2001: Odissea nello spazio

 

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sopra: Una camminatina spaziale

 

NEW: Per esprimere il tuo giudizio e leggere quello degli altri

BREVE GUIDA A “2001 ODISSEA NELLO SPAZIO” 

di Francesco Patrizi

Premessa. 

Stanley Kubrick compare come coautore del romanzo di Arthur Clarke e non solo come coautore della sceneggiatura. Il romanzo viene pubblicato a parte, non come sceneggiatura del film, nello stesso anno di uscita nelle sale di 2001 odissea nello spazio e con lo stesso titolo. Non è un romanzo tratto dal film e nemmeno il film è tratto dal romanzo. Sia Kubrick che Clarke stanno concependo due opere diverse: la trama è la stessa, i simboli sono gli stessi, scrivono a quattro mani, ma nella mente del regista si sta configurando un’altra opera. E’ per questo che sia il romanzo che il film vedono la luce come opere indipendenti l’una dall’altra. Analizzando il romanzo, appare evidente il predominio di Clarke, vi si ritrovano letture simboliche e messaggi che nel film sono totalmente assenti: il romanzo parla infatti di un’odissea attraverso la Storia, parla dell’origine dell’intelligenza umana e dall’avvento di un Bambino-delle-stelle, un messia portatore di pace. I simboli impiegati da Clarke, e concordati con Kubrick, sono il monolito, il cervello elettronico HAL, il viaggio spaziale “allucinatorio”, la frequente ricomparsa del monolito e la riprogrammazione dell’astronauta nel feto, nel Bambino-delle-stelle, che viene rispedito sulla Terra. Kubrick rispetta la scelta dei simboli, rispetta la trama, l’intreccio e lo svolgimento degli eventi, eppure ricava un film in tutto e per tutto diverso dal romanzo. Perché? Perché Kubrick non fa altro che sopprimere le spiegazioni che fornisce Clarke; non spiegando cos’è il monolito, non spiegando qual è il piano architettato  dall’intelligenza aliena, non spiegando perché l’astronauta, nel finale, si ritrova in una stanza e in un letto, compie una geniale operazione metalinguistica: trasferisce il discorso romanzesco sul piano della significazione dell’immagine-tempo. In altre parole, se il romanzo rispetta i codici di fruizione e le regole di finzione del prodotto artistico (ovvero: una storia da raccontare attraverso dei personaggi che agiscono in una trama di eventi legati da un principio di causa-effetto!), il film abolisce questa “dimensione”, mantiene i personaggi, ma sopprime la causalità degli eventi, mantiene i simboli, come il monolito, ma non lo colloca nella logica della narrazione, presenta una serie di eventi, ma non ne specifica il nesso. La dimensione su cui si muove Kubrick non è dunque quella narrativa. Questo è il nodo principale che ha sempre fuorviato il pubblico; il film non racconta una storia!! Non annuncia una messia, come il romanzo di Clarke!! Il film si muove sul piano della percezione, è una teoria dell’immagine (poiché si parla di cinema, sarebbe d’obbligo, come insegna Deleuze, parlare di immagine-movimento e di immagine-tempo e non di immagine generica!…per non complicare le cose - diciamo per esigenza divulgativa – si rammenta soltanto che l’immagine cinematografica, per statuto ontologico, ha il suo referente nel processo di pensiero). Ci troviamo quindi di fronte ad un’opera bivalente, un libro ed un film; il libro è facilmente comprensibile, il film no. Può essere d’aiuto tracciare delle brevi analogie tra le due opere, con lo scopo di indirizzare la critica di chi si avvicina al film. Perché è corretto affermare che il film parla anche della solitudine dell’uomo e del rapporto con la tecnologia, ma questi sono i temi cari a Clarke che sono entrati nell’opera cinematografica per vie traverse, basta confrontare come li affronta il romanziere e come il regista: Clarke è un “umanista”, Kubrick appartiene ad un’area culturale diversissima. Clarke parla dell’uomo e nel rapporto tra gli astronauti e HAL affronta un discorso  sull’individuo e sull’intelligenza artificiale, sui sentimenti e sui valori. Kubrick parla di linguistica!! Come dire, alla maniera degli strutturalisti, il regista affida la significazione dell’opera alla messa in scena, alla forma e non ai contenuti. Per questo il film appare così lento e poco comunicativo: Kubrick non usa i fatti e le parole, ma l’immagine, il tempo e i movimenti di macchina.

