".....Più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita: Moscarda uno, nessuno e centomila." Così Pirandello parla del suo romanzo in una lettera del 1912. fra le ultime, forse la più complessa opera dell'Autore, ebbe una gestazione lunga, meditata e sofferta. Iniziato nel 1909 il romanzo fu portato a termine solo nel 1926. Non fu dimenticanza o trascuratezza: l'opera, che si può definire come il distillato del pensiero e il testamento spirituale di Pirandello, fu come un'ossessione sempre presente nel suo lavoro vasto e articolato. talvolta da essa stralciò brani, riflessioni, pensieri che finirono in lavori di più immediato confronto col pubblico. Testo di forte teatralità non riuscì, non volle divenire forma scenica perchè la sua rappresentabilità è tutta interiore, tragica ed umoristica. Il pubblico non è semplice spettatore ma Coro, interlocutore attivo e presente nel gioco -razionale, lucido, talvolta feroce- del protagonista. per questo il nostro allestimento vuole recuperare, attraverso il coinvolgimento del pubblico, quella dimensione di confessione intima che ci porta a sentirci tutti un po' Vitangelo Moscarda. E la soluzione è una soluzione irrazionale ma vitale, quanto mai attuale, liberatoria, oltre la follia. Quella follia che attraversa tutta l'opera di Pirandello; fuga o dolorosa coscienza della realtà con la quale l'Autore dovette scontrarsi e convivere tutta la vita per la cronica sofferenza di Maria Antonietta, sua moglie, nonostante tutto amata e protetta. Ma se in altre opere la follia diviene pretesto per polemiche e rivincite sociali qui evolve in una guarigione. Non un rientro nella normalità, no, ma una sorta di ironica ascesi, di liberazione dai modelli del vivere sociale che, senza infingimenti, ci pone oggi, a settant'anni di distanza,il problema della nostra autenticità e, con sarcastico umorismo, ci dimostra quanto ciascuno di noi non sia altro che Uno, nessuno e centomila.

 

 


UNO, NESSUNO E CENTOMILA
dal romanzo di Luigi Pirandello adattamento e regia di Stefano Zanoli
Adattare per la scena il lavoro che, con evidenza, rappresenta l'aspetto più cerebrale e filosofico dell'opera pirandelliana ci ha posti davanti ad alcune stimolanti difficoltà. Volevamo comunque, questo è certo, evitare quei bozzettismi, quei manierismi da teatro borghese ai quali siamo purtroppo spesso costretti ed abituati. Per questo abbiamo concentrato l'attenzione sul percorso intellettuale e psicologico del protagonista e sulla conseguente evoluzione liberatoria, riducendo a delle semplici evocazioni, quasi dei flash-back, le figure e le situazioni di contorno.
La trasposizione teatrale non ha comportato modifiche sostanziali: la scrittura stessa del romanzo contiene già infatti forti elementi di teatralità come, del resto, molta narrativa di Pirandello ( si pensi a "La morte addosso" o "La patente" che con pochi ritocchi dell'Autore sono passati dalla pagina scritta al palcoscenico). L'io narrante si trasforma quì, infatti, in un io "dialogante" con il suo lettore che diviene "coro", commentatore attivo, partecipe del racconto e della riflessione e, quasi come in una sorta di psicodramma, personaggio nel gioco della assunzione ed inversione di ruoli. Ed ecco che il pubblico, e quella parte rappresentativa di esso che seguirà la confessione di Vitangelo Moscarda salendo direttamente sul palcoscenico, sarà, anche per il solo fatto fisico dell' esserci, personaggio, coro appunto, di questa vicenda surreale. Moscarda non è semplicemente il ricco borghese della provincia siciliana, è il lato oscuro di Pirandello, quel progetto esistenziale che l'Autore non ha mai davvero chiarito fino in fondo; per fortuna! Non amando Egli, certo, la figura carismatica del moralista e lasciando così sospese tutte le ambiguità che nascono dalla consapevolezza che ogni essere rappresenta, alla fine, un mondo a sè. Quel lato oscuro che lo porta spesso ai confini di un certo misticismo nietzscheano.
E non potremmo leggere Moscarda come un ironico progetto di superuomo? Tutto il Novecento pervade quest'opera. Il titolo stesso contiene già il nucleo di quel " grado zero di scrittura" di beckettiana memoria . La vicenda tende a quello stesso limite infinitesimale da cui sono attratti Duchamp e tante avanguardie storiche . Idee, tensioni che attraversano tutto il Novecento e che abbiamo voluto evocare nella citazione magrittiana della scena ( sagome umane aperte come squarci verso l'assoluto ), nelle citazioni musicali: il minimalismo rock di John Zorn , la sospesa essenzialità di Eric Satie che anticipa di quasi un secolo le intuizioni di John Cage, il lirismo post-weberniano e post-moderno di Michel Nayman . Ma ciò che conta di più nel rivolgerci ad un pubblico di studenti è la comunicazione, il coinvolgimento attraverso una riduzione che, estrapolando da contesti storici e sociali la narrazione, proietti le sue tematiche nella nostra realtà e nella vita di tutti i giorni.





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