Cohen è un maestro assoluto. Alcune delle sue canzoni - non tutte riprese da questa raccolta - meriterebbero un posto a parte nella storia della musica degli ultimi 30 anni, e pur nella loro semplicità e immediatezza (anche se per certi testi bisognerebbe essere come minimo laureati in linguistica), dovrebbero trovare spazio nelle collezioni di chiunque ami la buona musica tout-court.
"Tower Of Song" è il terzo album che al grande cantautore canadese viene dedicato: il primo fu "Famous Blue Raincoat" di Jen-nifer Warnes, ex corista di Cohen, seguito dalla raccolta "I'm Your Fan", realizzata da musicisti di almeno un paio di generazioni più giovani (fra cui spiccavano i R.E.M con First We Take Manhattan, e Geoffrey Orye-ma con Suzanne).
Rispetto ai primi due, "Tower Of Song" è forse il più standard dei tributi a Cohen fino-ra realizzati, nel senso che i produttori han-no semplicemente raccolto attorno al pro-getto una manciata di star affidando a o-gnuno di loro il compito di cantare un brano: se è vero che questo discorso vale per tutti i tributi della terra, in questo caso sfugge però una qualsiasi chiave di lettura uniforme e organica del lavoro.
Billy Joel, Willie Nelson, Don Henley, Aa-ron Neville e gli altri offrono tutti interpre-tazioni moderne (e aggiungerei america-neg-gianti) tutto sommato piatte e standar-dizzate: per quanto li riguarda preferisco in tutti i casi gli originali.
Diversi i casi di Bono, Suzanne Vega, Sting e i Chieftains, Peter e Tori Amos.
Hallelujah, già in origine una canzone me-ravigliosa ("the fourth the fifth, the minor fall the major lift..." - nelle parole stesse c'è tutto lo spirito del brano), è nella versione proposta da Bono acida e minimalista. Mol-to bella ma, rispetto al tono generale del di-sco, davvero un pesce fuor d'acqua. Al can-tante di U2 e Passengers comunque un plauso sincero per essere uscito dagli sche-mi.
Lo splendido testo di Sisters Of Mercy rice-ve un trattamento altrettanto splendido gra-zie a Sting e i Chieftains, in cui le "sorelle della pietà" si trasformano fino a diventare quasi fate celtiche.
Un gradino sopra a questi due sono poi Su-zanne Vega e Peter. La prima, che fra l' altro è accompagnata alla batteria dalla no-stra vecchia conoscenza Jerry Marotta, in Story Of Isaac è a dir poco perfettamente Coheniana, grazie a un'interpretazione mi-surata ed intensa.
Peter riprende invece Suzanne, forse il pez-zo di Cohen più famoso in assoluto, offren-doci un magico saggio della sua voce, splendida come di consueto. A differenza dell'originale, alla cui base era il solo ar-peggio di chitarra, la versione cantata da Peter è basata piuttosto sull'incedere ritmico incalzante, con un charleston forse addirittura in evidenza eccessiva, e ricami di tastiere che nel tentativo di arricchirla ri-schiano invece a tratti di appiattire anche questa un po' troppo. Anche in questo caso, però, deduco che l'arrangiamento sia im-putabile molto più al produttore che non a una scelta artistica del nostro, la cui voce, come dicevo prima, regala comunque pas-saggi a dir poco intensi: quasi sempre in una specie di sottovoce (in inglese si potrebbe dire understatement), sembra un'ottava so-pra il suo consueto registro (senza mai arri-vare al falsetto), quasi che Peter si sforzi di cantare come una persona diversa. La mia opinione conclusiva è che ogni volta che l'ascolto penso sia un peccato che Cohen non abbia scritto una dozzina di strofe in più, e mi dispiace ogni volta sentirla sfuma-re.
Infine, davvero sopra tutte le altre, un ac-cenno a Famous Blue Raincoat, pezzo tra i miei preferiti in assoluto, che nell'esecuzio-ne di Tori Amos è intensa e viscerale come solo lei è capace di fare. Se di Suzanne Ve-ga ho scritto che è Coheniana, Tori supera anche questa definizione, e il pezzo, non più una cover, diventa interamente suo. Mu-sica e parole hanno un sapore unico che da sole valgono l'acquisto del cd.
Partiamo dal film. Qualche critico cinematografico lo ha definito il Blade Runner di questa decade. Non appartengo alla suddetta categoria, ma devo dire che nonostante l'accostamento sia forse un po' irriverente (ok, tutti e due parlano di un futuro ipotetico, ma nel film di Ridley Scott - e soprattutto nel romanzo di Philip K. Dick che ne è all'origine - lo spessore è di tutt'altro livello), Strange Days mi è piaciuto parecchio. In particolare trovo che si sposino benissimo musica e immagini, un abbinamento perfetto dalla prima all'ultima scena del film.