 

IL MONOLITO SECONDO CLARKE

Nel romanzo, il monolito, la presenza più inquietante e problematica del film, è presentato con molta chiarezza: è un’intelligenza aliena che scende sulla Terra nell’età preistorica per dare all’uomo primitivo la scintilla del progresso, per guidare l’uomo verso l’evoluzione. La celebre scena del monolito e degli uomini-scimmia viene così descritta nel romanzo “Non avrebbero mai potuto supporre che le loro menti venivano sondate, i loro corpi disegnati, le loro reazioni studiate, le loro capacità potenziali valutate”… “l’uomo-scimmia si animò come se fosse stato un burattino azionato da fili invisibili. La testa si voltò da un lato e dall’altro; la bocca silenziosamente si aprì e si richiuse; le mani si strinsero a pugno e tornarono ad aprirsi. Poi si chinò, strappò un lungo stelo d’erba e, con le dita goffe, cercò di formare un nodo.” L’intelligenza aliena sta insegnando all’uomo-scimmia ad usare le mani, a muovere la bocca, ed ancora “i suoi muscoli si muovevano ubbidendo a ordini che non erano del tutto suoi. Senza sapere perché, si chinò e prese un piccolo sasso. Quando si raddrizzò vide che nel monolito di cristallo vi era una nuova immagine. Le griglie e i disegni danzanti in movimento erano scomparsi. Si vedeva ora, invece, una serie di circoli concentrici, intorno a un piccolo disco nero. Ubbidendo agli ordini silenziosi del suo cervello, egli lanciò il sasso con un movimento goffo…”. Tutto questo, nel film, non c’è! Si vede la stessa scena, ma non ci sono i nessi causali che spiegano qual è la funzione educatrice del monolito, né cosa sia questo oggetto che in Clarke è di cristallo e poi di luce, mentre nel film è nero. Nel secondo capitolo del libro, una missione spaziale, nel 2001, scopre il monolito sepolto nella faccia nascosta della luna. Era stato riposto lì dall’intelligenza aliena a mo’ di trasmettitore; appena scoperto, infatti, comincia a mandare misteriose onde magnetiche nello spazio: è il segnale che l’uomo, finalmente, dopo molti millenni, si è evoluto al punto da arrivare sulla luna! L’intelligenza aliena capisce così che l’uomo è pronto, ora, per essere di nuovo “educato”. Esattamente come era accaduto per l’uomo-scimmia, l’uomo moderno deve essere “programmato” dall’intelligenza aliena. Nella parte finale del libro, e del film, l’astronauta Bowman viene risucchiato in un allucinatorio viaggio spaziale oltre Giove, dove viene accolto dall’intelligenza aliena. Lo vediamo infatti entrare, con la sua capsula spaziale, in una stanza! Scrive Clarke “era preparato a qualsiasi prodigio. La sola cosa che non si sarebbe mai aspettato era la più assoluta banalità. La capsula poggiava sul pavimento di un elegante e anonimo appartamento d’albergo che si sarebbe potuto trovare in una qualsiasi grande città della Terra. Egli stava contemplando un soggiorno nel quale si trovavano un tavolino da caffè, un divano, una dozzina di sedie, uno scrittoio, varie lampade, una libreria riempita a mezzo di volumi, con alcune riviste posate su di essa e persino un vaso di fiori. A una parete figurava Il ponte di Arles di Van Gogh; a un’altra Il mondo di Cristina di Vyeth.” La spiegazione di tutto ciò è semplice: l’intelligenza aliena ha captato le immagini di una videocamera a circuito chiuso di un motel americano ed ha riprodotto l’ambiente tale e quale per far sentire a proprio agio l’astronauta terrestre! Infatti, poco dopo, Bowman accende la tv, legge dei giornali, mangia qualcosa…infine si distende sul letto e qui compare di nuovo il monolito. L’intelligenza aliena comincia a “riprogrammare” l’uomo, lo riporta allo stato di feto, lo inserisce in una capsula e lo invia sulla Terra: è il Bambino-delle-stelle, il nuovo Messia che porterà un messaggio che Clarke non specifica, ma ci lascia intuire; ovvero, l’intelligenza aliena, artefice del progresso della mente umana, interverrà ora per “correggerla” probabilmente dalle deviazioni indotte dall’istinto di distruzione. Il Messia quindi porterà un messaggio pacifista. Clarke è chiaro e lineare sia nello svolgimento della storia che nel messaggio che veicola!

