L'attesa durava ormai da oltre mezz'ora, da me trascorsa a scambiare sorrisi con colei che fungeva da segretaria, a sua volta impegnata a mostrarmi le gambe coperte, si fa per dire, da una minigonna.
Non avevo ancora individuato la serie d’appartenenza, anche se propendevo per la SEX-1/9 BIS. Non era proprio l'ultimo modello, ma assicurava tutte le prestazioni che ci si può aspettare da una segretaria, escluse quelle di tipo sessuale. Un tempo ormai lontano venivano assunte quando rispondevano ad avvisi tipo "Cercasi segretaria, bella presenza..."; adesso si possono acquistare su catalogo o in negozi specializzati. Mio nonno diceva sempre che era meglio prima e non posso dargli torto: è un altro prezzo che abbiamo dovuto pagare al progresso.
La bio-cyborg mi guardava e io le sorridevo; così era passata mezz'ora. In tale periodo s’era alzata un paio di volte, attratta da qualche misterioso richiamo, per scomparire dietro una porta e ritornare dopo pochi secondi con un messaggio:
"Il produttore la prega di aspettare."
Mi trovavo lì in risposta ad un annunzio prelevato da un sito Internet:
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- Sceneggiature
- Racconti
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Inviate a
OLO -PRODUZIONI OMBRA
via della Falsa immagine 666
oloprod@fantas.net
Di inediti, ne ho pieni i cassetti: ne scelsi uno e lo spedii per posta elettronica. Dopo un mese mi convocarono.
Per la terza volta bella presenza s’alzò e sparì. Stavolta s’assentò un po’ di più, ma ritornò con una bella notizia:
"Il produttore la riceve." - annunziò, indicandomi la stanza dalla quale era sortita, lasciando la porta aperta. Avanzai esitante, inquadrando il mio interlocutore che mi scrutava da dietro una scrivania. Subito mi venne in mente di chiamarlo palla di lardo: pingue, roseo e giulivo come un maialino dei cartoons, il produttore m’invitò.
"Avanti, giovanotto! S’accomodi."
Non comprendevo dove, giacché la scrivania era a ridosso della porta. Ma, appena i miei piedi toccarono la soglia, la olo-stanza s’allargò configurando un ampio locale con una parete a libreria e piante di ficus dislocate in giro, mentre la scrivania insieme al suo occupante si ritrasse sul fondo.
Percorsi con disinvoltura i metri che mi separavano da palla di lardo e mi presentai:
"Beniamino D’angelo." – dissi – "Sono stato convocato."
"Mi chiamo Alex Cipolletti." – si presentò a sua volta il grassone – "Sono il padrone di questa baracca."
Mi porse giovialmente una mano, costringendomi a stringere un untuoso prosciuttino. Voglio precisare che non ho nulla contro le persone grasse; anch’io lo sono stato, prima di mettermi a dieta per motivi sessuali: nel senso che non riuscivo a beccare una ragazza che sia una.
"Ti dispiace se ci diamo del tu?" – propose palla di lardo – "Mi viene spontaneo con le persone con le quali collaboro."
Non mi dispiaceva. Anzi, quell’offerta di collaborazione deponeva bene per la mia carriera. Risposi che ero d’accordo. Anche se, in cuor mio, restava pur sempre palla di lardo.
"Portaci da bere, 8-1-9." – disse Cipolletti rivolto a cosce lunghe, spiegando – "L’ho da due giorni e non ho ancora deciso come chiamarla: perciò continuo ad usare la sigla della fabbrica."
Mentre la solerte segretaria provvedeva ai beveraggi, iniziammo la nostra collaborazione.
"Abbiamo letto il lavoro che hai inviato e lo troviamo veramente eccezionale."
Il complimento mi sembrò eccessivo. Più che sulla trama, non del tutto originale, confidavo sullo stile e su alcuni riferimenti storici documentati.
