Il signor Malvelle


di Riccardo Jevola
riccardojevola@supereva.it
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Non avrei mai immaginato che il signor Malvelle potesse un giorno invitarmi a trascorrere un fine settimana nella sua casa di montagna.
Il signor Malvelle era noto nell’ufficio dove lavoravo soprattutto per due cose: la sua incredibile introversione e la totale assenza da parte di tutti di notizie al suo riguardo. Di lui sapevamo soltanto che aveva iniziato a lavorare per la Compagnia Petrolifera due anni prima, pare contattato da un ingegnere che lo aveva conosciuto durante una spedizione in Nord Africa. Si vociferava al riguardo che fu proprio il signor Malvelle a salvare la Compagnia, sull’orlo oramai di un sicuro fallimento, permettendole di trovare un grande giacimento di gas metano in una zona del deserto del Sahara dove nessuno lo avrebbe mai cercato. Dicevano anche che subito dopo la scoperta gli venne offerto uno stipendio da nove cifre per trasferirsi a lavorare a Milano, dove si sarebbe dedicato a tempo pieno nella ricerca di nuovi giacimenti. Nessuno però sapeva, neppure minimamente, quale fosse lo strumento che Malvelle usasse per perlustrare con successo ogni parte del globo rimanendo seduto alla sua scrivania, ma di certo qualcosa di straordinario vista la quantità di carte geografiche delle più disparate zone del mondo che quotidianamente gli venivano consegnate da solerti ingegneri.
Di lui non sapevamo neppure l’età, ma a giudicare dall’apparenza qualcuno diceva che avrebbe dovuto avere circa sessant’anni, mentre qualcun altro, forse dotato di un più acuto senso d’osservazione, diceva che ne aveva sicuramente di meno, all’incirca cinquanta, e che di certo il suo precoce invecchiamento se l’era procurato conducendo chissà quale vita in chissà quali posti.
Un giorno ebbi modo di avvicinarlo praticamente per caso. Ero appena entrato nel bar della piazza di fronte al palazzo della Compagnia quando lo notai seduto a un tavolo intento a leggere un libro. Mi avvicinai a lui, con il quale scambiavo soltanto i soliti Buongiorno e Buonasera da buoni vicini di stanza, e sedendogli davanti gli chiesi se permetteva che gli offrissi un caffè. Il signor Malvelle alzò lo sguardo dal libro e fissandomi negli occhi mi rispose di sì. Un po’ emozionato per l’attenzione che mi dimostrava, ed un po’ eccitato di vederlo finalmente disponibile a un probabile dialogo, mi alzai di scatto e chiamai il cameriere. Come ebbi ordinato mi sedetti di nuovo e non sapendo esattamente come iniziare la conversazione dissi qualcosa di molto scontato sul tempo. Non ricordo bene, ma qualcosa del tipo: "Brutto tempo, vero?".
Il Signor Malvelle, guardando fuori dalla vetrata, annuì con la testa e disse: "Sì... E’ un brutto tempo davvero. Qui e nel Bangla Desh; a Budapest e a all’Isola di Pasqua; a Manipur e a San Francisco".
Rimasi meravigliato per quelle sue parole ed ebbi come la sensazione che conoscesse effettivamente lo stato del tempo nei luoghi che aveva appena citato.
"Ma come lo sa?" gli chiesi d’istinto.
"Perché? Crede veramente che io lo sappia, dottor Lamberti?".
Mi rivolse quella domanda voltandosi verso di me e abbozzando sul volto un lievissimo sorriso che mi sorprese ancor di più del tono misterioso e assieme affascinante con il quale aveva parlato.
"Sì...", risposi. "Ci credo veramente".
"Lei allora merita di vedere una cosa. Venga nella mia casa in montagna sabato prossimo. Le manderò un taxi a prenderla alle nove in punto. E sia chiaro, sarà mio ospite fino a domenica notte. Arrivederla", e alzandosi se ne andò senza neppure attendere la mia risposta.
Quel sabato il taxi arrivò puntuale e senza minimamente sapere dove sarei stato condotto salii su di esso spinto esclusivamente dall’emozionante curiosità di avere un incontro personale con il signor Malvelle. Viaggiammo per quasi tre ore diretti verso la Svizzera, e poco prima del confine abbandonammo la statale per inerpicarci su una ripida strada montana. Dopo svariati chilometri giungemmo alla casa del signor Malvelle, una specie di rifugio alpino costruito con legni e pietre sulla riva di un laghetto. Il posto era splendido: tutt’intorno vi era una pace inebriante, resa ancor più armoniosa da una fittissima vegetazione d’alto fusto, rotta solo dall’ergersi improvviso di alte ed impervie rocce e dal verde smeraldo delle acque del lago.
