La sfera del buio
di Stephen King
Vogliamo parlare del quarto e (per ora) ultimo episodio della saga horror-western-fantasy "La Torre Nera", frutto della Tastiera Più Felice del Maine? All’uscita de "La sfera del buio" erano passati già sei anni da quando la storia di Roland, l’ultimo cavaliere in viaggio verso la (irraggiungibile?) Torre Nera, attendeva di esser proseguita. Come nella "migliore" (!) tradizione kinghiana, in base a un empirismo matematico ben rodaggiato (e foraggiato!), le 257 pagine de "L’ultimo cavaliere" (il primo volume della saga), le 469 de "La chiamata dei tre" (il secondo) e le 545 di "Terre desolate" (il terzo) sono lievitate a 657 con l’ultimo nato della cucciolata, il pachidermico "La sfera del buio".
Roland, il gunslinger, l’ultimo pistolero di un universo altro e parallelo, ha cominciato la sua queste sulle tracce di un fantomatico uomo in nero, che alla fine del primo volume si è rivelato una sua vecchia conoscenza; ha quindi portato nel suo mondo dall’America di tre differenti "quando" (in gergo kinghiano, anni per il Lettore Comune) Eddie, Susannah e Jake, "i tre" che hanno il compito di assisterlo nel suo viaggio; infine, ha attraversato tutto il Medio-Mondo a bordo di un treno superpotente (Blaine il Mono), rosa come una BigBable, ma intelligente e perfido come il primo dei demoni. Ora, è arrivato a un punto di stallo. "La sfera del buio" inizia infatti con uno slittamento spaziale per cui i nostri quattro eroi si sono venuti a trovare in un universo che è quello di "L’ombra dello scorpione" (l’ancora insuperato Migliore Romanzo Kinghiano. Per me, è ovvio). Ma questa incursione in un altro "dove" e in un altro "quando" sono soltanto una cornice che inquadra e delimita (ma, ahinoi, non limita) una storia (solo una delle tante) che può far luce sul passato di Roland, ma certo non esaurisce i mille interrogativi che si affacciano alla mente dell’Affezionato Lettore. Il vero nucleo narrativo sono comunque proprio le 500 pagine in cui ci viene raccontata la storia d’amore di Roland e Susan, cui si era già alluso qua e là nei precedenti romanzi. La storia tiene. È bella e funziona. Scandita dai cicli lunari (la primaverile Luna Baciante si muta nell’estiva Luna dell’Ambulante, per passare infine agli inquietanti rossori delle autunnali Luna Cacciatrice e Luna Demone), la storia trascolora in una favola western con tanto di strega cattiva: un bel librone, dal formato di fiaba per bambini, ma per incubi più neri della notte! Ma (di nuovo! Questo "rimprovero" sembra ormai un luogo obbligato...) la paginosa elefantiasi certo non aiuta il ritmo: ci sono passaggi veramente troppo stiracchiati, dilatati, allungati..., anche per il più benevolo fra gli Affezionati Lettori di King. Rimprovero inutile comunque, giacché l’Horrorifico Autore già da tempo si è mostrato e detto consapevole di questo suo "difettuccio", eppure, da un po’ di romanzi a questa parte, ha continuato impavido su questa (logorroica) via. Pas mal! Se la tensione a volte si sfilaccia e allenta, a questo supplisce la felicità (la carica radioattiva, ammorbante e senza scampo) dell’inconfondibile stile kinghiano, fatto di parole e immagini così ottimamente fuse da cessare di essere libro, semplice carta stampata, per diventare fra le nostre mani e nella nostra testa un mondo vero, reale, in cui si vive (e che si vive) in prima persona. E questo è senza dubbio il più grande merito. Un merito peraltro che chi non conosce King, ostinandosi a etichettarlo come un semplice "scrittore horror", non riesce e non potrà mai cogliere. E allora diciamocelo, in barba alla Critica Seria e Impegnata: King è un grande scrittore e basta! E chi non lo conosce eviti di giudicarlo Serie Zeta. King vende, d’accordo, ma i suoi libri non sono "commercio" (o, perlomeno, non solo), no, i suoi libri sono King: "scrivere è necessario alla mia salute - ha detto una volta - Come scrittore posso esternare sulla carta tutte le mie paure, le mie insicurezze, i miei terrori notturni, laddove tanta gente spende una piccola fortuna con gli strizzacervelli". È per questo che i suoi romanzi sono un fiume in piena che raccoglie e turbinosamente trascina con sé tutto quello che incontra: dalla sua sorgente (l’ormai famosissima "polla dei miti" di definizione kinghiana) porta con sé le immagini "archetipali", ma poi si arricchisce e si complica, involvendosi e riplasmandosi su sé stesso in vortici di stuzzicante e ammiccante autocitazionismo per cultori, ristagnando in alvei letterari, filmici e cinematografici, musicali, mitici e leggendari. King conosce, e sa alludere, strizzando l’occhio al Fedele Lettore, gli propone indovinelli ed enigmi (quasi con la stessa malizia di Blaine, il treno-computer folle di "Terre desolate"), sa adularlo vezzeggiarlo, ma soprattutto sa spaventarlo a morte! Ed è allora che diventa possibile trovare e ritrovare ne "La sfera del buio", in quei vortici d’acqua e di pagine, il Kansas de "L’ombra dello scorpione" (immobile e soffocato dalla falce della Superinfluenza) insieme a quello di Dorothy del "Mago di Oz" (con Palazzo di Smeraldo e tanto di scarpette rosse incluse); l’anello di Frodo e Bilbo Baggins di tolkieniana memoria diventa una vampirica sfera rosa pompelmo, mentre il bimbolo Oy, l’animaletto con la coda a cavatappi che accompagna i nostri eroi nel cammino verso la Torre, ha certo i suoi antenati nei "tovi", nei "borogovi" e nei "rati" dell’Alice carroliana; il "Peter Pan" di Sir J. M. Barry ha i suoi echi nell’Uomo Tick-Tock. Ma non è solo questo e non può essere così. Già dai tempi di "Insomnia" (si era nel ’94) trovavamo preannunciate cose sulla sua saga dark, non solo nelle pagine del libro, ma addirittura con una mega-campagna promozionale che spacciava magliette con un grande occhio aperto, guarda caso il sigul (simbolo e segnale) del fantomatico Re Rosso (forse che la Regina Rossa di Alice c’entra qualcosa?), appena intravisto in "Insomnia" e rimasto invece presenza inquietante e misteriosa in "La sfera del buio"... E poi e poi... Cosa c’entrano Merlino, Artù ed Excalibur in tutto questo oceano di storie che s’incontrano? La risposta al ciclo bretone, rimasta sul piano della favola per bambini con implicazioni epiche e leggendarie ne "Gli occhi del drago" dell’’84, è divenuta con il ciclo della Torre Nera (onore al merito) una western story dalle caleidoscopiche e inesauste (fors’anche inesauribili) possibilità.
Elissa Piccinini