Prima parte
Una signora che era qui con noi ieri è dovuta partire perché
le è morta la madre. Credo che le sarebbe piaciuto molto restare con noi e
condividere il discorso di Dharma, ma lo ascolterete anche per lei. Quando una
persona che ci è molto cara muore non sappiamo dove andrà, e non sappiamo se la
incontreremo ancora in futuro, da qualche parte. Nell'insegnamento del Buddha
si parla di non venire e non andare. Si tratta di un modo profondo di vedere se
quella persona cara è ancora con noi o non c'è più.
Faremo ora insieme un esercizio sul non andare e non venire.
L'altro giorno ho detto che nel buddhismo si preferisce la parola
manifestazione piuttosto che creazione; quando facciamo il gesto di accendere
un fiammifero in realtà non siamo noi ad accendere la fiamma, ma piuttosto la
aiutiamo a manifestarsi. Se si guarda profondamente in questa scatola di
fiammiferi, potremo vedere che la fiamma c'è già, non la vediamo davvero, ma
sappiamo che la fiamma c'è ed aspetta solo di manifestarsi.
Tutte le condizioni sono già sufficienti tranne una, e
l'ultima è il movimento della mia mano. Già da ora possiamo parlare alla fiamma
e dirle: "Per favore, fiamma, manifestati". Se non ci fosse, non
potremmo parlarle così. Per piacere, aiutatemi a parlare alla fiamma ed ecco la
risposta della fiamma: vedete, la fiamma si è manifestata, starà un pochino con
noi e poi se ne andrà.
Ora parliamo di nuovo alla fiamma: "Cara fiamma, da
dove sei venuta? Dove sei andata, mi manchi tanto". Nello stesso modo una
persona che ci è molto cara si è manifestata ad un certo punto della nostra
vita e poi è andata via. Crediamo che prima che apparisse non esisteva, e che
dopo la sua scomparsa non esiste più perché abbiamo la nozione di essere e non
essere. Qualifichiamo il prima della manifestazione come non essere e la
manifestazione come essere. Poi, dopo la cessazione della manifestazione, è di
nuovo un non essere. Secondo il Buddha questi due concetti non possono essere
applicati alla realtà. Prima che la fiamma si manifesti non si può chiamarla
"non essere", e quando si manifesta è sbagliato considerarla
"essere". Infine quando la manifestazione cessa di nuovo sbagliamo
dicendo che non è.
Secondo il Buddha, quindi, la natura della fiamma non è né
essere, né non essere. La vera natura della fiamma è libera dalla nozione di
essere e non essere. Nell'insegnamento del Buddha, "essere e non essere
non è questo il problema". Nirvana è l'assenza di tutte le idee, comprese
quella sull'essere e non essere. Chiediamo allora alla fiamma: "Da dove
sei venuta?", e se ascoltiamo profondamente la fiamma ci dirà: "Caro
amico, non sono venuta da nessun luogo, quando le condizioni sono sufficienti
mi manifesto. E andrò ovunque, non importa dove, quando le condizioni non
saranno sufficienti.
Cesserà la manifestazione, ma non andrò da nessuna
parte". Possiamo comprendere l'affermazione fatta dalla fiamma e possiamo
comprendere che la natura della fiamma non è né andare né venire. La realtà è
libera dalle nozioni di essere, non essere, andare e venire.
Quando ci capita di perdere qualcuno molto vicino, vi prego,
praticate nel modo suggerito dal Buddha. Potrete toccare davvero la sua
presenza se eliminerete le nozioni di essere e non essere, andare e venire. Una
volta ho fatto un discorso di Dharma a Plum Village e negli occhi dei bambini
ho letto che avevano compreso questo essere e non essere, non andare e non
venire. Se i bambini prestano attenzione, possono anche loro comprendere i
discorsi di Dharma. Chiediamo alla fiamma di manifestarsi, inspiriamo ed
espiriamo con attenzione ed aiutatemi a chiedere alla fiamma di manifestarsi:
"Cara fiamma, per favore manifestati." Proviamo ad accendere una
candela: la fiamma è la stessa di quella di prima o è diversa? Non rispondete
subito, prima dobbiamo praticare il guardare profondamente. È la stessa o sono
diverse?
