L'oasi perduta

di Pestekkorna



Come al seguito di una solitaria processione in nome di un dio sconosciuto, sotto il cocente sole del deserto africano, l'uomo se ne andava...
Camminava ormai da molto tempo ed ogni giorno cercava di proseguire il suo cammino fino a che le forze non lo abbandonavano. Se era così fortunato, durante il giorno, da trovare un riparo, magari un'oasi, riposava le stanche membra. Qui, dopo aver mangiato qualche frutto e bevuto dell'acqua, riempiva la sua primitiva borraccia per riprendere il suo viaggio.
Era un uomo alto, dai lineamenti molto marcati, il corpo emaciato per i troppi stenti che nel corso degli anni aveva subìto. Si era allontanato dal mondo civile, disgustato dal comportamento degli uomini; aveva cercato per anni la pace e la serenità dello spirito, le aveva inseguite sino a che non aveva realizzato che, ciò cui aspirava, non avrebbe potuto trovarlo nel caos e nell'ipocrisia delle città.
Aveva deciso quindi di partire alla volta di nuove esperienze, nuove soluzioni alle sue domande e così ora si trovava da solo a misurare, passo dopo passo, la superficie di quel deserto che da terra promessa ben presto aveva assunto le sembianze di un inferno, dove non c'erano fiamme né diavoli ma solo dune, montagne, mari e fiumi di sabbia.
A volte si era imbattuto in qualche oasi, ma niente che potesse richiamare alla mente le splendide situazioni descritte nei classici di avventura; le palme che avrebbero dovuto assicurare ombra si dimostravano essere semplice vegetazione selvatica che, nel migliore dei casi, raggiungeva le tre spanne in altezza, utili forse a riparare più qualche topo del deserto che non gli uomini. E che dire delle immense fonti d'acqua sperate? Basti pensare che sarebbe convenuto raccogliere le gocce di condensa durante la notte piuttosto che affidarsi alle acque rinvenute nelle oasi.
E così l'uomo spendeva i giorni alla ricerca di un nuovo posto in cui trascorrere gli ultimi atti della sua vita.
Vagava senza meta, i piedi ormai insensibili al dolore, gli occhi scavati per la fatica, la pelle invecchiata per effetto della disidratazione avanzata... Dimostrava molti anni in più dell'età che realmente aveva, ma l'aspetto fisico non aveva poi tanta rilevanza in quelle circostanze.
Quell'atmosfera, la solitudine ormai divenuta fedele compagna di viaggio, non rappresentavano affatto degli stimoli a proseguire la sua peregrinazione; c'era comunque qualcosa dentro di lui, come una luce guida, che lo esortava a non arrendersi, a non lasciarsi andare.
E con la mente il più delle volte sgombra da pensieri di qualsiasi sorta, andava incontro al suo destino, con le labbra piegate a formare un sorriso disarmante quanto sincero. Davanti ai suoi occhi, l'eterno spettacolo della natura veniva rappresentato da numerosi artisti: serpenti, scorpioni, rettili, ma non un solo fiore ad ornare quel grande palcoscenico, non un solo colore a rompere la monotonia di quel paesaggio.

Passavano i giorni e con essi le notti e la sua situazione continuava a peggiorare. Da troppo tempo non mangiava né aveva trovato acqua sufficiente a soddisfare la sua crescente sete.
Sapeva di doversi spingere al di là del punto in cui il tappeto bollente e la volta celeste si univano, ma non credeva di potercela fare, non prima di essersi ristorato in qualche modo... Ma come avrebbe potuto fare?
La visuale che gli si offriva non era confortante; non una sagoma si elevava dalla terra, non una parvenza di vita nell'area circostante... non un miraggio ad illudere la sua mente.
Invano aveva sperato che una pioggia torrenziale si potesse abbattere su di lui, nel deserto le piogge sono come dei diamanti in casa di poveri, davvero improbabili.
La notte lo sorprese a gridare al vento parole di disperazione; invocava gli dei del cielo affinché ponessero fine a quella tortura, ma gli dei sembravano amare la sua sofferenza. Steso sulla sabbia finissima, se ne stava immobile ad ascoltare il fruscio dell'abito di lana che indossava, mosso dalla brezza notturna; sentiva la sabbia penetrargli in ogni orifizio, graffiante quanto il cristallo puro, sottile quanto la sua speranza di uscire vivo da quella storia.
Le palpebre bruciate dal sole, insensibili durante il giorno, nelle ore notturne riprendevano a pulsare con violenza e, abbassarle a coprire la vista di quel mondo diveniva ogni momento più difficile, se non impossibile. Di tanto in tanto l'uomo provava ad inumidire le aride labbra con la lingua, sperando che almeno essa potesse aver trattenuto anche la minima goccia di saliva o di acqua...

