EINSTEIN: quanti e relatività
Cosa si può dire dello scienziato più famoso del mondo che non sia già stato detto e ripetuto un’enormità di volte? Forse si può scrivere di quello che è stato il suo approccio alla scienza; cercherò di farvi capire come un giovane uomo è riuscito a redire tre articoli di grande rilevanza scientifica. A questo proposito si ricorre spesso, per non dire sempre, ignorantemente alle misteriose qualità di genio, il che equivale a una rinuncia di spiegazione. “ Scopo di ogni attività intellettuale – avrebbe scritto, anni dopo, l’Einstein maturo – è di ridurre il mistero a qualcosa di comprensibile.” Per riuscire dal mio intento riporterò parte di un articolo apparso su ‘I grandi della scienza; EINSTEIN: quanti e relatività, una svolta alla fisica teorica” bimestrale di “Le Scienze; edizione italiana di Scientific American” scritto da Silvio Bergia.
“(…) Albert Einstein nasce a Ulma, in Germania, il 14 Marzo del 1879. Il padre, Hermann, e la madre, Pauline Koch, sono ebrei non praticanti. Nel 1880 l’impresa del padre è in difficoltà, e la famiglia si sposta a Monaco, dove Hermann Einstein apre, col fratello Jacob, ingegnere, una piccola fabbrica. Albert ha una sorella, Maja, di due anni più piccola. Impara a parlare molto tardi. La sorella dirà di lui: ‘Pronunciava ogni frase lentamente e usava ripeterla più volte a fior di labbra’ aggiungendo, si direbbe sol senno di poi, ‘Si manifestava in modo curioso la sua precoce profondità di pensiero’. L’incontro con la scuola è da subito difficile. Albert trova le sue consolazioni a casa, dove la madre lo avvia allo studio del violino, e lo zio Jacob a quello, precoce, dell’algebra; Max Talmey, uno studente di medicina, gli fa leggere libri di divulgazione scientifica. Einstein aggiunge ai primi studi di algebra quelli di geometria. Ne riceve una prima forte impressione: questo è un mondo di certezze, che lo affascina. A quindici anni studi, da autodidatta, il calcolo infinitesimale. Non male per un bambino tardivo. Ma forse Maja aveva visto giusto. La personalità di Albert è giunta precocemente a rapida maturazione. Una foto ce lo mostra, diciassettenne, con un aria di evidente confidenza con se stesso. Un aspetto che caratterizza un insieme di convinzioni è l’atteggiamento di ribellione nei confronti dell’autorità costitutiva. Scriverà Einstein molto più tardi, nella sua Autobiografia scientifica: ‘Attraverso la lettura di libri di scienza popolare mi ero convinto ben presto che molte delle storie che raccontava la Bibbia non potevano essere vere. La conseguenza fu che divenni un accesissimo sostenitore del libero pensiero, accomunando alla mia nuova fede l’impressione che i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con insegnamenti bugiardi; e fu un’impressione sconvolgente. Da questa esperienza trassi un atteggiamento di sospetto contro ogni genere di autorità, e di scetticismo verso le convinzioni particolari dei diversi ambienti sociali: e questo atteggiamento non mi ha più abbandonato, anche se poi, per una più profonda comprensione delle connessione casuali, abbia perso un po’ della sua asprezza primitiva.’
Una piccola digressione: chi scrive ha maturato, nel corso di una frequentazione ormai di molti anni con l’opera di Einstein, con l’insieme dei suoi scritti, e con aspetti della sua biografia, la sensazione/convinzione che egli, quando scrive qualcosa, intenda proprio dire quello che dice. Il che sembra una ovvietà, ma non lo è, visto che per i più non è così. Proveremo quindi qui e nel seguito a prendere questo atteggiamento. Esaminando rapidamente il suo incontro con la scuola vedremo che i conti tornano con quanto abbiamo appena letto.
L’infanzia di Einstein si svolge nella Germania di Bismarck, un paese in via di massiccia e vertiginosa industrializzazione, ma anche retto con forme di dispotismo che si fanno sentire a vari livelli e in vari ambienti della struttura sociale. Entrato alla scuola media, il Gymnasium, Einstein si scontra con la rigida mentalità degli insegnanti, che rendono la scuola simile ad una caserma. Molti anni dopo (nel 1936), in una conferenza tenuta ad Albany, negli Stati Uniti, egli scriverà: ‘Mi sembra che il peggior sistema di una scuola sia soprattutto quelli di applicare i metodi del terrore, della forza e della falsa autorità, poiché tale metodo, mentre distrugge i sani sentimenti dell’allievo, la sincerità e la fiducia in se stesso, ne fa una creatura sottomessa’.
