Il tamburo

di Pasquale Francia

 

 

"Efficiunt Daemones, ut quae non sunt, sic tamen quasi sint,

conspicienda hominibus exhibeant."

LACTANTIUS

 

Eravamo soliti, tra amici, passare alcune ore della sera a discorrere piacevolmente di vari argomenti. Per questo alla stessa ora e subito dopo cena, ci riunivamo tutti al noto circolo del "Cavaliere Nero", nei pressi di Stokonrige, ai margini delle foreste di Bowland. Era questo un luogo piuttosto solitario ma adatto per chi sentisse il bisogno, come noi, di allontanarsi anche per poco dal trambusto della città. Il circolo era di proprietà di un tal Noes Carpenter, un ragazzo tranquillo che serviva delle ottime birre e che era imbattibile nel bridge oltre che nel biliardo. Dunque, una sera di novembre, giungemmo come di routine in questo posto trovandovi, con mia grande sorpresa, il professor Ernest Webster, un caro amico d'infanzia nonché eminente archeologo, autore di importantissimi saggi a livello internazionale. Tutti i giornali dei giorni passati avevano pubblicato le sensazionali foto del favoloso tempio che, in Caria, dopo una estenuante campagna di scavi non priva di difficoltà, aveva portato alla luce; suscitando l'interesse e l'ammirazione di tutta la comunità scientifica mondiale. Appena mi vide, il professore si alzò dal minuscolo tavolino dietro il quale era seduto e mi venne incontro. Ci stringemmo affettuosamente la mano...

Ci sedemmo tutti intorno ad un grosso tavolo della sala ristoro mentre Noes servì delle birre, poi cominciammo a giocare a bridge. Ben presto, come spesso accade in simili occasioni, tra una mano e l'altra iniziammo a discutere di varie cose ed il discorso, improvvisamente, cadde sul soprannaturale. Ci sentivamo come tanti scolaretti che cercano di farsi paura raccontandosi strane ed ingenue storie di fantasmi ma la cosa ci divertiva ugualmente e tutti, più o meno, riferimmo qualcosa che riportava pedissequamente vecchie credenze e leggende popolari, materia abbondante nella nostra piccola ma tipica Stokonrige. Fu solo quando il discorso stava per concludersi che il dottor Webster intervenne con fare serio raccontandoci la strana storia che adesso mi impegnerò a riportarvi.

Tutto cominciò quando Ernest era studente alla prestigiosa Università di Longridge, l'istituto più formativo di tutto il Lancashire. Si era nella primavera del 1870 e gli impegni studenteschi erano al massimo data l'imminenza degli esami. Ernest, in qualità di studente meritevole, alloggiava in un'ala del vecchio dormitorio molto apprezzata dagli allievi più zelanti ed occupava una stanza ben illuminata ed ammobiliata al pian terreno. Sopra di lui, da qualche mese, si era stabilito un certo Faez Saddhamath, indiano, studente di lingue straniere al suo ultimo anno. Il giorno in cui si trasferì nel suo nuovo alloggio, Saddhamath portò con se un numero abnorme di cianfrusaglie tanto da suscitare lo scherno di tutti gli altri studenti di quell'ala del dormitorio che non gli risparmiarono, anche nei mesi a seguire, critiche mordaci. Tra queste cianfrusaglie, fece molto parlare di sé un grosso ed antico tamburo, sul modello di quelli africani ma molto, molto più grande. Questo tamburo recava delle strane incisioni e, particolare alquanto inquietante, aveva anche una serie di bizzarre figure scolpite tutt'intorno al proprio fusto, intagliate con arte finissima ma allo stesso tempo orrende a vedersi, raccapriccianti. Descrivere ciò che volevano rappresentare sarebbe ora cosa ardua ma Ernest, studente di archeologia in erba, non poté non essere colpito dal peculiare aspetto di una di queste figure. Essa rappresentava una creatura dal volto estremamente maligno, accucciata su se stessa, irta di peli ed alata, molto simile, come notò, alle figure di Demoni che ornano i templi della strana città di Baharna, nell'isola di Oriab. Era dunque un oggetto proveniente da quel lontano luogo? O, più semplicemente, una sapiente imitazione? Lo studente si riservò di appurare lo stato delle cose nei giorni a seguire e per parecchio tempo non diede più peso ne al coetaneo indiano ne al suo strano oggetto. Una sera però, stancatosi di studiare, decise di fare una capatina dal nuovo inquilino, se non altro, per presentarsi e familiarizzare. Bussò alla porta e dopo alcuni istanti Faez Saddhamath venne ad aprirgli. Sembrava piuttosto seccato dalla visita e non nascose questo suo stato d'animo sicché Ernest ne rimase imbarazzato. Tuttavia riuscì a vincere la normale esitazione che si presenta in simili situazioni e porgendo la mano si presentò. Ma quella visita era destinata a non produrre frutti. L'indiano rispose a monosillabi non favorendo in alcun modo il sorgere di una conversazione ed il giovane archeologo, deluso ed irritato dalla scarsa socievolezza del nuovo studente si ritirò ben presto nel suo alloggio, coricandosi.

