TESTO DELLA CONFERENZA SU “EYES WIDE SHUT”
Tenuta a Forlì il 22/3/2000
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Di Francesco Patrizi
Per entrare nel cuore del lavoro di Kubrick è di grande aiuto la testimonianza riportata dallo sceneggiatore Frederick Raphael nel suo libro Eyes Wide Open (Einaudi, 1999), testo dal quale si ricavano delle informazioni fondamentali, la prima delle quali è che del lavoro di sceneggiatura, durato quattro anni, non è rimasto nulla, nel film. Raphael si sorprende del fatto che il grande regista non abbia tenuto in nessun conto, ad esempio, i complessi dialoghi rielaborati nel corso di infinite stesure. Kubrick ha fatto scrivere e riscrivere i dialoghi a Raphael, poi, quando ha girato, ha cancellato tutto questo lavoro e ridotto i dialoghi all’osso.
La scelta di Kubrick, incomprensibile per lo sceneggiatore, ci rivela, in realtà, il metodo di lavoro seguito dal regista, ovvero, utilizzare la fase della scrittura, i dialoghi complessi e articolati di Raphael, come sottotesto dei personaggi. Kubrick opera uno spostamento di “discorso” dal piano verbale al piano visivo. Il “discorso”, infatti, viene letteralmente “tolto di bocca” a Bill e Alice ed entra a far parte del “tessuto visivo”, del linguaggio parlato dalla macchina da presa. Ne è un esempio lampante la gestazione del dialogo in cui Alice confessa al marito il virtuale e immaginato tradimento. Il dialogo è fin troppo semplice (come semplici e anonimi dovevano essere, nelle intenzioni spiegate dal regista allo sceneggiatore, i due personaggi, sin dalla ricerca dei nomi); un dialogo quasi meccanico, senza sfumature, a tesi; tutto il lavoro di scrittura di Raphael sembra essere scomparso; in verità è stato assorbito dalla macchina da presa. Questo vuol dire che a Kubrick non interessa la psicologia dei personaggi (e qui è la più grande incomprensione con Raphael); il sottotesto va ad alimentare le dinamiche interne della “psiche della macchina da presa”!!.
Prendendo in esame il dialogo in questione, si nota, a prescindere dal testo verbale, un discorso prettamente visivo: Bill e Alice si trovano sul letto, lei si alza, esce dall’inquadratura e va ai piedi del letto, mentre Bill rimane seduto. Si instaura una dialettica in campo e controcampo. Nel campo visivo iniziale rimane Bill, l’inquadratura è abbastanza fissa, incornicia il volto di lui, il busto e una fonte luminosa, un abat-jour (simbolo di “visione rafforzata”); il controcampo con Alice è ripreso con una macchina a spalla traballante che segue il progressivo abbassamento della donna, che finisce con lo stendersi sul pavimento. Analizzando unicamente lo stile, vediamo che Alice “si abbassa” e l’inquadratura traballa, ovvero, la sua immagine di moglie si abbassa moralmente agli occhi del marito, il quale vede andare in frantumi le proprie certezze. L’immagine del controcampo non è una soggettiva, eppure la tecnica usata da Kubrick sembra essere quella della soggettiva: la macchina a spalla traballa, però Bill è seduto fermo e immobile sul letto. La questione è: perché l’inquadratura sembra una soggettiva , perché traballa se nessun personaggio sta traballando? Dal punto di vista di chi, noi stiamo osservando?
Per rispondere a questa domanda occorre fare un passo indietro ed analizzare i titoli di testa del film. Mentre compaiono i nomi e i titoli su fondo nero, si inserisce una brevissima sequenza che mostra Alice, di spalle, mentre si toglie il vestito e rimane nuda. Chi la sta guardando? Non abbiamo il controcampo, non sappiamo se l’inquadratura è una soggettiva o un’oggettiva. Chiedersi queste cose è fuorviante. La connotazione che voleva dare Kubrick è però inequivocabile: conosciamo Alice attraverso la sua nudità; colui (potremmo dire: “l’occhio”!) che sta guardando Alice mentre si sveste si trova alle sue spalle e non accenna a nessun movimento di avvicinamento (né con un carrello né con uno zoom). Due elementi ce ci rivelano delle “qualità”, la prima, che Alice è vista esclusivamente come un oggetto erotico, la seconda, che l’occhio che la osserva è un occhio desiderante, un occhio, per di più, che non si avvicina e che spia alle spalle, che ha bisogno di tenersi a distanza (di non possedere l’oggetto) e di non essere visto (come una sorta di “occhio divino onnisciente”!): quindi un occhio voyeuristico.
