Il Segreto della Old Tom

di Pasquale Francia

 

 

"Ciò che non riusciamo a spiegarci, e che pertanto

definiamo irrazionale, non è altro che l’esplicazione di

una delle tante realtà che esistono o che possiamo

immaginare esistano…"

Sir James A. Radcliffe, Le Stanze Nere, 1805.

 

 

 

I.

 

 

Sollecitato dal mio fedele amico Arnold Betsinger e da quanti continuamente desiderano conoscere le mie inquietanti esperienze in campo occultistico, mi accingo ora a raccontarvi quello che, senza dubbio, fu per me il caso più strano e movimentato capitatomi nell’autunno dell’anno 1886.

Ricordo che faceva molto freddo, un freddo così pungente e penetrante da costringere qualunque persona a starsene tranquillamente rinchiusa entro le calde e confortevoli mura domestiche.

Io sicuramente non rappresentavo una eccezione, anzi, avendo scelto di trascorrere l’intera giornata in casa, mi stavo dando da fare per riordinare e spolverare i numerosi volumi della mia libreria.

Ahimè, non era un lavoro molto semplice. Infatti, anni ed anni d'incuria e disordine avevano trasformato l’intero mobilio in un groviglio informe di libri, di tutti i generi e dimensioni. Insomma, mi ero addentrato in una impresa tale da spazientire anche Giobbe e fu per questo che, quando bussarono alla porta, trassi un profondo sospiro di sollievo.

Corsi in anticamera e tirai il lucchetto: mi trovai al cospetto di uno stranissimo personaggio.

Si trattava di un uomo piuttosto alto e molto magro, completamente avvolto in una mantella di raso nero e con un gran cappello dello stesso colore le cui falde, abbastanza larghe, ne celavano il viso.

-Desidera?

-Il signor Price?

-In persona.

-Bene, prenda questa… - Mi disse porgendomi una busta sigillata.

-Di cosa si tratta?

-Lo saprà presto. Prenda!

Mi cacciò bruscamente la busta fra le mani dopodiché, con passo svelto, s'inoltrò nella strada scomparendo rapidamente nell’oscurità.

Fui incapace di qualsiasi tipo di reazione, quindi richiusi la porta alle mie spalle e mi recai nuovamente nello studio, squadrando attentamente quanto mi era stato consegnato.

Si trattava di una banalissima busta da lettera, di colore grigio chiaro, con un piccolo sigillo di ceralacca sull'apertura e nessuna indicazione inerente il mittente.

Ruppi il sigillo e posi il foglio che vi trovai all’interno alla luce della lampada. Ebbene, con una minuta ma ordinatissima calligrafia dal sapore arcaico, vi era scritto:

Se veramente sei capace

vieni alla locanda dell’ Old Tom

e scopri il segreto.

Sedetti sul divanetto riflettendo a lungo: "Ecco il messaggio del fantomatico uomo in nero", pensai. "Un mucchio balordo di parole dal significato volutamente criptico".

Frattanto fuori si era scatenato un vero e proprio diluvio. Acqua e vento spazzavano senza sosta il gran viale di Hamptey Road e solo carrozze lanciate a folle velocità osavano ormai attraversarlo. Una di queste, con un sordo stridio di ruote, si fermò innanzi al mio vialetto ed apparve chiaro che per la seconda volta qualcuno avrebbe bussato alla porta.

Così fu. Pochi istanti e l’aristocratica figura del dottor Betsinger, paludata in un grosso cappotto scuro, varcò la soglia dello studio annacquando abbondantemente con l’ombrello zuppo le povere assi del mio rovinato parquet.

-Mio caro amico, che piacere vederti! Ehi, ho qui sotto il cappotto una fiaschetta di ottima grappa italiana, ti assicuro che un goccio di questa farebbe resuscitare anche un morto!

-Eh, non ne dubito! Ma per Giove Arnold! Vuoi forse allagarmi lo studio?

-Uh, hai ragione…scusami! Ecco, metto tutto qui sull’attaccapanni. Che tempaccio! Pensa, me ne stavo seduto comodamente ad un tavolo del club, a spennare quel pivello di Summersty quando ad un tratto m’è venuta voglia di fare quattro passi sino a casa, detto fatto! Ma questa dannata pioggia mi ha inchiodato a metà strada! Fortuna che ho beccato un vetturino, gli ho appioppato mezza sovrana e mi sono fatto portare sin qui. Visto che ero sulla via perché non disturbarti?

-Già.

-Beh, comunque vedo che ozi. Eh ragazzo, non ci siamo! Io alla tua età facevo cose da pazzi…no, no, non esagero, era proprio così!

-Forse qualcosa ha interrotto il mio "ozio" – risposi porgendogli il foglio che avevo ancora tra le mani.

Il dottor Betsinger inforcò per un momento i suoi pince-nez dorati e diede una rapida occhiata allo scritto. Poi, con tono ironico disse:

-Beh ragazzo! A parere mio qualche idiota aveva voglia di divertirsi…- e così dicendo mi restituì il foglietto ripiegandolo.

-Tu credi?

-Io credo, sì.

-Sarei anch’io propenso a pensare qualcosa di simile, Arnold. Ma non mi quadra il fatto che il nostro buontempone di turno abbia pensato di recapitarmi personalmente il suo finto o vero messaggio vestendosi come un becchino!

-Come dici scusa?

-Proprio così. Un uomo completamente vestito di nero, dalla testa ai piedi. Ha bussato alla porta non meno di un’ora fa.

-Cosa ti ha detto?

-Niente, mi ha consegnato solo questo. Del resto si è dileguato prima che potessi proferire parola!

-Ah il mondo è pieno di matti! Puoi dire di averne incontrato uno.

-Già. Ad ogni modo preferirei non pensare più a questa storia per stasera. Ti va una partita a scacchi?

-Vuoi saggiare le inestricabili difficoltà della mia siciliana?

-Eh, eh vecchio mio, sottovaluti sempre le mie capacità offensive! –

 

 

II.

 

 

Trascorsero sei mesi circa dalla visita del misterioso personaggio vestito di nero. Sei mesi durante i quali ebbi molto lavoro da svolgere e per natura di cose, quindi, avevo perso interesse per l’intera vicenda. Un pomeriggio, però, rientrando a casa dopo una lunga passeggiata, trovai il vetro della finestra adiacente all’ingresso in frantumi e, sul pavimento dell’anticamera, un comunissimo mattone rosso con un foglietto legatovi saldamente sopra.

Lo raccolsi e ne liberai il foglietto. Ebbene, non potei che rimanere di sasso. Si trattava, infatti, di un nuovo messaggio dell’uomo nero, la calligrafia era riconoscibilissima. Ecco quanto vi lessi:

Signor Price, nel nome di Dio

accorra!

Alla Old Tom un’ anima persa

continua a disperare.

"Poteva passarmelo per sotto la porta!" Pensai, ed infilando in tasca il nuovo misterioso messaggio m'incamminai con molta rassegnazione dal vetraio.

Ma i fatti di quella giornata erano destinati a subire una ulteriore evoluzione.

Svoltando per Guyevere Street m’imbattei nello strillone del giornalaio, un ragazzino che conoscevo molto bene. Egli mi chiamò da lontano e si fece avanti a passo svelto…

-Signor Price, se cercate chi vi ha rotto il vetro della finestra io so qualcosa che potrebbe interessarvi!

-Cosa hai visto Tommy?

-Ho visto un uomo molto alto, completamente vestito di nero, che si allontanava da una carrozza accostatasi a Hamptey Road. L’ho seguito con lo sguardo sino al marciapiede alberato poi ha voltato l’angolo che porta verso casa vostra…

-E poi?

-Beh, dopo qualche istante è ritornato sui suoi passi in gran carriera ed è risalito sulla carrozza ripartendo immediatamente. Mi sono incuriosito, così sono andato sino al vialetto e lì ho potuto notare la finestra in frantumi!

