Il  TORIOLO


Don, don, don,..., don. Dodici rintocchi. Il Toriolo, l'orologio della torre ricordava a tutti che era giunta l'ora di interrompere le attività per sedersi a tavola. E per chi non avesse ben capito, o facesse finta di non aver capito - come quel gruppo di ragazzi che rincorrevano un pallone sul sagrato- il Toriolo ricominciava da capo: don, don, don,...,don dodici implacabili volte. Sulle soglie di casa già si affacciavano le mamme: "Luigino! Luigino! È pronto!" "Tonino! Tonino! È arrivato papà." "Enrico! Enrico! Se non arrivi subito, oggi stai chiuso in casa tutto il giorno!" 

E il Toriolo guardava dall'alto del campanile, le freccie delle ore  e dei minuti congiunte, con aria bonaria e compiaciuta, quelle scene di tutti i giorni. Lui era un pò l'amico di tutti. Tutti si rivolgevano a lui, come ad un amico, come se lui li potesse intendere. "Oh Toriolo! oh che tu mi sembri un po'hino addormentato oggi. Il mio vecchio Roskoff segna già le 10 e 'n minuto e tu non ha' ancora sonato. Ho che il 'ampanaro 'n t'ha tirato bene la 'orda stamane?" 
Chi si rivolgeva così all'orologio della torre era zio Peppo, un vecchio che stava seduto fuori porta di casa tutto il giorno. E poiché non aveva molto da fare, quando non ce l'aveva con i bambini che facevano tutto quel chiasso attorno, o che non era appisolato con la testa appoggiata sul dorso delle mani che si reggevano sul suo inseparabile bastone stretto tra le gambe, tirava la lunga catena d'oro (i maligni dicevano che era solo d'argento dorato, ma la verità resterà un mistero per sempre) fuori dal taschino del vecchio gilé. Ed attaccato alla catena usciva un vecchio orologio d'argento, un Roskoff appunto che gli aveva lasciato suo padre a cui l'aveva lasciato suo padre. Questi aveva lavorato in ferrovia e il Roskoff era servito per controllare l'orario dei treni in arrivo alla stazioncina di cui era il capostazione. Zio Peppo parlava ancora il dialetto toscano dei vecchi che oramai si era molto addolcito grazie anche alla televisione.

Il Toriolo era chiamato così da tutti, da sempre. Il nome forse derivava da torre e oriolo - che in dialetto toscano appunto significa orologio - fusi insieme. Era considerato come un vero e proprio nome, come Giovanni o Paolo, e quindi andava scritto con la maiuscola, ammesso che qualcuno dovesse scrivere da qualche parte questo nome. E come una persona era trattato da tutti, anzi come un amico. E lui il Toriolo dall'alto del campanile tutti guardava con paterno sguardo. E per mostrare la sua gratitudine faceva del suo meglio per fare bene il suo mestiere: sempre preciso, sempre a suonare ogni ora ed ogni mezz'ora per avvertire tutti. Ogni ora suonava due volte, don, don..don, e poi ancora don don,...don. Ogni mezz'ora una volta sola, don, don,...don, ma dopo l'ultimo don ci metteva un sonoro ed acuto din. 

Qualche volta i ragazzi che giocavano sul sagrato, quando si riposavano un poco tutti sudati dal gran correre e lui suonava l'ora, si mettevano in coro a ripetere man mano che i don, don venivano scanditi: "..., tre, quattro, cinque,..." Magari alla fine qualcuno, più sbarazzino di tutti, quando la conta dei "don" era finita ci aggiungeva un bel pernacchio. Ma lui il Toriolo, non si offendeva. O perlomeno non si sarebbe offeso se avesse potuto intendere. Ma come fa un orologio ad intendere? Eppure....
Elio, il vecchio campanaro che ogni giorno andava a tirare su il peso che manteneva la carica al Toriolo, giurava che secondo lui quel diavolo di un orologio la sapeva più lunga di quello che si pensava noi quaggiù. "Se state bene a sentire", diceva ai ragazzi che per prenderlo in giro gli chiedevano di che umore era oggi il Toriolo, "se state bene a sentire il rintocco delle ore non ha sempre il solito tono. È sempre don, don. Ma ci sono delle sfumature. Alle volte è un don più secco, più arrabbiato. A volte invece è un don più dolce. Qualche volta sembra un don quasi con una punta di pianto. Come quando è morto il vecchio arciprete che era stato in parrocchia per più di cinquant'anni. Quando la salma stava per uscire di chiesa erano proprio le dieci ed il don, don, sembrava quasi un singhiozzo."