Con insperata forza una notte l'uomo era riuscito a ritornare sul luogo in cui, solo poche ore prima era svenuto, credendo di ritrovare la sua borraccia smarrita chissà dove; ricordava di avervi lasciato un sorso da bere in caso di estrema necessità... E riteneva che quel momento fosse giunto.

Pianse, un pianto senza lacrime, violento, che contribuì a smorzare le già esili forze di cui disponeva; nella borraccia, per sua negligenza, non era rimasta che l'ombra dell'acqua e l'uomo sapeva bene che le ombre mal si adattano a soddisfare i bisogni di un uomo.
In situazioni come quella non ci si poteva permettere di essere sbadati e lui aveva pagato per non aver richiuso la sua borraccia: il calore del giorno trascorso ne aveva fatto dissolvere il prezioso contenuto.

E' una cosa davvero impressionante la capacità con cui gli uomini si adattano alle situazioni, in ogni luogo; la disperazione induce a compiere atti che normalmente, nella civile vita quotidiana, ci sogneremmo di compiere.
Ma presto si scopre quanto si è attaccati alla vita, qualunque siano le condizioni a cui è dato di viverla; l'istinto di sopravvivenza prevale, in certi casi, su ogni altro sentimento.
L'uomo non si era perso d'animo. Aveva trattenuto fino allo spasimo il suo desiderio di vuotare la vescica, in modo tale da far sì che il liquido potesse accumularsi in misura maggiore e raggiunto il limite della resistenza si era lasciato andare, non prima però di aver posizionato la borraccia nella maniera più consona a raccogliere quanto il suo corpo avrebbe versato.
L'aria gelida delle notti desertiche andò ad arricchirsi di un nuovo elemento scenografico: il fumo emesso dall'urina che ancora calda giaceva nel suo insolito contenitore.
L'uomo avrebbe aspettato che si fosse raffreddata per poi servirsene.
Mai nella sua vita era sceso così in basso, mai avrebbe creduto che un giorno avrebbe dovuto mettere così a dura prova sé stesso.
Aveva concluso che, nella vita, c'è sempre una prima volta, per tutte le cose; ma questo non era servito a farlo stare meglio poiché niente può farti stare bene quando sei davanti ad un bivio: morire o trascinarsi nel tunnel della vita.
Decise che si sarebbe trascinato, amava troppo la sua vita per quanto, in passato, ne avesse disprezzato il valore e avesse pensato più volte che ne avrebbe fatto tranquillamente a meno pur di non dover più soffrire, annegato nella comune falsità.