Si può legittimamente definire la posizione della macchina da presa come una soggettiva “illegittima”. L’obiettivo inquadra per conto del Desiderio. Tutto il film è visto come una soggettiva del desiderio del protagonista; non è né un film raccontato da un punto di vista oggettivo, né da un punto di vista soggettivo: Kubrick sceglie una terza via, trasporta tutto all’interno della libido (dove tutto è simbolico). I personaggi, le situazioni, sono solo delle rappresentazioni; sono così semplici e apparentemente prive di spessore (si pensi ai vari personaggi appena accennati e lasciati in superficie) perché sono delle proiezioni della libido di Bill; una libido che deve riorganizzarsi, che adopera (come nell’economia onirica freudiana) persone e fatti come simboli operazionali.
Alice, il padrone della casa dove c’è la festa, l’amico pianista, la prostituta Domino, la vittima sacrificale…sono tutte proiezioni, tappe del cammino simbolico della libido di Bill, non hanno vita autonoma (Kubrick infatti non gli dà alcuno spessore), rimandano piuttosto alle figure topiche della fiaba.
Non il racconto psicologico, non il romanzo, non la novellistica, ma la fiaba sembra essere il referente strutturale del film.
Si può analizzare l’intero percorso della vicenda di Bill secondo gli schemi studiati da Propp a proposito della morfologia della fiaba: l’immagine inserita tra i titoli rappresenta il Mondo Originario (il mondo “involuto” del desiderio, che non conosce né tempo né relazione) ed è avviluppato da un valzer extradiegetico, cioè sentito solo dallo spettatore; poi il valzer viene interrotto da Bill che spegne lo stereo; la musica diventa quindi elemento interno della scena; un espediente non casuale, che segna, all’interno di un discorso puramente metalinguistico, la discesa dal Mondo Originario (astratto e non “relazionato”) alla Storia (dove ogni elemento del quadro visivo si relaziona concretamente ai personaggi e alle situazioni).
I due coniugi escono dalla loro casa per andare ad una festa: Kubrick ci mostra subito una carrellata in avanti lungo il corridoio della casa degli ospiti, ovvero un movimento di macchina estremamente significativo, che segna , nel suo procedere in avanti, l’inizio del Viaggio (da notare che tra l’uscita di casa e l’arrivo alla festa non ci sono passaggi di raccordo, si passa subito alla carrellata nel corridoio: si esce da un Mondo e si intraprende il Viaggio!!).
La festa presenta tutti gli elementi tipici della fiaba; Bill dice subito che “non conosce nessuno degli invitati”: l’eroe uscito dal suo mondo si ritrova in una zona sconosciuta, straniera. Uno “straniero” gli insidia la donna (Kubrick lo ha connotato come straniero dell’est, dandy e attempato, quasi un “dracula”!); gli vengono incontro due aiutanti (le ragazze che “lo riconoscono”) che vorrebbero portarlo laddove finisce l’arcobaleno (elemento fin troppo fiabesco!); l’eros esplicito è l’obiettivo, il quid che sembra dare l’imput al viaggio. Qualcosa impedisce però a Bill di seguire fino in fondo le ragazze (il viaggio viene interrotto): egli ora deve salire una scala (la salita verso l’alto simboleggia la sublimazione) e trova, in un bagno, una donna in fin di vita, nuda. È esattamente l’esito del suo viaggio interrotto, un esito “rovesciato”: lui stesso rischiava di essere la vittima delle due ragazze (lo desiderava e ne aveva timore, per questo la sua paura ha materializzato la donna in fin di vita, suo alter ego, sua sostituta, come ammonimento). Il corpo femminile, nudo, ora, non è più erotico (potremmo aggiungere che è perché le manca il vestito, elemento invece basilare per Alice; c’è in Bill un sospetto feticismo). Il corpo della vittima, nudo ma inanimato, riassume mirabilmente il confine labile tra eros e thanatos, preludendo al protagonista la meta di un viaggio incipiente.