"E oggi di che umore è?", gli chiedevano i più grandi e più scanzonati. E poi senza aspettare risposta, si mettevano in circolo attorno al campanaro e facevano tutti in coro: "Don gnam, Gnoc, dooon, diiin, sdan, toc, toc. Di che umore è oggi Elio il tuo Toriolo?"
Il vecchio Elio brontolando usciva dal circolo e se ne tornava in chiesa.
Ma il vecchio campanaro non era il solo a pensare che il Toriolo la sapeva più lunga di quanto si potesse credere. Intanto era più vecchio di tutti in paese. C'era da sempre, o per lo meno da quando c'era il campanile, e li aveva visti tutti nascere in paese e tutti li vedrà morire. Comunque ci credevano i bambini più piccoli. Per loro era facile, perchè credevano alle fate.  Ed alle mamme faceva comodo che loro ci credessero. "Se fai ancora delle storie a mangiare la pappa il Toriolo si arrabbia e farà un don, don molto arrabbiato. Ecco senti, senti, s'è messo a suonare proprio per  te. Dosc, dosc, dosc. Presto mangiala tutta, prima che si arrabbi sul serio." 
E ci credevano anche i vecchi seduti sulle sedie fuori casa. Sapere che il Toriolo era là, e li vedeva, che comunicava con i loro pensieri con il suo don, don, triste od allegro a seconda che loro fossero triste od allegri, rendeva le lunghe ore più facili a passare, faceva sentire meno forte i dolori alla schiena, od alle gambe, o faceva più leggero il respiro asmatico.

Ma per  tutti, per chi ci credeva nelle storie del campanaro, e per chi ci rideva sopra, il Toriolo era un vero amico, fedele, sempre là, sempre all'erta a segnare le ore che passano.
Ma lui il Toriolo, che alle tre meno un quarto allargava le braccia, che alle undici e cinque strizzava l'occhio, che alle due e undici giocava a nascondino facendo sparire la lancetta più corta sotto quella lunga, che alle sei  e trenta si metteva sull'attenti, lui il Toriolo, cosa ne pensava d i tutte quelle chiacchiere che si facevano su di lui in paese, ammesso che potesse pensare?

La capacità di sentire gli era venuta a poco per volta. Quando era tutto nuovo, tutto fatto di legno di rovere, cassa ed ingranaggi, tutto il legno impregnato di olio di lino cotto, non sentiva proprio nulla. Ma poi a poco a poco l'olio di lino si era seccato, gli alberi degli ingranaggi facevano qualche cigolio mentre giravano, ma soprattutto si erano cominciate ad aprire delle spaccature tra le vene nel legno. E così aveva cominciato a sentire. Prima poco, poi sempre di più. Aveva cominciato a sentire le campane quando suonavano a festa forte e a lungo. Le vibrazione dell'aria indotte dal suono penetravano nelle poche vene appena aperte nel legno e gli producevano un formicolio interno. E quelle vibrazione a loro volta allargavano le spaccature e le vene nel legno di tutti gli ingranaggi e della cassa. Così, a poco a poco anche vibrazioni meno intense gli penetravaro sotto la pelle. Dopo le campane della festa erano quelle delle ore che lui stesso suonava che gli producevano il formicolio. Poi a poco a poco cominciò a sentire la voce del campanaro quando si rivolgeva a lui come a una creatura, mentre tirava la corda per far salire su il peso della carica. 

Da quando aveva cominciato a sentire il suono delle sue stesse ore aveva cominciato a rendersi conto di che cosa fosse il tempo. E ne erano passate di ore, mesi ed anni, prima che potesse cominciare a sentire anche le grida dei bambini fuori sul sagrato. Man mano che il tempo e  gli anni passavano, maggiori erano le vene e le screpolature che si aprivano nel legno sempre più vecchio. Più erano le screpolature più lui riusciva a distinguere suoni anche molto lontani. Ormai, riusciva a distinguere anche le più leggere vibrazioni che l'aria gli portava come piccolo segno rimasto delle parole che si dicevano anche nei campi a più di un miglio dal campanile. 
Ma il bello è che non solo gli si era affinato l'udito - che glielo avrebbe invidiato qualsiasi cristiano - ma ora sapeva anche riconoscere i vari suoni e le voci. All'inizio quando arrivava un'onda sonora lui sentiva un formicolio interno,  un pò dappertutto. Poi a poco per volta ad ogni timbro di voce il formicolio si localizzava in un punto preciso, o nell'ingranaggio grande od in uno di quelli più piccoli, od in un punto particolare di un asse della cassa. Ed ogni volta che ritornava quella voce quel timbro sempre là sorgeva il formicolio. E così poteva distinguere chi era che parlava, e se il formicolio era piccolo sapeva che era molto lontano, se no che era più vicino. 