-Ricordi che via ha preso quando è ripartito?

-Mi sembra si sia diretto verso Major street…

-Grazie mille Tommy, mi sei stato di grande aiuto! Ecco per te mezza sovrana…

-Grazie signor Price! -

Ancora una volta, dunque, l’uomo in nero mi aveva fatto visita e l’intera faccenda cominciava a divenire curiosa e seccante.

 

 

III.

 

 

Cercare una specifica locanda per tutto il Lancashire è una impresa veramente straordinaria. Tuttavia, senza addentrarmi troppo in particolari, dirò che il giorno successivo all’avvenimento mi recai alla stazione dei vetturini promettendo una lauta mancia a colui che fosse stato in grado di darmi qualunque tipo di informazione a riguardo del misterioso uomo vestito di nero.

Non aspettai molto. Un signore grasso, con un sorriso forzato stampato sul volto, mi si fece incontro:

-Cercate informazioni su di un uomo tutto vestito di nero? – mi chiese.

-Si. Avete qualcosa da dirmi?

-Beh, questo dipende dal numero di sovrane…

-Diciamo, brav’uomo, che ho qui con me quattro luccicanti sovrane pronte a cambiare padrone nel giro di pochi minuti. Se poi dimostrerete di essere particolarmente prodigo di particolari…beh, allora non escludo che il numero delle sovrane in questione possa accrescersi…

-Affare fatto allora! L’ho caricato proprio io il tizio che cercate, un uomo dall’aspetto assai curioso, era molto pallido e tutto vestito di nero. Mi ha chiesto di portarlo sino a Hamptey road ed una volta giunti lì mi ha fatto cenno di aspettare. E’ sceso ed ha voltato l’angolo della strada…

-Portava qualcosa con sé?

-Non ne sono molto sicuro, ma credo che nascondesse un oggetto sotto la pesante mantella che indossava…

-Poi?

-Poi è tornato in gran fretta e si è fatto portare alla stazione dei treni. Sicuramente era in tempo per prendere il primo diretto per Lancaster.

-Lancaster eh? Bene, ecco il vostro compenso e grazie. –

Senza perdere molto tempo, mandai ad avvertire il dottor Betsinger, informandolo di aver in parte diradato il mistero sull’uomo in nero ed esortandolo a tenersi pronto a partire per Lancaster. Fu così che quello stesso pomeriggio ci ritrovammo seduti in una comoda cabina di prima classe, diretti verso la nostra meta. Arnold fumava la sua solita pipa, mentre il suo sguardo pensieroso si perdeva oltre il vetro del piccolo finestrino. Io, invece, ero tutto intento ad esaminare una cartina di Lancaster e delle zone abitate circostanti. Questa silenziosa ricerca attirò ben presto l’attenzione del mio amico:

-Non mi sembra che a Lancaster vi sia la locanda che stiamo cercando. – Mi disse.

-No, a Lancaster no…hai ragione. Ma nelle zone adiacenti? Mettiamo…Morecambe?

-Oh beh! Morecambe è un grosso centro, lì ci saranno di sicuro numerose locande…

-Vedi Arnold, io mi sono fatto quest'idea. Il nostro uomo è giunto a Lancaster da Morecambe, popoloso centro non ancora provvisto di una linea ferroviaria funzionante. Ha preso il treno ed è giunto a Stokonrige, poi ha chiamato il primo vetturino a portata di mano ed è filato dritto a casa mia, recapitandomi il solito messaggio. Successivamente ha ripreso il treno tornando a Lancaster e poi? Poi in un modo o in un altro sarà tornato a Morecambe!

-Ah, sono solo futili supposizioni! Chi ci dice che tutto parta da Morecambe? Voglio dire, non abbiamo alcuna sicurezza, nessun indizio…

-Morecambe però è piena di locande. Questo mi sembra un dettaglio non trascurabile…

-Per quanto possa essere un dettaglio non trascurabile, non puoi fare i conti senza l’oste! Nelle zone adiacenti a Morecambe e Lancaster ci saranno almeno altri venti paesi, guarda la cartina! Pensi che siano privi di locande o roba simile?

-Bah! Per il momento vediamo se riusciamo a carpire qualche altra informazione utile alla stazione di Lancaster, poi agiremo di conseguenza!

-Sei proprio sicuro di trovarlo eh?

-Sì. Solo che a questo punto è lecito domandarsi con chi avremo a che fare…

-Oh, non dire così, mi fai venire la pelle d’oca! –

 

 

IV.

 

Alla stazione di Lancaster il dipendente addetto alla biglietteria ci disse di aver notato un uomo completamente vestito di nero scendere da una bella ed aristocratica carrozza, proprio nel bel mezzo del viale della stazione. Ricordava anche di aver notato che non portava alcun bagaglio con sé e che non rivolse alcuna parola al suo cocchiere nell’atto di allontanarsi dalla carrozza ma anzi, in gran fretta s'incamminò verso il treno trascurando la biglietteria, segno questo che aveva acquistato il biglietto già in precedenza.

Quella stessa sera pagammo uno dei tanti vetturini del paese perché ci portasse a Morecambe. Il tragitto fu piuttosto lungo e reso difficile dalle pessime condizioni della strada che costringevano la nostra vettura ad improvvisi quanto fastidiosi rallentamenti. Finalmente, verso le otto di sera, apparvero, al di là di una piccola collinetta costellata di faggi, le prime luci della città e ciò non poté che rallegrare i nostri animi duramente provati.

-Dove devo lasciarvi signori? – Chiese il vetturino attraverso la finestrella che comunicava con il nostro abitacolo.

-C’è qui una locanda chiamata "Old Tom"? – risposi.

L’uomo rimase un momento in silenzio, poi, incitando i cavalli e rigirandosi verso la solita finestrella disse:

-Caro signore, c’è una locanda che risponde a questo nome, però, consentitemi di esprimere un parere in proposito…

-Prego, ditemi pure…

-Ebbene, dovete sapere che non è un posto di buona reputazione…

-Cosa intendete dire?

-Spettri! Dicono che sia uno di quei posti infestati dagli spettri!

A quelle parole io ed Arnold ci scambiammo un’occhiata significativa.

-Vedete signore… - continuò il vetturino – io potrò anche essere un ignorante superstizioso, ma è anche vero che ne girano molte di storie strane su quella locanda. Io di sicuro non ci andrei, per amor di quiete!

-Beh, grazie per il prezioso ragguaglio buon uomo ma credo, e n'è convinto anche il mio amico, che un po’ di folclore locale non possa per nulla nuocerci.

-Come volete signori miei. Io vi ho detto la mia!

Senza ulteriori commenti il vetturino ci portò dritti e filati alla "Old Tom" lasciandoci, armi e bagagli, innanzi al piccolo ingresso principale. Pur trattandosi di una locanda, l’intero edificio si presentava alquanto bene. Era stato costruito alla maniera vittoriana ed anche se l’architettura assumeva dei contorni, per così dire, severi, tutt’intorno dei lampioni a gas ed un curatissimo cortile ravvivavano l’ambiente conferendogli un tocco di modernità.

-Eccoci giunti alla tana del lupo! – Proferì Arnold con voluta solennità.

-Speriamo solo che non ci mangi! – Risposi; Poi aggiustando il cappotto gli feci cenno di seguirmi.

 

 

V.

 

 

Al nostro ingresso nella locanda fummo accolti con gentilezza da un uomo che si qualificò subito come il proprietario, il suo nome era Thomas Carmody. Si trattava di un signore molto alto e scarno, con un ciuffo di capelli color rame che gli penzolavano dalla fronte ed un paio di occhialini che incorniciavano due occhi cerulei molto penetranti.