‘Con la sola presenza lei distrugge il rispetto della classe nei miei confronti.’ Gli dirà un professore. Fortunatamente – per lui – maturano importati eventi: dopo alcuni anni di relativa prosperità, la fabbrica di Monaco è in difficoltà. La famiglia si trasferisce in Italia, alla ricerca di una miglior fortuna con una fabbrica a Pavia. Albert rimane solo a Monaco. Ma ci resterà per poco. La sua maturazione è ormai raggiunta a un punto tale che egli concepisce decisioni capaci di segnare il futuro di un’esistenza. Che siano proprio decisioni sue ci è confermato da una sua testimonianza diretta, resa nel 1933: ‘Quando mio padre si trasferì in Italia egli intraprese passi, su mia richiesta, affinché io fossi sciolto dalla cittadinanza tedesca, perché volevo diventare cittadino svizzero’.
Durante il soggiorno italiano fu deciso che Albert dovesse iscriversi al Politecnico di Zurigo, L’istituto di educazione tecnica allora più rinomato in Europa fuori dei confini ella Germania. Non avendo però conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, egli dovette affrontare un esame di ammissione. Che Albert fallì, per insufficienze nelle materie letterarie. Gli fu consegnato dallo stesso direttore del Politecnico, favorevolmente impressionato dalle non comuni capacità mostrate nelle materie scientifiche, di frequentare per un anno una scuola svizzera ove poter conseguire un diploma abilitante per l’iscrizione al Politecnico. Ed ecco che Einstein, sedicenne, entra nella scuola di Aarau, capoluogo dell’Argovia L’atmosfera era ben diversa da quella che aveva respirato a Monaco, e di quell’anno serberà sempre un grato ricordo.
L’anno dopo (siamo nel 1896) può finalmente iscriversi al Politecnico. Lì prende una piccola decisione: non farà l’ingegnere, come vorrebbe il padre, ma l’insegnante, forse il ricercatore. Sappiamo, per sua stessa testimonianza, che Einstein ‘avrebbe potuto farsi un preparazione matematica davvero solida’, potendo contare su maestri eccellenti’ (uno fra questi era Hermann Minkowski, che ritroveremo). E che invece ‘lavorò per la maggior parte nel laboratorio di Fisica, affascinato dal contatto diretto con l’esperienza’, dedicando il resto del suo tempo ‘soprattutto a studiare a casa le opere di Kirchhoff, Helmholtz, Hertz, ecc…’. Questo studio, come vedremo, lasciò in lui profondi sedimenti, più di quanto non fecero i corsi universitari. ‘Lei è intelligente, Einstein, estremamente intelligente – gli dirà uno dei docenti, il fisico Heinrich Weber – ma ha un grande difetto: non vuole lasciarsi insegnare una sola cosa!’ Una frase probabilmente rivelatrice di uno aspetto fondamentale di Einstein nei confronti dello studio e della ricerca, un segno della originalità del suo ingegno: dovrà sempre ricostruirsi tutto coi suoi mezzi e a suo modo.
Nel corso dei suoi studi A Zurigo matura la sua scelta definitiva: si dedicherà alla fisica piuttosto che alla matematica. E’ egli stesso a spiegarcene i motivi nell’Autobiografia: ‘mi accorsi (…) che le matematiche si dividevano in numerosi rami, ciascuno dei quali poteva facilmente assorbire il breve tempo che ci è concesso di vivere’; questo è certamente vero anche per la Fisica, ‘ma in questo campo – egli scrive – imparai subito a discernere ciò che poteva condurre ai principi fondamentali da quella moltitudine di cose che confondono la mente e la distolgono dall’essenziale’.
Gli anni di Zurigo furono anni di studio specifico, ma furono ricchi anche di altre esperienze. Datano da questi anni le letture filosofiche di Einstein, letture che avrebbero esercitato su di lui un’influenza duratura: Spinoza, Hume, Kant e soprattutto Mach, al quale fu indirizzato, nel 1897, Michele Besso, un ingegnere italiano residente in Svizzera col quale Einstein strinse allora un’amicizia duratura e intrecciata corrispondenza che non si arresterà che con la morte di Besso.
A Zurigo Einstein dovette conoscere qualche ristrettezza, visto che, col modesto assegno di cui poteva usufruire, doveva anche risparmiare per accumulare il denaro necessario per ottenere la cittadinanza svizzera. Ma la vita doveva essere tutt’altro che sgradevole. Zurigo era allora un città molto viva, lontana dall’immagine stereotipa della Svizzera come un paese sonnolento ed estraneo ai grandi dibattiti culturali e politici. Al contrario, essa era pervasa da vari fermenti. Vi soggiornarono futuri rivoluzionari come Lenin, Plechanov, Trockij, Rosa Luxemburg, donne emancipate e politicizzate come Alexandra Kollontay e Florence Kelley; in Svizzera, anche se non proprio a Zurigo, si tennero i primi congressi mondiali del movimento sionista (Basilea, 1897/1898/1899). A Zurigo Einstein conosce Frienrich Adler, un giovane socialista austriaco, dal quale udì trattare, forse per la prima volta, temi strettamente politici. In un libro molto discusso, Lewis Feuer, presentato questo quadro, ha sostenuto la tesi che ‘Zurigo plasmò Einstein come Atene aveva fatto per Socrate: liberò la sua mente’. Può darsi, se ci si limita a questo (forse, magari, si protrebbe dire che contribuì a liberarla).