Tornato a casa, Bill consuma la rottura del Mondo Originario: sua moglie (la quale, in un’altra mini sequenza-inserto speculare alla prima, si riveste, sempre vista di spalle: il mondo del desiderio si occulta!) svela che ha “desiderato” l’adulterio, ovvero il potere dell’immaginazione mostra che si può sovvertire la realtà.
Per Bill comincia il vero viaggio, in taxi (più di una semplice carrellata, una sequenza di buio e luci intraviste!); esce dal suo mondo ed entra nel mondo dell’immaginazione, infatti “materializza” in sovrimpressione la scena dell’adulterio (che non c’è mai stato); Kubrick ci mostra il passaggio quindi dal piano verbale (il racconto di Alice) al piano dell’immaginazione (la visione di Bill).
Il percorso notturno che farà adesso l’eroe ha una meta ben precisa: toccare il rovesciamento assoluto del Mondo Originario. Nella fiaba è il momento in cui l’eroe affronta il nemico, si trova nella situazione per lui più difficile, quando tutto sembra perduto; situazione che si risolve, in genere, con la vittoria sull’Avversario e con il ritorno al Mondo Originario. Un ritorno alle origini che segna la rinascita, la nuova identità, rafforzata e superiore, dell’eroe. Esattamente a metà di questo percorso iniziatico, solitamente, l’eroe attraversa una prova decisiva: una spoliazione e una nuova vestizione, a volte raffigurate da un lavacro simbolico, dall’immersione in una sorgente, dall’attraversamento del fuoco e così via; il superamento della prova comporta la nuova vestizione, ovvero la nuova identità dell’eroe.
Come abbiamo visto, l’elemento della vestizione/spoliazione è un tema presente sin dai titoli del film. Bill, al termine del suo percorso, non farà altro che cercare di “camuffarsi” (sempre l’eroe fiabesco torna in un posto dove è già stato, ma nessuno lo riconosce perché si è mascherato, è un topos presente da Ulisse a Robin Hood!) per poi cercare di rinunciare al vestito, per “passare” ad una nuova identità. Bill va così all’orgia (che, come vedremo, è un luogo dove è già stato, ovvero la festa), giunge al punto limite in cui deve spogliarsi (per superare la prova!), ma non lo fa. Esattamente come era successo alla festa, si materializza una vittima sacrificale come sua sostituta.
Ci bastano questi elementi per capire che l’orgia è il rovesciamento simbolico della festa. La festa iniziale è una parvenza del rovesciamento del mondo iniziale, un’anticipazione. L’orgia è l’estremo limite. Kubrick aggiunge però un elemento da pochi notato: l’orgia rifà il verso al carnevale veneziano! Abbiamo quindi, ci dice il regista, da una parte la Festa (situazione dove il senso sociale viene sospeso, ma dove tutto è controllato), dall’altra parte il Carnevale (situazione di sospensione e di azzeramento totale, incontrollata). L’orgia/Carnevale è laddove l’identità (ancora predominante alla festa) scompare del tutto. Bill deve superare questa prova. Abbiamo di nuovo, specularmene alla festa, le due ragazze (questa volta nude) che lo portano “dove finisce l’arcobaleno”, il pianista amico, questa volta bendato, i padroni di casa (che lo salutano), poi qualcosa che interrompe tutto.