Kubrick no!

E’ allora utile soffermarsi almeno sul monolito secondo Kubrick e su quella stanza finale che in Clarke è un motel e nel film è un’elegante e asettica camera rococò!!

 

IL MONOLITO SECONDO KUBRICK

Se Clarke, sicuramente concorde con Kubrick, specifica nel romanzo cos’è questo monolito e quale funzione svolge, stranamente il regista, nel film, sceglie di cancellare qualsiasi indizio che possa permettere di definire il monolito come un’intelligenza aliena.Evidentemente a Kubrick interessa un altro piano di lettura.Una possibile iniziale chiave di lettura può essere ricavata dalla scelta di mostrare il monolito nero e non come una cangiante muta di colori. Il monolito non è un’intelligenza agente, è un oggetto inerte, non fa niente e su di esso non viene fatto niente, non cambia forma (come invece nel libro), in altre parole possiamo dire, analizzando unicamente il piano visivo ed affidandoci ad una terminologia psicanalitica, che è l’elemento “perturbante”. L’uomo-scimma conosce il mondo che lo circonda unicamente come “stato di cose” e, quel che è più importante per Kubrick, lo spettatore prende coscienza della scena e la individua come epifania del mondo primitivo…lo spettatore si trova di fronte  al mondo come l’uomo-scimmia, vede elementi delle natura, esseri animati e colori. La comparsa del monolito sconvolge questa percezione, che pur nella finzione più palese, ricreava un ambiente naturalistico. Ovvero, ogni elemento della scena deve essere rapportato al monolito. Se l’uomo-scimmia si rapportava all’ambiente in quanto “abitante” e la sua presenza era accettata e giustificabile, il monolito rompe questo piano di fruizione e proietta lo spettatore in un campo esclusivamente linguistico (mediante una tecnica che era cara a Magritte, a Bunuel, ai surrealisti). Il monolito è l’elemento (linguistico) che trasforma l’oggetto in metafora! In altre parole, è il potere di trasfigurazione che obbliga lo spettatore, ma anche l’uomo-scimmia, a considerare l’insieme della scena come qualcosa d’altro. Direbbe Heidegger, l’ente scopre il mondo costituito dall’essere-per! Ecco allora che l’uomo-scimmia scopre l’oggetto osso come essere-per, come oggetto d’uso, ne ricava un senso rapportandolo alle proprie esigenze, scopre che l’oggetto in sé non ha significato, ma si presta ad essere manipolato, plasmato, in questo caso a diventare arma…Kubrick sintetizza questo discorso scegliendo appunto la metafora della guerra: l’uomo-scimmia tramite l’osso-arma ha conquistato il potere sul mondo. Il monolito è il “Simbolo Zero”, il Referente Assoluto!! Kubrick mette in scena, allora, l’evoluzione dell’uomo come conquista del Simbolo. Seguendo questa traccia, è possibile analizzare la trasformazione dell’osso, lanciato in aria dall’uomo-scimmia, in astronave: non è solo una geniale trovata per sintetizzare il concetto di evoluzione, ma è soprattutto un exemplum perturbante, antinaturalistico, metalinguistico di come sia possibile vedere nell’osso un legame con l’astronave! Cos’hanno, infatti, in comune questi due oggetti? Sono entrambi testimonianze dell’evoluzione, se considerati su un piano che non è più romanzesco, ma metaforico; ma il fatto stesso che l’immagine crei tra i due oggetti un legame di significazione e addirittura di causalità, indica un discorso ben più complesso sul processo di cognizione: come l’ombrello e la macchina da cucire di Lautreamont, due oggetti “abbinati”, ma estranei l’uno all’altro, vengono percepiti come “situazione”, legati da un nesso (artificiale, creato cioè dall’intelligenza), la coscienza cerca un possibile punto di incontro che giustifichi la presenza dei due oggetti su uno stesso piano. Così l’osso lanciato e la comparsa dell’astronave diventano, nella coscienza dello spettatore, un unico elemento che ha cambiato di forma, ma non di contenuto: ciò che accomuna i due elementi è il loro statuto simbolico; la relazione arbitraria che si instaura tra un osso e un’astronave ha il referente nel concetto astratto di “evoluzione”.