Se però si prende in considerazione la sola parte musicale le cose vanno molto peggio: l'album Strange Days, infatti, mi lascia nel suo complesso assai poco entusiasta. Se il tono duro e martellante di gran parte del cd accompagna benissimo la storia, dal ritmo incalzante e a tratti incandescente (in parti-colare nella seconda parte), preso in solitu-dine si rivela semplicemente ossessivo e pe-sante.
Detto questo, veniamo però al brano che coinvolge direttamente Peter, e che nel film è utilizzato solo per lo scorrere dei titoli e dei credits finali, While The Earth Sleeps.
Ho scritto intenzionalmente "che coinvol-ge" e non "di", perché è in questa chiave che lo interpreto. Si tratta cioè - almeno credo - di un pezzo scritto proprio dai due Deep Forest (Eric Mouquet e Michael San-chez), chiedendo a Peter di cantare alcune delle stesse parole pronunciate da Kate Pe-trova, "Dali Snaez Mila Majko...".
La voce di Peter (assolutamente magistrale, ça va sans dir!) è stata a quel punto cam-pionata e manipolata, per arrivare al risul-tato finale. Che dire? Non sono, ovviamen-te, d' accordo con Mario Giammetti che su Dusk liquida lapidariamente il tutto come spazzatura. Non è neanche un capolavoro, sia ben inteso, ma credo che costituisca in ogni caso un esperimento interessante, e che in particolare la Long Version conte-nuta nel singolo (uscito a quanto ne so sola-mente in Germania, Italia e Olanda), abbia alcuni passaggi in "gabrielese" nient'affatto disprezzabili.
Ripeto: non mi sembra un brano di Peter ma dei Deep Forest, e questo costituisce la di-scriminante essenziale. Se per chi ama il Gabriel più classico e tradizionale la struttu-ra ritmica e melodica di While The Earth Sleeps può risultare non del tutto convin-cente o addirittura estranea, si tratta però di un insieme che ha come indubbio merito quello di creare un appeal immediato fra gli ascoltatori più "disattenti". Può darsi sia questo il lato che non piace a Mario, ma al di là di ogni disquisizione filosofica sui me-riti o meno della radiofonicità della canzo-ne, mi sembra che il pezzo regga tranquilla-mente e anzi superi alla grande qualsiasi sperimentazione sia rintracciabile fra i solchi di Sussudio o di Invisible Touch!
In questo caso vi risparmio le mie pseudo critiche cinematografiche, visto che il film non mi risulta ancora uscito in Italia e davvero non ne so nulla. La colonna sonora nel suo complesso mi è per di più totalmente indifferente, e confesso di averla ascoltata per intero una volta soltanto. Meglio fissare il lettore di cd sul repeat di Party Man, brano attribuito a The World-beaters and Peter Gabriel.
Più che una canzone completa - nonostante rispetto alle due precedenti questa sia la più profondamente gabrielliana - la mia impres-sione è che si tratti ancora una volta di un bozzetto, di un'idea ancora solo accennata tirata fuori e completata in fretta all'ul-timo momento per soddisfare la richiesta di regi-sta o produttore del film.
Non è infatti una caratteristica di Peter quella di adoperare la stessa linea melodica (peraltro eccellente), ripetendola uguale a se stessa così tante volte, con appena qual-che contrappunto di chitarra e tastiera a dif-ferenziare le strofe l'una dall'altra (o per meglio dire da se stessa...).
Mi rendo conto di aver scritto canzone ga-brielliana prima e non da Peter poi, ma alla fin fine la dicotomia è abbastanza evidente e non per questo meno vera.
La progressione è intrigante - anche se mai abbastanza per i miei gusti - e sono convinto che se Peter ci avrebbe dovuto lavorare sopra ulteriormente, magari "aprendo" e dando respiro al pezzo anziché riutilizzare gli stessi elementi da capo.
Anche il testo, pure questo ripetuto a oltran-za, è abbastanza ambiguo e criptico:
Soldier up upon this high wall
Looking at the streetlights
All spread out like a banquet
Why is this room so silent
Only when I'm moving
No direction chosen
Rolling over emotion
Yes I'm your party man
(Soldato che dall'alto di questo muro
Guardi le luci della strada
Sparse come una tavola imbandita
Perché questa stanza è così silenziosa
Solo quando mi sto muovendo
Senza aver scelto alcuna direzione
L'emozione che mi scorre addosso
Sì, sono il tuo uomo di partito)
Premetto che ho trascritto ad orecchio e che in questi casi spesso toppo, ma all'inizio non capivo cosa c'entrasse l'uomo della festa con il soldato che osserva la strada. Poi ho pensato che party man si traduce anche con uomo di partito, ma nonostante questo non è che il senso sia un gran che più chiaro. In fondo lo prendo solamente come un piccolo affresco, in cui Peter ha semplicemente legato insieme alcune immagini.