Rimasi colpito dal gran numero di persone che affollavano la sala principale, si trattava di clienti e molti di loro, come si poteva dedurre dai modi e dal vestiario, dovevano essere commercianti o rappresentanti in attesa di imbarcarsi sulle tante navi che facevano scalo all'enorme baia portuale di Morecambe. Evidentemente la fama di hounted house che si accompagnava alla "Old Tom" non nuoceva per niente sul volume degli affari!

Fummo alloggiati in una stanzetta al secondo piano, con vista sulla baia. Non impiegammo molto tempo a disfare i nostri esigui bagagli e così cominciammo immediatamente ad accordarci sul da farsi.

Era chiaro che una persona sconosciuta aveva fatto di tutto per portarci sin lì ed era anche evidente, almeno dalle prime impressioni, che nessuno del personale attendeva il nostro arrivo. Stabilimmo che la tattica migliore sarebbe stata l’attesa. Dovevamo comportarci come normali avventori, senza infondere sospetti con domande curiose. Fiduciosi che, in un modo o in un altro, l’intricato mistero alla base di tutta la vicenda si sarebbe lentamente rivelato.

Del resto non dovemmo aspettare a lungo. La seconda notte di permanenza un raggio di luce illuminò la nostra pista, ma ecco ciò che accadde:

Dopo cena c'eravamo intrattenuti a tavola discorrendo di vari argomenti e per questo fummo gli ultimi ad abbandonare la sala ristoro. Ora avvenne che, mentre mi accingevo ad imboccare le scale che conducevano verso i piani superiori, la mia attenzione fosse improvvisamente catturata da un lamento alquanto insolito proveniente dal primo piano.

Sembrava si trattasse del pianto d’un bambino, sebbene avesse qualcosa di anomalo. Lo udii chiaramente per qualche istante ma poi improvvisamente si spense.

-Qualche bambino fa i capricci… - osservò Arnold.

-Sembrerebbe di sì, però… che lamento strano! – Aggiunsi.

-Direi inquietante!

Salii le scale sino al primo piano. C’era uno stretto corridoio che partiva dalla destra della rampa e che, descrivendo un bizzarro angolo quasi a gomito, voltava verso sinistra.

-Giurerei che quel lamento provenisse da qui… - dissi inoltrandomi nello stretto cunicolo –vediamo un po’ dove andiamo a finire…

Riuscii a fare altri tre passi contati, poi fui letteralmente inchiodato dalla possente voce del signor Carmody, che risaliva a tutta velocità le scale di legno facendole scricchiolare con gran fracasso.

-Signori! –urlò – In questo corridoio ci sono stanze riservate al personale. Vi sono i magazzini e non sarebbe opportuno per i clienti farvi una passeggiata, voi capirete spero!

-Oh capiamo, capiamo! Solo che c'era parso di udire un lamento…

-Un lamento? In questo corridoio? No, vi siete ingannati! Come vi ho detto ci sono solo magazzini.

-Va bene, non insisteremo oltre. Vi auguro una buona notte!

Detto ciò, voltai le spalle al locandiere ed insieme ad Arnold salii verso il secondo piano.

Quando infine ci trovammo all’interno della nostra camera non potemmo che scambiarci uno sguardo d’intesa ed un unico pensiero precedette fulmineo una altrettanto unica domanda:

Cosa nascondeva quel corridoio?

 

VI.

 

Inutile dire che quella notte non dormimmo. Con la lampada regolata al minimo attendemmo che l’intero edificio si fosse ridotto al silenzio, poi, con estrema cautela aprimmo la porta e ci inoltrammo nelle scale.

Arnold faceva strada, aveva in mano una piccola lampada opportunamente schermata ed in breve ci ritrovammo al primo piano, infilandoci nel misterioso corridoio. Superata la bizzarra curva a gomito ci rendemmo conto di trovarci in un’ala dell’edificio sicuramente concepita per non ospitare alcuno.

Infatti, l’intero corridoio si presentava angusto, privo di finestre, illuminato solo da due file di lucerne a gas che al momento erano spente. L’aria era talmente malsana da far venire il capogiro, grosse gocce di sudore cominciavano a rigare i nostri volti mentre i respiri divenivano affannosi.

-Due porte a sinistra ed una a destra! –esclamò Arnold avanzando cautamente – mi sa tanto che il locandiere aveva ragione caro mio! Qui ci saranno solo magazzini.

-Forse la nostra fantasia corre troppo! Ma ormai siamo qui, e penso che un’occhiatina a queste stanze sia d’obbligo.

-Va bene. Vediamo prima questa…- e così dicendo Arnold girò la maniglia della prima porta a destra. Il legno cigolò lievemente sui propri cardini ed una fitta oscurità si parò come un muro innanzi a noi.

Il tenue raggio della lampada aprì piccoli squarci in quell’oscurità, illuminando botti di vino di ogni genere e dimensioni, damigiane, armadi e salumi appesi tutti in fila su grandi aste poste orizzontalmente al soffitto.

-Nisba! –bisbigliò Arnold continuando ad indirizzare il piccolo fascio di luce –Sembrerebbe un normalissimo magazzino.

-Sono d’accordo – aggiunsi – qui c’è tanto di quel vino da poter dissetare un intero reggimento!

-Beh amico mio, ti confesso che se avessi portato la mia fiaschetta non avrei esitato ad empierla!

-Non ne dubito Arnold, non ne dubito. Passiamo all’altra porta e cerchiamo di essere più svelti, sono sicuro che se Carmody ci scopre a curiosare in questo posto ci farà prima a pezzi e poi ci metterà in salamoia!

-Esagerato!

Richiudemmo con estrema cura la porta e passammo innanzi. Non potemmo fare altro che constatare la presenza di un altro magazzino identico al primo solo più piccolo e sfornito.

Esaminando attentamente anche quell’ambiente ci accorgemmo di insoliti rumori provenienti da alcuni grossi scaffali pieni zeppi di bottiglie.

Ci muovemmo con cautela verso quella direzione, tastando con le mani tutto ciò che ci circondava e, una volta giunti innanzi agli scaffali, ci fermammo di colpo, ascoltando in silenzio.

Gli strani rumori erano cessati di colpo. Nell’oscurità potevano essere uditi solo i nostri respiri, ridotti a dei rantoli.

-Bah! –Esclamò Arnold sfiorando con le dita il liscio vetro dei bottiglioni –avrei giurato che un momento fa questo scaffale fosse scosso da qualcosa…

-Ehi, non senti questo puzzo? – Lo interruppi.

Arnold rimase immobile per qualche istante, muovendo impercettibilmente le grosse narici nascoste tra i baffi, poi fissandomi di scatto mi disse:

-Perbacco amico mio! Riconoscerei questo odore tra mille, si tratta di…

Non finì la frase che qualcosa gli saltò sul petto strappandogli un rauco grido. Si trattava di un grosso topo bruno, grande quasi come un gatto e non era l’unico! Gli scaffali ne erano infatti completamente pieni.

-Levamelo di dosso! Levamelo di dosso, svelto! – Urlò atterrito il mio amico mentre grottescamente arrancava sul pavimento.

Nonostante la situazione, nella sua piccolezza, fosse drammatica non potei trattenere una risata. Vedere il burbero dottor Betsinger annaspare sul pavimento in preda ad un simile terror panico era di per sé uno spettacolo che valeva la pena vedere.

Gli porsi tuttavia la mano a gl’intimai di non fare più baccano. Non essere scoperti a quel punto era già da considerarsi un miracolo!

-Topi, topi! Io odio i topi! –Piagnucolò Arnold ancora fortemente scosso.

-Ehi amico, non fare così. Credevo che occorresse ben altro per scuoterti!

-Ah, mettimi un leone davanti e sarei anche capace di battermi con le mie sole mani, ma un topo…che schifo!

Trattenni a stento un’altra risata, ma ora eravamo pian piano usciti anche dal secondo magazzino ritrovandoci nel buio corridoio e bisognava stare all’erta. Assicuratici che nessuno fosse stato svegliato dal trambusto dovuto al panico da topi ci avvicinammo all’ultima porta, proprio in fondo al corridoio.

