Tunnel

di Silvio Falcone



Il trillo della sveglia squarciò il silenzio che regnava nella camera da letto.
Realizzò cosa stesse succedendo soltanto dopo qualche secondo.
Con gli occhi ancora chiusi cercò la fonte che ossessionava i suoi timpani. Riuscì a zittirla non prima di aver gettato fuori dal comodino l'orologio e il telefonino.
Stirò gli arti ancora assopiti, tendendo fino all'ultimo muscolo.
Normalmente, sarebbe rimasto a rigirarsi tra le lenzuola ancora un quarto d'ora, poi veloce sotto la doccia, lo shampoo, il phon... Quella mattina no! Quella mattina non sarebbe stato possibile.
Doveva far presto, lo aspettava un lungo viaggio. Bisognava chiudere un contratto: per la ditta significava la salvezza.
La crisi degli ultimi anni aveva messo in ginocchio aziende ben più floride di quella in cui lavorava. Loro erano sopravvissuti... almeno fino a quel momento. Quel contratto avrebbe risolto quasi tutti i problemi.
Però quel viaggio avrebbe preferito non farlo.
Ciò che più gli seccava, era di non sapere nulla sul percorso che lo aspettava. Lui che era così preciso, così puntuale nelle sue cose. Non gli piaceva affidarsi al caso e non sopportava gli imprevisti.
Programmava tutto, soprattutto quando viaggiava.
Si procurava le cartine per arrivare sul posto, la pianta della città, si informava sui distributori di carburante che avrebbe incontrato lungo la strada, prenotava gli alberghi e studiava gli itinerari per arrivarci.
Quella volta, però, non ne aveva avuto il tempo.
Il suo capo gli aveva comunicato la necessità del viaggio soltanto la sera prima.
Per giunta aveva pochissime indicazioni sulla strada da percorrere. Giusto qualche indizio sull'uscita dell'autostrada, qualche paese limitrofo... avrebbe dovuto chiedere informazioni per arrivarci, e questo lo seccava moltissimo.
Si fece forza. Sollevò le coperte e tirò giù le gambe.
Cercò nel buio le pantofole. Come al solito, una la trovò subito, ma l'altra non prima di aver tastato col piede un bel pezzo di pavimento.
Si alzò e camminò al buio con gli occhi chiusi.
Faceva sempre così. Al buio chiudeva gli occhi per meglio concentrarsi sul percorso che conosceva alla perfezione, quando i figli o la moglie non lasciavano qualcosa sul suo cammino che, oltre a procurargli vistose lividure agli stinchi, lo facevano produrre in colorite bestemmie di cui lui stesso si meravigliava.
Appena arrivato nel soggiorno ed essersi chiuso alle spalle un paio di porte, accese la luce e riaprì con cautela gli occhi sbattendo più volte le palpebre.
Fuori era ancora buio. Si preparava una grigia giornata di novembre. Il rombo dei tuoni lontani annunciava pioggia.
La pioggia, un'altra cosa che odiava quando viaggiava in auto.
Gli piaceva sentir piovere quando era sotto le coperte, magari con una donna tra le braccia che lo stringeva ad ogni lampo, nell'attesa del tuono.
Si infilò a malavoglia sotto la doccia.
Quando chiuse i rubinetti avvertì uno sgradevole brivido di freddo lungo tutta la schiena.
Si asciugò in fretta. Ritornò in camera da letto e si vestì al buio. Si vestiva sempre al buio. Una volta andò in ufficio con le calze di due colori diversi e se ne accorse soltanto alla sera, quando le tolse.
Un'ultima occhiata allo specchio, una spruzzata di profumo, quello da supermarket, un bacio ai bambini che, beati loro, dormivano ancora, e lo avrebbero fatto per almeno altre due ore prima di alzarsi per andare a scuola, poi giù nel garage.
Lì lo aspettava la sua vecchia auto: una Fiat Croma grigio metallizzato dell'89.
Gli era costata un occhio della testa, considerando che non nuotava nell'oro, ma aveva desiderato da sempre un'auto che gli facesse fare bella figura, un'auto all'altezza, come gli piaceva ripetere con gli amici.
Ci parlava spesso con la sua auto. Lo faceva con tutti gli oggetti che gli appartenevano e che, in qualche modo, avessero a che fare con la sua sicurezza. Era un modo per tenerseli buoni, per non urtare la loro suscettibilità.