Per ultimo, autori ed esecutori: il brano è firmato, oltre che da Peter, da George A-cogny (già produttore di Youssou in "The Lion", e co-produttore delle prime due ver-sioni di Shakin' The Tree), e da Tori Amos. Il ruolo di quest'ultima, così come chi si na-sconda dietro l'etichetta di The Worldbea-ters non ci è però dato sapere, anche per-ché il booklet del cd non vi fa alcun accen-no (e altrettanto Real World Notes!)...
Solo qualche breve annotazione su questo cd, di fattura interamente italiana. I più patiti di voi ricorderanno che sul quarto album, fra i collaboratori di Peter, era appunto citato il nome di Laneri in The Family And The Fishing Net (gli era attribuito un sax "trattato"): qualcuno mi scrisse tempo fa chiedendo di chi si trattasse, e su un vecchio Intruder risposi che ne sapevo poco, se non che fosse uno sperimentatore di strane tecniche vocali (in-formazione desunta da un vecchio program-ma tv cui Laneri era stato ospite).
Bene, ecco che Laneri si presenta (non ho idea se esistano altri suoi lavori discografi-ci) proprio con un pezzo che ben cono-sciamo: Jung In Africa. L'operazione è ab-bastanza curiosa, perché non si tratta né di una collaborazione né di una cover. In so-stanza, Laneri ha riutilizzato la base che Peter aveva preparato a suo tempo per The Rhythm Of The Heat (per chi non lo sapesse Jung In Africa era appunto il working title della canzone) elaborandola ulteriormente e aggiungendo voci (senza alcun testo) molto raffinate e leggere, che rendono il pezzo quasi "ambient". Mancano qui del tutto le parti cantate e percussive, e pur in una chiave del tutto diversa rispetto all'originale, personalmente apprezzo pa-recchio questo lavoro. Lo stesso dicasi per il resto del cd, che offre alcuni momenti inte-ressanti.
Esordisco con un riassuntivo ma sincero consiglio: non perdetevelo. Secondo i miei piani iniziali avrei voluto dedicare al disco d'esordio di Paula più spazio, ma al mo-mento di scrivere questa recensione sono arrivato agli sgoccioli delle pagine disponi-bili e mi limito a qualche appunto generico.
"Harbinger" - che significa messaggero, precursore - è davvero un bel disco di mu-sica rock. Niente di progressivo o tantome-no di trasgressivo (cosa che oggi sembra, più che necessaria, indispensabile perché un album abbia successo o comunque arrivi all' attenzione dei media - anche nel caso di lavori interessanti come quello di Alanis Morissette, tanto per fare un esempio). Solo 14 canzoni che oscillano fra dolci ballate e pezzi più duri, senza mai esagerare in un senso o nell'altro, 14 piccole storie - credo si possa dire autobiografiche - ognuna con una sua fortissima personalità e una sua particolarissima anima.
La voce di Paula è quella che ormai ben conosciamo dal tour con Peter: forte e po-tente, drammatica là dove necessario, ma anche estremamente dolce e con una patina di sensualità se l'occasione lo richiede. Non è una voce particolarmente distintiva, nel senso che non ha i toni caratteristici e parti-colari che possono avere Kate Bush, Tori Amos, o Toni Childs - solo per citare alcuni dei nomi che avete già incontrato su queste pagine: eppure rimane impressa, non la si confonde, risulta sempre in gradevolissimo equilibrio.
Anche i musicisti che la accompagnano, per quanto siano a me sconosciuti, assolvono il loro ruolo con cura e pregevolezza.
Se dovessi riasumere ulteriormente tutto ciò in uno slogan, userei le parole con cui Peter introduceva i Call nel suo tour del 1983, che per Paula sono altrettanto perfette: "musica che viene dal cuore".
+ Fra i brani presenti nell'ultimo lavoro di Herbie Hancock, "The New Standards", composto quasi per intero di brani rock riar-rangiati e quasi riscritti in chiave di standard jazz, figura anche Mercy Street. Non sono un patito di questo genere musicale, ma la versione è comunque interessante, proprio perché si tratta di qualcosa di più di una cover, in cui nonostante l'arrangiamen-to sia completamente diverso la melodia è ancora riconoscibile,.