-Magazzino anche questo? –Bisbigliai mentre giravo lentamente la maniglia. Ma la nostra curiosità era destinata a subire un pesante smacco. Infatti la porta non si mosse di un millimetro. Era chiusa a chiave.

-Buca! – disse Arnold premendo il palmo contro il duro legno di quercia –Questa senza una chiave non la muove neanche Sansone!

-E se provassimo con "Apriti Sesamo"?

-Spiritoso! Che si fa adesso? Torniamo in camera?

Non risposi immediatamente a quella domanda ma osservai attentamente la serratura. Si trattava di un banale meccanismo a molla…

-Hai mai letto quel libretto di Charles Durmot? – Dissi.

-Chi?

-Charles Durmot, lo chiamavano "il mago delle celle". Riusciva sempre ad evadere…

-E con ciò?

-Potremmo provare a fare come lui!

-Evadere?

-No di certo, ma potremmo provare a forzare questa serratura.

-Scherzi? Qualcuno potrebbe accorgersene!

-Non necessariamente, adesso ti faccio vedere…

Trassi dalla tasca il passe par tout che avevo sempre con me e cominciai ad armeggiare con un ferro da quattro.

-Diamine Robert! –disse Arnold sbarrando gli occhi – Quell’attrezzo che stai usando è fuori legge!

-Puoi sempre denunciarmi. – fu la magra risposta.

-Beh, lasciati dire che è poco etico.

-…Ma il fine, alle volte, giustifica i mezzi!

Con un secco scatto la molla, ripetutamente sollecitata, cedette e la porta si aprì. Contrariamente al solito ci ritrovammo in una piccola camera arredata poveramente. Un tavolaccio di legno era gettato contro una sozza parete ammuffita, un piccolo camino annerito sporgeva con i suoi rovinati marmi alla nostra sinistra seguito immediatamente da un tozzo armadio tarlato. Una branda di ferro era stata ripiegata in un angolo insieme a quelli che ormai erano solo brandelli di materasso. Nessuna finestra dava aria e luce a quel luogo.

-Una semplice stanza di servizio! – mi affrettai a dire.

-Sembrerebbe proprio così. – fece eco Arnold.

Tuttavia, proprio mentre stavamo per abbandonare quell’ambiente piuttosto scoraggiati, avvertimmo d’improvviso un piacevolissimo profumo che si faceva via via sempre più forte e che andava purificando la fetida aria della camera.

-Lo senti anche tu questo profumo? – disse Arnold fremendo.

-Si…e non ho alcun dubbio, è profumo di viole! –

 

 

 

VII.

 

 

A questo punto della storia è necessario che apra una piccola parentesi. Essa avrà lo scopo di chiarire al mio cortese lettore l’aspetto principale dell’intera vicenda di cui fummo protagonisti.

Ebbene, in quella piccola stanza di servizio, stranamente priva di finestre, avvertimmo un forte odore di viole. Esso si sviluppò praticamente dal nulla, non avendo noi trovato alcuna fonte dalla quale potesse provenire. L’intero ambiente divenne così profumato che per un momento io ed Arnold rimanemmo estasiati…ma anche estremamente meravigliati ed impauriti.

Qualsiasi persona che abbia ad interessarsi di fenomeni paranormali, infatti, sa per certo o per sentito dire, che il profumo di viole si accompagna spesso ad episodi di possessioni "bianche" o a più blande apparizioni di spettri.

Nel libro di Ivan Malinowsky, il celeberrimo medium slavo poi misteriosamente scomparso, il profumo di viole viene definito come "essenza mortale dei corpi eterei", l’unica prova, dunque, della loro avvenuta manifestazione terrena. A riprova di ciò si potrebbero citare anche i due famosi casi di accertate apparizioni di spettri che ebbero come protagonisti il conte Settimio Durkheim e la famiglia Duncan.

Il conte Durkheim sosteneva di essere disturbato ogni ventisette di Aprile ed Ottobre dallo spettro di una giovane donna. Le apparizioni avevano luogo a notte fonda ed erano precedute da un tenue ma chiaro profumo di viole! Circa mezz’ora dopo la comparsa del profumo si materializzava l’ectoplasma. Il professor Otto Von Bruhl, che si occupò del caso insieme alla sua celebre équipe, ci ha lasciato una suggestiva descrizione di quell’evento:

" (…) Improvvisamente Franz mi strattonò. Era pallido ed il suo sguardo recava l’impronta del terrore. Guardai istintivamente verso il punto ch’egli fissava e mi ritrovai ad ammirare uno spettacolo formidabile. Una massa radiosa di luce, dalla quale poteva distinguersi uno splendido volto di donna, attraversò lentamente la sala da ballo, poi si fermò in un punto preciso…quasi all’istante potemmo udire un gemito straziante (…) . Quella notte i nostri nervi furono messi a dura prova." (Cit. da O. Von Bruhl, Ghost’s Experiences, ANTUERPIAE editions, 1854).

Dopo la visita di Von Bruhl tuttavia, lo spettro non ebbe più a manifestarsi e l’interessantissimo caso restò privo di seguito.

Per quanto invece concerne la famiglia Duncan, si ebbe qualcosa di analogo anche se non si trattò di vere e proprie apparizioni spettrali. Dermond Duncan era un nobiluomo inglese dalla famiglia molto numerosa. Durante la ristrutturazione del suo castello, in una delle vecchie torrette laterali fu ritrovata una vecchia pergamena. Si scoprì dopo attente ricerche che essa conteneva una nefanda maledizione. Chiunque fosse stato messo al corrente del contenuto di quell’orribile documento sarebbe stato perseguitato da una entità malvagia ed avrebbe patito grandi dolori. Ebbene, la famiglia Duncan si estinse nel giro di tre generazioni! Ma ciò che a mio parere risulta singolare è la testimonianza del medico di famiglia, tal Oswald Kubler, che puntualmente annotò nel suo diario:

" (…) Piansi molto per la morte di Dermond, sin dall’infanzia eravamo stati ottimi amici. Ma il dolore si acuisce quando penso alle misteriose cause del suo decesso per cui nessuna spiegazione scientifica può sembrarmi soddisfacente (…) e se devo proprio puntualizzare i risvolti misteriosi di questo triste accadimento non posso non citare la presenza di quell’estenuante profumo di viole che accompagnò il feretro sino alla tomba." (Cit. da O.Kubler, The Strange Case of Duncan’s Family, Brenton Publications, 1820).

Niente da stupirsi, dunque, se io ed Arnold associammo immediatamente quell’evento a qualche cosa di occulto: Le nostre aspettative, come presto il lettore apprenderà, non furono tradite ma il caso che ci trovammo per le mani fu di gran lunga più complesso ed orripilante degli esempi che in questo capitolo abbiamo riportato.

 

 

VIII.

 

Quella notte rientrammo nella nostra stanza carponi, ben attenti a non fare alcun rumore. La scoperta del profumo di viole ci aveva naturalmente scossi. Laggiù, in quell’oscuro corridoio, un segreto attendeva di essere rivelato. Arnold si svestì rapidamente, poi, indossando la sua vestaglia color porpora, abbandonò il pesante corpo sulla piccola sedia vicino alla finestra:

-Un’altra nottata come questa amico mio –disse – e non ci sarà più il dottor Betsinger a seguirti!

-Stanco? – Gli risposi fissandolo in modo eloquente.

-Stanco? Morto direi! Troppa tensione, credimi. Ormai sono vecchio e mi pesa molto occuparmi di queste cose...

-Oh, non fasciarti la testa caro mio! Dopotutto questa sera abbiamo compiuto dei progressi.

-Profumo di viole. Roba da non crederci! Cosa ne pensi Robert?

-Beh, pressappoco ciò che ne pensi tu. A meno che il profumo non provenga da qualche altra fonte ben nascosta, credo proprio che avremo a che fare con qualcosa che non è di questo mondo.