Il racconto narrava del giovane Camillo, ambizioso ma d’umili origini, il quale fa la conoscenza della baronessina Anastasia. I due s’innamorano; però, le loro condizioni sociali sono troppo distanti. Camillo decide allora di arruolarsi nell’esercito, dove, grazie al suo valore, fa una rapida carriera e ritorna in patria da ultramedagliato eroe e con i gradi di capitano. Durante un ricevimento per festeggiare la vittoria, sarà la stessa zia di Anastasia a presentargli la nipote, insieme al nulla osta per il matrimonio.
"Però…" – fece Cipolletti, lasciando la frase minacciosamente in sospeso.
"Però?"
"Così com’è, sembra il remake di storie trite e ritrite."
Non potevo dargli torto, ma non vedevo quale rimedio porre, né comprendevo a questo punto il motivo della convocazione.
"Però…" – s’interruppe ancora Cipolletti, stavolta senza minaccia, ma allargando il volto in un sorriso rassicurante – "…con qualche ritocco se ne può tirare fuori un capolavoro."
"Effettivamente, avevo già pensato di modificare alcune parti del racconto." – mentii spudoratamente. Ci tenevo troppo a farmelo accettare e qualche ritocco non m’arrecava fastidio.
"Benissimo!" – commentò il pingue produttore – "Devi comprendere che i nostri clienti s’aspettano novità e forti emozioni… E noi gliele daremo."
Con numerose lipidiche ondulazioni, assestò il corpo sulla poltrona, mirandomi con un occhio, mentre teneva l’altro fisso sul monitor che mostrava il racconto da me inviato.
"Per esempio…" – continuò, ritornando alle interruzioni minacciose – "…l’ambientazione."
Il racconto da me concepito si svolgeva nell’800, in un non ben precisato paese del centro Europa.
"Ci sono fin troppi olofilm storici. Se dobbiamo realizzare una produzione moderna, occorre spostare la trama nel futuro."
"Un film di fantascienza!" – inorridii.
"Perché? Ti fa schifo?" – ribatté – "Mio caro Beniamino…" – s’arrestò perplesso – "Meglio Bunny. Si. Ti chiamerò Bunny. E’ più moderno. D’altronde…" – spiegò a mo’ di scusa – "…Alex non viene da Alessandro, come pensano tutti. Il mio vero nome è Eleuterio."
Ribattezzato Bunny, cercai di contrastarlo:
"Veramente, non avevo pensato ad un racconto di science-fiction…"
"Non lo è, infatti." – m’interruppe – "Noi ci limiteremo a fissare l’ambientazione in un’epoca, diciamo… tra 50 anni. Bunny, ti fidi di me?"
Avrei voluto rispondere di no, ma, per educazione, annuii poco convinto.
"Adesso che siamo d’accordo sulle modifiche al copione, vediamo di realizzarne un’anteprima."
S’alzò in piedi, costringendomi ad imitarlo, e fece un cenno a 8-1-9 che sostava nei pressi di un’apparecchiatura che riconobbi come proiettore olografico:
"8-1-9, accendi la macchina." – ordinò.
L’aria attorno a me tremolò e s’intorbidò d’una sottile nebbiolina; poi, l’ufficio scomparve per trasformarsi in un salone immenso con pareti interrotte da una lunga fila di finestre e balconi.
"Non avevo mai visto una cosa del genere." – ammisi stupefatto.
"Questo non è niente." – disse Alex con soddisfazione – "Non hai mai assistito ad una produzione olografica. Con i moderni sintetizzatori è possibile realizzare un’anteprima e poi l’intero film senza la rottura di scatole di attori e registi. Facciamo tutto qui, da noi." – concluse, agitando le braccia per mostrare il set. Fece alcuni passi nel salone deserto, spiegando:
"In questa sala ambienteremo la scena del ballo con la quale si apre il film."
Movendomi con cautela, lo raggiunsi per dire la mia:
"La festa danzante si svolge alla fine del racconto." – obiettai.
"E invece noi la metteremo all’inizio." – fece, testardo, rivolgendosi poi alla segretaria che era sparita insieme al resto dell’ufficio – "8-1-9, fa’ entrare gli invitati."