Aprì la porta basculante. Una sferzata d'aria fredda lo investì in pieno viso.
Si sedette al posto di guida ed impugnò il volante con entrambe le mani.

- Bella mia! Stamattina ci aspetta una lunga sgroppata. Spero che tu abbia riposato abbastanza, perché c'è da camminare tanto. Mi raccomando, non mi lasciare a terra! Mi affido a te... come sempre del resto.

Mise in moto ed uscì a marcia indietro dal box.
Scese a richiudere la porta, risalì in macchina e si avviò al cancello principale. Come al solito non si aprì prima di aver pigiato il telecomando almeno una decina di volte.
Mentre l'enorme cancello scorreva, ripassò velocemente le cose che avrebbe dovuto portare con sé.
Verificò di non aver tralasciato nulla, benché fosse consapevole che, come sempre, sarebbe uscito con la netta sensazione di aver dimenticato qualcosa e si sarebbe reso conto di cosa soltanto a metà strada, quando sarebbe stato impossibile tornare indietro a riprenderla.
Gli piaceva guidare di mattina presto.
Le strade erano sgombre dal traffico che normalmente le soffocava. E poi, gli piaceva pensare che, di lì a poco, la città si sarebbe risvegliata e lentamente avrebbe ripreso vita. Si sarebbero riaperti i negozi, le strade si sarebbero popolate di automobilisti di fretta per il lavoro, bambini che andavano a scuola accompagnati dalle mamme, pullman pieni all'inverosimile di studenti e operai.
Immaginava tutto come in una ripresa filmata accelerata, che si sarebbe esaurita in pochi istanti. La luce sarebbe stata rimpiazzata dal buio della notte, e tutto sarebbe ritornato deserto, per riprendere la mattina dopo e fermarsi la notte, e riprendere, e fermarsi... sempre uguale... fino a quando?...
Arrivò al casello dell'autostrada, pigiò il pulsante rosso e immediatamente schizzò fuori dalla fessura il biglietto che infilò nella taschina del parasole.
I soliti venditori ambulanti gli offrirono fazzolettini, accendini, audiocassette dell'ultimo festival di Sanremo. Rifiutò tutto, come sempre; e come sempre se ne pentì subito dopo. In fondo non gli chiedevano che mille lire, mille lire per guadagnarsi la giornata e mettere qualcosa sotto i denti. Avrebbe provveduto la prossima volta.
Imboccò la corsia nord.
Si sarebbe fermato alla prima stazione di servizio per fare colazione e dare un'occhiata alla pressione delle gomme. Gli fischiavano in curva.
Pur chiedendo il massimo alla proprio auto, le dava pochissimo, anzi nulla. Per lui "prevenire è meglio che curare" erano soltanto parole. La sua Croma entrava in officina soltanto quando aveva talmente tanti problemi, che era impossibile camminarci.
Quando partiva per viaggi piuttosto lunghi, però, controllava gomme e olio. Era impensabile rimanere in panne in terra straniera. Beninteso che 10 km fuori città era un altro pianeta.
Cominciò a fischiettare il motivo della canzone di Francesco Guccini "In morte di S.P." o giù di lì. Non ricordava mai se il titolo fosse "Morte di S.P." o "In morte di S.P.". Non parliamo poi delle iniziali; erano le prime che gli erano venute in testa.
La canzone era dedicata ad un'amica dell'autore, morta in un incidente stradale.
Lunga e diritta scorreva la strada,
l'auto veloce correva...
Ogni volta che viaggiava da solo in auto, automaticamente pensava a quel pezzo, e ogni volta era convinto che si trattasse di un presagio. Puntualmente era smentito dai fatti e, ormai, la fischiava più per scaramanzia che altro.
Non era superstizioso, o almeno pensava di non esserlo, ma, come si dice,... non è vero, ma ci credo!
Così quando incrociava un'auto adibita ai trasporti funebri, puntualmente toccava ferro e... non solo quello. Non ne poteva più fare a meno. Se soltanto una volta non avesse ripetuto il rituale, sicuramente gli sarebbe successo qualcosa.
Concentrato sui suoi pensieri, aveva percorso un buon tratto di strada senza essersene reso conto, come spesso accade quando si è sovrappensiero.
