CAST AWAY

di Francesco Patrizi

 

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Il film di Zemeckis, scritto da William Broyles Jr. e interpretato da Tom Hanks, ripropone il tema caro al cinema americano degli anni settanta, l’homecoming, il ritorno a casa.

Chuck Noland scampa ad un disastro aereo e sopravvive cinque anni in un’isola deserta (straordinariamente realistica, inospitale, carica di disagio e di solitudine); per Chuck l’isola diventa una condizione esistenziale, è il suo essere circoscritto, privato di possibilità espressive, esaurito, come morto (come dimostra lo straziante doppio di Chuck costruito con il legno, una sorta di manichino usato per provare la corda per impiccarsi, che penzola da un dirupo). L’isola è una metafora del limite e questo spinge Chuck a fuggire, a sfidare la vastità dell’oceano con una zattera alla deriva (piccola e precaria quando viene sfiorata dalle balene o sballottata dalla tempesta) nella speranza che qualcuno arrivi.

La sopravvivenza del naufrago non riguarda il tema dell’adattabilità e della sopravvivenza, come Robinson Crusoe, ma il tema del viaggio, dell’oltrepassare i propri limiti (e insieme i limiti umani): la figura referenziale del film è Ulisse. Chuck sfida il mare aperto alla ricerca della via verso casa: sopravvivere è non arrendersi , è viaggiare, andare oltre.

Una volta ripescato e riportato in America, il protagonista scopre che la sua ragazza si è sposata; per tutti lui è morto e sepolto. Ora deve ricostruirsi una nuova vita, una nuova identità.

Di nuovo si rimette in viaggio, da solo, e davanti non ha più la vastità dell’oceano, ma le sperdute lande desertiche americane.

Nell’ultima scena del film Chuck ferma l’auto ad un incrocio, scende, si abbevera (come quando era naufrago!) e srotola una cartina stradale per orientarsi, per sapere dove si trova e per capire dove deve andare; si trova in un crocevia desertico, intento a scegliere tra strade uguali che si perdono all’orizzonte, rettilinee di un paesaggio senza prospettiva.

Dietro all’apparente facile morale del film (la vita frenetica è vuota, tutto un giorno può finire di colpo…), emerge il ritratto di un anti-eroe mitologicamente adatto al mare e non alla terra ferma (e in ciò modernissimo). Un anti-eroe insoddisfatto, che in nessun posto è a casa propria, che accetta le sfide della vita, della natura e che benché sappia adattarsi ingegnosamente, sente l’impellente necessità di ripartire da zero.

Il Crocevia  e l’Altrove sono i due luoghi simbolici che ricorrono nel discorso filmico.

Il crocevia finale è il luogo simbolico dove mitologicamente l’identità viene messa a rischio, viene sospesa; ma è anche l’imprevisto della vita,  l’incrocio casuale/fatale della tempesta sulla traiettoria dell’aereo, le linee che Chuck traccia sui massi dell’isola con il carbone per calcolare dove si trova: un “tracciato” che metaforicamente non solo è un modo per collocarsi geograficamente, ma anche per calcolare le probabilità di essere trovato, quindi un tracciato che richiama la presenza, l’esistenza, la vita, l’Esserci.

L’Altrove è il non-luogo degli spostamenti in aereo di Chuck che per lavoro gira il mondo senza sosta. La casa, il luogo dove desidera ritornare, paradossalmente, non si vede mai se non nell’ultima parte del film, ed è un anonimo appartamento in un grattacielo…l’isola non diventa mai una casa, è un luogo inospitale, dà un’idea di sospensione temporale, di vuoto, di indifferenza all’uomo. Così come sarà l’America che lo accoglie: una fredda ed enorme stanza vuota dell’aeroporto dove Chuck incontra il marito della sua ex ragazza; e l’affollato appartamento dove festeggia il ritorno e che il regista mostra sapientemente soltanto attraverso due scorci, il tavolo imbandito dove campeggiano avanzi di cibo simili in maniera inquietante ai resti di un naufragio (con le chele di granchio vuote sul piatto simili a quelle di cui si è cibato sull’isola per anni), e il letto matrimoniale vuoto dove Chuck non riesce a dormire.

Le strade desertiche che disegnano l’orizzonte nell’ultima scena sono l’analogo dell’oceano; la casa è l’analogo dell’isola deserta (letto vuoto, gli avanzi di pesce sul tavolo); e l’addio all’amore perduto avviene di notte, sotto una pioggia scrosciante analoga alla pioggia che ha causato il suo naufragio e che lì, ora, sta ad annunciarne uno nuovo, metaforico, interiore.

Giunto sulla terraferma, il suo ritorno a casa – l’homecoming – si tramuta in una nuova partenza.

Come mostra il finale del film, l’Esserci è un incrocio stradale, è possibilità, è viaggio, ricerca di un orientamento.

L’anti-eroe moderno americano non è più il soggetto che fa la Storia, ma il soggetto che fugge, il marinaio, il nuovo Ulisse che si spinge sempre oltre.

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