L’ampia porta in fondo al salone si spalancò, consentendo l’ingresso ad una folla di donne e uomini che s’affrettarono ad occupare i divani e le poltrone dislocate lungo le pareti. Non potei fare a meno di notare il loro abbigliamento che voleva essere elegante e futuristico; ma rappresentava invece ciò che sarà la moda tra 50 anni, secondo qualcuno dotato di scarsa fantasia. Basti dire che la maggior parte dei giovani presenti indossava un’uniforme militare che appariva come la parodia di Star trek.
"Manca la musica." – fece il produttore-regista-coautore – "8-1-9, l’orchestra!"
Un impulso elettronico inviato dall’invisibile segretaria e una zona del salone fin’allora deserta fu riempita da una diecina di orchestrali che subito intonarono un valzer.
"Vediamo se riconosci Anastasia." – mi sfidò Cipolletti. Guardai in giro e l’individuai immediatamente. Alta, dai lunghi capelli corvini e gli occhi grigi sfavillanti per la gioia: proprio come l’avevo immaginata e descritta. Mi avvicinai alla ragazza per ammirarne la perfezione estetica, marcato a vista da Cipolletti il quale m’esortò:
"Adesso trova Camillo." – Non mi fu difficile. Nel gruppo dei giovani ufficiali era quello con il maggior numero di medaglie pendenti dal petto. Ed anche il più bello, mi sia consentito. Dovevo convenire che Eleuterio aveva fatto un buon lavoro con la sua diabolica macchina per produrre immagini.
"Ora, andiamoci a godere l’incontro di Camillo e Anastasia." – m’invitò Alex, dirigendosi verso il divano dove, insieme con Anastasia, aveva preso posto un’anziana donna dai nobili lineamenti.
Mi muovevo ormai con disinvoltura in quell’ambiente che sapevo virtuale ma che appariva dotato di un’incredibile corposità realistica. Sentivo il brusio delle conversazioni e avvertivo l’olezzante miscuglio del profumo delle dame. Senza più meravigliarmi di nulla attraversai il salone gremito di coppie danzanti, urtandone alcune che sembrarono ignorarmi. A fatica raggiunsi Alex posizionato in prima fila, proprio accanto ad Anastasia: non voleva perdersi una parola dell’incontro.
Con un gesto autoritario, la vecchia zia fece cenno a Camillo d’avvicinarsi e, appena il giovane fu a portata di voce, disse:
"Capitano D’alcontres…"
Maledetto Porcelletti, anche il cognome gli aveva cambiato!
"…le presento mia nipote: la baronessina Anastasia. Non vorrete lasciarla seduta, mentre tutti gli altri ballano."
Il mio povero Camillo D’alcontres, arrossendo come un collegiale, invitò Anastasia e i due si lanciarono nel turbinio del valzer, mentre Porcelletti, tormentandomi un fianco con il gomito, pretendeva il mio giudizio:
"Eh, che ne dici?"
Visibilmente contrariato, cercai di ribattere:
"Se questo è l’inizio, come continuiamo? Contro chi lo facciamo combattere per conquistarsi le medaglie che già possiede?"
"Non è un problema." – minimizzò Porcelletti – "I nemici non mancano. Io avevo pensato ai ribelli della colonia di Marte."
Era troppo! Feci per andarmene, ma non sapevo la strada da percorrere per uscire da quell’incubo. E ignoravo cosa ancora m’attendeva.
Improvvisamente, una donna lanciò un grido d’orrore e tese un braccio tremante verso uno dei balconi centrali sul quale erano apparse alcune ben strane figure, mentre altre facevano capolino dai vetri delle finestre adiacenti. In tutto una ventina di individui dall’aspetto emaciato, pallidi come la luna e con gli abiti lacerati.
Poveri straccioni venuti ad osservare la festa dei ricchi, si sarebbe potuto pensare. Se non fosse stato per i brandelli di carne che pendevano dai loro corpi, per le orbite vuote di alcuni di loro e per il fetore nauseabondo che stava ammorbando l’aria.
Un austero signore con l’aspetto da generale in pensione si fece incontro agli intrusi.
