Sacro è ciò che appartiene ad una religione, ciò che è degno di rispetto e inviolabile, che è consacrato ad una divinità o ad un culto; ma è anche universalmente ammesso e codificato, che dispone di regole per sé (rito, liturgia) e definisce le regole per gli altri (morale, etica, comportamento).
Profano (etimologicamente: davanti al tempio), è ciò che ha per argomento motivi mondani, terreni, ed è rivolto all'uomo e non al dio, ma è anche ciò che interviene a modificare l'esistente e a produrre rinnovamento.
Nel medioevo il "teatro sacro", attuato non da attori ma da chierici delle confraternite religiose e da congregazioni di laici, si rappresentava nei luoghi sacri, e passa dall'acerbo Dramma Liturgico alla Laude Drammatica e attraverso la Sacra Rappresentazione giunge ai Misteri.
Il "teatro profano" è un fenomeno non istituzionale, manca di uno spazio specifico, e produce una teatralità diffusa che serpeggia fra i luoghi della vita quotidiana (strade, osterie, mercati, botteghe, sagrati delle chiese, e alla fine anche le sale dei castelli).
La nostra idea nasce da una ricerca che tende al concetto di "unione", piuttosto che a quello di "separazione", fra "Teatro Sacro" e "Teatro Profano". Queste esperienze sono necessarie le une alle altre e pur mantenendo la loro specifica individualità coesistono e si compenetrano, diventando un fatto unitario. Abbiamo cominciato a considerare la valenza espressiva di questi due termini e ci siamo accorti che si andava oltre il concetto di storicità, pur tenendolo nel debito conto. Abbiamo individuato il nostro "sacro" con i grandi trecentisti, con alcuni personaggi shakespeariani di tempi medioevali (1100-1400), e ancora con Jacopone da Todi, Francesco di Assisi, ecc.; mentre il "profano" con Cecco Angiolieri, Ruggeri Apugliese, Matazone da Caligano. Abbiamo seguito lo schema proposto da Tommaso di Cobhan (1200c.a.) secondo il quale dai Mimi e Acrobati circensi (che deformano orrendamente il loro corpo) si passa ai Buffoni (maldicenti e scurrili) e ai Giullari (quasi dei cronisti satirici) per arrivare ai Trovadori e Cantastorie (che mettono in musica i loro racconti). Si tratta quindi di guidare lo spettatore in una discesa alle origini - attraverso le "credenze" in opposizione all'amministrazione sociale dei "credo" - non con l'atteggiamento negativo della separazione, bensì con quello della mutua compenetrazione capace di fondere, nell'unico crogiolo dell'arte, "sacro" e "profano".