A volte non si è in grado nemmeno di ricordare la strada percorsa; si guida meccanicamente, senza concentrarsi su di essa.
Gli era capitata la stessa cosa. Non ricordava nessun particolare del tratto percorso, e, quello che lo preoccupava maggiormente, non ricordava se aveva o meno superato lo svincolo al quale doveva uscire.
Un senso di panico cominciò ad invadere i suoi pensieri.
Una persona normale non si sarebbe persa d'animo in una situazione che, tutto sommato, non era tragica, anzi... Bastava semplicemente fermarsi alla prossima stazione di servizio e chiedere informazioni.
Ma lui non era una persona normale. Lui era molto particolare! Tutto questo stava ulteriormente turbando il già precario equilibrio di un viaggio che non aveva potuto organizzare come avrebbe voluto. Era cominciata male, decisamente male!
La più vicina stazione di servizio era a 15 km e non vi erano svincoli fino ad essa. Almeno così leggeva sui cartelli che, ad ogni chilometro, trovava sulla sua sinistra.
Diede un'occhiata al tachimetro: segnava 140. Una velocità piuttosto elevata per le sue abitudini, ma doveva arrivare alla stazione di servizio.
Superò due Tir e, appena rientrato in corsia, fu a sua volta superato da una fiammante Lancia Thema che, quando lo affiancò, gli procurò un leggero sbandamento per lo spostamento d'aria.
Almeno il tempo sembrava dargli una mano; la giornata, da grigia che era, pareva tendere al meglio e un bellissimo arcobaleno tagliava il cielo, non ancora sgombro da nubi, da un orizzonte all'altro. Chissà se veramente alle sue origini c'era la pentola piena di monete d'oro! Gli avrebbero fatto molto comodo. A quel pensiero sorrise.
In fondo alla strada l'imbocco di un tunnel ruppe la monotonia del percorso e interruppe il flusso dei suoi pensieri.
Diligentemente accese i fari e si infilò nel ventre della montagna.
Entrare in un tunnel gli aveva sempre fatto un certo effetto. Fin da bambino aveva avuto paura dei cunicoli, delle gallerie, delle aperture dietro alle quali si nascondeva l'incognito. I suoi compagni infilavano le mani nelle tane, nei buchi dei tronchi. Il solo pensiero, gli procurava un brivido gelido lungo la schiena e un senso di repulsione.
La prima cosa che aveva fatto, quando si era trasferito nella sua attuale abitazione, era stata chiudere tutte le crepe nel muro, le fessure tra i battiscopa e tutti i buchi non meglio identificati, con cemento e silicone.
Da bambino i suoi incubi ricorrenti riguardavano grossi insetti che uscivano dai buchi del terreno o dei muri.
A tutto questo si aggiungeva un forte senso di claustrofobia, a tal punto da fargli salire e scendere centinaia di scalini, pur di non entrare in un ascensore.
Il tunnel, nel quale si era appena infilato, era privo di illuminazione, se si escludeva qualche faretto ogni cento metri che non faceva altro che rendere la visibilità ancora più incerta, per i riflessi che provocava.
Il rapporto personale che aveva con gli oggetti, lo portava a pensare se fosse giusto violare così la montagna, infilandosi senza ritegno, senza pudore, nelle sue parti intime, più nascoste. Era un po' come violentarla. L'uomo aveva asportato tonnellate di terra e roccia che erano stati negati alla luce del sole per milioni di anni.
Sembrava molto lungo. Non si vedeva l'uscita, forse a causa di curve che la nascondevano. Era l'unico essere vivente all'interno del budello, l'intestino della montagna.
Se quell'enorme massa di terra e rocce che trasudava acqua dalle pareti avesse voluto vendicarsi delle violenze subite, lo avrebbe schiacciato, seppellito sotto milioni di tonnellate di detriti. Lo avrebbe digerito.
Gli venne in mente un incidente avvenuto in Giappone di recente. Un mastodontico blocco roccioso si era staccato dalle viscere della montagna e aveva sfondato il sottile strato di cemento che proteggeva la galleria sottostante. Erano rimasti intrappolati in parecchi, e nessuno di loro si era salvato. Non era stato possibile sgombrare il tunnel. Sicuramente molti dei malcapitati erano morti di fame e di sete.
Erano morti al buio. Bloccati in un buco. Come quel bambino nel pozzo artesiano.