Il Toriolo naturalmente non sapeva e neanche si domandava perchè lui sentisse così come sentiva. Ci sarebbe voluto uno scienziato per scoprire il come ed il perchè. Uno scienziato avrebbe scoperto che ogni suono riusciva ad infilarsi ed a far vibrare solo una particolare fessura tra quelle che si erano formate nel legno. Ed era proprio quel suono con il suo timbro particolare che una volta che era penetrato in una screpolatura, man mano che veniva ripetuto contribuiva lui stesso a dare una forma particolare alla vena della crepa. E così ogni piccola crepa corrispondeva ad una voce, ad un suono particolare. Ecco perchè, avrebbe spiegato lo scienziato, il Toriolo riusciva non solo a sentire, ma anche a distinguere le varie voci, i vari suoni. 

E la memoria, aveva anche una memoria il Toriolo? Sì aveva anche una memoria, anzi una memoria di ferro... meglio.. una memoria di legno. Chiedere ad uno scienziato come fosse che funzionava la memoria, lo avrebbe messo in imbarazzo. La scienza aveva fatto sì tanti progressi, ma non era ancora in grado di spiegare anche il fenomeno della memoria in un pezzo di legno. Ma basterà aspettare ancora qualche anno, forse dieci, forse venti, poi anche questo mistero si sarebbe potuto spiegare sicuramente. 

Ma a noi qui non interessa tanto capire il perchè ed il come. Ci basta sapere che il campanaro aveva ragione e che non solo il Toriolo era da tutti considerato come un amico, ma che lui lo sapeva e che tutti li conosceva, grandi e piccoli, gioie e dolori. 
Il Toriolo non ci vedeva, sentiva solo. Ma così fine era il suo udito e la capacità di distinguere i suoni e la loro provenienza che si era costruito un'immagine dei luoghi. Lì sotto c'era il sagrato e la piazza. Dalla piazza partiva la via di mezzo grande e con i negozi. Poi c'erano le altre strade più piccole. A destra della piazza una stradina saliva su fino alla Rocca sopra il paese. La stradina in discesa stretta e a tornanti se l'era disegnata a furia di sentire le voci dei ragazzini che vi facevano le gare di corsa in discesa con i carettini di legno con le ruote fatte da vecchi e cigolanti cuscinetti a sfere, gridando come aquile. Le strade poi le percorreva con l'immagine assieme al postino che con la bicicletta distribuiva la posta. Suonava in continuità il campanello sul manubrio e così il Toriolo poteva seguire la posizione di ogni casa dove il postino si fermava. "Mamma, mamma, vieni! C'è il postino che ha un telegramma." "Gesummaria, mica sarà successo una disgrazia!" 

E così il Toriolo veniva a sapere anche le faccende private di tutti gli abitanti. Conosceva caratteri ed umori. Sulla piazza abitava il vecchio discendente dei signorotti del paese. Sempre arrabbiato con tutti, ringrugnito, se ne stava  rintanato nel suo palazzotto ormai in rovina. Lo si sentiva affacciarsi al balcone e urlare ai ragazzini: "Adesso basta, faccio venire i carabinieri. Andate a casa a studiare brutti lazzaroni, invece di stare qui a disturbare chi ha da fare. E si sentiva poi il rumore della finestra sbattuta forte da arrabbiato, per chiudere fuori lo schiamazzo. 
E il Toriolo poteva seguire anche l'andatura traballante di Cenzino, l'ubriacone, che canticchiava sempre qualcosa, ma così stonato che ogni tanto si affacciava alla finestra od alla porta di casa una donna che gli faceva: "Oh, Cenzino! Ma non ne conosci proprio altre di canzoni? Vieni, prendi questo fiasco così te ne starai per un poco zitto."

