Con diecine di tabelle e migliaia di numeri l’ISTAT c’informa su quanto, come e perché in Italia ci si accosta al libro. Anche se i dati risultano aggiornati al 1998, essi servono a fotografare l’attuale abitudine degli italiani alla lettura.
Innanzitutto, un cenno circa l’offerta:
Esistono in commercio circa 339000 titoli, suddivisi nei vari generi, con un lieve incremento rispetto agli anni immediatamente precedenti. La produzione sembra di molto cresciuta negli ultimi anni, passando dai 19684 del 1980 ai 51134 del 1996. Con una tiratura media che però scende vistosamente (da 8500 a 5500), con la conseguenza che ad una maggiore possibilità di scelta non ha fatto seguito un incremento del consumo, tant’è che il fatturato si è stabilizzato intorno ai 4300 miliardi.
Questa, se vogliamo, enorme produzione, viene distribuita prevalentemente dalle Librerie (che assorbono 1859 miliardi del totale), seguite dalle edicole (con 762 miliardi). Seguono, ben distanziati, Grandi Magazzini, Remainders e Mostre-mercati. Si affaccia però, prepotentemente, la vendita per corrispondenza e, ultimamente, anche on-line con complessivi 275 miliardi di vendite.
L’impressione generale che in Italia si legga poco, viene brutalmente confermata. Su 100 intervistati dichiaratisi "lettori", quasi il 60% si limita ad un libro ogni 2 mesi e soltanto il 2.7% supera i 30 libri annui.
Una tabella è dedicata a "Come gli italiani sono venuti in possesso del libro". Primeggia la Libreria, ma soltanto come maggioranza relativa del 25%, seguita dalle Edicole dove attinge il 6% degli italiani. Altri (20%) "l’avevano trovato in casa" e un 12.8% l’hanno ricevuto in regalo. Il prestito ha pure la sua importanza e sembra che tale modalità interessi prevalentemente il sesso femminile.
Turba invece il dato riguardante le Biblioteche, utilizzate soltanto dal 6% degli intervistati, quasi esclusivamente appartenenti alla fascia di età tra i 6 e i 17 anni. Praticamente l’età scolastica che si serve delle Biblioteche d’istituto; dopo di che, tale fonte di approvvigionamento diventa obsoleta. Forse perché le Biblioteche non offrono l’attrattiva della varietà di scelta determinata da un continuo aggiornamento.
Cosa leggono gli italiani? Prevalentemente narrativa, con una netta preferenza per i romanzi d’autori nostrani. Ma gli stranieri non sfigurano, essendo letti da un 37% degli intervistati. Non si hanno raffronti con le abitudini di altri Paesi, ma si può presupporre che Francia, Inghilterra e Germania siano, a riguardo, più nazionaliste.
Non sorprende più di tanto constatare che l’horror non compare come genere a sé stante, probabilmente celato sotto le voci "gialli e polizieschi", oppure "fantascienza". Tra l’uno e l’altro arrivano ad un dignitoso 39%., però con la "fantascienza" al 12.6. Mancano informazioni in proposito, ma è legittimo supporre che, in questo campo, gli autori stranieri la facciano da padroni.
Analizzando i dati disaggregati per fasce d’età e per sesso, si constata che:
si legge di più tra i 18 e i 24 anni (maggior tempo a disposizione e superiore voglia di conoscenza). In seguito l’attività di lettura subisce un calo, per ritornare quasi a livelli "giovanili" dopo i 65 anni.
Il genere "gialli e polizieschi" risulta gradito a tutte le età, con percentuali di gradimento prive di significative oscillazioni, neppure tra i due sessi.
La "fantascienza" è dei giovani, in netta prevalenza, uomini; raggiunge un picco intorno ai 18 anni, per poi calare gradualmente e scendere in picchiata alla soglia dei 50 anni, fino ad un irrisorio 2.5% dopo i 75 anni.
Gli appartenenti a quest’ultima fascia d’età risultano invece consumatori quasi esclusivi di opere definite "Libri di religione": il dato, psicologicamente giustificabile, suscita più di un brivido.
Il "romanzo rosa" sembra esclusivo delle donne, con una differenza percentuale fin troppo elevata, tanto da fare sospettare una certa pudicizia degli uomini intervistati nell’ammettere "la colpa".
L’ISTAT fornisce anche una tabella relativa alla motivazione della non-lettura, con un dato veramente inquietante, giacché quasi il 50% si è giustificato con una risposta sconfortante: "non m’interessa". Dispiace per loro. Non sanno cosa si perdono.