IL BACIO DELL’ASSASSINO

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L’ascia e il labirinto

di Francesco Patrizi

 

Il labirinto.

Kubrick realizza Il Bacio dell’assassino (Killer’s kiss) integrando parte del materiale di Day of fight (il Giorno della sfida), il suo primo corto, e riprendendo  la figura del pugile; la sfida, questa volta,  non avviene su un ring, ma in un magazzino, e non c’è in gioco una vittoria sportiva, ma la vita. Siamo quindi usciti dal documento-verità dell’esordio per entrare nella finzione. La boxe, ovvero la sfida, e il ring, ovvero il luogo chiuso (vedi scheda di Day of fight), vengono trasportati in un diverso contesto figurativo, ma mantengono la loro valenza simbolica.

La figura fondamentale che sostiene l’impalcatura narrativa del film è quella del labirinto, inteso come luogo chiuso da cui uscire superando una prova (il che, tra l’altro, rientra nel cliché del genere noir). Il boxeur si ritrova, suo malgrado, a dover sostenere una sfida in un luogo chiuso, in un magazzino di manichini.

L’elemento figurativo interessante è la corsa in macchina virata in negativo che vediamo, all’inizio del film, nell’incubo del protagonista e che anticipa la successiva scena dell’inseguimento del malvivente che ha rapito la ragazza: più che un semplice raccordo, è una scena chiave, dal forte valore simbolico, che segna il passaggio in una zona “altra”, in un mondo “fiabesco” (il combattimento nel magazzino), dove il protagonista sarà l’eroe che sconfigge l’avversario…sogno e realtà hanno dunque un elemento che li accomuna, un passaggio visivo uguale: la corsa virata in negativo. L’antecedente più significativo di tale soluzione visiva è il negativo usato da Murnau in Nosferatu per segnare il passaggio della carrozza nei terreni del conte vampiro, ovvero, l’ingresso in un mondo “rovesciato”!

Così in Kubrick, il virato in negativo segna l’ingresso (fatale, predetto o previsto nel sogno!) nel mondo “rovesciato”, chiuso (ring e labirinto), del magazzino abitato da manichini (corpi inanimati che visivamente si riproducono e confondono come in un labirinto di specchi, ma anche protesi inanimate - senza volontà! - che soccorrono l’azione, la sfida…). 

Il mondo/labirinto è un mondo “a parte”, dominato da un Tempo e da una Logica a sé stanti e non sarebbe scorretto definirlo “fiabesco”…soprattutto in questo film, dove il regista gioca a carte scoperte: non mostra interesse per la psicologia dei personaggi, li fa muovere meccanicamente, rispondendo a degli impulsi, catapultandoli in situazioni che man mano crescono di intensità fino a sfociare nella crisi, seguendo, in altre parole, le “regole” della morfologia della fiaba.

L’ascia.

L’eroe, boxeur, conduce una vita parallela alla ragazza (la figura del doppio, topos della fiaba e della mitologia, domina l’intero film) e qualcosa di fatale (il fatto che abitino in appartamenti adiacenti) fa congiungere le due vite: la struttura della storia è marcatamente matematica, l’azione si svolge e si conclude come una funzione aritmetica. C’è comunque un elemento straniante, che fornisce un importante indizio di lettura: proprio al clou del combattimento contro l’avversario nel magazzino, il pugile impugna un’ascia; lo stesso oggetto ricompare in Shining (come aggiunta personale di Kubrick, poiché in Stephen King era una mazza da croquet! …così come nel romanzo non compare il labirinto!!) e, come nota Giovanni Bogani “l’ascia doppia non a caso somiglia a quella labrys, ascia simbolo di potere che stava all’entrata del palazzo di Cnosso e da cui pareva derivare l’etimologia di labirinto” (Labirinti, Tarkovskij e Kubrick e altri percorsi, in Il Fuoco, l’acqua e l’ombra, Casa Usher editore1989, pag.80).

L’ascia, quindi, come elemento di derivazione mitologica; che l’allusione fosse voluta o no, resta comunque il fatto che l’ascia segna l’entrata in un mondo a parte, il mondo chiuso del labirinto, annunciato per altro anche dalla corsa in macchina virata in negativo. L’immaginario delle storie di Kubrick è dunque mitico, “fiabesco”, segue delle leggi assolute, è lontano dal realismo. In questo senso allora si può comprendere il forte legame con il gioco degli scacchi, considerato come forma mentis della struttura narrativa dei suoi film. La scacchiera combacia perfettamente con la messa in forma dalla figura del labirinto, e lascia trapelare la tensione estrema del cinema kubrickiano verso l’astrazione, il “mondo sotto vuoto”, il campo di battaglia “simulato”, la strategia, la logica assoluta.