Il Toriolo, sentiva tutto, anche quello che si diceva nel chiuso delle case e che gli arrivava come un tenue mormorio alle sue orecchie... anzi... ai suoi ingranaggi di legno. E si ricordava di tutto. Del comizio in piazza di domenica scorsa con tanto di altoparlante: "Concittadini, tra due settimane siete chiamati ad eleggere il nuovo consiglio comunale....". Della fanfara che tanti anni fa era stata chiamata da un paese vicino per far festa ai reduci dal fronte. Del canto della marsigliese quando erano venuti i francesi a portare giustizia, fraternité, liberté. 
Ma si ricordava ancora di prima, di molto prima. Ad esempio di quando successe il terremoto che distrusse la rocca e fece traballare anche il campanile. O di quando tutti fuggivano urlando e rintanandosi in casa: "arrivano i lanzichenecchi, arrivano i lanzichenecchi!"

Di notte quando tutto era in silenzio arrivavano al Toriolo gli strilli della civetta, quando era in vena. Ma c'erano delle notte completamente silenziose. Allora il Toriolo sentiva come un brusio venire dal suo interno, dalle sue viscere di legno. Era qualcosa che lo faceva vibrare ora in un punto qui vicino al posto dove vi era la memoria della voce del postino, ora in un punto dell'ingranaggio più grande dove vi era segnato il ricordo degli strilli dei ragazzini in piazza, ora in un altro punto. E questo formicolio interno, lo stuzzicava, gli faceva mettere assieme il ricordo di suoni diversi, ma soprattutto creava dei suoni nuovi, che si traducevano in immagini nuove. Udite, udite! Non solo il Toriolo sentiva e localizzava tutti i rumori, i suoni e le voci - e questo era spiegabile dalla scienza - non solo si ricordava di tutto quello che  aveva sentito nel passato (e questo la scienza non era ancora in grado di spiegarlo), ma era capace anche di immaginare cose nuove, di mettere assieme le immagini che aveva in memoria per crearne di nuove! Così mettendo assieme l'immagine dei ragazzini sempre a scorrazzare su e giù per il paese e la bicicletta del postino, poteva immaginare che i ragazzini per fare uno scherzo gli rubassero la bicicletta e la nascondessero su nella rocca. E si immaginava anche tutto il trambusto che ne sarebbe derivato, il maresciallo dei carabinieri a girare per il paese, il gruppo dei ragazzini nascosti e spaventati di quello che sarebbe successo quando la marachella sarebbe stata scoperta, eccetera, eccetera. Oppure, poiché lui il Toriolo sapeva anche le cose che si bisbigliavano dietro ai cespugli, pensare che il Nando e la Marietta si sarebbero finalmente sposati quando lui sarebbe tornato dal servizio militare. 

Eh, sì! Di notte al Toriolo che non poteva dormire come invece era permesso ai cristiani, glie ne venivano tante in mente di idee. Anche un pò balorde a volte. E sempre perchè aveva dentro uno strano rumore che si muoveva qua e là. 
Per spiegare il fenomeno uno scienziato, ci sarebbe arrivato quasi subito. Anzi ci sarebbe arrivato subito anche un ingegnere. Infatti, segando un pezzo del legno del Toriolo, lo scienziato o l'ingegnere avrebbe scoperto, che questo era pieno di gallerie scavate dai tarli. E i tarli, nello scavare passavano da un punto del legno dove magari c'era il ricordo del suono del campanello della bici del postino, a quello dove c'era la voce del vecchio Beppo con il suo Roskoff. E così gli sembrava di sentire la voce spazientita del Beppo, svegliato nel suo dormiveglia la testa appoggiata sul bastone fermo tra le gambe: "Oh che ti venga il malocchio, oh bischero d'un postino! Oh che tu 'n vedi che c'è chi riposa?" 

E così erano i tarli che facevano venire l'immaginazione al Toriolo. Ma questo lui non poteva saperlo. Solo che si ricordava che a un certo punto nella sua vita gli era successo anche questo, che di notte cominciava a sentire dei brusii e ad avere delle fantasie.

