peter gabriel - intervista esclusiva

AL CUORE DELLA TECNOLOGIA

 

Partiamo con una provocazione: fino ad oggi mi sembra che tutti i "prodotti" Real World abbiano viaggiato in un'unica direzione. Nei tuoi e nei vostri dischi in genere troviamo infatti ritmi africani, cori asiatici o musiche comunque "mondiali", e così i Womad Festival che organizzate da 15 anni a questa parte e che sono serviti a introdurre queste musiche ai pubblici occidentali. Oggi che si parla così tanto (e così spesso a sproposito) di superstrade informatiche e di internet come di un mezzo capace di rivolgersi a milioni e milioni di persone, non è forse giunto il momento di provare a "restituire" qualcosa a quei paesi? di iniziare a pensare che la musica e l'arte "occidentali" potrebbero cominciare a rivolgersi ad un pubblico che non sia sempre lo stesso?
Se intendi dire che ancora non riusciamo a uscire dai nostri confini e raggiungere il resto del mondo sono d'accordo con te. Mi sembra infatti che uno dei problemi più cruciali che dovremo affrontare nei prossimi anni, sia far sì che le tecnologie non restino solamente nelle mani dei paesi più avanzati ma arrivino anche in quelle delle nazioni in via di sviluppo. Sono sicuro che questa sia una reale possibilità: se prendiamo il caso di Bill Gates, che è diventato l'uomo più ricco del pianeta proprio grazie a Microsoft e al software che ha inventato, ci accorgiamo che lui da solo è più ricco di intere nazioni... Perciò è necessario trasferire ai paesi più poveri quel genere di capacità creative, che già in parte esistono, insieme alla possibilità tecnica di processare le informazioni.
Ho sempre sognato che in qualche modo si potessero letteralmente far "cadere" dal cielo dei pacchi contenenti computer, energia solare, telefoni e collegamenti via satellite... perché ciascun villaggio fosse affrancato dai problemi di approvigionamento energetico del suo paese, dai problemi di cavi e linee telefoniche e libero da qualsiasi forma di censura, e potesse comunicare direttamente con il mondo esterno. Credo sinceramente che tutto questo sia realizzabile in un breve arco di tempo, dai tre ai cinque anni, ossia dal momento in cui i ragazzi di quei villaggi avranno avuto la possibilità di imparare ad adoperare tutto ciò: basterebbe solo questo per essere esattamente alla pari con chiunque si trovi, che so, a New York piuttosto che a Berlino. Non possiamo nasconderci che esiste un problema di ambiente culturale, ma in termini di essere fornitori o processori di contenuti e di informazione potrebbero competere con chiunque.
Un altro dei problemi da affrontare è quello del condividere con il resto del mondo la stessa lingua: ma anche questo può essere risolto, perché già oggi in moltissime di queste nazioni si parla inglese, spagnolo, portoghese o cinese. Allora si potrebbe davvero diffondere la tecnologia ovunque, e letteralmente diffondere, attraverso questo processo, anche ricchezza.
Tutto questo però è ancora in buona parte un sogno, e gli ostacoli rimangono non dico insormontabili ma sicuramente assai difficili da superare...
Certo, è ancora un sogno ed è difficile da mettere in pratica. Comunque, nella maggior parte di queste nazioni esistono delle università che già ora sono collegate a Internet. Si tratta di rendere questi collegamenti molto più aperti e disponibili: per esempio garantendone a chiunque l'accesso una volta che nell'università non ci sono più studenti, anche se questo può significare solamente la fascia fra le tre e le sette della mattina. Sarebbe in ogni caso un accesso.
Ci sono anche altri punti di vista da considerare: recentemente la madre di un mio amico si è ammalata di un cancro particolarmente raro, così ho messo in rete una richiesta di informazioni su possibili cure. Il giorno dopo avevo già ricevuto otto risposte con sugge-rimenti di dottori, cliniche e farmaci! In questo senso, ed è solo un esempio, per la gente che sta in ospedale - che debba solo andare in fondo a un corridoio per collegarsi, o meglio ancora se potesse farlo dal proprio letto - si tratta di strumenti il cui potere è realmente fantastico! Tutto ciò è di fondamentale importanza quanto e più della creatività. Che si tratti di ricchezza artistica piuttosto che ricchezza economica, sono convinto che la ricchezza seguirà comunque la tecnologia, per questo è necessario diffonderla e renderla realmente democratica.