Le nostre congetture non dovevano durare a lungo. La mattina seguente uscimmo per una lunga passeggiata e rientrammo soltanto verso le sei del pomeriggio. Come mettemmo piede nella hall, venimmo subissati dalle furibonde urla dell’oste. Egli era adirato verso un ragazzetto di non più di quindici anni ed era talmente infuriato che sembrava non curarsi affatto del poco edificante spettacolo che in quel momento stava dando di sé innanzi a tutti.

Arnold si avvicinò discretamente ad un vecchio signore in completo di tweed, che sedeva innanzi ad uno dei numerosi tavolini della hall e che seguiva in maniera assai distaccata l’episodio.

-Scusate se mi permetto sir, qual’ è il motivo di una simile scenata?

A quella domanda il vecchio signore abbozzò un sorriso, poi rispose:

-Caro signore, pare sia stata forzata la porta di uno dei locali di questo edificio. Sembra che ciò sia dovuto alla disattenzione di quel povero ragazzo che avrebbe avuto, a quanto ho capito, una consegna da rispettare...ma, per Giove! Non vedo proprio perché debba essere malmenato così ferocemente.

-Grazie molte sir!

Dopo questo rapido scambio di battute, Arnold puntò direttamente sull’ inferocito locandiere e lo separò bruscamente dal povero ragazzino.

-Che modi sono mai questi signore, qui siamo tra persone civili!

-Voi non intromettetevi. Questa è una questione privata! – rispose stizzito l’uomo.

-Privata? Ma se state dando scena innanzi ad almeno metà dei vostri clienti!

-Voi, signore, badate alle vostre cose ed abbiate riguardo di non impicciarvi in affari altrui!

-No. Mi dispiace ma non ci siamo. Mettete le mani a posto e lasciate stare il ragazzino, o preferite che chiami i gendarmi?

La questione stava rapidamente degenerando in una furibonda rissa e prima che gli animi potessero riscaldarsi ulteriormente ritenni opportuno intervenire:

-Va bene, va bene. Cerchiamo di finirla! – dissi – Mettiamo le cose in questo modo: il ragazzino continua ad occuparsi delle sue faccende senza dover prendere altre busse, mentre il dottor Betsinger d’ora in poi starà zitto e buono. Così, mi sembra, la questione dovrebbe risolversi.

Il burbero locandiere fece un gesto di rassegnazione. Allontanò il ragazzino e diede una sistemata al candido grembiule che gli cingeva la vita, poi s’incamminò verso la cucina. Ma non fece tre passi che subito girò il suo faccione severo verso di noi:

-Comunque con voi non ho finito! Abbiate la compiacenza di seguirmi, ho da dirvi quattro parole e questa volta in privato!

Rimanemmo per un momento smarriti, non aspettandoci affatto quella improvvisa convocazione. Pur tuttavia, senza dire una parola, obbedimmo alla richiesta del locandiere, seguendolo.

Proprio mentre abbandonavamo la sala Arnold, in un sussurro, mi disse:

-Lo chiamavano il mago delle celle, eh?

Non potei negargli un amaro sorriso.

 

 

 

IX.

 

 

- SIZE=5>Allora signori! – Esordì l’oste piazzandosi a braccia conserte nel bel mezzo delle pentole.

-Permettetemi di dirvi alcune cose che mi passano per la mente da un bel po’ di giorni...

-Oh, parlate pure in tutta libertà. Spero solo che si tratti di cose di una certa importanza. – risposi.

-Non preoccupatevi signor mio. – mi disse senza celare una pesante ironia. – Credo anzi che troverete il discorso che sto per farvi molto interessante!

-Bene, allora parlate.

-Ecco quello che penso. Voi siete degli impiccioni. Non so chi vi abbia mandato ma io ho fiuto per queste cose. Ora, io sono convinto che voi compari abbiate fatto un giretto poco innocente in quell’ala dell’edificio, il corridoio dei magazzini, in cui già vi sorpresi a curiosare. Dirò di più. Voi avete anche forzato una di quelle porte...badate, non sono uno sciocco! Sono ben capace di distinguere una serratura buona da una scassinata. Se non ho prove in mano per incastrarvi è per colpa di quel deficiente di mio figlio. Gli avevo ordinato di tenervi sotto controllo ma quell’idiota si è addormentato! Quindi signori, ritengo che da adesso vi convenga fare le valigie e sgomberare. Non ho alcuna voglia di rompervi la testa!

A quelle parole Arnold ebbe uno scatto d’ira che trattenne a stento. In quanto a me, avrei avuto una gran smania di conciare per le feste quell’individuo, ma, dopotutto, egli diceva la verità. Indubbiamente eravamo degli impiccioni e per di più poco scaltri, visto che la tecnica Durmot non aveva funzionato...

-Bene. Credo che convenga ad entrambe giocare a carte scoperte! – dissi.

-Io non ho carte da scoprire! – replicò sempre più furibondo il locandiere.

-Come no? E dove lo mettiamo quel profumino di viole che si sente nell’ultima stanza del corridoio "tabù"?

-Allora siete stati voi! Ah dannati...io...io vi faccio a pezzi!

Ma quell’improvviso furore fu placato sul nascere dal sempre più nervoso Arnold. Giuro di non averlo mai più visto con un aspetto tanto truce e pauroso come in quella occasione. Era paonazzo, con gli occhi sbarrati per la rabbia. L’arroganza del locandiere lo aveva oltremodo urtato. Sono convinto che se avesse avuto a portata di mano la mia fida rivoltella avrebbe fatto fuoco senza esitare. Tale è la potenza delle parole che feriscono!

Ad ogni buon conto, ora il locandiere era stretto dalla poderosa presa di Arnold ed invano tentava di sottrarvisi.

-Credetemi. Voi non sapete proprio con chi state parlando. Ho conoscenze tali che posso mandarvi in rovina solo schioccando le dita! Fate il tipo duro, volete "farci a pezzi", dite che siamo "dei ficcanaso". Tutto ciò potrà essere anche vero, ma abbiamo le nostre buone ragioni! Volete conoscerle queste ragioni? Eh?

Ed allora: un tale tutto vestito di nero recapita una lettera al mio amico qui presente in cui si dice che alla Old Tom accadono cose pazzesche, e non lo fa una volta, ma ben due! E’ per seguire le tracce di quel misterioso individuo che siamo giunti sino a qui. E poi? Poi c’è un banale vetturino che mentre ci porta in questo dannato posto allo stesso tempo ce ne sconsiglia. "Ci sono gli spettri" ci dice, "non è un bel posto" insinua...e, dulcis in fundo, quella stanza nel corridoio e quel profumo di viole. Ora, non mi ritengo affatto una autorità in fatto di eventi paranormali o occulti ma da quando seguo il signor Price qui presente nelle sue "escursioni" ho visto cose che farebbero accapponare la pelle anche ad un Santo. Dentro quella stanza si nasconde qualcosa, e se voi non volete dirci cosa allora lo scopriremo da soli. Ma badate bene! Dopo di allora voi sarete completamente rovinato, perché io vi manderò in rovina!

Ed allora. Se siete al corrente di qualcosa, parlate, collaborate! Vedrete che ci sarà un netto vantaggio per noi e per voi! –

Incredibilmente la paternale di Arnold sortì i suoi effetti. Dico incredibilmente perché quell’uomo sembrava davvero essere un macigno. Ma proprio come accadrebbe per una diga, ora che s’era prodotta una incrinatura ci fu ben presto un crollo totale e la verità, o ciò che sembrava tale, si presentò al nostro cospetto.

 

 

 

 

 

 

X.

 

Il signor Carmody tamponò il sudore che gli scorreva copioso dalla fronte pallida con un buffo fazzoletto a pois, poi sedette su di un rude sgabello di legno. Rimase per un attimo in silenzio, come per raccogliere le idee, mentre pigramente puntava il gomito sul tavolo che aveva di fianco, in modo da sorreggere il suo robusto mento con la mano.