I giorni così passavano tutti uguali, tutti regolari. Così almeno pareva al Toriolo visto che era lui a scandire le ore, tutte le ore dalla mezzanotte alla mezzanotte, ogni giorno la stessa solfa. E di giorno fin troppe voci e chiasso e di notte il silenzio e l'immaginazione. Che però questa monotonia fosse solo un'apparenza, ma che in realtà tutto cambiava e non solo le stagioni, il Toriolo se ne rendeva conto. Per esempio, le voci dei ragazzini sul sagrato non erano sempre quelle. Ogni tanto entrava una voce nuova nel coro, mai udita prima. Ed ogni tanto una voce se n'usciva per non tornarci più. Quella stessa voce,  un pò cambiata, ma che lui riconosceva essere sempre la stessa, se la risentiva più da lontano, nei campi o nell'officina del fabbro, o in quella del falegname. Poi dopo magari anni ed anni (anzi inverni ed inverni perchè il Toriolo conosceva le stagioni, non gli anni) della voce più niente. Il suo nome ripetuto per l'ultima volta dal prete laggiù nel cimitero. 

Ed aveva avuto tanto tempo per riflettere su questi cambiamenti che il Toriolo se l'era fatta ben precisa un'idea della vita degli uomini. Come nascono, crescono, muoiono. E come con le stagioni cambi non solo l'intonazione della voce, ma anche il tipo dei discorsi, ed il luogo da cui la voce proviene. E poiché  di ricordi ne aveva tanti, poteva tornare indietro nei tempi a scovare vecchie cose udite e a confrontarle con voci e rumori più nuovi.

Ma ogni tanto il Toriolo scopriva che un pezzo della memoria era sparito. Era come se quella parte del suo corpo (o meglio del suo meccanismo) si fosse paralizzato. Ora era un ingranaggio piccolo, ora uno grande, ora una tavola della cassa. Poi, a poco a poco, quella parte che era stata paralizzata ricominciava a sentire, ma non si ricordava più niente del passato. Ed anche le cose che vi si sentivano, che andavano a risuonare la dentro in quel pezzo che aveva ricominciato a sentire erano diverse da prima. Ed anche di questo strano fatto il Toriolo non sapeva rendersene ragione. Avveniva così, e basta. 

Ma questa volta a spiegare la causa dello strano comportamento non occorreva uno scienziato e neanche un ingegnere. Questa volta bastava un falegname. Infatti, ogni tanto il lavorio dei tarli, tanto benemeriti per la fantasia del Toriolo, aveva così a fondo scavato nel cuore della memoria di legno del Toriolo che l'ingranaggio si rompeva, o l'asse era tutta marcia. Allora il campanaro chiamava il falegname che faceva un ingranaggio nuovo, sempre di rovere, sempre trattato con olio di lino cotto. Ed il legno nuovo, si sa, non ha memoria. E bisognava aspettare che con il tempo la vernice di olio di lino si seccasse, che il legno cominciasse a screpolarsi,  perché riacquistasse capacità di sentire i rumori e le voci, e a ricostruire una nuova memoria.

Ma che fine facevano quei ricordi, quelle immagini che erano fissate dentro il vecchio legno del pezzo che il falegname aveva sostituito? Chissà! Forse c'entrerà la storia che tanti anni fa Maria, la moglie del falegname, raccontava alle amiche: "Un legno fatato, vi dico. Un legno che brucia 'osì 'n l'avevo mai visto. Mi' marito (era il tempo in cui ancora si parlava la vecchia parlata toscana), ha messo ieri sul fo'co un pezzo di legno tutto 'arolato che aveva 'ambiato nella 'assa d' Toriolo. Oh l'aveste visto a bruciare. Mandava faville dappertutto. Gli erano faville grosse e 'osì luminose che facevan paura. S'infilavano come furie su pel 'amino. Maria Santissima, che paura m'ha preso. Gliel'ho detto a il mi' marito. Basta Giuseppe, 'n portarmi più del legno vecchio del Toriolo. Brucia come se fosse vivo!"

Se le comari avessero saputo che il Toriolo sentiva ed immagazzinava tutto quello che aveva udito all'interno delle sue crepe, avrebbero potuto spiegarsi lo strano fenomeno. Certamente erano gli atomi che costituivano il legno e che erano stati legati insieme dal lavorio delle vibrazioni dei rumori, che non volevano bruciare ognuno per conto suo come gli altri atomi. Anche nel fuoco rimanevano tutti assieme così com'erano stati legati e così bruciavano facendo grosse scintille. Ed i ricordi del Toriolo - come avrebbe spiegato un chimico - nella fiamma, con la reazione di ossidazione con l'ossigeno dell'aria si erano trasformati in idee gassose e su per il camino a spandersi per il mondo. E farse chissà, qualcuna di quelle immagini se n'è tornata poi giù e qualcuno l'ha respirata. Chissà poi che non sia responsabile di quelle  immagini che noi non abbiamo mai visto e che a volte ci appaiono nei sogni. 
Ma tutto questo le comari non potevano immaginarselo, poiché non sapevano niente né che il Toriolo sentiva e capiva né come facesse a farlo. E così sospettavano che ci fosse di mezzo il diavolo, mentre tutto aveva una spiegazione così naturale, che si sarebbe potuto spiegare benissimo con le leggi della fisica e della chimica ed il diavolo non c'entrava per niente.

