Trama - In una città di mare vive la famiglia serena di Giovanni, uno stimato analista. Un giorno, durante un'immersione subacquea, il figlio diciottenne muore. Il lutto sconvolge la vita dei famigliari. Ognuno reagisce in modo diverso. Riusciranno a superare il trauma grazie alla fidanzata del figlio.

Moretti torna, dopo anni, a raccontare una storia. La narrazione, coerentemente con lo stile del regista, è frammentaria, divisa in scene non collegate tra loro. Ci sono pochi primi piani, spesso l'uso del teleobiettivo schiaccia la profondità dell'inquadratura. Le scene hanno dei richiami interni e vertono tutte, nella prima parte del film, alla morte imminente.
La regia è molto attenta, costruisce carrellate spezzate, che non si risolvono, che non hanno uno sbocco e che trasmettano un'inquietudine sotterranea. Gli ambienti della casa sono asettici, bianchi, freddi. Dietro la normalità si celano crepe, difetti, incrinature.
L'equilibrio viene messo alla prova dall'evento luttuoso.
Moretti mette in scena la fragile superficie di una vita normale messa alla prova dall'esperienza del dolore.

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La stanza del figlio

Di Francesco Patrizi

Il film si apre con una corsa; Giovanni, uno stimato analista, fa footing lungo il porto di Ancona, si ferma in un bar, beve un bicchiere d’acqua e assiste ad una danza in strada di alcuni ragazzi Ary Kryshna, esce dal bar e si mescola a loro. Non è una scena di per sé significativa, non ha nessi narrativi, è un piccolo prologo che immerge il protagonista in un gruppo di persone che hanno fatto una scelta di vita radicale, che hanno rotto con il proprio personale passato.

Così dovrà fare Giovanni.

Ogni episodio del film verte verso il tema principale.

Nella prima parte del film, Moretti muove la macchina da presa usando spesso il carrello, attraversa gli spazi della casa, segue il protagonista mentre passa da una stanza all’altra; riempie lo schermo del bianco asettico e levigato delle pareti di questa moderna e anonima abitazione.

Quando il carrello segue il personaggio, si crea un’aspettativa; il carrello in genere si muove lungo un corridoio per arrivare a mostrare l’ambiente finale, la situazione di sbocco. Moretti invece non conclude i carrelli; nella prima parte del film, fa sì che il protagonista giri a vuoto, corre senza arrivare da nessuna parte quand’è all’aperto, si aggira per casa senza mostrare stanze e situazioni quand’è al chiuso; e non compie mai il corridoio che conduce dalla stanza dove esercita la professione, all’abitazione comunicante.

La scelta del carrello comunica un leggero moto di inquietudine che prelude all’evento luttuoso.

La scelta stessa di ambientare la storia in una città di mare è significativa: la città di mare è il luogo dove tutto può accadere, dove nulla ti appartiene veramente, dove si è “di passaggio”, dove i nativi e gli stranieri si mescolano, dove i pirati posso sbarcare e saccheggiare (un prete, durante la messa per il figlio, parla del ladro che arriva all’improvviso a rubare in casa); il mare è apertura verso la possibilità, è coscienza della transitorietà.

La casa stessa, inserita in questo discorso allegorico, è un rifugio, un riparo, relativamente stabile. Con il mare, da un giorno all’altro, tutto può cambiare.

E proprio il mare ruba il figlio.

La metafora del furto apre il film: il figlio e un suo amico sono accusati di aver rubato un fossile a scuola. I genitori si convincono dell’innocenza dei figli, il preside non li sospende; poi il figlio confessa di aver veramente rubato, anche se per fare uno scherzo. Voleva restituire il fossile, ma gli si è rotto, hanno provato ad incollarlo, ma non era venuto bene. I genitori sono sorpresi, ovviamente.

Da notare che nella seconda parte del film Moretti comincia a notare le crepe della casa e si accanisce in particolar modo contro una teiera che è stata rincollata; dice che la riparazione si vede, è venuta male, e la sbatte in terra frantumandola. Tutti gli oggetti della cucina sono incrinati, rotti, sbeccati…è una metafora della vita famigliare apparentemente perfetta che cela delle crepe, delle “riparazioni” approssimative, degli aggiustamenti che adesso mostrano il loro difetto, ma allo stesso tempo la scena di Moretti che si lamenta della teiera rotta e riparata male ricorda quello che aveva detto il figlio del fossile: rotto e riparato male.

Tutta la storia del fossile, che occupa l’inizio del film, allude, prelude e prepara il discorso della rottura e del tentativo di riparazione della vita famigliare, della vita normale di tutti i giorni andata in frantumi.