Non si può non essere d'accordo con tutto ciò, ma non posso fare a meno di pensare che...
Che in realtà questo genere di prodotti continui a costare troppo...

Non solo: soprattutto credo che quello che hai descritto sia un processo particolarmente arduo da attivare da un punto di vista macroeconomico, perché una cosa è pensare di far cadere dei pc su tutti i villaggi africani, ma farlo è tutta un'altra cosa!
E' vero. Ma mi è capitato di parlare con alcune persone che hanno già avviato progetti simili a questo, anche se su scala diversa e non casi "isolati", villaggio per villaggio. Quel che succede è che di solito le grandi donazioni sono sempre a favore di grandi governi o grandi organizzazioni: raramente quei fondi arrivano alla gente più "piccola". In un certo senso sono convinto che la tecnologia funzioni meglio a livelli molto più diretti e semplici. I russi, ad esempio, avevano provato a impedire la diffusione dei fax perché sapevano che attraverso di essi la gente avrebbe cominciato a ricevere informa-zioni che loro non volevano ricevesse. Ma è stato impossibile. Ci sono stati numerosi tentativi di fermare questi processi nel corso della storia. Solo qualche anno fa, qui in Inghilterra, Margaret Thatcher ha fatto di tutto per impedire lo sviluppo della tv via satellite, perché in quel modo il governo non avrebbe più potuto controllare ciò che entrava nelle case della gente comune. Così è anche con internet: non ci possono essere controlli, nessuno può regimentarla, e credo che ciò sia fantastico.
Perciò, sì, è vero che spargere la tecnologia ovunque è un sogno idealistico, ma sono sicuro che almeno in parte sia destinato a realizzarsi: ci sono molte persone che arrivano dai paesi più poveri in quelli più ricchi per studiare e riportare a casa ciò che hanno imparato, e che si rendono già perfettamente conto di quanto importanti saranno i computer per il futuro loro e per quello di tutti...
Oggi siamo ancora costretti a chiedere un bel po' di soldi per questi cd-rom: ma ciò che oggi costa 35 sterline o giù di lì nell'arco di pochissimi anni arriverà a costarne 5. Ora come ora, purtroppo, per avere la possibilità di continuare a fare questo genere di cose dobbiamo per forza chiedere cifre elevate, almeno per recuperare ciò che abbiamo investito (nel caso di "Eve" ben 2 milioni di dollari: ndr). Ma tutto questo cambierà, perché ogni anno, a Natale, in tutto il mondo si vendono 10 o forse 15 milioni di nuovi lettori di cd-rom...

Che oltretutto diventano sempre più capaci e più veloci...
Verissimo. Paradossalmente uno dei problemi è proprio questo continuo sviluppo delle tecnologie. Siamo ancora in una fase intermedia: per tirar giù da internet tutti i contenuti di un cd-rom come Eve ci vorrebbero settimane... è ancora troppo lenta. In futuro, perciò, credo che si arriverà a questa specie di ibrido fra on line e off line e che già dalla prossima generazione le persone disporranno a casa propria di una sorta di dizionario su cd-rom, con la possibilità di prelevare dalla rete un "programma di poesia" che assemblerà e combinerà le parole del loro cd in modi via via differenti... Mi sembra una buona analogia per descrivere il modo in cui i due campi lavoreranno insieme, con la possibilità di incorporare la parte principale delle informazioni su disco, ma allo stesso tempo con l'opportunità di incrociare ed arricchire queste informazioni attraverso internet..