In altre parole, la razionalità imprime una causalità alla casualità per ricavarne un senso. Di nuovo, si ravvisa qui il tema portante della cinematografia matura di Kubrick, il tema della razionalità intrecciato alla riflessione sulla percezione, al simbolo e al processo di significazione (non dimentichiamo che sono gli anni degli strutturalisti e di Roland Barthes!).

Non bisogna mai dimenticare che proprio a partire da  2001odissea nello spazio, il cinema di Kubrick si definisce anche a livello linguistico: la composizione dell’immagine e i movimenti di macchina hanno come referente il processo di pensiero!

Ecco allora che la prima parte del film è dominata da una costruzione centripeta dell’inquadratura, mentre nella lunga parte ambientata nell’astronave la macchina da presa non ha un centro, ruota su se stessa fino a perdere le prospettive spaziali. La parte annunciata come Giove o oltre l’infinito è l’esito della perdita del centro che gradualmente si afferma dentro l’astronave: un magma di colori e suoni indistinto, la pura astrazione!

Perché, allora, il film termina in una stanza arredata stile rococò?

 

LA STANZA FINALE

Analizzando le tecniche di ripresa del film e la composizione dell’immagine, assistiamo ad una lenta e graduale perdita della cognizione: si era partiti dalla capacità di significazione, nella prima parte, si era passati, nella seconda, alla messa in crisi di questo modello nello scontro tra HAL e l’equipaggio (su cui sarebbe qui troppo lungo discorrere) e si arriva, nella terza parte, all’allucinazione pura. La conquista del mondo esteriore è diventata chiusura estrema nel mondo interiore, l’occhio che vedeva l’oggetto da “trasformare” nell’uso, l’occhio che ha conosciuto il delirio di onnipotenza di HAL, ora non percepisce più oggetti e situazioni, ma solo colori e suoni, l’essenza più profonda del reale. A cosa può riferirsi questo discorso? Vi è racchiusa tutta la storia della creatività dell’uomo: dall’oggetto - osso come arma e quindi prodotto dell’artigianato, all’occhio accentratore del Rinascimento, alla perdita prospettica del post - impressionismo, all’astrattismo pittorico e all’arte concettuale. Vi è tutta la perdita del Soggetto agente, si passa dal neoplatonismo, al misticismo, dal positivismo all’ermeneutica moderna. Dall’Io come Agente di significazione, all’Io come Relazione. Questa dimensione spiega sommariamente quell’etichetta di fantascienza - filosofica abbinata in genere al film. Tornando alla questione di partenza, perché la stanza che Clarke ha descritto come banale camera di motel e giustificato come alcova accogliente che deve accogliere la riprogrammazione dell’astronauta, in Kubrick diventa altra cosa? Intanto Kubrick non fornisce nessuna indicazione riguardo alla presenza di questa stanza, non ne conosciamo né lo scopo né sappiamo chi ha architettato tutto. Rispetto al romanzo scompare l’intelligenza aliena come Soggetto invisibile. Ovvero, manca il legame più importante con il libro. La stanza di Kubrick è allude ad un periodo storico ben preciso: è il 700. Quel 700 che ricorrerà come referente culturale in Arancia Meccanica, come impianto descrittivo e narrativo in Barry Lyndon, come substrato filosofico in Shining e in Full Metal Jacket, come referente visivo in Eyes Wide Shut. Proprio negli anni di concepimento del film, la seconda metà degli anni sessanta, Michel