Sarebbe assolutamente fuorviante voler cercare un’influenza diretta di idee anticonformiste o addirittura rivoluzionarie, che permeavano un ambiente, sui temi e sulle soluzioni della ricerca einsteiniana. Vedremo emergere gli uni e le altre dall’interno di tematiche strettamente scientifiche. Furono vicini ad Einstein in questo periodo, oltre a Besso, anche Marcel Grossmann, suo compagno di studi, che sarebbe diventato poi un ragguardevole matematico e avrebbe collaborato con lui ad un’importante ricerca, e Mileva Maric, una studentessa di matematica di lingua serba, che aveva lasciato il suo paese, allora sotto il paese austro-ungarico, perché insofferente del regime. Mileva era dunque un’intellettuale, una femminista ed una radicale. Le lettere che Einstein le indirizzò in periodi di lontananza parlano sovente il linguaggio della passione. La famiglia di lui è drasticamente contraria al matrimonio: Mileva frequentava studi poco femminili, è più grande di Albert, claudicante, straniera e, per di più, non è ebrea.
All’atto del conseguimento del diploma Einstein non ottiene quello in cui sperava, cioè il posto di assistente che gli era stato prospettato. Si adatta allora per un paio d’anni a svolgere vari lavoretti. Su Mileva, Einstein aveva momentaneamente ceduto ai genitori; ma, nella primavera del 1901, Mileva si accorge di essere incinta. Ne segue un episodio oscuro sul quale si riporta qui alla lettera, il laconico resoconto che ne dà un libretto recente dedicato ad Einstein: ‘(Mileva) rientra in famiglia per mettere al mondo una bambina della quale si perdono presto le sue tracce, e che probabilmente muore nella prima infanzia’. Tornata a Zurigo, Mileva non riesce a superare gli esami finali del Politecnico e si ritrova senza diploma né lavoro.
Il 1902 è l’anno della svolta. Muore Hermann Einstein e, venuta meno la voce più contraria, Albert sposa Mileva. Non solo, ma ottiene anche la cittadinanza svizzera e, soprattutto, grazie a Grossmann, trova finalmente un impiego stabile all’Ufficio brevetti di Berna, città nella quale la coppia si trasferisce nel corso di quell’anno. Quello con Mileva era stato un matrimonio d’amore. Ma anche un matrimonio di due persone che potevano parlare di Matematica e di Fisica. Che questo dialogo vi sia stato è documentato da alcune lettere indirizzate da Einstein a Mileva. Poiché in qualcuna di esse Einstein parla di quella che noi avremmo in seguito imparato a chiamare relatività ristretta come della nostra teoria, si è da più parti speculato sulla possibilità di contributo decisivo di Mileva a quei risultati; quando non anche un’espropriazione che Einstein avrebbe compiuto ai danni della sua compagnia. Il nostro autore, come commenteremo brevemente, esce tutt’altro che bene, nel complesso, della sua prima vicenda matrimoniale. Ma su questo punto è difficile prendere sul serio la tesi appena ricordata. Messi di fronte che il catalogo di Einstein è forte di oltre trecento titoli, mentre quello di Mileva è vuoto, appare molto più probabile che l’espressione einsteiniana abbia preso corpo in uno stato d’animo che egli faceva usare espressioni come Doxerl (bambolina) nel rivolgersi a Mileva.
A Berna Einstein incontra due giovani, uno studente di filosofia rumeno, e un matematico svizzero, Konrad Habicht. I tre prendono a incontrarsi assiduamente, per discutere accanitamente dei temi più svariati, ma prevalentemente di questioni di interesse fisico o filosofico. Nel loro entusiasmo giovanile battezzarono questo ristretto cenacolo ‘Accademia Olympia’. Le discussioni che vi si tennero, i testi che vi furono discussi, avrebbero avuto una profonda influenza su Einstein. Si è detto di Besso. Einstein prese a discutere con lui problemi di Fisica che via via affrontava sia in ufficio sia fuori. L’amico gli forniva una preziosa cassa di risonanza per le sue idee, che dal confronto con lui sortivano precisate e rafforzate. La stessa pratica di lavoro presso l’ufficio brevetti non è forse estranea al modo con cui Einstein affronterà alcuni problemi scientifici."
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