Raggiunta una posizione a modo suo comoda, cominciò a parlarci di ciò che sapeva:

-Ho acquistato questa locanda da un mio amico, almeno dieci anni fa. Tutto sommato ritengo che abbia concluso un ottimo affare, anche se ho dovuto spendere del capitale aggiuntivo per necessari lavori di ristrutturazione. Ma sin dal principio, e mi riferisco al periodo delle contrattazioni, mi accorsi di qualcosa di strano. C’era del nervosismo nel mio amico, un’ansia malcelata che non riuscivo a comprendere. Presto ne fui inquietato, del resto egli si comportava proprio come quei venditori che hanno fretta di affibbiarti la loro merce per paura che possa essere scoperto l’inganno. Più volte gli chiesi delle spiegazioni, ma glissava e non mi diede mai una risposta convincente. In tutti i modi decisi che l’affare mi stava proprio a pennello ed a un certo punto mi sforzai di mettere da parte i dubbi ed i timori, acquistando l’immobile.

Ma il tempo ha dato presto ragione ai miei sospetti. La natura dei problemi che avevano indotto il mio amico alla vendita non era poi così "materiale".

-Cosa intendete dire? – interruppi.

-Intendo dire che in particolari periodi alla locanda si verificano incidenti o episodi singolari.

-Può darcene qualche esempio?

-Beh, per dirne una, un giorno trovai le pile dei piatti lavati tutte spostate sui quattro angoli di ogni tavolino del ristorante...si potrebbe immediatamente pensare ad uno scherzo ma a mio parere neanche il più abile tra tutti i giocolieri del mondo avrebbe potuto sistemare i piatti nella maniera in cui li vidi.

-Cioè?

-Eh, ci crediate o no ma fra ogni piatto c’era una mela !

-Una mela? Non capisco...

-...Voglio dire, ogni piatto si reggeva su di una mela...ed ogni pila era almeno formata da cinquanta piatti!

-Buon Dio! – esclamò Arnold sorridendo.

-Un’ altra volta accadde di peggio. Un cliente della numero venti bussò alla mia porta in piena notte. Ebbene sosteneva che il suo letto si muovesse. Immediatamente pensai che avesse mandato giù qualche goccio di troppo, ma in vita mia non ho mai più visto un uomo tanto spaventato come lo era quel tizio. Dovetti accompagnarlo in camera e, mio Dio non posso proprio dimenticarlo! Come varcai la soglia vidi chiaramente che il letto effettivamente vibrava, ma non solo, faceva dei salti, proprio come se si trattasse di un puledro imbizzarrito! Ricordo che dovetti spendere una fortuna per far tacere quel signore...

-Davvero interessante. Credo che il quadro della situazione sia piuttosto chiaro, questa locanda, signor Carmody, è infestata. La stanza in fondo al corridoio è la fonte di tutti i problemi e non profuma di viole per caso! Lì si annida l’entità che vi perseguita e, per quanto mi riguarda, se ho carta bianca sulla conduzione di questo singolare caso cercherò di trovare presto una soluzione. Adesso, però, vorrei sapere un’altra cosa: chi è l’uomo in nero che mi ha condotto sin qui?

-Uomo in nero? Signor Price non so proprio di chi stiate parlando. Il mio unico interesse è sempre stato quello di mantenere questa storia il più possibile segreta. Oh...non si contano le persone a cui ho dovuto comprare il silenzio! No, non conosco affatto questo fantomatico uomo in nero, ne ho alcun rapporto con esso.

-Potrebbe essere stato qualcuno interessato a risolvere una volta per tutte questa storia. – disse Arnold.

-E’ possibile –risposi – ma chi potrebbe avere più interesse di voi in questa vicenda, signor Carmody?

-Non ne ho la più pallida idea. So di certo che se fosse dipeso da me, voi due signori non vi sareste mai trovati qui alla Old Tom.

-Va bene, accantoniamo per ora il misterioso uomo in nero. Quello che ora mi preme è esaminare molto più accuratamente la stanza in fondo al corridoio. Per questo avrò bisogno di speciali apparecchi che non ho qui con me al momento. Voi mi date carta bianca signor Carmody?

Il locandiere mi fissò perplesso, poi con tono più gioviale mi disse:

-E va bene, seppelliamo l’ascia di guerra signor Price. Stringiamoci la mano...così, ecco! Liberatemi da questo impiccio ed avrete un soggiorno gratis qui da me tutte le volte che vorrete!

E così sistemammo in maniera brillante l’imbarazzante posizione in cui ci eravamo venuti a trovare nei confronti del locandiere dopo il maldestro sopralluogo nella stanza profumata. Ora, però, era tempo di agire, ed indagare seriamente sul mistero della Old Tom.

 

 

XI.

 

Avevo detto al signor Carmody di avere bisogno di speciali apparecchi per condurre le mie indagini. Mai parole furono tanto vere. Nel giro di una settimana la locanda era colma di pacchi ben sigillati ed ingombranti. Si trattava in parte di strumenti prestatemi dall’eccentrico Jean Frantes, che forse alcuni dei miei lettori ricorderanno per via del suo apporto nell’incredibile caso de "Il manoscritto". Con l’aiuto del dottor Betsinger, ebbi cura di sistemarli nello stretto corridoio del secondo piano, mentre la stanza profumata fu accuratamente misurata e fotografata in tutta la sua lunghezza, tenendo conto di ogni piccolo particolare.

Durante questi rilievi, risultò una lievissima convessità verso il centro della parete adiacente la porta, ed inoltre, notammo come in quel preciso punto il profumo di viole fosse più forte.

Sulla base di tali risultanze, decisi di posizionare la famosa "Macchina di Bachofen" (una singolare macchina fotografica dotata di due obiettivi estremamente sensibili alle più deboli fluorescenze, spesso viene utilizzata dagli addetti ai lavori per rilevare la presenza di ectoplasmi) proprio di fronte alla parete, con il filo per lo scatto opportunamente prolungato in modo da passare per sotto la porta. In tal modo ogni mezz’ora, io o Arnold, passando per il corridoio, avremmo avuto modo di scattare foto senza entrare nella stanza. La porta poi venne sigillata con filo e cera ed il corridoio coperto al suo ingresso con un enorme tenda scura sospesa ad una cordicella, in maniera tale da tenerci lontani da sguardi indiscreti.

Così, mentre Carmody non si stancava mai di ripetere ai suoi clienti che altro non eravamo se non ingegneri civili impegnati in importantissimi rilievi per l’ampliamento della locanda, noi, dal canto nostro, passavamo quasi tutto il tempo stretti in quell’angusto cunicolo, pigiando il bottone per gli scatti e controllando gli altri strani apparecchi, in attesa di qualcosa che avrebbe giustificato quell’enorme spiegamento di mezzi.

Non accadde nulla sino ai primi di novembre, quando si verificò l’evento che rappresentò poi la chiave di svolta di tutta l’intera vicenda. Ricordo che era il giovedì di Ognissanti, e l’orologio segnava all’incirca le ventitré. Arnold era andato a riposare ed avrebbe dovuto darmi il cambio solo verso le due del mattino. Io avevo appena finito di sorseggiare del brandy nella sala ristorante e mi ero diretto verso il corridoio per scattare la solita foto della mezz’ora. Richiusi la pesante tenda di raso e posizionai la lanterna su di un piccolo sgabello adiacente l’ingresso. Nel compiere quel movimento i miei occhi furono attratti da un particolare insolito che all’inizio non focalizzai immediatamente. In sostanza ebbi come l’impressione che qualcosa, dal fondo del corridoio, stesse fissandomi. Guardai bene nella direzione indicatami dai miei sensi ma non vidi nulla, solo il bianco dell’intonaco. Solo dopo mi accorsi che qualcosa stava muovendosi molto lentamente nella mia direzione, qualcosa d’immateriale…un’ombra opaca!