Foucalult pubblica le Parole e le cose, testo simbolo di un certa corrente del pensiero moderno che, ripercorrendo la storia della linguistica, fa risalire “quell’alleanza fra le parole e le cose” al secolo dei Lumi. Nella riflessione filosofica del 700 (detto così in maniera piuttosto generica e sbrigativa) prende corpo quella impostazione logico-scientifica che porterà alla costituzione dell’Io moderno. Per questo Kubrick per parlare dell’Azione, della Progettualità, della Storia, nei film successivi, si rifà al 700. Prendiamo comunque in esame la scena della stanza: Bowman si trova all’ingresso, non frontale, ma laterale, e vede un uomo che sta mangiando; nel libro quell’uomo non c’è, Bowman stesso entra nella stanza appositamente preparata per lui. Ma nel film ci troviamo su un piano non narrativo, per cui non bisogna chiedersi chi ha costruito la stanza, dove si trova e se questa è un’allucinazione. Il discorso è: il termine del viaggio cognitivo dell’uomo moderno è un ritorno alle origini del pensiero scientifico, il moderno Odisseo, dopo aver varcato le Colonne d’Ercole della percezione della realtà, oltre l’astratto, è giunto su un piano dove il visivo e il teorico, il concetto e l’immagine, sono una stessa cosa. Questa, allora, non è una stanza e quell’uomo non è un ospite, un alieno o Bowman vecchio; è l’uomo che percepisce il mondo che lo circonda ridefinendolo tramite il logos e il linguaggio, la stanza è il mondo accomodante e teorico conosciuto dall’uomo moderno, un mondo “artificiale”, concepito come una camera da letto, come insieme di oggetti d’uso, come situazione agglomerato di essere-per. In altre parole, la stanza è il sogno di un mondo ordinato e al servizio dell’uomo!! Quel sogno laico che, appunto, prende corpo con la filosofia dei Lumi. Per infrangere questo sogno, per rompere questo idillio fittizio tra le “parole e le cose” (direbbe Foucault), Kubrick ci mostra la discrepanza tra l’Azione e l’Atto: l’uomo seduto allunga una mano per prendere il bicchiere, ma questo cade e si rompe! Un atto mancato, un’azione frustrata, un oggetto che si ribella alla progettualità…il fallimento di quel mondo armonico, il fallimento del sogno della ragione! Ed ecco che, davanti all’uomo disteso nel letto, ricompare il monolito. Non abbiamo alcun elemento, come nel romanzo, che ci possa far supporre che l’uomo viene riprogrammato nel Bambino-delle-stelle. Il senso della scena è allora un altro. Quest’uomo philosophe invecchia precocemente, il suo mondo è fallito, gli si rivolta contro (in questo senso il bicchiere che cade è analogo alla ribellione di HAL). Si ricomincia di nuovo dall’origine: solo, di fronte al monolito, al Simbolo Zero, al Referente Assoluto, l’uomo deve rivedere tutto il processo di significazione, l’origine del senso, le basi del logos e della scienza. Come nel passaggio visivo dall’osso all’astronave, Kubrick ci mostra il feto che danza nello spazio: elemento perturbante all’ennesima potenza (poiché ha un forte potere allusivo ed è decontestualizzato), ora ha preso il posto del monolito, è l’immagine pura dell’uomo e del suo rapporto teorico e potenziale con l’Universo-oggetto: è l’Io come Relazione! Seguendo questa traccia di lettura, si può entrare nel complesso film di Kubrick e si può cogliere la tensione sotterranea di una riflessione metalinguistica sul problema dell’Io nel pensiero moderno.