A fronte di tutto ciò, in conclusione,quali sono le ragioni che hanno spinto anche voi a entrare su internet? Come pensate di utilizzare questo nuovo strumento?
Innanzitutto la motivazione è di business. Per ora, cioè, dipendiamo ancora dalla catena distributiva: come molte altre Real World è solo una piccola casa discografica che rischia ogni volta che una delle etichette più grandi - Virgin, nel nostro caso - non apprezzi un nostro artista o una nostra produzione e pertanto decida di non lavorarci su, di non promuoverlo. Lo stesso vale per la vendita al dettaglio: se a qualcuno non piace un nostro prodotto sarà difficile che lo tenga sugli scaffali del suo negozio, o che una volta venduta la prima ne ordini più copie... Può darsi però che attraverso questo canale riusciremo a raggiungere persone che questo tipo di musica sono in grado di apprezzarla, ma che finora potrebbero non averne neanche mai sentito parlare.
Secondo me, insomma, riuscendo a instaurare un buon contatto con gente di ampie vedute, attraverso internet avremo la possibilità di distribuire capillarmente e direttamente i nostri prodotti, senza i soliti filtri intermedi. In realtà anche noi costituiamo una specie di filtro - e perciò non è mia intenzione dare tutte le colpe a qualcun altro - ma credo che nel nostro caso si riesca ad ottenere un link assai più diretto fra artista e utente finale, che di solito si trovano ai poli opposti della catena.
Certamente nella rete c'è e ci sarà sempre un mare di materiale il cui 90% sarà assai poco interessante - come la maggior parte delle cose nella vita - ma se sapremo trovare dei buoni meccanismi per filtrare questo oceano di informazione, i benefici non mancheranno.

Restando in tema di tecnologia, e visto che uno degli articoli che scriverò a proposito di questa giornata è per un mensile specializzato sul mondo Macintosh, puoi raccontarci qualcosa di come usate il Mac qui a Real World e di quanto ciò influisca sul vostro lavoro?
"Puoi entrare in qualunque stanza di Real World ed essere praticamente certo di trovarne uno... dobbiamo averne ormai più di un centinaio - un numero spropositato. Ma in realtà ho iniziato ad adoperare il Mac molto tempo fa, fin dagli inizi: è stato Larry Fast (il tastierista/programmatore che ha accompagnato l'intera produzione solistica di Gabriel nel decennio '76-'86: ndr) a farmi conoscere uno dei primissimi modelli, e già allora era uno strumento davvero notevole, quando il logo Apple non era ancora l'ormai classica mela. Solo quest'anno, per la prima volta, abbiamo visto un piccolo portatile della Toshiba - credo si chiami "Satellite Pro" o qualcosa del genere - che mi ha fatto pensare "Aha! forse ce la stanno facendo... [a superare il Mac]!". Ma continuo a ritenere che sotto il profilo creativo ci siano a disposizione oggi e continueranno ad esserci per un po' molte più soluzioni basate su Mac che su pc. Per esempio, musicalmente, per il prossimo disco ho all'incirca una settantina di idee cui sto lavorando sul Mac attraverso un programma chiamato Emagic. E anche una gran parte del lavoro su "Eve" è stata elaborata e sviluppata su Mac. A dir la verità Starwave ha un programmatore che si chiama Michael Coyote che ha costruito del software apposito - chiamato Doctor Suss (se ho capito bene le parole pronunciate da Peter... ndr) - capace di ottenere una compressione del suono live di qualità parecchio superiore a quella della maggior parte degli altri sistemi, e lo stesso per le immagini, che con il suo metodo sono assai migliori di quelle ottenibili con gli standard tradizionali: tutto questo Coyote lo ha realizzato su una piattaforma pc, ma da questo lato dell'oceano (Starwave ha la sua sede a Los Angeles: ndr) il nostro lavoro è stato interamente sviluppato su Mac".

E' difficile, dopo una giornata come quella di oggi interamente dedicata a "Eve", chiederti qualcosa sugli altri due cd-rom che so state sviluppando qui a Real World: ma puoi darci comunque qualche anticipazione?
"Ce n'è uno che è basato attorno a un libro di Nick Bantok - "Griffin & Sabine" - e che è una sorta di epistolario fatto di lettere d'amore, in un certo senso... Una storia d'amore misteriosa... E su questo tema stiamo costruendo un cd-rom nel quale figurano le voci di Paul McGann e di Isabella Rossellini, e sul quale sta lavorando Alex Mahyew, un bravissimo artista interattivo che ha inoltre realizzato alcune delle illustrazioni. Inoltre ....?.... (il vento ha coperto nuovamente le parole di Peter sul nastro... ndT) e Josh Portway sono particolarmente interessati al lavoro multimediale, e quest'ultimo in particolare sta lavorando a una sorta di cd di world music che è un gioco, almeno in parte, nel senso che è un modo divertente di avvicinarsi alla world music e nel quale ci sono parecchie cose interessanti. Si tratta in ambedue i casi di progetti piuttosto impegnativi, lenti e costosi, e in realtà la nostra intenzione per il futuro è quella di occuparci di cose più semplici, piccole e poco costose..."