Bussai alla porta e dopo qualche istante mi venne aperto. Una donna, bella come ne avevo viste poche, mi sorrise e mi invitò a entrare.
"Schumakher non è in casa. E’ andato a cercare un po’ di legna per il camino. Gradisce qualcosa, dottor Lamberti?".
"Un caffè, grazie...", risposi sorpreso per l’inaspettato incontro. Ritenevo difatti fermamente, e come me tutti gli altri della Compagnia, che il signor Malvelle, schivo come sembrava a ogni tipo di rapporto umano, non potesse che essere la classica persona priva di ogni relazione intima, priva di ogni affetto, priva persino di un qualsiasi ricordo recente di esso.
"Lei vive con il signor Malvelle?", le chiesi cercando di indagare.
"Sì..." rispose sorridendo. "Malvelle è mio marito".
Pensai che tra loro doveva correre almeno vent’anni a giudicare dall’apparenza, e questo m’incuriosì ancor di più.
"Mi perdoni, ma non sapevo affatto che il signor Schumakher fosse sposato. E’ un uomo così taciturno che di lui non sa niente nessuno. Permette che le faccia qualche domanda?".
"Prego, l’ha invitata anche per questo...".
Rimasi ancora una volta sorpreso dalla sua riposta, ma ciò non mi impedì di continuare a fare domande, essendo oramai terribilmente desideroso di conoscere quante più cose possibili su quell’uomo.
"Ma lei quanti anni ha?", le chiesi d’istinto.
"Ottantaquattro", rispose, e subito scoppiò in una fragorosa risata.
"Vuol prendermi in giro?", le chiesi irritato.
"Non ha forse detto che crede veramente alle parole del signor Malvelle?".
"Sì, certo... Ma lei non può avere ottantaquattro anni!".
"E secondo lei si possono scoprire giacimenti di petrolio, di metano, o di diamanti, rimanendo seduti sulla poltrona di una scrivania in un ufficio nel centro di Milano?".
"No... certamente".
"Lo vede quel pendolo che oscilla?".
"Sì..." risposi guardandolo. Ma non oscillava affatto.
"Le pare che oscilli?".
"No...".
"Vuole che lo faccia oscillare?".
"Non so... A cosa può servire?".
"A vederlo oscillare veramente, adesso che pare fermo".
"Non so...", dissi perplesso.
La donna si diresse all'orologio e come sfiorò con la mano il pendolo, questo iniziò a oscillare con moto perfettamente uniforme. Poi si voltò e sorridendomi in strano modo si avvicinò, si sedette sulla sedia proprio accanto alla mia.
"Mi guardi adesso, mi guardi attentamente".
Il suo bel volto, in modo lento e implacabile, iniziò a mutare. Un inarrestabile formarsi di sempre nuove rughe attorno agli occhi, alla bocca, sulla fronte, pareva strapparle di dosso gli anni uno ad uno col trascorrere impazzito del tempo. I capelli iniziarono a imbiancarsi, e gli occhi a scavarsi, la pelle a scendere. L’effigie di quello splendido volto che era stato cominciò infine a trasformarsi smagrendo sempre di più e accentuando progressivamente i tratti del teschio sottostante.
"Mi guardi... Sta accadendo la stessa cosa pure a lei", e sorrise, malvagiamente.
Gridai e mi alzai di scatto. Corsi all'orologio e istintivamente fermai il pendolo. Poi terrorizzato, mi voltai nuovamente e mi accorsi che la donna non c’era più. Al suo posto, seduto sulla stessa sedia, il signor Malvelle mi fissava con sguardo di fuoco. D'impulso mi toccai la pelle della faccia: al tatto la sentii ancora come la ricordavo, la mia pelle di quarantenne.
"Non penserà davvero di credere a quanto ha appena visto?", mi interrogò Malvelle.
"Cosa? Come potrei non crederci? Ma chi è lei? Chi diavolo è lei?", chiesi sempre più nel terrore.
"Ho tanti nomi... il Movimento delle pendole?".
"Cosa vuole da me?".
"La solita cosa. Mi basta la sua anima...", e sorrise con un ghigno agghiacciante.
"Non l'avrà mai!", e feci per fuggire.
"Posso sempre sfiorare nuovamente il pendolo...", disse un istante prima che varcassi la porta.
Mi fermai, mi voltai. Lui era lì, accanto all'orologio, che mi fissava.
"Devo farlo?", mi domandò. "Vuole scoprire se è vero il mio potere sul tempo?".
"No...", dissi infine dopo aver taciuto a lungo.
"Si prepari allora a vivere una lunga vita".
"E poi?", chiesi disperatamente.
"Scandendo gli attimi il pendolo genera le vostre ombre e come un burattinaio fa sì che esse si muovano. Che nascano, che vivano, e infine che muoiano. Io invece...".


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