Freud e Buñuel

L’idea di cinema che aveva Buñuel quando ha realizzato Un Chien Andalou proveniva dalla lettura de L’Interpretazione dei sogni di Freud e non dal surrealismo di Breton.

Il surrealismo, per il suo stesso statuto programmatico, non poteva concepire un’opera filmica.

Il surrealismo di Buñuel è qualcosa di molto personale e nasce dal retroterra culturale spagnolo e dalla psicanalisi freudiana.

Segue un brano tratto da:

Buñuel: dalla poesia al cinema

di Francesco Patrizi Zingarini

edizioni Firenze Libri Atheneum, Collezione Oxenford, 2000

Il libro si può acquistare su

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Dichiara Buñuel a Max Aub “la mancanza di illazione logica in Un Chien Andalou è una frottola. Se così fosse, avrei dovuto ridurre il film a semplici flash, buttare in un cappello le diverse gag e incollare le sequenze a caso. Non fu così, e non perché non avrei potuto farlo: non c’era alcuna ragione che l’impedisse.

No, è semplicemente un film surrealista in cui le immagini, le sequenze, procedono secondo un ordine logico, la cui espressione dipende però dal non-cosciente che, naturalmente, segue il proprio ordine [...] Usammo i nostri sogni per esprimere qualcosa, non per presentare un guazzabuglio. Un Chien Andalou non ha di assurdo che il titolo”(57).

In un’altra conversazione Max Aub ribatte “Dicevi giorni fa che la meccanica del cinema si accompagnava molto bene con il surrealismo. Ho l’impressione opposta, e Breton non doveva essere lontano dal condividerla, poiché in nessuno dei suoi scritti teorici si riferisce al cinema come mezzo d’espressione del surrealismo.

La verità è che te l’inventasti tu, e credo che Breton avesse ragione perché se il surrealismo significa casualità, scrittura automatica, irrealtà, intervento dell’ignoto, mi pare difficile che il cinema, che è una cosa di molta riflessione, e soprattutto il tuo di un’esattezza matematica, possa essere considerato come mezzo d’espressione surrealista”(58).

Una soluzione al problema la propone un testimone diretto di quella stagione, Ricardo Muñoz Suay “Quando Marc Soriano afferma che le parole cinema e surrealismo sono contraddittorie, che la cinepresa ha le sue leggi e che persino le immagini più folli devono essere legate dall’analogia e dal ritmo, cade nello stesso errore di tutti coloro che hanno creduto che il linguaggio tecnico cinematografico sia un elemento fondamentale del surrealismo”(59).

La sostanza del problema è se il cinema possa essere ricondotto alla stretta osservanza del dogma surrealista.

Il filo per sbrigliare la matassa ce lo indica Buñuel stesso “il cinema sembra un’imitazione involontaria del sogno”(60).

E il sogno, spiega Freud, non è un assemblaggio casuale di immagini, ha una sua logica. Il non-cosciente, dice Buñuel, segue una sua logica.

E’ il caso, allora, di prendere come punto di riferimento per analizzare il senso del surrealismo buñueliano non il Manifeste di Breton, ma l’Interpretazione dei sogni di Freud.

Buñuel e Dalì dichiarano di aver applicato, per la stesura della sceneggiatura del primo film, la scrittura automatica con lo scopo di eludere ogni sorta di interpretazione cosciente.

E’ illuminante qui un richiamo concreto a Freud, il quale, nel primo capitolo del libro prescrive “come condizione fondamentale e propedeutica alla psicanalisi, che il paziente rinunci coscientemente alla critica dei pensieri che gli vengono”.

Nel secondo capitolo, Il Metodo di interpretazione dei sogni, per spiegare l’atteggiamento di autosservazione priva di critica che viene inculcato ai pazienti durante le prime sedute, Freud riporta un brano di Schiller “sembrerà errato e dannoso per il lavoro creativo della mente che la ragione esamini troppo da vicino, quasi alle porte, le idee che si riversano dentro. Guardato isolatamente un pensiero può essere molto insignificante o davvero avventato, ma può essere reso importante da un pensiero che lo segue e, insieme ad altri pensieri che possono sembrare ugualmente assurdi, può rivelarsi un utile anello di congiunzione”.

