Martedì 12 gennaio
Sul pulman 58. Testimonianza di Mariavìttoria
Siamo un po' trafelati, come
sempre quando arriviamo alla fermata dell'autobus che ci deve portare a
scuola.
Di solito è tardi,
i bambini a fine mattinata sono stanchi ed io sono preoccupata che non
siano imprudenti attraversando la strada, non parlino a voce troppo alta,
e non si facciano dispetti che possano degenerare in litigi.
Fa freddo, ma c'è
il sole, abbiamo camminato velocemente per raggiungere il capolinea dei
58 e siamo un po' accaldati.
In via Bertola il pulman
non c'è ancora ed il sudore si congela in un'attesa eccessiva che
fa brontolare tutti i presenti e sgomitare i bambini nello, spazio ristretto
della pensilina.
Finalmente ne arrivano ben
due, saliamo sul primo e ci sentiamo in salvo, ma non basta ancora. Il
nostro pulman non parte, è guasto, si deve cambiare, dobbiamo ridiscendere
e risalire su quello seguente.
L'umore collettivo non è
dei migliori, la fame incalza, il ritardo si accumula. Il secondo pulman
fa in fretta a riempirsi, alcuni bambini si siedono controllando (regola
ormai consolidata per la nostra classe) che non restino anziani in piedi.
Alcuni passeggeri sono arrivati
prima di noi e sono già seduti, tra loro un signore con un cappotto
scuro ed un cappello di feltro dello stesso colore. Ha aperto un libro
e legge. Non sono poi, così tanti quelli che leggono sui mezzi pubblici
e di solito sono persone giovani che non necessitano di cambio di occhiali,
mi fermo a pensare.
Fantastico per un momento
fuggevole d'incontrare un giorno un mio allievo, su di un autobus, immerso
nel piacere della lettura ma riesco solo a farmi venire in mente orde di
adolescenti con il walkman nelle orecchie ed il telefonino alla cintura.
Sono un po' stanca e tengo
d'occhio la situazione ma tutti sono relativamente silenziosi e la salute
acustica dei passeggeri momentaneamente in salvo.
Lontana da me, separata da
una barriera di corpi pigiati, si alza a tratti la voce di Andrea M. e
quella di alcuni suoi compagni.
Drizzo le orecchie perché
sento che stanno chiacchierando con qualcuno e penso che probabilmente
hanno catturato il solito ignaro vecchietto al quale propinare una richiesta
di testimonianza sul periodo storico sul quale stiamo lavorando con domande
dei tipo: "Ma lei dov'era il 10 giugno del 1940?" Il tutto naturalmente
alla faccia della privacy...
Questo infatti sta diventando
un gioco ricorrente quando ci si sposta in città, ma deve essere
controllato, almeno a distanza perché le "interviste lampo" non
diventino troppo indiscrete.
Mentre con Marco facciamo
il gioco d'individuare le case Liberty, sento vagamente parlare di libri
ed immagino che il loro interlocutore sia il signore che, salendo, ho intravisto
leggere. "Maestra, vieni, stiamo parlando di libri, ci aiuti?", urla qualcuno.
Io avanzo con cautela, braccio
alzato a tenermi in precario equilibrio: "Scusi, scusi... " tra la folla
e li raggiungo.
Non vedo in faccia il signore
col cappello, ma sento la sua voce attenta, diretta che alterna l'ascolto
dei bambini a domande che rivelano interesse reale per quello che gli viene,
più o meno caoticamente, comunicato. Nessun tono da consigliere
adulto, ma uno scambio alla pari, tra ragazzi che da età diverse
confrontano i loro gusti in fatto di libri.
"Il richiamo della foresta
"ed "I ragazzi della via Pal" vengono contrapposti a "L'aquilone sull'armadio
"ed a "La voce segreta" che sono i nostri libri dei momento.
Faccio "la maestra che interviene"
quando qualcuno incomincia ad esaltare la serie dei "Piccoli brividi" che
io detesto. Ma le storie di paura sembrano interessare il nostro interlocutore
ed il dialogo continua.
Non riesco a trattenermi
e questa volta do io inizio al solito gioco: "Perché non ne approfittate
per fargli le solite domande di storia?" in effetti mi sembra un'occasione
da non perdere data la qualità della comunicazione che si è
instaurata.
"E' vero!" dicono tutti
e spiegano al signore col cappello il succo della nostra ricerca: cerchiamo
testimoni che abbiano avuto dieci anni il giorno della dichiarazione della
seconda guerra mondiale.
"Peccato, dice il signore,
io sto proprio scrivendo di quel periodo, ma adesso devo scendere!" "Peccato!"
convengono tutti i componenti presenti della quinta B, e lo salutiamo mentre
lui si alza e si avvia facendosi strada verso l'uscita.
Ma poi ci ripensa, torna
a voltarsi verso di noi e ci chiede: "Ma di che scuola siete?" Glielo gridiamo
tutti insieme e l'intero autobus adesso lo sa.
Lui sta per scendere, si
volta di nuovo verso di noi :"Qual è il nome della vostra insegnante?"
Così anche la mia identità ora è nota a tutto il pulman.
La folla si richiude su di
lui, le porte si aprono, il signore incontrato il 12 gennaio sull'autobus
58 scende e scompare.
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