Il mio stupore fu tale che per un momento vennero a mancarmi le energie nelle gambe, tuttavia riuscì a controllarmi e stetti ad osservare. Certo la luce emanata dalla lampada non era granché, però potevo distinguere i tratti di una sagoma umana, sebbene di piccola statura.

Questi tratti divennero man mano sempre più netti, sino a quando mi ritrovai al cospetto di una piccola bambina, molto pallida e con i capelli scarmigliati. Ella aveva il viso all’ingiù, nel tipico atteggiamento che assumono tutti i bambini quando sono imbarazzati e aveva raccolte le proprie esili manine sul grembo. Indosso aveva una semplice tunica, di una sfumatura indefinibile.

Io, vi giuro, non proferì parola. Nel profondo silenzio del corridoio solo il frenetico ritmo del mio cuore poteva essere udito, credo. Ero completamente paralizzato dallo stupore, tuttavia notai come la temperatura si fosse d’improvviso abbassata.

Questo particolare è stato sovente registrato in tutti i casi di apparizioni spettrali. In presenza di un ectoplasma la temperatura dell’ambiente circostante subisce un abbassamento di dieci gradi circa, e questo fenomeno naturalmente può essere maggiormente osservabile quando si tratti di ambienti chiusi, come nel mio caso.

Non vi era dubbio, ero al cospetto di un fantasma e ciò che più mi angosciò in quel momento fu il non avere nulla a portata di mano, tra i tanti piccoli aggeggi che in quel momento affollavano il corridoio, per documentare l’episodio.

Ad un certo punto, lo spettro alzò lo sguardo e mi fissò. Oh…mio Dio! Non avrei mai più visto degli occhi così belli, di un azzurro più puro della polvere di lapislazzuli. Il viso era di uno splendido ovale e tuttavia, come ho già detto, di un pallore mortale. Sulla piccola fronte potevo distinguere una larga macchia giallastra, simile ad una voglia. Questa macchia aveva una forma singolare e deformava quello che altrimenti sarebbe stato il volto di un angelo.

Sentì una voce lamentosa, a tratti rotta dal pianto…ma tale voce non proveniva dalla figura che avevo innanzi, potrei dire, invece, che provenisse da più parti, come se in quel medesimo istante molte voci avessero dato sfogo alla loro comune angoscia.

-Ti prego aiutami…ti prego aiutami…aiutami! – udì.

Ed ancora…

- Misericordia di me…misericordia!

Poi la bambina si girò verso la porta sigillata e l’attraversò.

Il freddo svanì di colpo, ed anche le voci. Corsi immediatamente verso il pulsante della macchina e premetti più d’una volta. Poi l’emozione mi sopraffece e mi sentì completamente svuotato delle forze.

Risalì con molta fatica le scale sino a giungere in camera. Mi sedetti pesantemente sul mio letto; nella penombra potevo distinguere Arnold avvolto nelle coperte e profondamente addormentato.

-Arnold! Arnold! – Dissi in un soffio… -Svegliati! –

Egli sobbalzò fissandomi stupito:

-Robert, che diavolo accade?

-Ci sono delle novità…novità grosse caro mio!

 

 

XII.

 

Alle sei del mattino, mentre tutti alla locanda ancora dormivano, il sigillo della "camera profumata" fu rotto ed io, il dottor Betsinger ed un eccitatissimo signor Carmody ci immergemmo nella fitta oscurità dell’ambiente. La striscia giallastra della lampada che avevo in mano illuminò la macchina di Bachofen, perfettamente al suo posto.

Con infinita cura svitai il pannello posteriore contenente le lastre fotografiche e le avvolsi in un telo porgendole poi ad Arnold che a sua volta le richiuse entro una apposita valigia.

Solo dopo questa delicata operazione furono accese le lampade che erano state disposte per una completa illuminazione di tutta la stanza…

-Cosa facciamo adesso, signori? – Chiese Carmody stropicciandosi gli occhi non ancora abituati alla luce.

-Beh, sicuramente dovremmo sviluppare le lastre fotografiche che ho appena prelevato –risposi – ma anche questa parete avrà la sua parte.

-In che senso, signor Price?

-Ho intenzione di applicare uno speciale reagente lungo tutto il muro. Come avrà modo di vedere, si tratta di un liquido incolore che potrebbe rivelarsi estremamente utile…

-Uh, non la capisco…un reagente?

-…In parole povere –interruppe Arnold – si tratta di una sostanza che viene passata con un bel pennello sulle pareti e che è incolore ed inodore. In teoria, se un ectoplasma è passato attraverso il muro avrà lasciato nell’intonaco delle minuscole particelle simili a gelatina. Queste particelle non sono visibili ad occhio nudo e quindi il reagente ci potrebbe aiutare a rilevarle!

-Esatto! –Continuai – se c’è della gelatina ectoplasmatica il reagente cambierà presto colore, diventando rosso ed allora…

-E allora continuo a non capirci nulla! – Replicò irritato il locandiere.

-Oh insomma Carmody! –Sbottò Arnold – non è poi così difficile! Se la parete rimane bianca così come la vede adesso, allora tutto sarà a posto, se invece si tinge di rosso…allora ci sarà qualche problema!

-Al diavolo! Me ne vado in cucina…

-Ecco, questa sembra un’ottima idea –sorrisi – intanto noi cominciamo a darci da fare!

Sviluppammo le ingombranti lastre fotografiche nella vasca da bagno della nostra stanza, che per l’occasione fu riempita di acido.

Dopo cinque ore di attesa ottenemmo i primi, concreti, risultati.

Nei pressi della già citata convessità, pressappoco al centro della parete, risultava essersi manifestata una luminescenza di media intensità. Non vi furono dubbi in proposito…la macchia di luce registrata dalle lastre, dopo ripetuti rilievi e misurazioni, risultava essersi manifestata proprio in quel punto preciso!

Allora cominciammo a spargere il reagente per ottenere una riprova ed i risultati furono eloquenti:

Tutt’intorno alla strana convessità, il muro si tinse di rosso ricalcando esattamente il diametro della macchia di luce impressa sulle lastre!

-La bambina! –mormorai – è passata da qui.

-Almeno non te la sei sognata! – Rispose Arnold lisciandosi perplesso la folta barba grigia.

-Cosa ti sei perso Arnold, roba da annali del paranormale!

-Se fosse capitato durante il mio turno non sarei più qui a raccontarlo…avrei preso un colpo di sicuro!

-Chissà…

In quel mentre, udimmo un rumore fortissimo alle nostre spalle e tutti e due, all’unisono, scattammo in piedi.

Sull’uscio, immobile, vi era Carmody, bianco come un cencio appena lavato. A terra, ancora fumante, la caffettiera in mille pezzi:

-E’ rossa… - mormorò indicando la parete.

-Sì, è indubbiamente rossa! –rispose il dottor Betsinger non privo di una punta di soddisfazione –Ciò significa che avremo qualche problema!

Il locandiere non proferì parola…ma dovete sapere che ci toccò mettere mano ai sali per rinsavirlo!

 

XIII.

Fu praticato un foro piuttosto ampio nella parete e si scoprì che essa, in effetti, era stata eretta solo per occultare un’altra porzione della stanza, circa la metà direi. Ebbene, esplorando attentamente quell’ambiente buio e pieno di detriti vi rinvenimmo delle ossa, chiaramente umane.

Esse erano ammonticchiate verso l’angolo sinistro della stanza, e, particolare questo alquanto raccapricciante, c’erano delle grosse catene munite di anelli di ferro che vi sporgevano; infisse così saldamente nella parete che, sebbene fosse marcia per l’umidità, ben difficilmente si sarebbe potuto estrarle.

- Queste sono le ossa di una bambina… - osservò Arnold.

- Dio Santo! Questa stanza ha tutta l’aria di essere stata una prigione: le catene, una finestra murata…guarda qui Robert, persino una ciotola!