Bill di fatti viene chiamato a “scendere” al centro della sala. In opposizione alla festa (dove saliva una scala), abbiamo qui un movimento “verso il basso”. La vittima, adesso, è Bill. La prova misteriosa comincia con la spoliazione, ma d’improvviso compare la vittima sostituta, e per di più compare con uno zoom veloce verso l’alto: un movimento ottico qui altamente significativo; è come se Kubrick sottolineasse che l’apparizione della vittima sacrificale è una “proiezione” di Bill. La paura del protagonista ha materializzato una via d’uscita. Ricordiamoci che stiamo seguendo una “soggettiva interna del desiderio”!
La sostituzione rappresenta, però, per Bill un punto di ritorno (in genere, l’eroe fiabesco non può tornare indietro!), in altre parole, il protagonista non ha conquistato nulla, neanche la nuova identità, non ha fatto l’esperienza, non ha superato la prova, tant’è che la vittima alter ego la ritroverà all’obitorio morta (altra scena simbolica, dove Bill si specchia nel cadavere della donna, corpo/oggetto che riassume l’estrema paura del protagonista, una morte-ammonimento, che sta a significare la non-rinascita dell’eroe!).
Possiamo quindi riassumere che il film traccia un percorso di iniziazione che si ferma a metà per poi riavvolgersi su se stesso, è la vicenda di un anti-eroe fiabesco: Bill infatti ritorna sui propri passi, incontra una seconda volta tutti i personaggi i quali, ai suoi occhi di eroe fallito, appaiono ancor più minacciosi, pericolosi: la prostituta ha una malattia infettiva, il negozio affitta-costumi è una specie di bordello, il pianista è scomparso, il padrone della festa (che aveva ammonito Bill a non spifferare nulla della ragazza collassata in bagno) impersona, alla fine del film, il ruolo dell’aiutante dell’eroe al rovescio, ovvero gli intima minacciosamente di lasciar perdere ogni cosa, lo sprona a non andare più avanti.
Il ritorno di Bill a casa (luogo dove gradualmente domina il buio!) si conclude con la scoperta della maschera della festa sul cuscino (tra lenzuola rosso scuro/viola funebre!); elemento che nel racconto di Schnitzler è un lapsus freudiano del protagonista e che qui Kubrick non vuole spiegare (né come lapsus né come segno che c’è stato un estraneo in casa di notte). La maschera è soltanto l’oggettivazione estrema della paura di Bill, è la sua libido messa a nuda, individuata come minaccia di disfacimento del Mondo Originario.
Bill, o meglio la sua psiche, ha bisogno di riassorbire l’esperienza vissuta; di fatti Alice dirà che ha sognato l’intera vicenda: la scena è speculare e opposta a quella della lite nella prima parte del film; segna il passaggio inverso, dall’immagine al piano verbale, dal piano reale a quello onirico!
In altre parole, Bill ha metabolizzato, attraverso la moglie, il pericolo (!) vissuto, riducendolo sotto il segno del sogno. Il Mondo Originario si chiude di nuovo su se stesso (esito opposto alla fiaba tradizionale) mentre riparte il valzer che, come nei titoli di testa, è elemento esterno ai personaggi, extradiegetico (dalla Storia torniamo alla sospensione atemporale!).
Le parole pronunciate da Alice alla fine (“scopare!”), così sconcertanti e fuori luogo, segnano addirittura la cancellazione del potere voyeuristico (e feticista) della libido del protagonista.
Quasi a dire che l’elemento di potenzialità immaginifica insito nella deviazione sessuale del voyeurismo non ha portato alla scoperta del potere dell’immaginazione sulla realtà, ma si è auto censurato. Kubrick ha voluto così trattare, con il suo ultimo film, il tema del potere inespresso, incompreso, censurato e castrato dell’immaginazione; immaginazione considerata come il grimaldello per sovvertire la realtà: di fatti il tradimento “immaginato” di Alice sprona Bill a cercare di cambiare la sua vita, di trasgredire le regole.
Ma l’immaginazione stessa, alla fine, terrorizza l’anti eroe di questa fiaba di fine millennio.
Eyes Wide Shut è una fiaba moderna che celebra, al contrario di quella classica, l’impossibilità della rinascita, della palingenesi, del cambiamento.