Il primo passo dell’analisi consiste nel prendere in esame un frammento di sogno e cercare di riportare alla mente una serie di associazioni, di pensieri di fondo.

L’interpretazione procede non attraverso il simbolismo, ma seguendo una decifrazione, la quale rivela che i sogni sono sempre soddisfazioni di desideri.

Il sogno è un flusso di immagini con una propria organicità.

“Il lavoro onirico non è più disattento, più irrazionale, più distratto o più incompleto del pensiero da svegli, ma differisce da questo totalmente sotto l’aspetto qualitativo, perciò non è paragonabile immediatamente ad esso.

Non pensa, non calcola, non giudica in alcun modo. Si limita a dare alle cose una nuova forma”.

Come si può notare, siamo in linea con il senso della scrittura buñueliana e con la concezione teorica che sostiene il suo cinema.

Nel capitolo quinto, Il Materiale e le fonti dei sogni, si legge che “il lavoro onirico si trova quasi nella necessità di riunire tutte le fonti che hanno agito come stimoli del sogno in un’unità”.

Insomma, il sogno, che riemerge nella mente del paziente, ha una struttura, un’organicità, una logica, un senso.

Scrive Freud nel capitolo sesto Il Lavoro onirico “supponiamo che abbia davanti a me un rebus: si vede una casa con una barca sul tetto, una lettera dell’alfabeto isolata, la figura di un uomo che corre, la cui testa è stata fatta sparire. Ora potrei sbagliarmi e sollevare obiezioni affermando che l’immagine è insieme assurda […] ma ovviamente possiamo formarci un giudizio adeguato del rebus se mettiamo da parte tutte le critiche sulla composizione e le sue parti e cerchiamo invece di sostituire ogni singolo elemento con una sillaba o una parola in qualche modo connessa a questo elemento. Le parole messe insieme in questo modo non sono più assurde, ma possono formare una frase poetica di notevole bellezza e valore. Il sogno è un rebus di questa specie e i nostri predecessori nel campo dell’interpretazione onirica hanno commesso l’errore di considerare il rebus come una composizione pittorica: in tal modo esso è sembrato loro assurdo e privo di valore”.

E’ il discorso che sostiene la messa in scena e la ricerca del senso del linguaggio dei primi film.

Quando Buñuel e Dalì affermano che il loro film nasce da resoconti di sogni e dalla scrittura automatica, bisogna tener presente un altro passo del sesto capitolo “si può dimostrare che non è vero che siamo trasportati lungo una corrente di idee senza scopo quando, nel processo dell’interpretazione di un sogno, abbandoniamo la riflessione e permettiamo che emergano i pensieri involontari […] Nessuna influenza che riusciamo a far pesare sui processi psichici ci permetterà mai di pensare senza idee intenzionali”.

Anche quando ci si abbandona a fantasie non intenzionali, come la scrittura automatica, ci sono sempre degli interessi dominanti, sentimenti e stati d’animo che esercitano un’influenza sulle associazioni di idee.

Per questo i film seguono un loro logica, hanno una coerenza interna, non scaturiscono semplicemente da un collage inatteso e straniante di immagini “inaccostabili”. Il cinema, secondo Buñuel, imita il sogno.

Il sogno è soddisfazione del desiderio; parla il linguaggio profondo delle cose, il linguaggio dell’inconscio, il linguaggio dell’immagine.

Freud sostiene che il desiderio, per esprimersi, deve necessariamente passare da pensieri astratti alle immagini oniriche; con la “rappresentabilità” ci guadagnano la condensazione e la censura, ovvero gli agenti con cui deve vedersela il desiderio per affermare la propria voce.

In altre parole, il desiderio – e la psicologia dell’inconscio si basa sull’onnipotenza del desiderio – ha bisogno dell’immagine onirica.

La forma artistica che “involontariamente”, dice Buñuel , si avvicina al sogno è il cinema.

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