Passarono da allora un paio di mesi e si giunse al giorno della laurea, finalmente Ernest aveva terminato brillantemente i suoi studi e gli amici organizzarono senza perdere tempo un festino nei pressi di un noto pub, nelle immediate vicinanze dell'Università. La festa durò un paio d'ore e tra cori, scherzi e volgarità si giunse anche a scambiare quattro chiacchiere sugli eventi degli ultimi giorni ed, improvvisamente, salì alla ribalta delle citazioni lo studente indiano.

- E' un tipo bizzarro - disse Cartwright - a mensa siede sempre da solo e se gli rivolgi la parola si limita soltanto a sorriderti, nascondendo quel suo faccione tra le spalle...

- E' un timido...nient'altro! - fece eco Tennesson.

- No, timido non direi. Dovresti vederlo agli esami, è una vera forza. Proprio ieri ha dato letteratura straniera con il prof. Kipwitch superandolo con il massimo dei voti. No, la parola non gli manca, più che timido è un tipo misterioso, tutto preso con le sue cose.

- Bah! - interruppe Ernest - Io non so che dirvi, ho cercato di avvicinarlo qualche mese fa, ma era schivo, non mi ha nemmeno invitato ad entrare in camera sua...

- Preston c'è andato, mi ha detto che mantiene una tale confusione lì dentro... - riprese Cartwright - Ha tutta roba orientale ed una libreria ben fornita, ma senza dubbio, ciò che fa effetto, è quell'insolito tamburo. Tu l'hai visto Ernest?

- Sì, quando lo portava su durante il trasferimento.

- Che ne pensi?

- E' un oggetto interessante. Mi piacerebbe osservarlo da vicino.

- Preston dice che lo tiene capovolto.

- E perchè mai?

- L'indiano gli ha spiegato che così va tenuto.

- E per quale motivo, scusa?

- Lo ignoro.

- Avete visto il pasticcio che ha combinato questa mattina? - interruppe Tennesson.

- Quale pasticcio? - chiesero curiosi gli amici.

- Sembra che abbia avuto un serio alterco con Van Nares, il vecchio bibliotecario...

- A che proposito?

- A quanto mi è stato detto, non possedeva il visto per il prestito dei libri ed ha insistito lo stesso per ottenerne uno...voi sapete come è cocciuto Van Nares, si è rifiutato e sono arrivate le parole grosse!

- Non vedo la necessità di un simile comportamento quando basta compilare un paio di schede dal segretario ed il problema è risolto. - disse Cartwright.

- Ma per questo il nostro amico indiano è strano... - sogghignò Tennesson.

Ernest si sollevò dalla sua sedia, afferrò il bicchiere di spumante che aveva davanti e invitò gli amici ad un ultimo brindisi, poi la compagnia si sciolse e tutti tornarono nello spiazzo del dormitorio.

Il giorno dopo, Ernest si alzò di buon mattino dirigendosi verso gli uffici dove avrebbe dovuto ritirare il suo diploma di laurea ma, strada facendo, incontrò il suo amico Nolan Tennesson, visibilmente agitato e con il fiato grosso...

- Che succede Nolan... - rispose scosso.

- Ernest, è terribile, il vecchio Van Nares è morto!

- Cosa mi dici mai!

- Vieni alla biblioteca...ci sono tutti!

