DAY OF FIGHT

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La sfida e il ring

di Francesco Patrizi

L’interesse per l’opera prima di Kubrick è suscitato non tanto dalla tecnica narrativa o di ripresa, ma dalla presenza della figura principale che domina tutto il cinema futuro dell’autore, una figura che potremmo definire labirinto (e che nel corto prende corpo nel ring). L’idea di labirinto porta con sé diverse accezioni che sarebbe lungo analizzare. Diciamo che in Kubrick l’idea “visiva” e il concetto di labirinto alludono  alla figura mitologica del luogo chiuso all’interno del quale si svolge una sfida tra un eroe che “deve crescere”, che deve superare delle prove, e un avversario oscuro; all’interno di questo mondo/labirinto, si attuano delle strategie di movimento, si calcolano le possibilità, si moltiplicano le azioni, le congetture, nulla è come appare, tutto è ostile. Concetti che si addicono ad una ben più profonda riflessione e che Kubrick mette a fuoco nella filmografia della maturità, ma che comunque, sin dagli esordi, trovano una larvale e primigenia messa in forma. Infatti, già in questo primo cortometraggio la storia verte intorno ad una sfida inevitabile, in un luogo circoscritto (il ring), sfida dalla quale solo uno uscirà vincitore.

Inoltre la boxe, di per sé, si presenta come azione simulata (boxe come sport e quindi come rito che sospende l’atto dalla “realtà”). Ci sono, insomma, gli elementi principali del pensiero di Kubrick.

Il labirinto, simbolicamente, è da intendersi come luogo chiuso, governato da un Tempo e da una Regola sui generis. Soprattutto luogo da cui uscire superando una prova (Teseo contro il Minotauro).

Il cinema di Kubrick è pervaso da mondi/labirinto chiusi; vedi l’Overlook Hotel di Shining, o la caserma di Full Metal Jacket, luogo “chiuso” da cui si uscirà soltanto dopo aver assistito alla sfida finale tra Palla di Lardo e il Sergente. Altro mondo/labirinto da cui uscire tramite una sfida è l’astronave di 2001 e la sfida è la partita a scacchi giocata tra l’astronauta che morirà e Hal; l’altra sfida, tutta verbale, viene vinta invece dall’astronauta Bowman. La sfida/duello è inoltre la figura chiave di Barry Lyndon, il film si apre con un duello simbolico (la morte del padre), e segna i momenti più importanti della storia, riportando la sfida al suo valore simbolico archetipico, quello tra padri e figli (così come la “sfida” simbolica tra il protagonista di Shining e suo figlio!).

Tornando indietro nella filmografia del regista, è interessante notare come l’idea di labirinto e l’idea di sfida reggano l’impalcatura narrativa (ma non ancora visiva)  de Il bacio dell’assassino e di Rapina a mano armata.

Le idee di labirinto, di luogo circoscritto segnato da regole, di sfida, trovano indubbiamente l’origine nella  passione che Kubrick ha sempre nutrito per gli scacchi.

Scacchiera e labirinto, di fatti, sono figure che spesso si rincorrono nella messa in scena dell’immaginario del regista delineando i tratti espressivi di una poetica incentrata su una visione del mondo dove tutto è logica, calcolo, prevenzione, azzardo e dove la volontà di Azione, soprattutto, è continuamente frustrata, sconfitta, messa in scacco, e la cosa non deve sorprendere: dal ring del primo corto esce un vincitore, così come il boxeur de Il Bacio dell’assassino riesce a salvare la ragazza districandosi in un labirinto/magazzino, ma nelle opere successive i tentativi di “azione”, finalizzati ad una rapina o alla fuga con una quattordicenne, saranno inutili, i personaggi saranno costretti a ripetere quello che hanno già fatto, a tornare sui propri passi, e finiranno con l’intricarsi in falsi movimenti. Si pensi, inoltre, all’ultimo film, Eyes Wide Shut, dove si ritrovano la sfida (di Bill contro la moglie e non solo…), il labirinto (Bill si aggira per la città e in casa come un topo in trappola, controllato…), l’azione frustrata e così via.

 

Sicuramente la messa in scena di Day of fight risente di un’impostazione scolastica e del mestiere di fotografo (vedi l’inquadratura da sotto lo sgabello del boxeur sul ring o lo stagliarsi dei corpi contro il muro bianco nello spogliatoio, tagli di natura fotogenica non certo funzionali alla diegesi del film), ma l’immaginario e l’impalcatura teorica sono già quelli del cinema di  Kubrick.