Le macchine anatomiche

Chi si trovasse a transitare da Napoli, per turismo o per lavoro, non può lasciarsi sfuggire una visita alla Cappella Sansevero dei Sangro, altrimenti nota come "La Pietatella". Costruita nel 1590 come cappella sepolcrale della nobile famiglia dei Sangro, è attigua all’avito palazzo abitativo cui era collegata da un cavalcavia misteriosamente crollato, senza causa apparente nel 1889. Subì nei secoli vari restauri e rifacimenti e deve il suo attuale aspetto agli

interventi di Raimondo di Sangro, leggendario personaggio, considerato dai napoletani il "Principe di Sansevero" per antonomasia.

Raimondo di Sangro (n. 1710 – m. 1771) fu un uomo singolarissimo, eclettico e dai molteplici interessi: naturalista, filosofo, astronomo, poeta, scrittore, scienziato e generoso mecenate. Deve però molto della sua fama alle ricerche nel campo dell’occulto e del soprannaturale, in virtù delle quali sorsero su di lui quelle leggende che finirono per attribuirgli la nomea di mago e stregone. Al punto che, anche sulla sua morte si racconta una storia del più puro horror.

Egli avrebbe scoperto un elisir prodigioso, capace di ridare vita ai cadaveri e lo volle sperimentare su sé stesso. Dette così ordine ad un suo servo negro, di cui si fidava ciecamente, di tagliare il suo corpo a pezzi e di collocarli in un baule al cui interno si sarebbe dovuto svolgere il procedimento di rinascita. Senonchè, alcuni parenti, incuriositi da quello strano contenitore entro il quale pensavano forse di trovare oggetti preziosi, aprirono il baule prima che si completasse l’opera di ricomposizione. Tra il terrore dei presenti, il corpo del principe venne fuori con gli organi ancora soltanto parzialmente collegati tra loro; l’elisir non aveva completato l’opera; rapidamente quella larva di corpo si disfece e i vari pezzi ricaddero nel baule.

Se questa è una delle storie che si raccontano sul suo artefice, non devono meravigliare le tante dicerie sulla Cappella di Sansevero. Una semplice costruzione rettangolare, con volta e pareti ricoperte da affreschi, stucchi e ori nel più ricco e sfavillante barocchismo. Con centinaia di raffigurazioni, busti e statue in atteggiamenti bizzarri e dal misterioso significato simbolico.

Tra le tante, primeggiano per singolarità e tecnica, le cosiddette "Statue velate": il Disinganno, la Pudicizia e il Cristo (v. Foto). Tre statue di marmo raffiguranti corpi ricoperti da un velo (anch’esso in marmo e facente blocco unico con il tutto) assolutamente trasparente e tale che le forme degli arti, dei muscoli e dei volti risultano in perfetta evidenza. Delle statue si conoscono gli autori (rispettivamente: Francesco Queirolo, Antonio Corradini e Giuseppe Sammartino) i quali, per

quanto si sa, non ne hanno realizzate di simili altrove. Ignota rimane la prodigiosa tecnica di esecuzione e scultori esperti hanno confessato di ritenere impossibile rendere simili effetti, sia pure con gli attuali avanzati mezzi tecnici.

Ma questo è nulla. La Cappella del Principe Raimondo di Sangro riserva ancora un’incredibile sorpresa: anzi, due!

Salendo per un’angusta scaletta si giunge in un piccolo locale dove sono custodite le "Macchine anatomiche".

Due corpi umani totalmente scarnificati, nei quali è messo in evidenza l’intero sistema circolatorio costituito da arterie, vene e capillari. Un corpo maschile e uno femminile che sembrano la magica trasposizione di tavole anatomiche prelevate da un testo di medicina. Non si tratta di

riproduzioni scultoree, per altro impossibili a realizzarsi con tale perfezione. Sono il risultato di un esperimento effettuato da Raimondo di Sangro sul quale non esistono notizie certe circa la tecnica di realizzazione. Da un vecchio testo anonimo che definisce le due opere con la dizione

di "macchine anatomiche", si apprende che il "processo di metallizzazione" venne portato a termine dal Principe, coadiuvato da un medico palermitano, tale Giuseppe Salerno.Il procedimento sarebbe consistito nell’introduzione in un’arteria dei cadaveri di un liquido metallizzante che, fluendo nei vasi, avrebbe permeato tutto il sistema circolatorio, rendendolo perfettamente visibile. Sconosciuta rimane però la tecnica di scarnificazione dei corpi. Perché, in pratica, dei due cadaveri è rimasta soltanto l’impalcatura scheletrica circondata dal fitto e intricato groviglio di vasi delle più svariate dimensioni: dalla enorme arteria aorta al più sottile dei capillari. Ad infittire il mistero ed alimentare le numerose leggende orride sul Principe Raimondo di Sangro e sui suoi esperimenti, esiste anche il pesante sospetto che l’esperimento non sia stato compiuto su cadaveri, bensì su corpi ancora vivi.

Esperti che hanno esaminato le due "macchine anatomiche" hanno sostenuto infatti che soltanto in un essere ancora vivo, con cuore pulsante e sangue in circolazione, sarebbe stato possibile al liquido metallizzante raggiungere tutte le parti del corpo, anche le più estreme, e rendere rigido tutto l’insieme dei vasi, compresa l’intera rete dei capillari.

Ignoriamo se Raimondo di Sangro, nella sua ansia di sperimentazione, sia stato capace di spingersi fino a tale estremo limite. Di certo c’è comunque un ulteriore ed ultimo particolare macabro. Il corpo femminile apparteneva ad una schiava incinta. Il liquido metallizzante, entrando nella circolazione uterina, ha disegnato la figurina del feto e, come può notarsi nell’ultima foto, tra i piedi della donna è rimasta la placenta.

Andrea Didato

 




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