La "scorta" messa da parte quella notte gli aveva permesso di tirare avanti per un po’. Ma non gli sarebbe stato utile continuare ad avanzare. In quei pochi giorni avrebbe trovato quanto aveva sempre cercato nel corso di quel viaggio.
Riempita la borraccia, aveva atteso che il contenuto fosse divenuto freddo prima di berlo; non era affatto gradevole il suo sapore ma ebbe ugualmente modo di gustare la bevanda che irrorava le aride pareti della sua gola, del suo esofago, del suo corpo. Anche se a rilento, cominciava ad avvertire una lieve sensazione di benessere, segno evidente che le forze vitali cominciavano a rifluire nelle sue stanche membra.
Si era rimesso in cammino, la speranza rinata insieme alle sue forze. Davanti ai suoi occhi, la pianura desertica si stendeva senza fine, interrotta soltanto dalla linea dell'orizzonte.
L'orizzonte... L'uomo sembrava ora attratto da qualcosa che si stagliava al di sopra di quella linea curva, immenso quanto fittizio limite tra il cielo e la terra. Di cosa si trattasse, non riusciva a stabilire.
Il sole si ergeva alto nel cielo alle spalle del presunto oggetto, mettendone in risalto, in maniera alquanto sfocata, soltanto la confusa sagoma; la calda luce dei raggi solari, avvolgeva tutto, rendendo indistinguibile qualsiasi oggetto e qualsiasi colore, messo che altri colori al di fuori del giallo oro fossero ipotizzabili in quel posto. Tutto diveniva confusione e tenebra, sembrava stesse assistendo ad una rappresentazione di ombre cinesi proiettate su di un immenso schermo celeste.
Ad una prima analisi, l'oggetto sembrava essere alto non più di un metro, lungo forse cinque; aveva, in linea di massima, forma rettangolare anche se l'ipotetica base era frastagliata e da essa si innalzavano strane ombre filiformi... Un oggetto che l'uomo non riusciva a ricondurre a niente che la sua mente potesse ricordare. La sua forma non era per niente familiare e nonostante questo particolare, proprio non riusciva ad incutergli timore. Provava soltanto un grande desiderio di raggiungere al più presto quella nuova meta per soddisfare la sua crescente curiosità; si sentiva meglio, anzi, si sentiva davvero bene ora che aveva qualcosa a cui pensare, un mezzo per distrarsi, per tenere in esercizio le sue facoltà mentali e il suo essere uomo, un modo per non impazzire del tutto.
E poi c'era sempre la possibilità che l'oggetto si rivelasse essere un accampamento, un tendone piantato lì da qualche studioso che ancora vi albergava... Non sarebbe stata la prima volta che la distanza, la fame, il sole e l'illusione gli giocavano un brutto tiro; e così, l'oggetto che ora gli sembrava essere non più grosso di una utilitaria, soltanto un po’ bassa magari, si sarebbe potuta rivelare un'oasi.
L'uomo aveva cercato, per quanto gli era possibile, di muoversi con maggiore celerità, spinto dalle nuove prospettive che la sua mente gli offriva e più avanzava, più i contorni della sagoma divenivano precisi, meglio definiti. Gli ci vollero ben tre giorni prima che i suoi occhi potessero posarsi sulla "cosa" e svelare il mistero che si celava all'orizzonte.

L'uomo non avrebbe mai dimenticato ciò che i suoi occhi videro, quel giorno nel deserto.
Un ventaglio di splendidi, folgoranti colori gli inondarono le pupille; dovette, in principio, chiudere gli occhi per evitare di restare accecato. Il sole doveva sicuramente ricoprire un ruolo di grande importanza in quello spettacolo, ma ciò che vide, anche in una diversa situazione sarebbe stato di grande effetto.
Persino l'iniziale delusione per non aver trovato, almeno in apparenza, qualcosa che potesse placare la sua fame era subitaneamente scemata dinanzi a quella visione; mille domande gli affollarono la mente, mille domande a cui non riusciva a dare una spiegazione che non si risolvesse in qualche eccessiva fantasia dell'intelletto.
Come potevano trovarsi dei fiori così belli in un deserto? Chi ne aveva cura?
Il tempo, che prima scorreva lento ed inesorabile quasi a voler ben scandire gli ultimi atti della vita dell'uomo, ora fuggiva veloce; e fu subito buio.
Non c'era luna quella notte eppure l'uomo aveva notato con rinnovata meraviglia, che poteva, senza doversi sforzare più di tanto, distinguere gli oggetti intorno a lui. Non ebbe il tempo di chiedersi da dove provenisse la luce che la sua mente già gli suggeriva un'idea che suonava agghiacciante alle sue orecchie: e se fossero quei fiori ad emettere la pallida luce che illumina questa notte? Non sono delle piante grasse, da dove traggono allora la loro linfa vitale?
Un fremito aveva scosso il suo corpo e non era stato il freddo. Aveva paura, pur non sapendo cosa temere, né aveva la più pallida idea di come avrebbe dovuto comportarsi in una situazione del genere; affidarsi alla ragione non sarebbe servito poi a molto... lo strano fenomeno di cui i fiori erano protagonisti si sottraeva a qualsiasi spiegazione empirica o razionale. Avrebbe seguito il suo istinto.
Prima di tutto avrebbe dovuto cercare di capire da dove essi provenivano. Stette ad osservarli con attenzione, li scrutò con occhio attento, con la perizia di un medico che studi delle lastre radiografiche.
No, non si trovava in presenza di un evento "normale"; c'era qualcosa nei fiori che continuava ad intimorirlo. Gli era sembrato, mentre li guardava, che ricambiassero quelle attenzioni, una sorta di girasoli che vedevano in lui il proprio sole. Tuttavia non erano altro che fiori, bellissimi esemplari appartenenti a specie sconosciute, fortunati incroci tra diverse famiglie vegetali... Soltanto, si trovavano in un deserto miglia distante da una anche minima sorgente di acqua!
Fiori, soltanto fiori. Non era possibile che vivessero di vita propria, che potessero agire e muoversi di loro spontanea volontà; né presentavano l'aspetto e le caratteristiche tipiche delle piante carnivore o grasse, tanto diffuse in climi aridi come quello. Sembravano essere stati espiantati dalle serre di un geniale alchimista della natura.