Una rapida corsa per il piccolo parco dell'Università portò i due ragazzi davanti agli imponenti scaloni della biblioteca dove si era assiepata una consistente folla di studenti e professori. Il corpo di Van Nares fu portato via in barella da due portantini del vicino ospedale di Great Harwood, il suo volto era orribilmente distorto tanto da renderlo irriconoscibile. Il cadavere si presentava stranamente rigido e violaceo. Una bava bianca ne ricopriva tutta la bocca. I pugni erano stretti nel rigor mortis... ma quello che più fece impressione al giovane Ernest, furono gli occhi, completamente sbarrati, del cadavere. Quale orrore al mondo avrebbe potuto scolpire un simile sguardo nel viso di un uomo? Cosa mai videro quegli occhi rimasti ancora terrei nella rigidità della morte? Non si seppe mai. Ernest Webster lasciò l'Università di lì a pochi giorni, dedicandosi alla tanto attesa professione. Tuttavia, talune notti, non mancò di essere perseguitato da quell'orribile sguardo che era rimasto impresso nella sua mente e, nei suoi ricorrenti incubi, non tardava a manifestarsi, sotto varie e fantastiche forme distorte dalla visione onirica, l'insolito tamburo dello studente indiano...ed il suo demone, scolpito nella fiancata.

Un tam tam lugubre e profondo si elevava nell'aria e penetrava nel suo cervello facendolo impazzire ed una figura tenebrosa, simile ad un grande uccello notturno, sembrava ghermirlo biascicando incomprensibili e stridule parole. Questi sogni durarono un paio di settimane, sempre uguali, sempre angosciosi; poi scomparvero all'improvviso lasciandogli una strana prostrazione fisica e psicologica. Decise di cambiare aria, forse tutto ciò era imputabile al forte stress che aveva dovuto sopportare negli ultimi periodi di studio, sicuramente un lieve esaurimento nervoso si era manifestato in modo piuttosto acuto. Partì per una vacanza, visitando alcune stupende località dell'Italia e, al suo rientro, tutto finalmente tornò alla normalità ed il pensiero ricorrente del tamburo cadde nell'oblio.

A questo punto della storia il professor Webster prese una pausa. Sorseggiò per un paio di volte la sua birra, estrasse dalla propria tasca un havana e lo accese tirando una grossa boccata. Tutti lo osservammo come incantati, il suo racconto ci aveva incuriosito ed aspettammo comprensibilmente il seguito. Ma non continuò, ed improvvisamente cominciò a parlare del suo sensazionale viaggio , degli usi e costumi della Caria, del genere di vita che si svolge a Mugla e di mille altre cose. Rimanemmo per un attimo contrariati da questa diversione ma non lo interrompemmo. Solo dopo capimmo che ciò che ci stava riferendo in realtà era strettamente connesso ai fatti accaduti alla sua Università.

Ecco quello che ci disse:

- Miei cari amici, non è per vanto o megalomania, ma ciò che ho scoperto in quella piana nei pressi di Mugla è certamente l'evento archeologico del secolo e non vi nascondo di esserne molto fiero. Tuttavia, come poco fa ho avuto modo di accennare al mio amico Robert, io e la mia équipe ci siamo trovati innanzi ad un affascinante mistero:

Le iscrizioni sui templi somigliano a geroglifici egizi ma sono molto, molto più complesse. Le lettere, se così possiamo definirle, si intrecciano tra loro creando intricatissimi monogrammi, inoltre, gli enormi capitelli delle colonne raffigurano strani esseri e, alcune di queste figure sono del tutto simili a quel demone che vidi chiaramente scolpito sul tamburo dello studente indiano. Esseri simili sono anche raffigurati sulle mura degli imponenti templi di Baharna. Quando ero studente visitai questa misteriosa città con il professor Carter e ne rimasi molto impressionato...quando vidi quel tamburo subito, quasi automaticamente, rapportai la strana figura mostruosa con quelle che avevo avuto modo di osservare durante il viaggio, ma, oggi, posso sicuramente affermare che esiste una relazione tra quel tamburo indiano e le figure dei templi vicino alla città di Mugla. Le fattezze di quel demone si sono scolpite nel mio cervello e sono pronto a giurare che si tratta dello stesso essere. Sia il tamburo che vidi che le sculture del tempio rappresentano la stessa, mostruosa, creatura!

Webster, nel riferirci queste cose, aveva raggiunto un rilevante stato di agitazione ed inoltre non capivamo dove volesse andare a parare con il suo discorso. Cercai di calmarlo con qualche battuta ma lui mi fulminò con una occhiata carica di severità e ricominciò a parlare rivolgendo lo sguardo verso la finestra.

