Piera Rossotti è un’evocatrice del passato. Ce lo fa rivivere con affetto, partecipazione, emozione, attraverso una prosa che recupera con straordinario mimetismo il linguaggio dell’epoca in cui ambienta le sue storie al femminile. Già col suo primo libro aveva compiuto un piccolo miracolo “inventandosi” il diario di Filippina di Sales con tanto rigore filologico da trarre in inganno alcuni lettori, convinti di trovarsi davanti alla trascrizione di un testo antico. In questa sua nuova opera affronta una prova ancora più complessa: un romanzo epistolare. Cinque voci di donne, diverse per età e per carattere, che si confrontano e si sovrappongono narrando i piccoli e grandi dolori (e le gioie) della vita quotidiana. Un frutto, un piatto ben cucinato, un tessuto diventano, nelle sue nitide parole, altrettanto evocativi della confessione di uno stato di sofferenza emotiva o, al contrario, dell’espressione di un momento di allegria o di benessere. Sullo sfondo, la Francia e l’Italia del biennio 1859-1860, cruciale per la storia del nostro paese, come sempre ricostruite con estrema precisione grazie a un uso intelligente di memorie e documenti del periodo.
Sarebbe difficile dire quale di questi personaggi sia il meno riuscito, perché sono belli tutti. Sicuramente spicca fra le altre l’inquieta e sensibile Anne, che riesce coraggiosamente a evadere da un matrimonio infelice per seguire un nuovo amore. Ma il personaggio che più di tutti cattura la simpatia del lettore è senza dubbio quello della donna più anziana, la settantacinquenne Rosa. Una donna vorace, allegra, appassionata della vita e fermamente decisa a godersela fino in fondo nei piccoli piaceri del buon cibo e delle comodità domestiche. Una donna, anche, che appare più moderna alla nostra sensibilità delle sue parenti più giovani, perché educata ai principi del razionalismo settecentesco.
Insomma è un libro da gustare pagina dopo pagina, che parlando di ieri ci racconta anche tanto del nostro oggi.
Francesca Romano