+ Si moltiplicano i gruppi e i musicisti che "coprono" il materiale di Peter. Mentre dei quattro di Venezia potete leggere un box specifico, segnalo qui solo brevemente i fio-rentini Ratta Voloria e gli australiani Sledgehammer.
I primi si sono esibiti al Tenax di Firenze lo scorso 30 marzo, in occasione della nuova edizione di Ululati dall'Underground - mostra/rassegna dedicata ai fan club e alle fanzine musicali di tutta italia coordinati dal mitico Giancarlo Passarella (quello che "approva" Intruder nel logo pubblicato a pagina 1). Non sono riuscito a parlare con loro perché al termine dell'esibizione siamo dovuti schizzar via e ripartire per Milano dove il giorno successivo alcuni di noi ave-vano da lavorare, ma so che almeno il can-tante e un altro dei componenti del gruppo (sono in quattro: il cantante/bassista, chitar-ra, tastiere e batteria) fanno parte anche della prog band Il Trono Dei Ricordi.
La loro esibizione è partita con Watcher Of The Skies, passando attraverso Firth Of Fifth e The Lamb/Musical Box dei Genesis per arrivare a The Rhythm Of The Heat, I Have The Touch, Sledgehammer e Digging In The Dirt. Complessivamente l'impatto sonoro è abbastanza interessante, anche se sembra che alcune partiture siano state quasi ri-scritte e non sono - per scelta - particolar-mente fedeli agli originali. I Ratta Voloira non ripropongono infatti il materiale ma lo reinterpretano piuttosto personalmente: e questo se da una parte è un indubbio merito, dall' altro offre però il fianco a qualche spunto critico.
Degli Sledgehammer dico per ora solo che eseguono (come i nostrani Hammer Deco-de) l'intero spettacolo del Secret World Live Tour e che possiedono una loro home page su Internet (come i nostrani Hammer Decode...!). In futuro conto di darvi mag-giori ragguagli.
+ Sempre in tema di Secret World: lo scorso 28 febbraio si è tenuta la cerimonia di premiazione dei Grammy Awards 1996. Peter non ci ha regalato una nuova esibizio-ne come quella del 1994 (spezzoni della quale sono rintracciabili su "All About Us" e su "Xplora 1"), e anzi da quel che so non ha neanche partecipato personalmente all'evento. Il video di Secret World Live ha però vinto nella categoria miglior video mu-sicale di lunga durata. Altro premio raccolto dalla cassetta è quello della tv via cavo statunitense ACE, che gli ha assegnato un riconoscimento per la miglior fotografia in un concerto o evento speciale.
+ Al momento di chiudere questo numero non si avevano ancora notizie sul sito Web di Peter & Company. Dallo scorso dicembre "Radio Real World" ha occupato il suo spa-zio con una pagina che dice semplicemente che prima o poi qualcosa succederà, anche se l'unico happening, al momento, è l'immagine di una vecchia valvola radiofo-nica animata che emette dei simpatici rag-getti...
+ Il 28 aprile si terrà allo Universal Am-phitheater di Los Angeles lo show di pre-miazione dei "VH 1 Honors". VH 1 è u-na tv musicale che fa capo alla stessa proprietà di MTV (la Viacom International), ma che si rivolge ad un pubblico più maturo (14-25enni MTV, 25-40enni VH 1) ed è presente anche in Europa attraverso il satellite Astra (ne esistono tanto una versione inglese, VH 1, che una tedesca VH-1), anche se non so se lo show verrà trasmesso in diretta oppure in replica anche dai nostri cieli. Peter ha accettato comunque di partecipare, ma solo a condizione che l'intero incasso della serata venisse devoluto a Witness, l'associazione che ha contribuito a fondare (insieme alla Reebok Foundation e dal La-wyers Committe for Human Rights) e che si occupa di distribuire ai gruppi locali di vo-lontari per la tutela dei diritti umani fax, te-lecamere e altri media per testimoniare ogni tipo di violazione in qualsiasi parte del mondo queste avvengano. A questa richiesta di Peter VH 1 ha esitato un po', ma poi ha chiesto agli altri ospiti se la cosa poteva stargli bene: nessun problema con Michael Stipe (anche lui membro di Witness), Joan Osborne, Don Henley, Natalie Merchant, Rod Stewart e Nusrat Fateh Ali Khan, e lo show si farà.
Ciò che succederà non è ancora chiarissi-mo, ma i comunicati ufficiali parlano di live performance da parte degli ospiti - ed io già sogno cose tipo una nuova versione di Pas-sion (ma mi accontenterei anche di Tabo-o...) con Peter e Nusrat!