Questa è una cosa che ti ho già sentito dire piuttosto spesso...
"Beh, è vero, lo so... ma succede sempre che si parte con un'intenzione e si arriva da un lato esattamente opposto: si continua a pensare che questo o quell'altro potrebbe essere migliorato se solo si provasse a farlo in un'altra maniera, e così passano tre mesi... E se provassimo a realizzarlo interattivamente...? e trascorrono altri tre mesi ancora... Mi spiego con un esempio relativo ad "Eve" e alle pagine delle interactive music xperiences, in cui c'è la musica alla base e sullo schermo tutti questi insetti che corrono qua e là. All'i-nizio la cosa non mi soddisfaceva musicalmente, perché era praticamente impossibile riuscire a cliccare sulle cose a tempo: quando un insetto corre a gran velocità sul tuo monitor è difficile centrare la farfalla nell'angolo a sinistra sul terzo accento della settima battuta! Perciò abbiamo deciso di disegnare le pagine con i "bottoni" che sono delle interfacce più semplici rispetto alle altre, in modo che si potesse scegliere l'uno o l'altro approccio. Oppure ancora, quando abbiamo visto alcuni dei lavori fatti appositamente dagli artisti, poiché sullo schermo continuavano a succedere cose di ogni tipo non si riusciva a gustare fino in fondo, a "sentire" il lavoro in se' e per se': per questo abbiamo deciso di inventare le gallerie in cui si può semplicemente entrare e visionare le opere degli artisti con un minimo di interattività e di movimento, ma all'interno delle quali in realtà non succede molto altro che possa distrarre. In entrambi questi casi si è trattato di reali miglioramenti, ma in entrambi i casi ci sono voluti tempo e soldi".

Toglimi una curiosità: alla fine, in realtà, sei mai veramente e completamente soddisfatto delle cose che vengono pubblicate?
"Sì, a volte sì... soprattutto quando riesco a metterci dentro molta emozione, anche se sento sempre cose che in realtà avrei potuto migliorare ulteriormente. Credo però, rispetto al passato, di essere oggi molto più pronto e capace di passare oltre..."

E' questa la ragione per cui per esempio ti sei rimesso al lavoro su un pezzo di quasi quindici anni fa come I Have The Touch?
"Sì, esattamente. Nel caso specifico c'è stato qualcuno che me l'ha proposto - Robbie Robertson, che conosco ormai da diversi anni - perché la canzone gli piaceva molto e chi ha fatto il film voleva a tutti i costi adoperarla anche considerava alcuni dei suoni un po' troppo "elettronici", è questo il termine che hanno usato. Allora mi hanno chiesto se avevo voglia di fare un nuovo tentativo, magari chiamando qualche musicista diverso o provando a fare le cose in modo un po' differente: io ho risposto che andava bene, ma che avevo già una versione sperimentata all'epoca con Simon Phillips alla batteria e che aveva un approccio diverso e si sarebbe potuto rielaborare quella. Così ci ha messo su le mani prima Daniel Lanois, poi ho provato a farci qualche cosa io, poi Robbie Robertson... e alla fine i produttori hanno mixato insieme pezzetti di tutti questi tentativi in un'unica versione finale. Che ne pensi? Ti piace quella o c'è qualche altra versione che preferisci?

Personalmente trovo che, oltre a quella "canonica" del quarto album, le più interessanti siano le versioni in tedesco e quella "extended" uscita nel 1985 come retro del mix di Walk Through The Fire, con il lungo ponte strumentale fra la seconda e la terza strofa... Ad ogni modo, questo discorso mi fa venire in mente un altro argomento, quello dei brani inediti e del lavoro che hai fatto e continui spesso a fare insieme ad altri artisti: hai mai considerato un box set o qualcosa del genere, in particolare oggi che a quanto pare tutti tirano fuori dai propri cassetti materiale inedito e spesso sconosciuto - cosa che sta per succedere (mah!!!) per i Genesis, progetto al quale anche tu hai collaborato?
"Sì, a un dato momento... so che dovrei farlo una volta o l'altra... Perché credo che alcuni dei demo abbiano uno spirito molto particolare, e ci sono cose delle quali mi sento molto soddisfatto perché sai, ci sono diversi arrangiamenti in cose come In Your Eyes che la gente conosce molto bene ma che sono state sentite solo in due versioni, quella dell'album e quella dal vivo (non sono stato qui a puntualizzare che in realtà ce ne sono altre due versioni su singolo - il remix e lo special mix del 12" tratto da So - e che di quelle dal vivo, oltre a non essere ancora mai stata pubblicata decentemente una versione "definitiva" tipo quella con Youssou del 1987, esistono però tante versioni spesso diversissime per quanti ospiti ha avuto ai suoi concerti: da Geoffrey Oryema a Remmy Ongala, da Ayub Ogada a Papa Wemba, da Lucky Dube all'ultima con Michel Stipe, Nusrat, Joan Osborne eccetera... ndT). In realtà c'erano probabilmente altre quattro o cinque, o dieci o dodici direzioni differenti che abbiamo provato a registrare all'epoca, e mi piacerebbe che in alcuni casi la gente potesse sentire tutti questi approcci diversi e scegliere per conto suo qual è la sua preferita".

