Buñuel e la poesia spagnola

Un chien andalou parodia di Platero y yò

Un Chien Andalou nasce nel 1928 come raccolta di poesie. Nel passaggio dalle poesie alla sceneggiatura, cambiano molte cose, ma non lo spirito originario, l’intento di ridicolizzare il neoromanticismo poetico spagnolo e di promuovere il surrealismo.

Per comprendere Un Chien Andalou, bisogna collocarlo all’interno del dibattito che anima la scena letteraria di Madrid. Dibattito che vede in Buñuel e in Dalì due fervidi e attivissimi provocatori.

Segue un brano tratto da:

Buñuel: dalla poesia al cinema

di Francesco Patrizi

edizioni Firenze Libri Atheneum, Collezione Oxenford, 2000

Il libro si può acquistare su

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Juan Ramon Jiménez riesce a riordinare le esperienze e il messaggio degli impeti poetici protonovecentisti immettendo la lirica spagnola sulla strada del superamento del Modernismo e indicando nel simbolismo la tendenza più affine al genuino sentire spagnolo.

Nel 1902 compone Rimas, opera che si sottrae al modernismo magniloquente e fastoso sostenuto in quegli anni dal poeta Ruben Dario, richiamandosi invece alla lineare e intima semplicità di Gustavo Béquer, il poeta che con le sue Rimas, composte nel 1860, porta al culmine l’espressione della sensibilità romantica.

Prendendo Béquer come punto di riferimento, e non i simbolisti francesi, Jimènez riesce a raggiungere, attraverso una depurazione del linguaggio, una “nudità” espressiva essenziale. Nel suo simbolismo non c’è più frontiera fra la coscienza del poeta e la natura; toni lunari, nostalgici, evocano un verso musicale, un clima impressionistico astrattamente sognante.

Jimènez diviene la guida ideale della poesia spagnola, riesce ad accordare il simbolismo, assimilato nella sua essenza spirituale, con le principali caratteristiche dell’anima ispanica: l’idealismo poetico e il realismo popolare.

I suoi versi tutto colore, musica, ritmo, sono pervasi dal “dominio dell’aggettivo, il quale, man mano che la sua poesia si fa più profonda, tende a mutarsi in sostantivo, sempre più scarno e preciso”(4).

Nella sua poesia il mondo è una proiezione soggettiva in cui l’Io cerca la contemplazione, la sublimazione, l’armonia. La riflessione di Buñuel si trova in totale antitesi.

La summa poetica dell’opera juanramoniana è raggiunta in Platero y yo nel 1914. Il sottotitolo è Elegia andalusa.

Nota il critico E. Diaz Canedo che “se il libro trae il titolo dall’asinello [Platero] in realtà né l’animale né l’autore sono i protagonisti: è Morguer [in Andalusia] considerato come un essere vivente, con una personalità mutevole secondo l’ora, la stagione, la situazione”(5).

Jiménez aspira alla perfezione, al dominio della creazione, della poesia.

Il poeta deve trovare per ogni cosa il nome adeguato affinché la parola sembri appena nata, creazione pura, neologismo assoluto. Il contenuto e la forma devono fondersi, ogni elemento non necessario deve sparire: sola nudità poetica.

Jorge Guillèn e Pedro Salinas riconoscono in Jiménez l’iniziatore della poesia pura, che viene simboleggiata con l’immagine di una “donna nuda”.

Quando Rafael Alberti e Garcia Lorca lo prendono come esempio nelle loro prime opere, Buñuel prende posizione e dichiara apertamente di considerare l’opera di Jiménez una “vergogna” per la Spagna.

Nella sceneggiatura di Un Chien Andalou è evidente l’intento di mettere alla berlina i simboli e le “patologie” della poesia juanramoniana e della derivata poesia andalusa di Lorca e di Alberti, che Buñuel ritiene pericolosamente imbrigliata in tematiche tardo-romantiche ormai stantìe.

I poeti andalusi interpretano il titolo del film come una provocazione contro il Platero andaluso di Jiménez, forse raffigurato nell’asino putrefatto adagiato sopra i pianoforti a coda in una scena.

Ricorda Rafael Alberti che, presso la Residenza, era diffuso un gioco che consisteva nel compilare una lista di “putrefactos”, ovvero di personaggi considerati ammuffiti, anacronistici, superati.

Dice Jorge Guillèn che il “putrefacto” è l’artista che sospira davanti al crepuscolo.

Lorca si indigna per il riferimento che il film di Buñuel fa ad un animale andaluso, nel titolo, e alla figura dell’asino putrefatto trascinato a fatica come un pesante fardello nella scena più emblematica.

