PATHS OF GLORY
Orizzonti di gloria
di Francesco Patrizi
Il film si divide in due ambienti: il castello, dove il generale Boulard e il generale Mireau discutono, mangiando e passeggiando, della conquista del “Formicaio”, una roccaforte tedesca da espugnare; e la trincea francese, polverosa, stretta, ultimo limite ai bordi di una landa desertica.
Il “Formicaio” in questione, l’obiettivo da conquistare, è un luogo astratto, non lo vedremo mai; strategicamente non è importante, ma la conquista serve al generale Mireau a fare carriera.
I vertici militari risiedono in un castello. I due generali, nel loro primo incontro, passeggiano in tondo in una stanza enorme, che Kubrick riprende sottolineando la profondità di campo; i due, in un complesso piano sequenza, girano intorno ad una fioriera, giocano ad inseguirsi – Boulard chiede a Mireau di sacrificare i suoi uomini per una conquista non indispensabile promettendogli in cambio una promozione, Mireau non accetta; poi, camminando a braccetto, compiono due giri per la stanza e quando tornano a sedersi Mireau ha cambiato idea e si dimostra entusiasta dell’impresa disperata mentre Boulard frena l’entusiasmo dicendo che la missione è pericolosa; il piano sequenza semi circolare ha seguito il ribaltamento dei discorsi dei due generali.
L’esterno del castello è un giardino del diciottesimo secolo (che richiama alla mente i futuri giardini di Barry Lyndon e di The Shining); un giardino governato da una geometria assoluta, metafora del dominio dell’uomo sulla natura e sul caso, roccaforte della razionalità e quintessenza dell’ordine militare. Di fatto, in questo giardino avverrà la vera celebrazione del rito della guerra, del suo ordine imprescindibile (onore, coraggio, valore), cioè la fucilazione dei soldati “vigliacchi” colpevoli di non essere morti in battaglia.
Al giardino fa da contrappunto la trincea: un groviglio di sentieri di guerra dove i soldati si restano in attesa che qualcosa accada.
La macchina da presa si muove lungo la trincea con un carrello all’indietro: è come se Kubrick volesse segnare un solco. Lungo il solco cammina il generale Mireau quando passa in rassegna i soldati, cammina poi il colonnello Dax per raggiungere la sua postazione, e procede Kubrick nel mostrare i soldati fermi, inerti.
Dal solco bisogna uscire per attaccare il nemico. Fuori dal solco esplodono le bombe (unica manifestazione della presenza del Nemico). Uscire dal quella “linea scavata” vuol dire compiere l’impresa suicida, seguire la folle “geometria” del generale (che sa benissimo che l’attacco al “formicaio” è disperato perché la posizione della trincea è svantaggiosa), che è disposto a sacrificare i suoi uomini senza tanti problemi.
Il solco è la linea della logica spietata del generale, che conduce direttamente alla morte.
Lo stesso carrello all’indietro che si muove lungo la trincea, accompagna poi i tre soldati prescelti al plotone di esecuzione nel guardino del castello.
Fuori dalla trincea c’è il deserto, rocce, polvere, sassi, vento, pozzanghere. Il binocolo di Mireau svela un paesaggio lunare, irreale; il breve assalto dei soldati mostra una terra di nessuno fatta di crateri e di filo spinato. Non c’è nessuno orizzonte.
Il “Formicaio”, la roccaforte del nemico tedesco, è un punto lontano, teorico, astratto come l’obiettivo da colpire con la bomba in Dr. Strangelove.
Kubrick mescola le carte in gioco: il nemico non è il tedesco. Il nemico di Mireau è il suo battaglione che lo ha disonorato e che lui fa fucilare, il nemico dei soldati è il generale che li condanna a morte; il nemico del colonnello Dax è Mireau; i nemico di Mireau e dei soldati è il generale Boulard che lo ha incastrato in una missione suicida.
Il nemico è all’interno. L’unico tedesco che vediamo è la ragazza che alla fine del film canta in un’osteria, davanti ai soldati, una canzone in tedesco, che tutti, commossi, si mettono a canticchiare pur non conoscendo le parole.
Il film dimostra la perfetta padronanza tecnica di Kubrick. La sala del castello viene ripresa con un’angolazione che mostra la profondità di campo e che mette in campo medio i generali; sullo sfondo si vede la luce accecante delle enormi finestre e, dall’angolazione opposta, un grande quadro alla parete. La macchina da presa si muove molto liberamente, con carrelli semi-circolari, panoramiche e piani sequenza apparentemente superflui, a disegnare una strategia mentale tra i due interlocutori, poiché è tra i generali che avviene veramente una battaglia.
La trincea è mostrata con lunghe carrellate all’indietro o in avanti, solo un dolly, raramente, si affaccia a mostrare un deserto sconsolante. Il nemico non c’è, l’unico morto nella missione notturna sarà un soldato ucciso erroneamente dalla bomba lanciata dal suo sergente.
