziale, ci teneva a certe cose!




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