Puoi raccontarmi qualcosa a proposito del concerto per Witness dello scorso aprile: quando ho ricevuto il video l'ho trovato letteralmente esplosivo, in particolare per il nuovo brano - Signal To Noise - e il lavoro con Nusrat...
"Sì, è stato molto bello. In realtà non avevo previsto di avere Nusrat come ospite nel mio set fin dall'inizio. Ma non siamo riusciti a persuadere gli organizzatori a lasciare che Nusrat cantasse uno dei suoi brani. Perciò ho pensato: ok, bisognerà trovare qualcosa di mio per farlo partecipare. Ero abbastanza nervoso perché si trattava di una cosa nuova, e io non eseguo mai, normalmente, qualcosa che non sia stato ancora registrato".

Scusa se ti interrompo, ma in realtà una volta, almeno nei primi anni della tua carriera solista, lo facevi spesso. Ad esempio con le cover dei pezzi di Marvin Gaye (I Heard It Through The Grapevine e Ain't That Peculiar) o con canzoni come Why Don't We, Nothing (poi Not One Of Us), Get On Back (poi Family Snapshot), Milgram's 37 e I Go Swimming, o anche l'ultima Lovetown...
"Già, è vero... Ma tornando a Nusrat è stata un'esperienza molto bella. Anche se il suono della trasmissione televisiva originale non era un granché e abbiamo deciso di remixarla - e la nuova versione mi sembra suoni molto meglio".

Pensi che uscirà prossimamente o hai deciso di tenerla per il prossimo album?
"Credo che sarà sull'album, sì. E ora potrei anche decidere di farla proprio con Nusrat, cosa alla quale non avevo pensato inizialmente. In realtà, in origine il brano aveva una strofa completamente diversa: l'ho riscritto appositamente per la performance, in modo che si conciliasse assai meglio con lo spirito di Nusrat".

Mi puoi raccontare qualcosa di tutte le tue collaborazioni con altri musicisti? Intendo dire che molte volte in passato hai definito questa esperienza come un processo di apprendimento, e credo di aver letto una bella frase di Ayub Ogada secondo il quale "lavorare con gli altri significa più imparare a conoscere se stessi che non dare qualcosa di sé agli altri". Da questo punto di vista, cosa rimane a te dal collaborare con tante e così diverse personalità, per esempio gli artisti contemporanei che hanno partecipato a "Eve": come riesci a riassumere il tutto puntando il dito e affermando per esempio "oggi ho imparato questo o quest'altro"?
"Non è tanto una questione di esaminare analiticamente il tutto e farne il "punto". Per me, credo, è un fatto che si ritrova più semplicemente quando torno al mio lavoro: credo che automaticamente ci si trovi ad osservare come gli altri artisti fanno le proprie cose e come ci si "sente" a lavorare insieme ad altri musicisti. Perciò si tratta in realtà di una cosa molto sottile. Non ha senso pensare "oggi vedrò come si può usare questo nuovo tipo di tamburo e così domani potrò farlo anch'io", perché sai che ovviamente non sarà possibile se quel qualcuno da cui dovresti imparare ci ha messo vent'anni per farlo. Ma se invece si filtra l'intera esperienza in modo particolare e si riesce a trovare un suono preciso e definito a quel punto diventa lecito anche pensare: "Ok! Questo posso usarlo!". Ed è questo il mio approccio".

©the.intruder, 1996