"Signori!" – li interpellò – "Giacché non risultate nell’elenco degli invitati, siete pregati d’allontanarvi."
Per tutta risposta, due di quei figuri lo presero per il bavero e lo trascinarono fuori. Prima che potessimo renderci conto di quanto avveniva, udimmo le urla strazianti del maggiordomo e, sbirciando all’esterno, lo vedemmo ridurre in pezzi che furono equamente distribuiti e prontamente divorati.
"Gli zombi!" – esclamò Alex, ridacchiando come un idiota al mio indirizzo.
"Da dove sbucano fuori?"
"Ci dev’essere un’interferenza. Prima che arrivassi tu ho lavorato ad un olofilm horror insieme al suo autore. I file devono essere rimasti nella macchina."
Finito il pasto, gli zombi si disponevano a rientrare nel salone.
"Qui si sta incasinando tutto." – commentai benevolmente – "Metti fine a questo strazio."
Alex annuì comprensivo ed emise un ordine:
"8-1-9, spegni la macchina."
Non avvenne nulla, a parte il fatto che gli zombi erano già penetrati nel salone, costringendo i presenti ad arretrare.
"8-1-9, spegni la macchina!" – ripeté Alex quasi urlando. Sembrava meravigliato. Figuratevi io!
"Non capisco." – mormorò.
"Che c’è da capire? Fammi uscire da qua dentro." – l’esortai.
"Da qui non posso manovrare la macchina. Provvede a tutto il robot. Accidenti a lei!" – esclamò.
"Accidenti!" – esclamai in coro – "Questo, no!"
Due dei cadaveri ambulanti s’erano diretti verso Anastasia rannicchiata sul divano e, ghermitala per le braccia, la strattonavano per trascinarla via. Mi precipitai prontamente in soccorso della mia creatura, invocando l’aiuto di Camillo con il quale ritenevo d’essere in confidenza. Balzai addosso ai due zombi; li strinsi l’uno contro l’altro, suscitando sinistri scricchiolii d’ossa e lordandomi abiti e mani di un fetido liquame. Cercai di spingerli verso il balcone, ma uno dei due sollevò uno sgabello e me lo calò su un braccio. Lo sentii intorpidito dal dolore che mi esplose nel cervello in mille fiammelle. Strinsi i denti e, facendomi forza, completai l’opera utilizzando il braccio illeso. Infine, tornai indietro a soccorrere la ragazza la quale aveva già trovato conforto tra le braccia di Camillo.
"Che aspettate a tirare fuori le armi?" – lo investii, continuando a massaggiare il braccio indolenzito.
"Non ne abbiamo. Siamo venuti attrezzati per una festa da ballo." – si giustificò il giovane ufficiale.
"Dovete procurarvele immediatamente." – gl’intimai, sfoggiando poi la mia cultura in tema di genere horror – "Occorre colpirli alla testa. Spaccare il cranio."
Camillo prese il comando delle operazioni e inquadrò prontamente gli altri ufficiali presenti in sala. Saltarono fuori le armi più disparate: spranghe di ferro, piedi di tavolo, uncini e coltellacci da cucina.
"Alla testa. Bisogna colpirli alla testa." – continuavo ad esortarli.
Uscimmo a cercarli nel giardino dove stavano in agguato. Alla luce dei fari e delle fiaccole li cacciammo per tutta la notte, mentre Cipolletti seguiva le nostre azioni, lanciando grida di giubilo:
"Bravi! Avanti così. Mio Dio!" – invocava il blasfemo – "Che film ne verrà fuori!"
Finalmente, all’alba, l’ultimo degli zombi giacque con la testa spaccata da un colpo d’ascia.
Rinfrancati e vittoriosi tornammo nel salone.
"Abbiamo vinto." – annunziai ad Alex che mi fissava con l’aria preoccupata e per nulla tranquillo. Ormai credevo di conoscerlo bene.
"Che cosa c’è?" – domandai – "Non è ancora finita?"
"Ci sarebbe il demone." – mormorò.
"Il demone?"
"Il profanatore delle tombe. Colui che risveglia i morti." – spiegò con un fremito della voce – "Bahardaal!"