-Tu hai commesso un grave errore! - Mi disse severamente -hai violato la tomba dei nostri avi...-

Non sapevo cosa rispondere, tutto mi sembrava così irreale , non riuscivo a capire ciò che stava accadendo ed indietreggiai quando il vecchio puntò verso di me il suo indice lungo ed affusolato...

- Questa notte - aggiunse - il soffio del Sifhart ti ha soltanto sfiorato, un giorno, invece, prenderà crudelmente la tua vita. Uomo, ti ho avvertito. Non profanare più le nostre sacre tombe, non cercare di denudare i segreti, va via dalle nostre terre o la collera dei Grandi Antichi si riverserà su di te e la tua stirpe. Essi dormono di un sonno eterno oh si! Ma un giorno si sveglieranno ed allora il mondo, così come tu lo hai sempre conosciuto, cambierà aspetto. Va via ascoltami! Non costringermi a liberare il demone che riposa dentro questo tamburo! -

Ascoltai tutta quella sequela di parole inebetito, biascicai qualcosa, forse insultai quel mio bizzarro ed inquietante interlocutore. Ricordo distintamente che, con una rapidità sorprendente per l'età che dimostrava, raccolse il tamburo da terra, se lo portò al braccio e sparì ridendo nelle tenebre, lasciando la torcia infissa nel terreno.

- Bella storia professore! - Grido Noes dal suo bancone.

Ernest lo guardò per un attimo privo di espressione, il suo volto era pallido e sudato e delle chiazze rosse gli imporporavano lo spesso collo. Abbozzò un ghigno ed alzo il suo boccale di birra.

Tutti noi, stretti intorno al tavolo, lo accompagnammo in quel gesto.

- Amici, è stato un piacere, ma adesso devo proprio andare!

- Di già Ernest? - Gli dissi alzandomi.

- Tra qualche giorno dovrò essere nuovamente sul luogo degli scavi. Ho bisogno di riposare, il viaggio sarà lungo e stressante.

- Mi ha fatto molto piacere rivederti vecchio mio...

- Anche a me.

Ci abbracciammo in silenzio, quel silenzio così espressivo in particolari momenti. Seguì con lo sguardo la corpulenta figura di Ernest che, illuminata a tratti dalla tenue luce dei lampioni, scomparve in fondo al breve viale che separava il nostro circolo dalla strada maestra. Posi da parte, anche se con difficoltà, l'improvvisa malinconia che mi aveva colto e presi nuovamente posto tra i miei amici.

Prima di concludere questo racconto, vi confiderò che la storia del professor Webster non mancò di destare il mio più vivo interesse e che passai molti mesi presso la nota biblioteca di Point Hope per cercare di dirimere il mistero sul famigerato e tanto citato tamburo. Per la verità non trovai molto in merito ad un simile oggetto, solo alcune emblematiche righe sul Misteria Primigenia, il poco conosciuto libro di Sir Owen Dounsany, scritto nel lontano 1760. Qui ve le riporto, sperando che anche voi potrete farvi un'idea sui fatti narrati dal professore e forse, giungere anche a comprendere il perché della sua orribile ed inspiegabile morte, avvenuta alcuni mesi dopo il nostro incontro, nel suo campo base presso le pianure di Mugla :

"(…) Nella Caria, sul Mar Egeo, vive un popolo di origini antiche. Questo popolo è dedito ad una arcana religione, incentrata sulla evocazione di alcune divinità abissali.

Certamente si sa poco di questi indigeni per poter affrontare un discorso obiettivo sulla loro razza e la loro cultura, ma un dato è certo: Essi sono molto abili nella stregoneria, ed in alcuni villaggi dei guru o presunti tali coltivano uno strano culto avente per oggetto taluni singolari tamburi rituali, detti di "Sifhart". Si dice che questi tamburi ospitino al loro interno dei demoni e che l'odio basti a scatenarli. Capovolgendo i tamburi si darebbe modo al demone di uscire dal suo rifugio e compiere la sua opera distruttrice. Certamente siamo alle prese con del folclore locale, così vivo in queste zone dimenticate da Dio. "

 

© 1998-99 by Pasquale Francia, Diritti Riservati.

Questo racconto non può essere pubblicato senza l’espresso consenso dell’Autore.




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