Il fatto era di qualche anno prima. La televisione aveva fatto seguire minuto per minuto la tragica fine del piccolo. La morte in diretta.
Pianse molto allora. Si immaginava al suo posto. Immobilizzato, al buio,...in un buco.
Stringeva nervosamente le mani attorno al volante della sua Croma. Neanche lei avrebbe potuto aiutarlo in una situazione simile.
Le curve si succedevano alle curve. Ormai anche i pochi faretti erano scomparsi. L'unica luce era generata dai fari della sua auto che continuava a procedere nel buio.
Quando sarebbe rientrato, avrebbe presentato un esposto alla Società Autostrade per il pessimo stato di illuminazione del tunnel.
Non aveva neanche il conforto della presenza di qualche altro automobilista che gli facesse compagnia. Era solo. Se fosse rimasto bloccato lì dentro, non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di aggrapparsi a qualcuno per superare il terrore del buio. Sarebbe morto solo.
Finalmente in lontananza un puntino luminoso: l'uscita.
Accelerò ulteriormente, benché già fosse a velocità sostenuta. Voleva uscire al più presto da quella situazione di estremo disagio.
Il puntino ben presto divenne il classico semicerchio che indica la fine di un tunnel e, quando Dio volle, uscì nuovamente all'aperto. Tirò un profondo sospiro di sollievo.
Dall'altra parte della montagna una leggera pioggia ancora bagnava la strada e si aggrappava alla sua auto che gli sfrecciava attraverso. Non era l'ideale, però c'era la luce. Anche quella volta ce l'aveva fatta. Era uscito dal buco.
Aveva bisogno di fermarsi. Doveva orinare e voleva mettere qualcosa sotto i denti. Inoltre necessitava di informazioni.
Sperava ardentemente di non dover tornare indietro, ripassare nel tunnel. Per la strada del ritorno avrebbe scelto un percorso alternativo. A costo di scalare le montagne, non sarebbe ritornato in quel tunnel.
Cercò con gli occhi i cartelli che ad ogni chilometro indicano la distanza per la prossima uscita o la prossima stazione di servizio.
Stranamente non ne vide nessuno. Niente sulla sinistra, niente sulla destra. La strada era deserta, dritta a perdita d'occhio, ma di cartelli nessuna traccia.
Ma la cosa più singolare era la totale mancanza di guard-rail ai lati della carreggiata. La corsia nord era separata dalla corsia sud da cespugli di rovi e rami secchi di chissà quale pianta.
Il paesaggio era normale, anche se non si vedevano costruzioni, ma aveva qualcosa di insolito, qualcosa che gli sfuggiva.
Ai lati della strada rilievi e sonnecchianti colline, si alternavano a brevi distese ricoperte di erba spontanea. La forma delle alture ricordava i seni di una donna distesa in totale rilassamento. Mancava solo che sussultassero a indicare il respiro. Non c'era nulla che facesse pensare all'intervento dell'uomo. Nulla, a parte la strada. Una strada che però a tutto faceva pensare tranne che ad una carreggiata di autostrada. L'asfalto era consumato, a tratti sfarinoso. Mancava totalmente di striscia che dividesse la corsia di marcia da quella di sorpasso. I cespugli tra le due carreggiate facevano intuire l'intenzione di voler attrezzare al meglio la struttura, ma lo stato di abbandono confermava che era rimasta un'intenzione.
Finalmente incrociò un'auto. Una vecchia Lancia Appia in ottimo stato. Non ne vedeva da molti anni. Non era un intenditore, ma riusciva ancora a distinguere un'auto antica da un'auto moderna.
Era inquieto. In tutto questo c'era qualcosa che lo turbava. Qualcosa che non riusciva a capire. Qualcosa che non aveva ancora afferrato. Ammesso che tutto quello che gli stava capitando non fosse di per sé assurdo, quanto mai strano.
La pioggia continuava a ticchettare sul parabrezza e una leggera foschia avvolgeva il panorama. L'auto continuava la sua corsa, senza che ci fossero segni di vita civile, a parte qualche vecchia auto "anni '60" che ogni tanto superava o incrociava. La sua vescica premeva sempre più. Avrebbe potuto fermarsi e svuotarla dietro qualche cespuglio, ma questo non faceva parte del suo stile. Avrebbe trattenuto.
