L’ultimo bacio

di Francesco Patrizi

 

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Scritto e diretto da Gabriele Muccino, L’Ultimo Bacio racconta la storia di Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (Giovanna Mezzogiorno), due ragazzi alla soglia dei trent’anni che convivono; lei aspetta una bambina, lui non vorrebbe sposarsi. Accanto a questa storia, scorre la vicenda di una coppia di amici, Adriano (G. Passotti) e Livia (Sabrina Impacciatore), che hanno un bambino piccolo e che sono in crisi; c’è poi l’amico Alberto (Marco Cocci, già visto in Ovosodo), uno scapestrato che cambia ragazza ogni giorno e Marco (P. Favino), che è uscito fuori di testa per la ragazza che lo ha lasciato. C’è poi la madre di Giulia (interpretata dalla Sandrelli) che decide di separarsi dal marito perché nel loro matrimonio non c’è amore.

Il film non è strutturato come i film corali di Altman (come qualcuno ha scritto), non intreccia storie diverse, ma racconta la stessa storia applicandola a personaggi neanche troppo differenti tra loro. Muccino non fa altro che mostrare le varianti della crisi di coppia.

Il film prende l’avvio dal matrimonio di un personaggio secondario, un componente del gruppo degli amici che poi danno vita alle storie.

Questa prima coppia rappresenta una visione del matrimonio come fine della giovinezza e comunica un senso di apatia; lui dice a Carlo “la normalità è la vera rivoluzione”, la piattezza, la rinuncia, la monotonia della convivenza matrimoniale sono le facce che trapelano da questa prima microstoria.

La storia della coppia composta da Adriano e da Livia, che si conclude con la fuga di Adriano che accusa la compagna di non amarlo più, di non provare più sensazioni forti, sintetizza il tema dell’incomunicabilità.

Lo stesso tema, portato all’esasperazione, è trattato dal personaggio di Marco, ossessionato dal desiderio di tornare con l’ex compagna (interpretata da Regina Orioli), ed è la constatazione dell’impossibilità di stare insieme, dell’incompatibilità.

L’ultimo ragazzo del gruppo è Alberto, donnaiolo e scapestrato, che ci parla più che altro di solitudine e di autarchia.

Carlo e Giulia attraverseranno, nel corso del film, tutte queste fasi, passeranno dall’apatia che comincia a provare Carlo per la prima volta nei confronti di Giulia (perché sta pensando alla diciottenne che lo ha sedotto), all’incomunicabilità (quando Giulia chiede ripetutamente a Carlo cosa gli sta succedendo), fino all’incompatibilità finale (la decisione di Giulia di lasciarlo) e alla millantata e agognata autarchia (Giulia dice che la bambina che nascerà è solamente sua, che un marito non le serve).

Tutte queste componenti, questa scrupolosa analisi del vivere in coppia, trova una sintesi ed un superamento nella storia della madre di Giulia, la quale reagisce all’apatia del marito, prova a superare l’incomunicabilità, tasta con mano l’incompatibilità, prova la solitudine, prova stare da sola, ma capisce che l’autarchia è un’utopia, o meglio, è una finta soluzione. La madre di Giulia, dopo aver capito che è impossibile tornare indietro e ricostruire una vita ripescando le occasioni perdute (scopre che il suo ex amante Castellitto si è sposato), capisce che il suo rapporto matrimoniale, per quanto statico e fossilizzato possa apparirle, non è una sognante storia d’amore, ma un’alleanza, un compromesso.

La scoperta di questo compromesso è la conquista della maturità.

A questo stesso compromesso cederanno Carlo e Giulia e invece si ribellerà alla fine Adriano.

La madre di Giulia capisce che il marito l’ha sempre amata, anche se a modo suo, che lo stare insieme comporta degli obblighi, dei doveri, che non è sempre una continua lotta. È una resa? Forse no, perché nel discorso conclusivo che fa alla figlia le spiega che il matrimonio, a quest’età (ma ciò non è vincolante) significa sostenersi a vicenda.

La madre di Giulia è l’esatto speculare di Carlo. Entrambi sono tentati di fuggire dall’unione. La madre di Giulia fugge, ma poi ritorna, Carlo è indeciso, tradisce, poi se ne pente. Entrambi incontrano un amante, troppo tardi lei (lui ormai è sposato), troppo presto lui (lei è una liceale e lui ancora non è sposato).

Entrambi fuggono dalle loro responsabilità. Muccino fa incontrare Carlo e la diciottenne per cui perderà la testa su una casa costruita su un albero: è chiaro il riferimento al ritorno all’adolescenza, al gioco innocente. Carlo non è maturo.

Stilisticamente Muccino costruisce l’intreccio delle storie trattando la vicenda di Livia e di Adriano con i toni di una tragedia teatrale che si consuma tra le mura domestiche seguendo una schema in tre atti (preparazione, culmine, conseguenza).

La vicenda di Marco, l’esasperato, segue i toni del grottesco: il personaggio, da un’iniziale connotazione comica, vira verso toni drammatici (la morte del padre).

La vicenda di Alberto funge più da cornice e non esce mai dai toni comici.

La storia della madre di Giulia, la più bella e sincera, ha evidenti rimandi al teatro (l’insistente immagine della Sandrelli che si strucca allo specchio mentre parla con il marito all’inizio del film); è un personaggio che esce dal suo piccolo mondo in cerca di aiuto e attraversa le situazioni topiche dell’eroe del teatro borghese, dalla festa dove si nasconde un’insidia (Piero Natoli che vuole portarla a letto con la cocaina) al confronto con il passato perduto (Sergio Castellitto).

La storia di Carlo e Giulia segue le cadenze di un romanzo, lui perde la testa, lei si sente perduta, riusciranno a rappacificarsi, ma qualcosa si è rotto, come si intuisce dal finale, dove Giulia, mentre fa jogging, sorride maliziosamente ad un tale che la segue.

Muccino filma la storia di Carlo e Giulia con la tecnica del thriller (auto che partono sgommando, steadycam, appostamenti, crisi crescente e degenerazione).

Per la storia tra Adriano e Livia applica gli stilemi del dramma da camera (l’ambiente claustrofobico, pieno di oggetti, il bimbo che piange…).

Il film è però anche pieno di luoghi comuni (dai ragazzi che urlano stappando lo spumante e sfogandosi all’inizio del film, al jumping-salto nel vuoto simbolo facile dell’angoscia del futuro, a Carlo e Adriano che fanno i pubblicitari e vanno sempre di fretta, alle liti puntualmente recitate con il fiato grosso…) e pecca di schematicità in molti punti (la coppia sposata non ha storia, Adriano è eccessivamente speculare a Carlo, Alberto resta un personaggio superficiale e il viaggio in Africa di Marco, Adriano e Alberto è un cliché alla Salvatores un po’ abusato e di maniera).

L’Ultimo bacio è un film a tratti sincero, forse un po’ pretenzioso nell’intento corale, sostenuto da una regia che va di fretta, che tiene alto il ritmo dell’azione, ma che non si sofferma quasi mai sui primi piani.

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