+ Ancora in tema di eventi televisivi. Lo scorso 8 dicembre, si sono tenuti a New York i Billboard Music Awards. Fra i pre-miati, anzi, principale premiata della serata con una speciale targa per l'intero arco della sua carriera, era Joni Mitchell. Peter ha avuto l'incarico di tenere un breve di-scorso sui meriti artistici di Joni, ha poi pre-sentato un breve filmato che la riguardava e le ha materialmente consegnato il premio. (Fra parentesi: sono già leggenda i laccetti che gli penzolavano dal giaccone fino ai piedi - stesso giaccone che gli vedete, spe-ro, nelle foto di Venezia).
+ A proposito del box dei Genesis: per chi ancora non lo sapesse, Peter ne ha fatta un' altra delle sue ricantando in studio le parti vocali della versione live di Supper's Ready che non lo soddisfacevano oltre a rifare in-tegralmente le parti di voce del concerto di The Lamb che dovrebbe apparire per intero nel fatidico box (no, non ho ancora la più pallida idea di quando uscirà...). Originalmente registrato allo Shrine Auditorium di Los Angeles il 24 gennaio del 1975, il concerto di The Lamb è già almeno parzialmente noto ai collezionisti di bootleg (in vinile o in cd) tratti dal broadcast radiofonico dell'epoca, ma anche per il singolo ufficiale di Carpet Crawlers la cui b-side, Evil Jam, era appunto The Waiting Room live allo Shrine).
Da quanto apprendo su Internet, però, solo meno della metà del "ricantato" di Peter verrà utilizzato nel remissaggio del nastro live di The Lamb. Per quanto riguarda it, in-vece, visto che la versione live a giudizio degli stessi Peter e Tony era davvero pessi-ma, è stato deciso di utilizzare il nastro ori-ginale di studio, remissato anch'esso, con la nuova voce di Peter.
Quale sia il senso dell'operazione (reinci-de-re le parti cantate di un concerto tenutosi 20 anni prima...) sfugge a qualsiasi mortale. Non basta come giustificazione che per qualcuno (non so chi) il cantato in The Lamb era particolarmente difficile a causa delle maschere che impedivano a Peter di rendere al meglio. E non mi consola neanche il fatto che pure Steve Hackett abbia rifatto un bel po' di parti di chitarra - sia in The Lamb che sul finale di Supper's Ready.
La mia opinione rimane sempre che Peter e il materiale "live" andrebbero rigorosa-mente tenuti lontani!
+ Tori Amos e Peter, dopo aver co-firma-to Party Man, stanno ancora lavorando insieme a del nuovo materiale: lo ha annunciato la stessa Tori a Milano lo scorso gennaio, nel corso della conferenza stampa di presentazione del suo ultimo album "Boys For Pele". Tori ha raccontato che a dispetto della sua formazione classica, e quindi mol-to solitaria, sta cercando di imparare a colla-borare con gli altri musicisti, e che da questo punto di vista Peter e Michael Stipe dei REM la stanno aiutando moltissimo, sedendosi al piano accanto a lei e quasi "costrin-gendola" a lavorare a quattro mani. Ha anche raccontato un episodio in cui sembra che Peter si sia molto arrabbiato con lei e che per calmarlo gli abbia dovuto cucinare due uova...
Al di là dei pettegolezzi, comunque, il pez-zo che Tori e Peter stanno scrivendo insie-me (e che in teoria dovrebbe essere desti-nato al prossimo album di Peter) era all'epoca ancora incompleto, ma sarebbe andata a Real World di lì a qualche giorno per portarlo a compimento.
+ Per la serie di tutto di più: Gabriel è il nome/titolo di una serie a fumetti in sei vo-lumi pubblicata dalla Max Bunker Press che ha per protagonista una suora in cui (al-meno credo - ho letto solo il N°1) si rein-carna un angelo rendendola una specie di mistico super-eroe! Non bastasse tutto ciò, il primo episodio (di cui trovate da qualche parte un'immagine della copertina) si inti-tolava "Genesi"...
+ Finiamo in gloria. Segnate infatti sulle vostre agende la data, da non perdere, del prossimo show live di Peter. Gli accordi so-no stati infatti già presi e confermati, ma re-stano due problemini: il minore è che non si sa ancora dove l'evento avrà luogo; più grave è che il concerto sarà per il Cin-quantenario di Amnesty International. Co-me? non sapete in che giorno dell'anno questo cada? Facile, il 10 dicembre, Di che anno dite? Ahimè del 1948, che sommato a 50 dà il triste risultato di 1998....