Chissà in quale zona sperduta dell'entroterra era finito! Ma come era successo? Quando era uscito dall'autostrada? Se vi era uscito! Non aveva incontrato caselli e non aveva pagato il pedaggio.
Prima di imboccare il tunnel era ancora sull'autostrada. Cosa era successo dentro? Non poteva aver sbagliato strada all'interno della galleria! Non esistono svincoli o diramazioni dentro un tunnel!
Doveva assolutamente fermarsi e scoprire dove era finito. Ma non c'era traccia di stazioni di servizio, motel, ... non c'era anima viva all'infuori delle poche auto che aveva incrociato. Tutte auto d'epoca: Fiat 600, Ford Capri, Maggiolini e addirittura una Topolino.
Nel frattempo la pioggia aveva smesso di cadere e tra le nuvole si affacciava un pallido sole.
Era in viaggio da molto tempo. Qualche ora sicuramente. Guardò l'orologio, segnava le 8.23. Si era fermato! Sicuramente era più tardi. Infatti la lancetta dei secondi era ferma tra il 3 e il 4 sul quadrante. Ci mancava anche questa! L'orologio al polso fermo, l'orologio in macchina guasto da almeno due anni.
Intanto il cielo si era del tutto liberato dalle nubi e le colline si stagliavano nette contro la volta...
Piantò il piede destro sul freno. L'auto ebbe un sobbalzo e cominciò a ruotare verso sinistra e poi verso destra, fino a fermarsi di traverso in mezzo alla carreggiata.
... le colline si stagliavano nette contro la volta ... grigia del cielo!
Tutto ciò che lo circondava era privo di colori. Mille sfumature di grigio, ma nessun colore. Sembrava di stare a guardare un televisore in bianco e nero con uno schermo che avvolgeva completamente la sua auto. Il cielo, l'erba, il sole, avevano perso i loro colori abituali e si presentavano ai suoi occhi in tutte le tonalità che vanno dal bianco al nero.
Cominciò a sudare. Rimise in moto e accostò l'auto al ciglio della strada.
Sicuramente doveva trattarsi di un'illusione ottica dovuta alla foschia o a una leggera nebbia che era calata dopo la pioggia.
L'orina nella sua vescica reclamava la libertà, ma aveva troppa paura di scendere. Aveva paura di smentire le sue ipotesi.
All'interno dell'auto sembrava tutto normale; i colori erano tutti al posto giusto: le sue mani, il vestito, le riviste sul sedile posteriore. Fuori tanti grigi, il bianco e il nero.
Da quanto tempo era in atto quello strano fenomeno atmosferico? Certamente era cominciato dopo l'attraversamento del tunnel. Ricordava perfettamente l'arcobaleno e le sue considerazioni sulla pentola piena di monete d'oro. Non se ne era accorto prima perché pioveva!
Il buco nell'ozonosfera! Sicuramente dipendeva da quello. Oppure le piogge acide... lo smog, i gas di scarico, l'inquinamento,... la sua stanchezza,...
Si guardò intorno, nella speranza di trovare qualcosa che lo riportasse alla realtà, qualcosa che gli mostrasse il suo colore. Niente.
Forse era diventato daltonico. Forse la stanchezza, la tensione del viaggio, avevano provocato qualche danno ai suoi occhi. Ma allora, perché la sua persona, le riviste e tutto ciò che era nell'abitacolo conservavano i propri colori?
Non c'era anima viva fino a dove arrivava il suo sguardo.
Decise di scendere e controllare da vicino. Aprì lo sportello e uscì allo scoperto. Se sperava che l'effetto dipendesse da qualche sostanza che si era depositata sui vetri dell'auto, rimase molto deluso. Il mondo era ancora in bianco e nero.
Girò attorno all'auto e si avvicinò all'erba che cresceva libera laddove l'asfalto le aveva lasciato terreno.
Si chinò e ne strappò un ciuffo. Lo esaminò nella sua mano: era grigio, varie gradazioni, ma rigorosamente grigio; tutto normale, le venature, le punte bruciate, addirittura due insetti che camminavano lungo lo stelo. Tutto normale, ma senza colori.