Da aggiungere inoltre che la prima cosa che va in frantumi è la fiducia nel figlio; i genitori che si rendono conto, con occhiate e silenzi, che non conoscono veramente il figlio.

La sequenza che precede la morte del figlio, vede i tre membri della famiglia in tre situazioni particolari, allusive al modo in cui reagiranno al lutto: la madre sta al mercatino e la sfiora un ladruncolo, che fugge a gambe levate; infatti lei sentirà la perdita del figlio (come dice il prete alla messa) come un furto. La figlia sta in motorino con gli amici e viene strattonata, rischia di cadere, ma riacquista l’equilibrio; di fatti sarà lei a dover riportare l’equilibrio in famiglia, essendo l’ultima figlia rimasta. Il padre, infine, è in viaggio ed incrocia un tir rumoroso che procede in senso contrario (metafora di qualcosa che se ne sta andando bruscamente); sarà lui a sbloccare con un viaggio la situazione quando accompagnerà, alla fine del film, la fidanzatina del figlio, Arianna, e il suo attuale fidanzato, alla frontiera francese, dando così l’ultimo e definitivo saluto al figlio.

La stanza del figlio, che da il titolo al film, non viene mai mostrata, viene scoperta soltanto attraverso le fotografie che porta con sé Arianna e che il figlio aveva realizzato con l’autoscatto; lì il figlio è sorridente, scherza mettendosi in posa sotto la scrivania…è chiaro che Arianna possiede la chiave per accedere nell’intimità del ragazzo, è depositaria di un ultimo “segreto”, per questo è così importante per i genitori conoscerla.

Il titolo ha davvero un significato profondo: la stanza è metafora del mondo privato, chiuso, personale, intimo, del ragazzo, è laddove i genitori non potevano entrare. Il ragazzo, quando è in scena, all’inizio, è silenzioso, spesso imbarazzato, dissente dal padre sulla questione della competitività, tradisce la fiducia della madre confessando il furto del fossile. Il padre, quando va a comparare il disco di Brian Eno, cerca di entrare nel mondo, nei gusti, ne ritmo, che erano del figlio. È il nuovo viaggio che deve intraprendere.

Un tema importante è il tempo. La famiglia di Giovanni non vive certo la frenesia dei tempi moderni, lui consiglia ai suoi pazienti di imparare ad oziare. Il tempo scorre tranquillo, ma d’un tratto, a causa della perdita, impazzisce, smette di scorrere. Per Giovanni il tempo si ferma, è sospeso, non riesce ad andare avanti, come mostra la scena in cui ascolta sempre lo stesso passaggio del cd di Nyman; quel riascoltare ripetutamente, quel non riuscire a superare “quel momento”, si lega alla scena immaginata della corsa che non è stata fatta e che avrebbe salvato la vita del ragazzo. Appare molto convincente, come soluzione narrativa, lo sblocco di questa sospensione temporale attraverso il viaggio notturno fino alla frontiera francese, simbolo allo stesso tempo del “superamento” e del “confine ultimo” della vita stessa.

 

Giovanni è un analista, aiuta gli altri, ma non se stesso e la sua famiglia. Ascolta gli altri, ma non suo figlio. Riceve gli altri in una stanza della casa, e non “conosce” la stanza del figlio, quella che, aveva scritto il ragazzo nella lettera ad Arianna, “racconta un po’ di lui”.

Il film racconta della possibilità che tutto d’un tratto possa cambiare, che la vita normale che ognuno conduce, la famiglia che si è costruito, il lavoro, tutto possa incrinarsi, ma non andare in frantumi, poiché la famiglia non si separa. Certo, il finale davanti al mare all’alba segna un nuovo inizio, padre, madre e figlia sono sorridenti, ma passeggiano ognuno per conto proprio con le mani in tasca; il dolore, sembrerebbe dire, divide e non unisce.

Il film non parla di un evento che manda in pezzi la tranquillità e la normalità. Racconta piuttosto delle crepe nascoste che vengono alla luce, della dura prova da superare per temprare il valore dei propri principi e degli affetti. Il dolore si configura come un passaggio essenziale e cruciale nella vita di ognuno, come momento inevitabile, non come catastrofe.

Moretti ha elevato il discorso su un piano esistenziale, offrendo forse poche risposte, osservando non casi estremi, ma reazioni quotidiane e “normali” al lutto.

Non ha ceduto alla retorica. La morte stessa è mostrata come insieme di momenti burocratici, tecnici, formali (la scelta della bara, la saldatura, i telegrammi…). Perché la vita è composta di questi elementi. Non c’è retorica nel ricercare, ad esempio, una dimensione spirituale, un ripensamento complessivo e drastico della vita.

C’è solo un equilibrio nuovo da cercare.

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