Il Buddha ci direbbe che non sono né la stessa né sono
diverse, perché la realtà trascende le idee di stesso e diverso. Se lasciamo la
candela una mezz'ora e poi torniamo, vedremo che la fiamma è ancora lì e la
fiamma sarà la stessa, o meglio pensiamo che la fiamma sia la stessa, ma se
guardiamo profondamente vedremo che ogni fiamma ha il suo ossigeno con cui
bruciare, il suo combustibile di cui vivere, e se guardiamo ancor più
profondamente vedremo che c'è una successione di fiamme, che non è la stessa
fiamma che ha una certa durata, ma è piuttosto la successione di una
moltitudine di fiamme.
Immaginiamo che qualcuno al buio tenga una torcia in mano e
con quella luce disegni un cerchio: se non siamo molto lontani dalla persona
avremo l'impressione che sia un cerchio di fuoco, mentre non è affatto un
cerchio di fuoco quanto il susseguirsi del movimento a darci l'impressione di
un cerchio di fuoco. Allo stesso modo, se abbiamo una cinepresa, possiamo fare
un esperimento analogo: con la successione di tanti fotogrammi daremo
l'impressione del movimento. Ma guardando profondamente potremo vedere la
successione di una moltitudine di immagini. Quindi pensare che la fiamma sia la
stessa è un'illusione ottica, ma anche dire che sono fiamme diverse, che non
hanno collegamento tra loro, non è corretto. Con la pratica del guardare in
profondità si può dire che la natura della fiamma non è né di essere la stessa
né di essere diversa. Ora, per non dimenticare, abbiamo bisogno che qualcuno
scriva sulla lavagna queste parole: "Non andare, non venire; non essere,
non non essere; non uguale e non diverso". Crediamo che la fiamma sia nata
quando Thay l'ha accesa e che sia morta quando Thay l'ha spenta, quindi abbiamo
ancora una nozione di nascita e morte. All'inizio di questo discorso vi ho
invitato a pensare ai fenomeni come a qualcosa che si manifesta e non a
qualcosa che nasce.
Guardiamo questo foglio di carta e pensiamo che sia venuto
fuori dal nulla. Perché nella nostra mente nascere significa che da niente
diventiamo qualcosa. Nascere significa che da nessuno diventiamo qualcuno.
Nascere significa che da non essere diventiamo essere. Percezioni sbagliate.
Questo foglio di carta prima di essere foglio di carta era già qualcosa? Guardando
profondamente dentro il foglio di carta possiamo vedere la presenza di alberi,
di foreste, del sole, dell'acqua. Tutto in un foglio di carta. E quindi è
facile vedere che prima di essere foglio di carta era già qualcosa. Sarebbe
sbagliato dire che il foglio di carta è venuto dal nulla, quella nella quale
ora lo vediamo è solo una nuova manifestazione. Prima di nascere come foglio di
carta, già era stato albero, pioggia, sole, e il momento che noi crediamo sia
quello della nascita in realtà è solo una continuità. Il giorno del nostro
compleanno è più appropriato cantare: "Buona continuazione", anziché:
"Buon compleanno". Vorrei chiedere a questo bambino quando è nato.
Prima di quella data esistevi già? "Sì". Quindi, se esistevi già qual
è il significato di nascere? Lo chiediamo a questa bambina. Esistevi prima di
essere nata? "No". E se non esistevi già, come hai fatto a nascere da
tua madre?
Alcuni mesi prima che tu nascessi, la mamma già ti sentiva,
eri già lì, quindi la data che è sul tuo certificato di nascita non è esatta. E
prima del concepimento esistevi già? Almeno per il 50% nella tua mamma e il 50%
in tuo padre. Guardando in questo modo scoprirai che ci sei sempre stata, e che
la tua vera natura è la natura di non nascita. I nostri amici di tradizione
cristiana non credono che Gesù non esistesse prima del concepimento. Era già lì
prima di nascere. E nel suo insegnamento, anche dopo la crocifissione, ha
continuato ad essere. La sua natura è di non morte: non solo il Cristo e il
Buddha hanno la natura di non nascita e di non morte, ma tutti noi.
Lo scienziato francese Lavoisier disse: "Nulla nasce e
nulla muore", non conosceva il buddhismo, ma ha detto la stessa cosa del
Sutra del cuore che abbiamo cantato stamane. Facciamo un esperimento: proviamo
a bruciare questo foglio di carta e vediamo se diventa niente, perché secondo
la nostra mente quando qualcosa nasce poi muore e da niente diventa qualcosa
per diventare poi di nuovo niente. Il foglio di carta bruciato è niente. No,
questo non è niente, si è trasformato in qualcosa di diverso, prima in fumo che
è salito in cielo e ha raggiunto una nuvoletta: possiamo guardare il cielo e
salutare il foglio di carta bruciato. Ma si è anche trasformato in calore,
quasi bruciava le mie dita e quel calore è penetrato nel mio corpo e nel
vostro. E così quando tornerete a casa, porterete quel foglio con voi.
Uno di voi può portare questa cenere in un campo e magari il
prossimo anno quando tornerò per un altro ritirò la troverò trasformata in
fiore. Quindi il momento della morte del foglio di carta non è altro che un
momento di continuazione. Per lo stesso motivo non dovremmo essere tristi
quando qualcuno muore, perché la sua morte è un momento di continuazione. Non
solo durante un compleanno possiamo cantare: "Buona continuazione",
ma anche nel momento in cui uno muore. È un momento di un nuovo inizio, e se
noi guardiamo con gli occhi del Buddha non possiamo sentire tanta disperazione.
Se guardiamo in cielo possiamo vedere tante belle nuvole e quando viene il
tempo in cui dovranno trasformarsi in poggia, la nuvola non avrà paura. Essere
una nuvola che si muove nel cielo, ma alla stesso modo essere la pioggia che
cade sulla terra è ugualmente una cosa meravigliosa. Se noi vogliamo vedere
solo la nuvola, piangeremo quando si trasformerà in pioggia, e perciò in
meditazione guardiamo profondamente per vedere la nuova manifestazione dei
nostri cari, e allora potremo dire loro: "So dove siete e cercherò di
identificare la vostra nuova manifestazione".
Il Buddha disse: "Se guardi in profondità nella tua
vera natura scoprirai che la tua vera natura è di non nascere e di non morire,
non venire e non andare, non uguale e non diverso, non essere e non non essere.
Se riuscirai a vedere la tua vera natura, allora sarai libero dalla sofferenza.
Nel buddhismo esiste un termine che molti non comprendono: nirvana. Nirvana
significa estinzione, ovvero estinzione di tutte le idee e di tutti i concetti,
dell'idea di andare, venire, essere e non essere. Perciò dovremmo praticare
abbastanza in modo da guardare in profondità e riconoscere la nostra vera
natura.
Seconda parte
Lo scopo della pratica è di liberarci dalla sofferenza, ma
il più grande sollievo è di toccare la nostra vera natura di non nascere e non
morire. Ecco perché non dovremmo essere troppo indaffarati nella vita
quotidiana, ma trovare sempre il tempo di praticare questo meraviglioso
insegnamento del Buddha che ne costituisce la crema, il nettare; sarebbe un
terribile spreco non riuscire a praticarlo.
Al tempo del Buddha, c'era un praticante di nome
Anathapindika che era un uomo d'affari molto generoso sia dal punto di vista
delle risorse materiali che delle energie che metteva al servizio dei più
deboli e poveri. La gente nel suo paese lo amava, tanto che gli aveva dato
questo nome che significa "colui che si prende cura degli
emarginati". Un giorno si recò nel boschetto di bambù dove il Buddha
meditava e gli chiese di accettarlo come suo discepolo e poi lo invitò a
recarsi nel suo paese, Kosala. E quando il Buddha accettò, egli tornò felice
nel suo paese per trovare un luogo degno di ospitare il Buddha e i suoi
discepoli, trovò il palazzo di un principe il quale fu contento di metterlo a
disposizione del Buddha e dei suoi discepoli come centro di pratica. Poi l'uomo
d'affari con sua moglie e i tre figli presero i cinque meravigliosi
addestramenti di consapevolezza e praticarono insieme al Buddha. Cinque anni
dopo, Anathapindika si ammalò gravemente e il Buddha personalmente andò a
trovarlo a casa dopodiché chiese al suo discepolo più anziano, Sariputra, di
prendersi cura di quell'uomo. Sariputra era intimo amico di Anatapindika perché
quando quest'ultimo aveva invitato il Buddha nella sua terra lo aveva aiutato
ad organizzare l'accoglienza. Sariputra chiese al venerabile Ananda, suo
fratello di Dharma, di accompagnarlo a far visita al morente.
Anatapindika fu felice di vedere arrivare i due monaci al
suo capezzale, ma era talmente debole da non riuscire a mettersi a sedere e
allora Sariputra disse: "Caro amico, non devi metterti a sedere, noi
prenderemo due sedie e ci siederemo accanto a te per parlare".
Dopo essersi seduto Sariputra chiese: "Caro amico, come
stai? Il dolore del corpo sta diminuendo o sta crescendo?" "Caro
venerabile Sariputra, il dolore del mio corpo non sembrerebbe proprio diminuire,
sta aumentando piuttosto." Shariputra allora propose la meditazione delle
tre Rimembranze: la rimembranza del Buddha, la rimembranza del Dharma e la
rimembranza del Sangha.
Sariputra era uno dei discepoli più intelligenti del Buddha,
egli sapeva che per più di venti anni Anatapindika aveva provato piacere ad
essere al servizio del Buddha, del Dharma e del Sangha e perciò sapeva bene che
praticare le tre rimembranze avrebbe annaffiato i semi della gioia e dunque
propose proprio questo esercizio. Immaginate i due monaci seduti al capezzale
di quest'uomo che praticano la meditazione guidata. Dopo circa otto minuti i
dolori diminuirono e il sorriso ricomparve sul suo viso. Dobbiamo ricordare
l'esperienza di Sariputra quando sediamo accanto a qualcuno gravemente
ammalato, così da annaffiare i semi della gioia e dare sollievo alla sua mente
ed al suo corpo. Subito dopo, Sariputra invitò Ananda e Anatapindika a
continuare una meditazione sui sei organi di senso:
"Questi occhi
non sono me,
io non sono preso
da questi occhi;
questo corpo non
sono io,
io non sono preso
da questo corpo;
questa coscienza
mentale non è me,
io non sono preso
da questa coscienza mentale."
Dovete sapere che i sei organi di senso, ossia i cinque
sensi più la mente, si manifestano quando le condizioni sono sufficienti e se
noi ci identifichiamo con loro, la disintegrazione del corpo diventa molto
dolorosa. Perciò non dobbiamo identificarci con i sei organi di senso che
includono la coscienza mentale e il corpo. In questo modo potremo cancellare
tutta la paura che si prova in punto di morte.
C'è una pratica che dice:
"L'elemento
terra non è me,
io non sono
racchiuso dall'elemento terra;
l'elemento acqua
non è me,
io non sono
limitato dall'elemento acqua;
l'elemento fuoco,
il calore in me, non è me,
io non sono
limitato dall'elemento fuoco;
l'elemento aria
non è me,
io non sono
limitato dall'elemento aria".
Quando le condizioni sono sufficienti, allora il corpo si
manifesta, ma il corpo non viene e non va da nessuna parte. Prima della
manifestazione del corpo non possiamo qualificare il corpo
come non esistente. Dopo la cessazione della manifestazione del corpo non
possiamo qualificare il corpo come non esistente.
La natura del corpo e anche
della nostra mente è la natura della non nascita, non morte, non andare, non
venire. Ed è proprio questo insegnamento del non nascere, non morire, non
andare, non venire che abbiamo imparato all'inizio del discorso di Dharma.
Quando arrivò a questa pratica, le lacrime iniziarono a scendere
lungo le guance di Anatapidika e Ananda, sorpreso, gli chiese che cosa gli
stesse succedendo: "Perché piangi, hai dei rimpianti?" "No,
venerabile Ananda, non ho nessun rimpianto." "Oppure non hai
praticato con successo la meditazione guidata?" "No, venerabile, ho
praticato la meditazione guidata con molto successo" "E allora,
perché piangi?" "Piango perché sono commosso, ho praticato il rifugio
nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha per più di trent'anni, ma non ho mai
provato una pratica così meravigliosa come quella fattami provare oggi dal
venerabile Sariputra. Al che Ananda replicò: "Caro amico, questo
insegnamento il Buddha lo impartisce a noi monache e monaci tutti i
giorni" Anatapitika disse: "Per favore, va e riferisci che è vero che
ci sono persone che non praticano l'insegnamento dell'essere e non essere, non
andare e non venire, non nascere e non morire, ma ce ne sono tante altre però
che amano molto praticarlo. Chiedo quindi che il Buddha offra questo
insegnamento anche ai laici e non solo ai monaci." Fu questa l'ultima
frase pronunciata da Anatapidika prima di morire in pace.
Questa storia si trova nel libro appena tradotto: "I
canti di Plum Village", nella parte dedicata agli insegnamenti per l'uomo
moderno. Per favore, prendetene visione; il mio consiglio è di non essere
troppo indaffarati nella vita quotidiana. Dovremmo avere il tempo per praticare
ogni giorno questi insegnamenti, perché, se veramente pratichiamo liberandoci
della paura, la nostra felicità aumenterà centinaia di volte, e se sediamo
accanto ad una persona in fin di vita senza paura potremo davvero aiutarla a
non aver paura.