La cosa più impressionante era il contrasto con le sue mani. Il suo corpo aveva conservato i suoi colori. Si voltò verso l'auto che, pur essendo grigia con gli interni neri, si stagliava rispetto al resto del paesaggio e brillava di una luce diversa. Si avvicinò ai vetri e guardò le riviste sul sedile posteriore. Ancora colorate. I rossi, i verdi, gli azzurri sembravano pezzi di un collage tridimensionale. Lui e la sua auto, immersi in quel grigiore innaturale, facevano pensare a uno spot pubblicitario in cui sono colorati soltanto i prodotti reclamizzati.
Un'Alfa Romeo Giulia procedeva in senso contrario. Attraversò correndo la strada e si mise al centro della carreggiata, agitando le braccia per attirare l'attenzione. Doveva assolutamente parlare con qualcuno, altrimenti sarebbe impazzito.
L'auto procedeva abbastanza spedita e il conducente sembrava non averlo notato.
Effettivamente non lo aveva notato o di proposito non voleva notarlo. Se non si fosse spostato all'ultimo momento, probabilmente avrebbe finito per sempre di porsi problemi.
Aveva il cuore che gli pulsava a pochi centimetri dalla gola. Riusciva a stento a respirare. Un senso di nausea gli attanagliava lo stomaco.
Rimase sul ciglio della strada aspettando un'altra auto. Sull'altra corsia giungeva una Fiat 850 lanciata a tutta velocità. Riattraversò lo spartitraffico e di nuovo agitò le braccia per farsi notare. Non era il suo giorno fortunato. Questa volta finì addirittura nel fossato contiguo alla strada.
Tornò di corsa alla sua auto, mise in moto e partì con una sonora sgommata invertendo la marcia attraverso i rovi grigio-topo.
Doveva tornare indietro. Doveva assolutamente tornare indietro, riattraversare il tunnel e uscire da quell'incubo. Doveva tornare dove si vedevano gli arcobaleni, dove il sangue era rosso e il cielo azzurro.
E pensare che il suo colore preferito era il nero e la sua squadra del cuore la Juventus: maglia bianconera! Avrebbe cambiato colore. Il rosso, o il verde, o tutti. Tutti, tranne il bianco e il nero. Avrebbe cambiato anche squadra.
Aveva gli occhi appannati dal sudore che, copioso, gli scivolava sulla fronte. O forse erano lacrime? La vescica aveva deciso di fare di testa sua e gli aveva svuotato nelle mutande il suo caldo liquido. Non gliene fregava niente! Doveva ritrovare il tunnel e uscire dall'altra parte.
Aveva paura. Una paura mai provata prima. Tutto questo era incredibile, impossibile!
Dove si trovava? Era in un'altra dimensione! Probabilmente di lì a poco sarebbe sorto un altro sole e, più tardi, avrebbe visto tre lune. Forse il mare era solido e la terra liquida. Forse era su un altro pianeta. Il tunnel era l'entrata di un'astronave ammiraglia. Lo avevano rapito e volevano studiarlo.
Qualsiasi cosa fosse, era nata da quel tunnel, dal buco nella montagna.
Le mani bagnate gli scivolavano sul volante. Guardò l'orologio. Sempre le 8.23. Erano parecchie ore che era partito da casa. Il sole era ormai alto nel cielo. Sempre che quello fosse il sole e l'altro fosse il cielo. Non poteva dare per scontato più nulla.
Continuava a incrociare auto d'epoca. Cercava di attirare l'attenzione dei conducenti. E notò un particolare che non aveva notato prima. Tutti avevano uno sguardo atterrito e sembravano sconvolti, esattamente come lui in quel momento. Intere famiglie con gli occhi sbarrati che guardavano davanti a sé, come a cercare qualcosa, come a cercare... un tunnel.
Nessuno sembrava vedere lui.
Decise di tentare il tutto per tutto e si gettò sull'altra corsia, contromano.
Le auto che procedevano in senso contrario lo evitavano con paurose sterzate, ma nessuno si fermava. Poteva provare a tamponarne qualcuna. Si sarebbero fermati certamente.
Scartò subito l'idea. Non ne avrebbe avuto il coraggio. E poi poteva ammazzare qualcuno o ammazzarsi lui stesso.
Ritornò sulla sua corsia di marcia e riprese la folle corsa verso il tunnel, con il piede a tavoletta sull'acceleratore. Sperò che la sua Croma non lo abbandonasse proprio in quel momento. Non adesso! Non adesso!
Diede uno sguardo all'indicatore di livello del carburante. Fortunatamente, nonostante i chilometri percorsi in tutte quelle ore, sembrava non essersi mosso dai trequarti.