Così i giorni passavano, apparentemente tutti uguali, sempre scanditi dall'uniforme suone del don, don delle ore e dal din delle mezz'ore, di giorno come di notte. Ma non erano tutti uguali perchè laggiù nel paese le cose cambiavano ed il Toriolo poteva confrontare i cambiamenti con le memorie impresse in quella sua testa... o meglio in quel suo corpo di legno. E sarebbero passati ancora chissà quante stagioni con la novità di qualche pezzo di memoria che se ne va perchè il legno di questo o di quel pezzo dell'orologio è troppo tarlato. Senonché...

Era un tempo del diavolo. Lampi e tuoni riempivano l'aria. Dei lampi il Toriolo non se ne accorgeva, perchè lui la vista non ce l'aveva. Ma dei tuoni sì e come. Gli rintronavano tutti dentro, gli sconquassavano le screpolature che custodivano tante belle e care memorie. Ma lui imperterrito ogni mezz'ora scandeva i suoi don ed i suoi din, anche se là sotto nessuno aveva proprio il tempo e la voglia di stare a sentire che ora era. Ormai il cattivo tempo durava da più giorni e le strade del paese erano diventate dei torrenti. Anche i ragazzini che sarebbero volentieri usciti per divertirsi a saltare da una parte all'altra dei rivoli  d'acqua nelle strade e nei viottoli dovevano starsene in casa e limitarsi a guardare dalle finestre. E l'acqua più pericolosa scendeva a torrente giù dalla rocca e girava attorno al campanile, scavando, scavando.
Era di notte quando si sentì il boato. Era finito di piovere da ormai qualche ora e tutto sembrava dovere tornare alla calma consueta. Nelle strade solo qualche rivoletto a ricordare i torrenti di solo qualche ora prima. Così il paese si svegliò di soprassalto. Il boato era provenuto dalla piazza. "Che è stato, che è stato?" 

E la voce di quanto era successo aveva ormai raggiunto anche le case più lontane. Sì, proprio lui, proprio il vecchio campanile che di crepe ne mostrava già molte e da tempo non aveva resistito. Era venuto giù tutto d'un fiato. Ma anche in quella contingenza aveva saputo mantenere la sua dignità di vecchio ed orgoglioso campanile. E così era venuto giù tutto dritto, su se stesso. Così per fortuna né la chiesa, da cui il campanile era distaccato da un paio di metri - era infatti una vecchia torre medievale trasformata poi in campanile - non era stata colpita dal crollo, né nessuna delle case nella piazza.  Ed il povero Toriolo?

Era venuto giù dritto anche lui assieme alla cella campanaria. Ora se ne stava là sdraiato sulle macerie, frastornato dal rumore e senza rendersi conto di quanto fosse successo. Sentiva ancora come prima. Solo  che ora gli mancava il tic tac dello scappamento, quella ruota con dei pioli di legno che vengono interrotti dai due pioli del bilanciere, ora a destra, ora a sinistra, e che così interrompe il moto ogni secondo: tic, tac, tic, tac. Quella perdita di ritmo gli creava un pò di confusione nella sua memoria di legno e nella sua capacità di indirizzare i vari suoni e  rumori ognuno nella propria screpolatura. La confusione che aveva addosso forse era dovuta anche ai tarli che dentro il legno nelle loro gallerie il trambusto lo avevano sentito e come. Si muovevano un pò all'impazzata. Qualcuno si era poi trovato all'aria aperta perchè qualche pezzo del legno del Toriolo si era spezzato. E così un pò per la confusione dei tarli, un pò per il vociare che si faceva fuori, un pò per la mancanza del ritmo ordinato del  tic, tac, il povero Toriolo aveva un formicolio addosso che gli faceva passare continuamente da un ricordo all'altro, da quelli molto profondi nella sua memoria di legno a quelli più superficiali, più recenti. E rimase lì con quella confusione in testa ...anzi in corpo, perchè tutto il suo corpo era la sua testa ... chissà per quanti giorni. Infatti lui i giorni ormai non poteva più contarli, perchè non c'erano più i don, don ed i din a scandire le ore e le mezz'ore.