E’ possibile che Buñuel avesse voluto raffigurare simbolicamente la parabola della lirica andalusa, derivata dalla poesia pura di Jimènez, che in quel momento storico rappresentava l’avanguardia della poesia spagnola.

Nel film si potrebbe allora leggere una critica di ordine estetico alla situazione culturale del suo paese e, in particolare, ai suoi amici della Generaciòn.

Il personaggio maschile del film soffre di un complesso di infantilismo che si manifesta sia nell’abbigliamento da scolaro con il quale compare all’inizio, di fatti “ha la testa, le spalle e i fianchi circondati da mantelline di tela bianca”(6), sia nei diversi riferimenti all’onanismo, desunti dalla simbologia freudiana, come ad esempio le formiche nella mano.

Buñuel accuserebbe la poesia spagnola moderna di essersi impantanata nell’infantilismo neoromantico di Lorca, e inviterebbe quest’ultimo a non essere più “scolaro” di Jiménez, a liberarsi dal fardello del Platero putrefatto trascinato a fatica. Il nuovo poeta spagnolo, andaluso, deve crescere, guardare oltre i confini della poesia nazionale.

Quando Buñuel lo proietta a Madrid, il film viene interpretato dai suoi ex compagni della Residenza come un appello ad aderire all’avanguardia parigina. Il regista stesso, nel prologo del film, invita ad aprire gli occhi su cosa sta avvenendo in Europa. Come scrive Augustìn Sanchez Vidal “uno degli obiettivi di Buñuel era di agitare l’ambiente culturale madrileno, contribuendo a sostituire le tendenze più classiciste o sfacciatamente d’avanguardia, con il surrealismo, che conosceva non poche resistenze”(7).

Nel ‘29, dopo la visione del film, Alberti pubblica Sobre los angeles e Lorca scrive El Poeta en Nueva York, due opere di impronta surrealista che rompono in maniera eclatante con la tradizione dei “maestri” della vecchia generazione.

Che proprio questo sia l’intento di Buñuel, lo si può leggere in alcune lettere scritte da Parigi all’amico Pepin Bello dove dichiara apertamente di voler fare conoscere il surrealismo in Spagna.

Vuole convertire gli amici della generazione del 27 alla vera avanguardia, convincendoli a tagliare i ponti con la poesia pura, la “donna nuda”.

In una scena del film il personaggio maschile, colpito dallo sparo di due rivoltelle, si ritrova a morire in un bosco (locus amoenus del decadentismo) e cerca di aggrapparsi ad una “donna nuda” seduta su un marmo, la quale gradualmente comincia a svanire. L’allusione è palese: la poesia pura non può più essere un appiglio, un punto di riferimento. Questa ipotesi di lettura è legittimata dalla prima reazione di sdegno di Lorca, che considera il film come un’offesa personale, e soprattutto dalla posizione assunta da Buñuel e da Salvador Dalì in una lettera spedita a Jiménez nel ’28 dove scrivono “Egregio amico, ci corre l’obbligo di dirLe -con autentico disinteresse- che la sua opera ci ripugna profondamente in quanto immorale e arbitraria. In particolare MERDE!! Per il suo Platero y yo, per il suo facile e perverso Platero y yo, l’asino meno asino, l’asino più odioso che abbia mai incontrato. MERDE!!

Sinceramente Luis Buñuel e Salvador Dalì”(8).

J.F.Aranda, nella Biografia critica de Buñuel, legge nel film un atto d’accusa contro i poeti simbolisti insensibili alla poesia rivoluzionaria europea e scrive “in effetti, se ci riflettiamo un po’, vediamo che Un Chien Andalou è una biografia applicabile a molti membri del gruppo, a un livello inconscio e protoparanoico: si pensi ai loro complessi di infantilismo, di castrazione, di ambivalenza sessuale, di identità etc. e alla loro lotta interiore per la liberazione dal gravame borghese e per l’affermazione dello stato adulto”(9).

Il giovane aragonese vuole sottrarre i suoi compagni universitari all’influenza di  Jiménez, Salinas, Machado. I suoi interessi tendono altrove, verso una scrittura nuova che sia in grado di trascendere i limiti tradizionali della parola poetica.

“Tra il ’22 e il ’29 - afferma Sanchez Vidal -  il futuro cineasta tentò di diventare scrittore sulla scia dell’ultraismo di inclinazioni anarchiche [...] Conviene osservare che tutte le tendenze citate collocavano l’immagine, poetica o visiva, al centro delle loro esplorazioni, il che forniva un elemento comune alle arti plastiche, al cinema e alla letteratura. Questo sarà particolarmente rilevante per il passaggio del Buñuel scrittore al Buñuel cineasta”(10).

pp.28-31

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