Come evocato dalle sue parole, mezza parete del salone venne giù con un frastuono assordante, suscitando un polverone che riempì il locale. E, al di sopra delle macerie apparve un mostro.
Grande il doppio di un elefante, con un enorme corpo villoso da caprone e due imbuti al posto delle corna. Poggiava su quattro solide zampe che terminavano in lunghi artigli simili a lame di rasoio. Dal dorso si protendevano verso l’alto quattro tentacoli che ruotavano e sferzavano l’aria come pale d’elicottero. Spalancò le fauci, mostrando una doppia dentatura da animale predatore con lunghi canini ed emise un suono che mi ricordò i motori di uno shuttle in elevazione.
Mi domandai quale mente bacata avesse potuto concepire tale mostruosità.
"L’idea è stata mia." – ammise Alex con una punta di rimorso nella voce.
"Bravo!" – lo complimentai – "E questo come si può combattere?"
"Ci vuole l’amuleto."
"Quale amuleto?"
"Quello trovato nella tomba del sacerdote."
"E dov’è questo maledettissimo amuleto? Lo sai?"
"Non posso raccontarti tutta la storia." – fece quasi stizzito, quel grandissimo idiota – "L’amuleto lo tiene Frank: glielo ha donato il nonno in punto di morte."
"Dove sta questo Frank?" – urlai.
"Verrà, prima o dopo." – assicurò Alex Cipolletti, continuando – "Ma di che ti preoccupi? Sono immagini olografiche. Non possono arrecarci danno."
Non volevo contraddirlo, ma il braccio colpito dallo zombi mi faceva ancora male.
Bahardaal era avanzato fino al centro del salone dove eravamo rimasti soltanto io e Alex il quale si volse verso il demone, dicendo:
"Guarda. E’ soltanto un’immagine olografica. Il prodotto di una sintetizzazione elettronica."
Furono le sue ultime parole. Un tentacolo del mostro lo avvolse e lo sollevò in aria, mentre gli artigli delle zampe anteriori cominciarono a lavorarsi il corpo del povero Palla di lardo che non ebbe neppure il tempo di gridare.
Completato lo scempio di Alex, Bahardaal si rivolse a me che arretrai di qualche passo, subito raggiunto dal demone che mi spinse a terra con una zampa e mi tenne fermo con un’altra. Spalancò le fauci emettendo un caldo soffio sulfureo e calò su di me.
La vista mi s’annebbiò. Il mostro che mi sovrastava mostrandomi la gola, mise a tremolare; poi sembrò incrinarsi, si ruppe in mille frammenti di puzzle… e sparì. Mi ritrovai nell’ufficio di Cipolletti, a fissare dal basso le lunghe gambe di 8-1-9.
"Buongiorno!" – fece la cyborg-segretaria, rivolgendomi un sorriso professionale che non riusciva a nascondere un misto di perplessità e imbarazzo – "Sono le nove del mattino. Vi ricordo gli appuntamenti di oggi. Alle ore undici…"
Guardai in giro. Era improbabile che Alex Cipolletti potesse presenziare agli appuntamenti. I brandelli sanguinolenti del suo corpo erano sparpagliati per tutto il pavimento.
"Chiamate un’ambulanza… e la polizia." – invocai. L’ambulanza, naturalmente, era per me.
Nell’attesa, 8-1-9 mi spiegò che la sera precedente, come tutte le segretarie di questo mondo, era smontata di servizio alle 5 precise. Nel senso che s’era disconnessa, per riconnettersi l’indomani mattina: una semplice questione di contratto e di programmazione.
La spiegazione era logica e convincente. A me è toccato spiegare chi avesse ridotto il produttore Alex Cipolletti in braciole e hamburger.
La giuria non m’ha creduto e m’ha condannato a cinque anni di lavori forzati in una miniera della Luna. Me ne restano da scontare quattro.
P.S.: ieri ho ricevuto una lettera firmata da Camillo e Anastasia. Scrivono che sono felici e si ricorderanno sempre di me con affetto. Sono contento per loro.