La confusione in paese durò per qualche settimana almeno. C'era il problema di cosa fare con tutto quel mucchio di mattoni e calcinacci che ingombravano la piazza. Ed al Consiglio Comunale se ne parlava ogni sera. C'era qualche nostalgico che proponeva di raccogliere tutti i mattoni, di ripulirli e rifare con quelli stessi la vecchia torre. E con la torre ricuperare anche il vecchio Toriolo e rimetterlo al suo posto. C'era chi invece diceva che era ora di finirla con le romanticherie e che quello che ci voleva era una bella torre campanaria moderna fatta di colonne di cemento e con in cima non le campane, ma un bel altoparlante che diffondesse della musica, magari stereo. Non si riuscì a concludere niente, anche perchè il comune non aveva soldi e la chiesa tanto meno. Così si decise di far sgombrare le macerie dalla piazza. 
Venne una ruspa ed un autocarro. Ed una palata dopo l'altra, un viaggio dell'autocarro dopo l'altro, tutti i mattoni e le macerie andarono a finire nel fiume che passava vicino al paese. 

Ed il povero Toriolo? Anche lui. La pala per fortuna, anche senza farlo di proposito, lo prese di sotto assieme ad un po' di mattoni e lo rovesciò in cima al carico dell'autocarro. Così, quasi per miracolo, il Toriolo rimase intero. Aveva sì le lancette tutte piegate che mai più si sarebbero potute muovere, aveva sì molti ingranaggi interno che erano rotti od usciti dalla loro sede, ma c'era tutto. Visto di fuori sembrava ancora un orologio. E c'era troppa polvere attorno perchè la gente od i ragazzi che stavano a guardare potessero capire bene che era il Toriolo, il vecchio Toriolo che se ne andava per sempre. E poi forse avevano altro per la testa cui pensare per ricordarsi del vecchio fedele amico Toriolo. Se ne sarebbero ricordati certo, e con nostalgia, dopo, quando tutto sarebbe finito. E chissà quante strane storie i vecchi avrebbero raccontato ai bambini, ai più piccoli e più creduli sul vecchio orologio della torre che sembra vedesse tutto ed udisse tutto. Che se era arrabbiato o contento lo faceva sentire cambiando il timbro del don, don.

E così il povero Toriolo venne scaricato assieme alle macerie giù nel fiume. Le macerie andarono a fondo, ma lui, invece, lui... era di legno. E così, dopo un pò, dopo che il polverone si dissolse, eccolo là sul pelo dell'acqua a galleggiare, con il quadrante rivolto verso il cielo.
A poco per volta il Toriolo venne preso dalla corrente e se ne andò giù lungo il fiume. Una o due miglia più a valle il fiume finiva in una cascata e sarebbe stata forse la fine del vecchio Toriolo, se non fosse stato per i tanti tronchi e rami che ancora erano sparsi per il fiume, sradicati dalle rive dalla furia delle acque ingrossate per il cattivo tempo che aveva imperversato per giorni e giorni. E così, poco prima della cascata il Toriolo si era impigliato nei rami di un albero che usciva dall'acqua che era straripata e copriva la riva. E là rimase a mollo nell'acqua, ma fermo aggrovigliato ai rami dell'albero.

Il Toriolo, benché avesse dentro una grande confusione e la memoria del passato insorgesse di continuo e accavallasse ricordi su ricordi, cominciò a poco per volta a sentire una grande pace. A poco per volta i ricordi più lontani se ne andarono, poi quelli più recenti. Poi più nulla. 

Cosa fosse successo il Toriolo non poteva saperlo. E poiché ora non sentiva più nulla e non si ricordava più nulla, non poteva neanche chiederselo. Ma uno scienziato - questa volta ci voleva uno scienziato con un microsopio - che avesse potuto esaminare il caso, avrebbe potuto dare una spiegazione molto semplice. L'acqua penetrando in tutte le fessure allargava le fibre del legno e chiudeva i canali dei tarli. Questi poi erano morti affogati o fuggiti fuori dalla paura. E quindi era terminato anche brusio interno. Le screpolature del legno si erano chiuse intasate dall'acqua e dalle fibre gonfiate. E fu così che il Toriolo non sentì più nulla.

