La tempesta del secolo

di

Stephen King

 

 

Un bel buco nell’acqua (e magari in acque tempestose) per il Grande Sperimentatore del Maine? Beh, a prima vista sembrerebbe proprio di sì, molti fan non mostrano di gradire molto l’ultima proposta… E così se grande successo ebbero a suo tempo il libro-feuilleton a puntate "Il miglio verde", la prova dei romanzi gemelli e speculari "Desperation" e "I vendicatori" e (ma solo in America) le audiocassette in cui lo stesso King leggeva alcuni suoi racconti, per finire con l’e-book "Riding the bullet", stavolta il libro-sceneggiatura "La tempesta del secolo" non pare convincere molto il pubblico kingofilo. Scritto infatti come una sceneggiatura televisiva "perché – dice King – è così che la storia voleva essere scritta", "La tempesta del secolo" è quindi diventato uno sceneggiato per la Tv (in commercio in videocassetta anche in Italia) con la regia di Craig Baxley. Ma da alcuni siti web i fans italiani insorgono contro questo libro di "frasi smozzicate" che non vale, ad un primo approccio visivo, neppure la fatica della spesa, se non quella della lettura… E certo l’impatto è decisamente duro: non è facile leggersi quattrocentotrentadue pagine di battute serrate che ben poco spazio lasciano alla magnetica prosa kinghiana, quella, per intenderci, che tanto contribuisce a far amare l’opera del bardo del Maine… Inevitabilmente il codice linguistico che una sceneggiatura utilizza è povero e scarno, non esce la forza della parola-cosa, la prepotenza di certi paragoni o similitudini che sfondano la barriera della pagina per farsi materia pulsante di vita e colori. Quindi, certo, una lettura di primo acchito non particolarmente entusiasmante. Eppure. Eppure è grande, questa volta, la forza della storia. A noi cui piace il King mitopoietico, quello che crea miti, quello che s’immerge nella tradizione fantasy fiabistica e folclorica e la riplasma per ricrearla, a noi che amiamo le sue strizzate d’occhio alle Grandi Storie del passato, beh a noi quest’ultimo King è proprio piaciuto. E ci è piaciuto per diversi motivi. Innanzitutto per quella sua capacità di inserirsi nei meccanismi sociali e nelle dinamiche comportamentali di una piccola comunità, analizzandone i normali percorsi, ma anche le schegge impazzite. "La tempesta del secolo" è infatti ambientato a Little Tall Island, la stessa isola della vecchia "Dolores Claiborne" per inciso. E così, com’era stato per "Le notti di ’Salem" e "Cose preziose", King girovaga compiaciuto fra gli armadi pieni di scheletri di un’intera comunità, isolana per di più, con tutto il suo pesante carico di silenzi, egoismi e barriere verso l’esterno.

Ma vogliamo poi parlare della Cosa che Incarna il Male? Si fa chiamare Linoge, André Linoge, ma questo, in fondo, importa proprio poco (se uno non sa fare anagrammi), perché il suo nome e la sua vera identità sono vecchi di secoli e sono sepolti in inspiegabili fatti del passato. Un bel giorno, anzi diciamo pure un gran brutto giorno, questo Linoge arriva a Little Tall, proprio (e guarda caso!) all’avvicinarsi di quella che sarà poi ricordata come la tempesta del secolo. E il suo arrivo non passa certo inosservato: si mette a uccidere chi gli pare scrivendo in ogni dove: "datemi quello che voglio". E quello che Linoge vuole ma, soprattutto, chi è questo Linoge gli isolani lo scopriranno solo a caro, carissimo prezzo. Questa nuova figura del Male, così bella in certe inquadrature (tanto per adeguarsi al concetto di sceneggiatura), porta nei suoi tratti tutti i segni dello stregone–mago de "Gli occhi del drago", ma anche il fascino dei protagonisti di certe fiabe (ricordate il Pifferaio Magico?). Il suo occhio è nero e rosso e indossa degli assolutamente cartoonistici guanti gialli. E questa non può essere solo una casuale affinità con certi personaggi del ciclo "La Torre Nera" o con gli uomini bassi in soprabito giallo (dell’omonimo racconto di "Cuori in Atlantide"). Ma insieme a fiabe, folclore e rimandi al king-mondo, di nuovo fortissima, come in tanti libri precedenti, torna l’ispirazione evangelica, quella che interpreta il Male in chiave biblica e che sbatte l’Uomo-Giobbe faccia a faccia con un destino di sofferenza senza ragione. L’Uomo di King non è mai stato così solo e disperato! E poi ancora, per l’ennesima volta, vittime innocenti del Male, i bambini. Quindi anche per questo romanzo King ha pescato tanto dalla sua famosa "polla dei miti". Ma per tanto che è rimasto, tanto è anche cambiato. E il vecchio King dispensa dosi di disincanto a piene mani: il Male vince, alla fine, come non era stato in passato. E il dolore è eterno e ossessivo. E la vita non potrà più essere la stessa, neppure per la piccola, isolata e chiusa comunità di Little Tall.

Un’operazione forse azzardata dunque, ma solo per il formato. Un libro-non libro è un po’ duro da digerire… Ma i contenuti ci sono e sono buoni e possono certo valere anche la "fatica" della lettura.

Elissa Piccinini

elissa.p@tiscalinet.it

 

 

 

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