- Qui dentro si è consumata una tragedia senza storia mio caro amico…una tragedia senza storia…

Riflettei a lungo sul senso di queste parole, senza dubbio avevamo messo a nudo il mistero della stanza profumata ma esso era ben amaro: la crudeltà dell’uomo aveva spezzato una giovane vita in una maniera che appariva tuttora orrenda, ricorrendo alla peggiore delle pene, la segregazione.

Mi ritornarono in mente le parole che soleva ripetere mio nonno, quando da piccolo avevo paura delle ombre della notte e correvo piangendo alle sue ginocchia: "Non è dei morti che devi avere paura, ma dei vivi". Aveva ragione. Ciò che quella sera videro i miei occhi, la tristezza che provai e la rabbia…in nessun altro caso le sperimentai più. Il soprannaturale può impaurire l’uomo, può terrorizzarlo, talvolta sopraffarlo ma credetemi…l’uomo, con la sua capacità di creare il male diventa di gran lunga l’essere più orrendo che la natura abbia mai generato!

 

XIV.

Per alcuni giorni vi fu del caos alla Old Tom. Un via vai di poliziotti, giornalisti e curiosi che affollarono ogni metro del pavimento; in tutto questo Carmody riuscì a mantenere una certa tranquillità, anche se si vedeva che era preoccupato per l’andamento dei suoi affari. In un certo senso le sue pene furono compensate dall’improvviso momento di notorietà che il caso gli fruttò, e, dovunque giravo lo sguardo, il suo faccione era onnipresente, impegnato in goffe quanto pittoresche descrizioni delle vicende che a suo modo aveva vissuto…e non v’era giornalista che non se lo contendesse a suon di quattrini! Comunque, vi dirò che le sue preoccupazioni erano infondate: Dopo di allora la sua locanda fu letteralmente sommersa da turisti, e seppe ottimamente trasformare questa storia del fantasma in un lucroso affare…ma lasciamo stare Carmody. Piuttosto vi interesserà sapere che i poveri resti rinvenuti furono tumulati nel piccolo cimitero di Morecambe, sulla Hilton Hill, accompagnati da una lapide senza nome che non sarebbe rimasta tale per sempre.

La sera che partimmo, infatti, l’ultimo tassello mancante di tutta questa storia trovò finalmente il suo posto:

Viaggiavamo da circa mezz’ora quando il nostro cocchiere arrestò improvvisamente i cavalli. Una carrozza scura, per niente illuminata, era ferma sul ciglio della strada.

Ne ebbi una bizzarra impressione osservandola dal finestrino, essa si confondeva con il buio della notte, sempre più incalzante e sembrava quasi essere inconsistente.

- Ehi…c’è qualche problema? – Strillò il nostro cocchiere sporgendosi dal suo scanno.

Ma non ebbe risposta e, mormorando una bestemmia a mezza voce, fece schioccare il frustino sul dorso dei cavalli.

Proprio mentre ripartì, in quell’attimo stesso, una voce ben ferma si fece strada fra le pesanti tende che occultavano i finestrini della strana carrozza:

- Price! Signor Price!

Rimasi di sasso, e la mia meraviglia fu condivisa anche da Arnold che ebbe un sussulto.

Ordinai nuovamente l’alt al cocchiere e scesi dal mio abitacolo. Nel silenzio della strada poteva udirsi solo il tenue fruscio del vento mentre la luna, con il suo debole chiarore, mostrava delicatamente i tratti della placida campagna che mi circondava.

- Ehi Robert…- Sussurrò Arnold con il volto della preoccupazione.

- Stai tranquillo ed aspettami qui. – Risposi. Ma le mie dita cercarono automaticamente la piccola rivoltella che avevo in tasca.

Occorsero pochi passi per raggiungere la carrozza ed ancora una volta ne rimasi impressionato dall’aspetto, sicuramente irreale. Innanzi ad essa vi era una coppia di cavalli neri che non compiva il minimo movimento, cosa strana se si pensa alla incredibile reattività di questi animali. In più vi era un cocchiere pesantemente avvolto in una mantella, tutto raggomitolato su se stesso, quasi stesse dormendo.

Tutto era molto singolare ma la mia sorpresa raggiunse il culmine quando, molto lentamente, la tendina del finestrino fu spostata da un’esile mano guantata mostrando il volto, o meglio ciò che si poteva intravedere, dell’uomo in nero!

- Voi! – Esclamai stupito.

- Proprio io, caro signor Price…

Ero rimasto senza parole. Improvvisamente avevo innanzi l’artefice del mio arrivo alla Old Tom e la mia mente si affollò di domande piombando nella confusione più assoluta.

Tuttavia non ebbi il tempo di proferire parola, poiché il mio interlocutore prese immediatamente l’iniziativa…ecco ciò che mi disse:

- Non ho molto tempo e quindi dovrete ascoltarmi con attenzione. Vedete: la vostra mente ora è confusa ma presto tutto vi sarà chiaro. Abbiate fiducia.

- Devo ringraziarvi per avermi dato la pace, la mia sofferenza ora si è placata ma, vi assicuro, ho provato molto dolore, sia nella vita che nella morte: è per questo che mi è stato concesso di ritornare. Solo per un breve attimo. Ho indotto l’uomo a porre riparo a ciò che è stato orribilmente compiuto, ed ora, tutto è rimediato e potrò nuovamente abbracciare mia figlia. Voi siete stato un mezzo per raggiungere questo fine, non ve ne dispiaccia mio caro signore…

- Non vi capisco. Quello che mi dite non ha per me alcun senso! – Risposi – Chi siete voi? Quale interesse avete in questa vicenda?

- Ve l’ho già detto: molto presto tutto vi sarà chiaro. Ora però bisogna che andiate via. Non insistete! Andate vi dico…andate. Solo vi prego di un ultimo favore: Victoria. Fate incidere questo nome su quella lapide.

- Victoria?

- Victoria Mongredien. Era questo il nome della mia bambina!

- Voi vi state burlando di me! – Urlai – Scendete da questa carrozza, avanti!

Non mi rispose, ma ora il suo viso si fece ancora meno visibile. Eppure le mie mani toccavano il freddo legno della carrozza! Tutto ciò non poteva essere una visione!

Udite le mie urla, Arnold ed il cocchiere corsero verso la mia direzione, anch’essi sicuramente urtati da quell’inattesa comparsa. Ma non fecero in tempo a raggiungermi che la carrozza improvvisamente si mosse…

- Maledetto bastardo! – Urlò il cocchiere, e fece per avventarsi sulle briglie dei cavalli, cercando di fermarli. Ma non vi riuscì ed il misterioso uomo in nero scomparve nel buio innanzi a noi.

- Seguiamolo, seguiamolo! – Gridai.

Non servì a nulla: la carrozza era praticamente sparita.

Per quanto mi riguarda, cari lettori, la vicenda della Old Tom terminò così e non senza numerosi punti oscuri. Da alcune ricerche effettuate più tardi dal mio valido collaboratore Jean Frantes ebbi modo di sapere che un tal Augustus Mongredien, vissuto intorno al 1840, occupò per alcuni anni il vecchio casale della famiglia Creyton, nelle vicinanze di Ingleton. Si narrava che questo anziano signore avesse perso una figlia molto giovane; ella fu rapita da una banda di criminali per ottenerne un cospicuo riscatto. Dai giornali dell’epoca risulta che, nonostante fossero stati fatti numerosi tentativi per contattare i banditi, il Mongredien non riuscì a sapere più nulla della propria bambina ed il caso rimase senza soluzione.

Traete voi le vostre conclusioni, miei cari amici, e scusatemi tanto se non vado oltre: Vi confesso di sentirmi davvero molto stanco.

 

 

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© 2000 by Pasquale Francia, diritti riservati.

Questo racconto non può essere pubblicato senza l’espresso consenso dell’Autore.

 

 

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