La larga spazialità del salone del castello è il vero campo di battaglia, con una profondità e un “orizzonte” che mancano alla trincea, la quale, stretta e profonda, non invece ha nessuna prospettiva.
Così come il giardino del castello, nella sequenza iniziale (l’arrivo dell’automobile di Boulard) e nella sequenza della fucilazione, è ripreso in campo lungo, con un dolly dall’alto, una tecnica che sarebbe stata più ovvia per riprendere il campo di battaglia.
Kubrick gioca a ribaltare i luoghi.
Da notare che i generali camminano incessantemente, mentre i soldati non si muovono mai.
Il generale Boulard riceverà il colonnello Dax durante un ballo. Kubrick lo inquadra mentre volteggia tra le dame: metafora del suo ruolo nel film, poiché è lui a mettere in ballo tutto, a sfidare Mireau, a provocare il casus belli; è Boulard, così calmo e pacato, il rappresentante della logica militare; il ballo è un’allegoria dei giochi di ruolo, degli scambi, della vera strategia di guerra dei comandanti.
Il generale Mireau, invece, passeggia per la sua stanza, cammina lungo la trincea e, quando prova a scendere a patti con il colonnello Dax, sale una lunga scalinata fino in cima (metafora del suo desiderio fare carriera, di scalare): è un personaggio in movimento, deciso ad andare sempre avanti, che misura le distanze, ma che si trova in una situazione instabile, di transizione (deve avanzare di grado e invece verrà inquisito).
Il colonnello Dax e i suoi soldati sono invece statici; non vengono quasi mai ripresi in movimento, ma sempre fermi a parlare, mentre si vanno a coricare.
In una scena, il colonnello Dax si toglie gli stivali a letto mentre incarica un suo ufficiale di capitanare il plotone d’esecuzione: togliersi gli stivali sta a significare il togliersi dai piedi una brutta faccenda, una sorta di resa momentanea, ma non sarà così, sappiamo, e quindi quel gesto allude anche ad un cambio di strategia d’attacco, poiché Dax colpirà Mireau in punta di piedi e non platealmente, portando la documentazione del folle comando di Mireau (l’ordine di sparare sui propri uomini per incitarli ad uscire dalla trincea) al generale Boulard proprio mentre questi sta al ballo. Ballo strategico al quale, da quel momento, partecipa anche Dax.
Quando, alla fine del film, Mireau viene incriminato, sta mangiando, nel salone, con Boulard: il suo superiore lo ha incastrato, lo sta letteralmente “divorando”, gli offre un ultimo pasto, e chiede a Dax di sostituirlo, di diventare generale, di unirsi a lui a tavola. Dax rifiuta, e verrà degradato.
L’ultima scena del film mostra i soldati seduti in un’osteria, commossi dall’ascolto di una canzone tedesca cantata da una ragazza spaurita. La sequenza è visivamente contrapposta a quella del ballo del generale: lì c’era il movimento, la strategia di guerra (il valzer), qui ora c’è la staticità dei soldati, seduti, immobili, intenti ad ascoltare e a canticchiare a bocca chiusa il canto popolare del nemico, spaurito e impotente come loro.
Aldilà dell’antimilitarismo e dell’impatto emotivo del film, l’operazione di Kubrick risulta notevole soprattutto per la matura scelta linguistica: la suddivisone del film in blocchi narrativi separati segnati da ambienti nettamente contrapposti. La tecnica di ripresa è un elemento espressivo e non narrativo: il carrello all’indietro di cui sopra si è detto, non narra, ma sottolinea la similarità della trincea con il giardino del castello.
Il dolly ( il movimento a salire o a scendere della macchina da presa) inserito non in battaglia, ma nel giardino, segna uno spostamento semantico.
I movimenti dei personaggi non raccontano la loro psicologia, ma il ruolo che ricoprono all’interno di un “gioco”.
Perché non è la guerra il sottotesto reale del film, ma il gioco. Il gioco inteso come allegoria dell’azione, strategia del dominio.
Il castello è il simbolo dell’Io che vuole dominare il reale;
Il giardino è l’hortus conclusus, il mondo ricreato in piccolo, teorico (come nella prima parte di Full Metal Jacket), un mondo simulato, “ordinato”, dominato dalla razionalità.
La trincea è il solco tracciato dalla strategia, è la mappa disegnata dall’Io per “ordinare” il caos del mondo, ovvero il deserto che sconfina oltre la trincea.
Il vero nemico è il caos, la realtà come entità non dominabile, non governabile, che “contamina” i soldati, la zona franca dove non arrivano gli ordini.
La trincea è quell’ultimo solco che separa il pensiero dall’azione.