I pensieri gli si affollavano nel cervello fortemente provato da quello che gli stava succedendo. Non riusciva a concentrarsi. Ogni tanto gli veniva alla mente un ricordo confuso della sua infanzia, un episodio della sua vita più recente. Dicono che quando si sta per morire si rivive la propria vita in un istante. Non riusciva a fare neanche quello.
Intanto che proseguiva la sua folle corsa, le ore passavano e, quello che sembrava il sole, si preparava a tuffarsi dietro l'orizzonte, per lasciare spazio alla notte. Come in una ripresa filmata. Il sole, la luna, il giorno, la notte. Un film dell'orrore!
Il traffico cominciava a farsi più sostenuto. Le auto che incrociava erano sempre più numerose e, almeno, sembravano più moderne. I modelli erano più recenti, ma le facce al loro interno ugualmente atterrite, e tutto rigorosamente in bianco e nero.
Scartò definitivamente l'idea di fermare qualcuno.
Ormai il tunnel doveva averlo già raggiunto! Invece, davanti a lui, la strada dritta, monotona. A fianco i seni della terra ricoperti di grigio, un grigio spento. Il tunnel non si vedeva!
Cominciò a piangere. Le lacrime gli scivolavano lungo la guancia e, unendosi al sudore, formavano rivoli salati che gli finivano in bocca, oppure scomparivano sotto il colletto della camicia.
Le sorprese non erano finite! L'esperienza che stava vivendo certamente lo stava sconvolgendo e certamente era impallidito, ma il colore che la sua pelle stava assumendo era esageratamente chiaro!
Ora il traffico era intenso. Le auto erano quasi in colonna. Tutte auto nuove, però!
Forse il crepuscolo attutiva i colori, almeno quelli che erano rimasti all'interno della sua auto, e gli dava l'impressione che si fossero schiariti.
Si girò verso le riviste sul sedile posteriore. Per poco non finiva fuori strada. I rossi, i verdi, gli azzurri... erano diventati sbiaditi, lasciando spazio a mille tonalità di grigio, che accompagnavano il bianco verso il nero.
Il suo cervello cominciava a bollire. Il tunnel era scomparso!
Continuava a correre verso il tunnel, verso la vita, la sua vita. Verso i suoi bambini, sua moglie, il suo lavoro. Verso i suoi problemi, i suoi dolori, le sue gioie. Ma il tunnel era scomparso.
Diede un urlo. E poi un altro. Piangeva. Rideva. E poi piangeva. E poi rideva.
Il traffico si era fatto intenso. Tra le auto, tutte nuovissime, c'erano modelli che non aveva mai visto. Forse straniere, forse non ancora prodotte.
Un uomo e una donna, in mezzo alla strada, gli si pararono davanti. Agitavano le braccia...
Se non si fossero scostati all'ultimo momento, li avrebbe travolti. Erano colorati. Avevano tutti i colori al posto giusto. Ma non ci fece caso, non faceva più caso a niente. Aveva la faccia atterrita, il cervello fuso. Era in mezzo a tante auto, tutte auto grigie, in un mondo grigio. Tante facce atterrite alla ricerca di un tunnel...
All'uscita della chiesa tutti le si fanno incontro. Solite facce contrite, falso dolore, frasi scontate di circostanza.
I due bambini sono aggrappati alla sua gonna, gli occhi rossi di pianto, spaventati da tutta quella gente che si accalca attorno alla madre. La baciano, l'abbracciano, cercano di consolarla. Non hanno capito cosa sta succedendo, ma piangono perché piange la madre, soffrono perché soffre la madre.

- Coraggio, devi continuare per loro. Hanno bisogno di te, solo tu puoi colmare il vuoto che si è creato!

- Non so che dire. Le parole in queste circostanze, sono inutili. Sempre i migliori ci lasciano!

- Devi superare! La vita continua.

- Lo so che non ti servirà a ridartelo, ma almeno ti consolerà sapere che non si è accorto di nulla. Forse era soprappensiero quando ha trovato il traffico bloccato ed è andato a schiantarsi contro le auto in coda, alle 8.23, subito dopo essere entrato nel ... tunnel.

... Lunga e diritta scorreva la strada,
l'auto veloce correva ....



Clicca sull'immagine per tornare all'indice: