La storia di Gioacchino

di Diana Rota

"...Forse avrei fatto meglio a prendere l'altra strada, dove il mercato va a perdersi e vi è più silenzioSedersi, forse!Ma ad aspettare chi? Cosa?..."Gioacchino nacque nel 1946.Suo padre, del lavoro schiavo e della famiglia padrone aveva lasciato in lui non solo tristezza.Suo padre: uomo esperto ma pur sempre giovane, dell'animo generoso e dal cuore aperto, delle mani buone e cattive. Un uomo infelice, lasciato nel mondo senza che gli appartenesse; incostante, dallo sguardo assente e dalle parole vaghe nelle sere ubriacheGioacchino lo trovava spesso, al mattino, che dormiva ancora sul divano, disfatto da una notte solitaria e incosciente.Aveva provato a capire suo padre, ad amarlo; aveva provato ad aiutare quell'uomo facile da perdonare per la sua innocenza e ingenuità e per un'incerta profondità del cuore. Aveva provato ed ancora non sapeva se vi fosse riuscito ma ogni volta quello sconforto struggente ritornava, vedendo colui di cui era figlio e padre, abbandonato nell'offesa della sua debolezza. E tutto questo lo lasciava solo coi suoi anni a capire quelli che ancora non aveva vissuto, eppure sentiva dentro.Di sua madre poco vi è da dire ma tanto in lui lasciò quella donna fragile della quale conobbe le lacrime e l'amore. Una madre, e prima d'essere madre, una donna: una donna sola con poche parole ed un muro negli occhi. Una donna che gli seppe insegnare la pazienza e la speranza. Una donna di fatiche.Un profilo delicato, passi veloci, e occhi stanchi: ecco questa donna indaffarata nei suoi mestieri e nei suoi silenzi.Che poteva chiedere a questa madre se non un ricordo di quanto bella fosse stata la vita ai tempi della sua giovinezza?Lei li lasciò in un mattino di settembre e Gioacchino capì che quelle braccia, che sapevano donare calore, erano stata la cosa più bella che lui avesse mai avuto.I giorni correvano lenti ma ancora l'autunno tornò a cedere il passo al sole d'inverno. Per Gioacchino sua madre era colei che rendeva vive le stanze della casa e apriva le finestre del mattino. Senza lei tutto pareva esser più vuoto ed il sole era come pioggia. Era bello, pensava, quando lei decideva di salire nelle stanze di sopra. Vi era più luce, e si lasciava l'inverno tra i muri bassi. Quando nella sera la casa pareva diventare un angolo, silenziosa come al tana di un lupo, era bello sapere che già qualcuno s'addormentava nelle camere in cui per l'intera giornata era entrato il sole. Ora, Gioacchino, a quindici anni, lasciava scorrere la vita fra le sue mani con il bisogno di afferrare, senza riuscire, quel qualcosa che non avendo, non poteva spiegare.Gioacchino partì per la Germania nel 1961 quando suo padre decise per lui e non rientrò in Italia se non dopo molti anni. In Germania vi andò per lavoro e certo non gli fu facile lasciare gli amici e i pomeriggi alla locanda, ma suo padre non volle sentire ragioni.Gioacchino prese il treno che passava fra le colline alle sei del mattino e sentì nel cuore come se quel treno lo portasse via per sempre dalle braccia di sua madre.Una botteguccia in un borgo di città; il legno, un piccolo portone antico, ed u ometto con folto paio di baffi. Un grembiule da lavoro blu, due occhi grandi e grosse mani.Gli aprì la porta nel marzo di quell'anno e gli insegnò l'arte del legno ed i misteri di un falegname. Tonio era un immigrato italiano ed aveva lavorato da falegname seguendo il corso delle generazioni. Era il settimo di dieci fratelli tutti falegnami, tranne l'ultimo che aveva deciso di partire per l'ovest e nessuno sapeva che fine avesse fatto.Tonio era l'unico ad essersi trasferito in Germania; i suoi fratelli erano sparsi un po' qua un po' la per l'Europa e dalla morte del loro padre non si erano più rivisti. Tonio però sembrava essere circondato dall'allegria della sua famiglia ogni volta che si sedava sulla sua seggiola a lavorare. Gioacchino lavorò per lui tre anni, si trovò bene ed il tempo passo veloce; tuttavia decise di partirsene per qualche tempo con un amico col quale era solito giocare a carte alla taverna nelle lunghe domeniche d'inverno. Tonio gli diede la metà dei soldi che gli spettavano, non per cattiveria ma perché i tempi erano duri; gli promise però che al suo ritorno glieli avrebbe fatti avere. Gioacchino non se ne preoccupò per tanto e disse che sarebbe tornato.Una donna nella sua vita riuscì ad aprirgli il cuore ed a portare ordine ai suoi giorni.Viola si chiamava e pareva cantarne il profumo ogni volta che stendeva le grandi lenzuola nel fresco del mattino. Era bella accanto a lui e sincera, nei capelli due spighe grano e tra le mani del pane e due grandi occhi scuri.Gioacchino se ne innamorò e a lei raccontò dei suoi vent'anni e di sua madre e non vi era volta che lei non si emozionasse ai suoi ricordi. Era una fanciulla di famiglia povera, era graziosa e educata, sapeva cucinare bene e amava i giorni con i suoi sorrisi. Nelle sere di maggio, dopo il lavoro, passeggiavano sulla spiaggia lungo il mare, i loro pensieri restarono appesi alle stelle d'agosto e le loro parole andarono su e giù lungo i viali d'autunno. Trovarono una casetta, piccola ma comoda, dove poter vivere almeno per qualche tempo.Pochi sapevano di loro e con quei pochi passavano le domeniche d'inverno intorno ad un tavolo con qualche bicchiere di vino e le focacce di Viola.La vita scorreva serena. Lui l'amò, l'amò tanto ma nulla può cambiare il corso della vita di un uomo destinato a viaggiare e a perdere. Portò con sé il suo profumo quando partì senza averci pensato a lungo.Il giorno prima aveva lasciato il lavoro, aveva preso le sue carte, aveva guardato l'uomo che gli stava di fronte e gli aveva detto che sarebbe partito l'indomani. Non si aspettava che lui dicesse niente e il silenzio venne interrotto solo delle grida di alcune donne che correvano su per la salita. Dei ragazzetti avevano rubato loro del pane e qualche mela. I due si guardarono in faccia e sorrisero come ad un comune ricordo.Il cielo chiaro dell'alba lasciò il corpo addormentato di Viola tra le gelosie di casa ignara di ciò che Gioacchino avesse deciso. Viola si trovò sola con un figlio in grembo, partorì sola in una notte di maggio e venne raccolta dal suo dolore da un brav'uomo di nota famiglia che la portò all'altare e crebbe Gioacchino-figlio come lo avrebbe fatto un padre.Non si seppe più nulla di lei, solo egli la salutò per l'ultima volta, abbracciandola per un ultimo istante, in un eterno abbraccio di addio.Gioacchino era di nuovo in viaggio, senza una meta ma con qualche soldo.Il destino pare distratto a volte ma sempre porta ad una risposta e la vita cambia e muta con essa chi la vive e ad ogni finestra a cui ci si osi affacciare si può scorgere sempre un poco più lontano di ieri. E Gioacchino imparò che nel vuoto e nel buio sbattendo contro ad un muro, questo si può aprire.Gioacchino rincorreva i suoi giorni e nell'anima un secchio per raccogliere ricordi.Le sue mani abituate a corde di chitarra scrivevano ora parole ora canzoni e nei sobborghi delle grandi città risuonava la sua musica al calare del sole e nelle ore più scure. La sua musica parlava di Viola e di quel mondo perduto. Vagabondi e ragazzetti tira tardi ascoltavano le sue note e i suoi racconti lungo un marciapiede di lune cadute e di parole vuote.In una di quelle tante sere riconobbe tra la gente quell'ometto e quei suoi baffi ridenti. Era Tonio. Gli andò in contro ed egli fu sorpreso quanto lui di rivederlo.Tonio era da quelle parti per una consegna."Il lavoro" gli disse "Ha bisogno di mani forti e capaci".Fu così che Gioacchino ritornò a lavorare per lui con la stessa naturalezza con cui se n'era andato.Il ritorno fu piacevole e il lavoro proseguì bene con guadagni e soddisfazioni.La sera Gioacchino se ne stava su di una balaustra al di sopra della città e sentiva le donne chiacchierare tra loro e sentiva il profumo delle loro vesti e delle loro lenzuola.Non so se lui si fosse mai più innamorato di un'altra donna o se avesse avuto altri figli ma nella sera, su quella balaustra al di sopra della città, ancora nella sua testa vedeva le bianche lenzuola nel verde a casa di Viola e tutto ciò lo lasciava a pensare mentre le sue mani accordavano chitarre e le corde del suo cuore restavano ferme.Un telegramma che annunciava la morte di suo padre gli giunse inaspettato in un mattino mentre lavorava nel laboratorio di Tonio.Rimase con quella busta fra le mani per un po' come se tutto del passato fosse tornato a vivere in quel momento. Sarebbe subito tornato in Italia per il funerale di suo padre; sapeva che sarebbe ripartito e non ci sarebbe restato a lungo.Non fu felice quel giorno e mentre col treno traversava la pianura sapeva che suo padre sarebbe restato per lui un uomo lontano e distante, capace di insegnargli però che ciò che resta dolore e silenzio ha in sé storia e poesia.Non so se quel giorno piovesse o vi fosse neve, essendo inverno.Il corpo di suo padre venne seppellito accanto a quello di sua madre.Prese subito il treno della sera e so che per un po' ancora restò da Tonio poi se ne andò da qualche parte con la sua chitarra, forse ora è solo o con qualche amico. Si sarà confuso fra i tanti vagabondi per le strade lungo qualche marciapiede sotto la pioggia e sotto il sole. Un uomo qualunque di cui conosciamo una parte di storia.Prese subito il treno della sera e mentre traversava la pianura pensò a suo padre e poi s'addormentò… non importava dove si sarebbe svegliato.Nei suoi viaggi ricordare ciò che restava di suo padre portò Gioacchino a fermarsi spesso lungo una strada a pensare se suo padre fosse mai passato da lì in uno dei tanti giorni da lui vissuti e cancellati dal tempo

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