Questo durò tutta la cattiva stagione, tutto l'inverno e la primavera. Poi venne l'estate successiva e l' acqua del fiume si ritiro dalla riva e l'albero dove s'era impigliato il Toriolo riemerse completamente. Il Toriolo, non più sostenuto dall'acqua si trovò adagiato per terra sotto l'ombra della pianta che lo aveva salvato dal cadere giù dalla cascata. E con il sole il legno cominciò a seccarsi. Le fibre del legno si restrinsero e le screpolature si riapersero. E così tornò la memoria al Toriolo. Una memoria non completa, forse un pò annacquata, è proprio il caso di dire. Ma ritornò. E ricominciò anche a sentire ed ad avere delle idee. Infatti qualche tarlo non era morto, o qualche nuovo era venuto da fuori. Fatto sta che ricominciarono a percorrere le vecchie gallerie ed a a formarne di nuove. 

Le cose che ora sentiva il Toriolo erano ben diverse da quelle di prima. I rumori erano più tenui, non erano parole ma suoni armoniosi. C'erano degli uccelli che volavano attorno, qualche merlo che si posava sull'albero a cantare. E così passava il tempo, ed il Toriolo poteva rivangare la memoria di quando era là in cima alla torre. Una cosa gli mancava per tornare ad essere come prima, il ritmo del tic, tac. Ma tant'è si abituò ad altri ritmi. C'era un picchio che aveva preso di mira un albero vicino. Tac, tac,  tac, sembrava proprio un orologio.

Ma poi la bella stagione passò e venne con l'autunno l'acqua alta. Il Toriolo si ritrovò a galleggiare, e l'acqua che cresceva lo spinse verso riva e là ci rimase, nel bagnasciuga, mezzo in acqua, mezzo fuori. E perse di nuovo la memoria con l'acqua che gli era penetrata dentro le vene e le screpolature ed i canali dei tarli. E così dormì fino a primavera inoltrata quando le acque si ritirarono di nuovo. E di nuovo cominciò ad asciugarsi, le screpolature si aprirono, i ricordi tornarono, prima quelli più recenti, quelli impressi più in superficie, poi quelli più lontani, quando l'acqua se ne era andata anche dal fondo delle  screpolature. La memoria ritornò un pò meno viva, un pò più annacquata, ma tornò. E poi ritornò l'autunno, l'acqua alta, il lungo sonno della memoria.

Quanto sarà durato quel ciclo? Chissà! Ma ad ogni primavera il Toriolo, mentre riacquistava la memoria sentiva qualcosa di diverso. Sentiva come circolare qualcosa dentro di sé, diverso dal solito brusio dei tarli. Era come qualcosa di più liquido che saliva su dal basso verso l'alto. E a mano a mano che questo sensazione cresceva, ogni stagione nuova - dopo il sonno invernale - si faceva più forte, mentre la memoria si riduceva, si annacquava sempre più. Finché non sparì del tutto ora che era ben vivo e forte quel salire di flussi su dal basso verso l'alto attraverso tutto il suo corpo...

Luigino accompagnava sempre il padre a pesca lungo la riva del fiume. E si spingevano anche lontano dal paese. Quel giorno, si alzarono presto, perchè il padre disse a Luigino che sarebbero andati a pescare fino laggiù alla cascata e ci sarebbero stati tutto il giorno.
Il papà di Luigino si era già installato ai margini della cascata e lanciava l'amo nell'acqua calma subito prima che si precipitasse giù. E ne aveva già pescate di trote! Luigino era andato a cercare legna secca lungo la riva per accendere il fuoco e fare le trote alla brace. 
"Papà, papà! Corri qui, corri a vedere! Presto vieni!"
Il padre brontolando perchè le grida gli avevano fatto scappare una grossa trota, si alzò ed andò la  dove provenivano le grida di Luigino. 
Sulla riva cresceva un bell'albero, dritto e pieno di foglie con tanti passeri sopra. Tutto sembrava normale nell'albero, ma il tronco... Nel tronco un vecchio orologio di legno, con il quadrante bello dritto e con le sfere di ferro accartocciate ed arrugginite, ma ancora ben visibili. Le ore erano diventate dei nodi della pianta, messi ben in circolo e su cui si intravedevano ancora le vecchie cifre, uno, due, tre....