La curiosità, lo studio appassionato di una cosa, la paura legata alla cosa stessa sono tutte cose che mettono una gran fame e l'uomo ebbe presto modo di accorgersene. Aveva trascurato quel bisogno, quasi fingendo che fosse una mera necessità psicologica.
Ora lo stomaco, supportato dal rimanente apparato digerente, reclamava a gran voce il suo diritto ad essere riempito, non importa quale fosse il mezzo o la sostanza usata. La fame presto lasciò il posto ad una sensazione peggiore: il dolore.
All'uomo pareva di avere la pancia piena di aculei che ad ogni suo movimento, improvviso o impercettibile che fosse, non perdevano occasione per penetrare più in fondo.
Come un animale in gabbia che cerchi disperatamente una via di uscita con lo sguardo, così l'uomo si guardava intorno, avidamente.
Avrebbe dato chissà cosa pur di trovare anche solo una foglia da mettere sotto i denti, qualsiasi cosa...
Una foglia? C'era forse qualcuno che gli impediva di scagliarsi su quei fiori e mangiarli?
Non devono essere poi tanto male, a giudicare dall'aspetto; e se pure fossero velenosi, pazienza, comunque sarei destinato a morire, anche se sembrano fatti per essere mangiati, pensò.
Non aveva ancora esaurito l'inutile tentativo di autoconvincimento, che già si trovava immerso fino al collo nei fiori, intento a strappare dal suolo le radici che li "ancoravano" al deserto.
Aveva notato con stupore, proprio nel momento in cui si portava alla bocca una manciata di steli, che le piante gli si erano strette intorno a formare un piccolo capannello.
Un pensiero gli aveva attraversato la mente, una riflessione che se solo fosse stata fatta pochi attimi prima gli avrebbe potuto salvare la vita: non c'erano animali a ripararsi nell'ombra fornita dalle strane piante, non uno scorpione, non un serpente a raccogliere le gocce d'acqua di condensa sulle foglie.

L'urlo dell'uomo ruppe per una breve frazione di secondo il silenzio del deserto; Le piante ora ricoprivano tutto il suo corpo in un abbraccio mortale. Gli steli più corti, con le spine irte, andavano a conficcarsi nella sua carne, come attratti dall'odore dell'uomo; gli altri, i più lunghi, stringevano in una terribile ed irresistibile morsa le sue membra, violate come se fossero carne da macello. Al contatto con il suo corpo sembravano risplendere di una innaturale lucentezza; ora era chiara la provenienza della loro linfa vitale.
Con il volgere al termine dello strano "pranzo", i fiori sembrarono rilassarsi e distendersi in pose innaturali. Il corpo dell'uomo era irriconoscibile, di un pallore mortale, stranamente rugoso. Pur essendo ricoperto di ferite, non una goccia del suo sangue era visibile: le piante ne avevano succhiato fino a ridurlo in quelle condizioni, una mela lasciata a cuocere per troppo tempo...
Tre giorni dopo l'accaduto, il corpo non era più tra i fiori, assorbito dal terreno su cui le avide piante facevano bella mostra di sé. L'uomo aveva finalmente trovato la sua oasi di pace.

...

Da lontano il gruppo di viaggiatori sembrò notare qualcosa sulla linea dell'orizzonte. Avvicinandosi si stupirono nel vedere dei così bei cuccioli di cane, in quel deserto; si interrogarono su chi li avesse portati sin lì, su come vivessero, cosa mangiassero...
Non mancarono di notare qualcosa di strano nella loro fisionomia, nei loro occhi; ma era già troppo tardi... Il sacrificio dell'oasi perduta era ricominciato, sotto altre spoglie.



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