da una lettera a Lino
Venerdì 11 aprile 1997
... La rete Internet è un grande serbatoio di conoscenze. Differenza fondamentale con una biblioteca è l’accesso, molto più rapido e fattibile in parallelo.
Ricordando quanto Paul Valery diceva sulla differenza tra il genio e l’uomo
qualunque (il primo ha nella sua memoria una incredibile quantità di dettagli)
ci si può chiedere: l’uomo normale non potrebbe andare a cercare i dettagli -
che a differenza del genio, non ha nella sua testa - nell’informazione
esterna? Questa ricerca, tuttavia, se la si fa in una biblioteca è lunga e
seriale. Difficile allora impostarci sopra un processo creativo che richiede di
mettere in parallelo in tempi rapidissimi informazioni apparentemente non
significative o correlate e cogliere le potenzialità che emergono proprio da
questo procedere.
Se è vero che si può accedere alla informazione nella Rete (Internet) in
parallelo e rapidamente, se ne potrebbe dedurre uno scenario ottimista possibile
per l’avvenire: anche un uomo qualunque accedendo alla rete spinto da un
problema da risolvere, potrebbe diventare una specie di genio. Quindi l’uomo,
l’individuo, tornerebbe ad essere come quello di un tempo che poteva avere
‘tutto nella testa’.
Una
seconda caratteristica della Rete è che essa permette di mettersi assieme - in
un gruppo, lontani uno dall’altro - per creare. Vi sono in proposito dei primi
esperimenti (multicast) di gruppi che disegnano assieme una figura di cui
ognuno è responsabile di una porzione. Man mano che ognuno disegna la sua parte
ciascuno vede in tempo reale l’intera figura così come sta emergendo e
reagisce quindi modificando la sua parte. Se non si dà nessuno spunto iniziale
e si lascia il processo partire per conto suo, sembra che si metta in moto un
meccanismo di creatività per cui dopo una serie di figure caotiche emerge una
figura (una metafora) dominante e tutti si mettono a disegnare secondo quella
metafora. E’ un passaggio dal caos all’ordine come quando in una sala di
teatro da un battimano disordinato si passa
ad uno cadenzato, così, senza particolari motivi.
Questa seconda parte dello scenario ottimista permetterebbe di rispondere al
problema della complessità crescente delle conoscenze (e quindi della
decrescente capacità individuale ad utilizzare le conoscenze) attraverso
l’emergere di un approccio collettivo (una specie di super individuo fatto da
un team, che tuttavia agisce alla fine come un individuo, creatività inclusa).
Una
terza possibilità interessante, che emerge dalle sperimentazioni in atto
sull’elaborazione delle conoscenze fatte da artisti usando l’informatica,
punta ad una convergenza tra il modo di operare dello scienziato e
dell’artista.
Lo scienziato che deve esplorare mondi lontani o poco accessibili, manda sul
posto dei sensori che gli inviano le informazioni nel computer e lui le elabora
standosene nel suo ufficio. In un certo senso lui produce una rappresentazione
virtuale del mondo che studia. Se si tratta di un pianeta lontano non è detto
che il mondo così rappresentato corrisponda effettivamente a quello reale.
Dipende dai sensori che vi ha inviato e da come elabora e trasforma i dati.
Alcuni artisti si sono messi a fare cose simili: prendono dei dati provenienti
dalla realtà (ad es. il traffico cittadino, i suoni delle discoteche), li
mettono assieme e li trasformano agendo su degli attuatori che producono
immagini e suoni di un mondo fantastico che tuttavia è legato al reale che si
esamina in quel momento. (Un esempio è di fare parlare un pupazzo in un cartone
animato attraverso la trasformazione di mosse fatte da un attore vero). Forse
non è molto diverso dal processo usato da un artista all’antica.
In
sostanza, l’artista guarda il mondo e ce ne dà delle rappresentazioni
interpretate secondo la sua sensibilità (una sua particolare metafora). Per i
cubisti è evidente che vi è stato un processo di trasformazione che segue
certe regole. Meno evidente invece è capire le regole di trasformazione usate
da un artista astratto. Ma anche in questo caso, se l’artista è tale, la
rappresentazione astratta è il risultato della sua visione del mondo. Con la
tecnologia informatica l’artista può produrre una macchina che rappresenta sé
stesso in quanto ‘operatore’ (nel senso di operatore in fisica): se gli
metto in input i dati presi dalla realtà, mi produce una visione del mondo
trasformata secondo tale operatore. In fondo tutti, almeno secondo Kant, usiamo
degli operatori (lo spazio ed il tempo) innati per trasformazione la percezione
della realtà esterna in una rappresentazione interna.
Da
questi esempi si può derivare un altro pezzo di scenario ottimista per il
nostro problema di come riusciremo ad utilizzare una informazione sempre più
complessa. Si può pensare che il problema verrà risolto aiutandoci con degli
operatori di trasformazione che facciamo operare sulla complessa realtà dei
dati accumulati per ottenere una rappresentazione per noi significativa e più
semplice. Anche qui si tratta di una rappresentazione metaforica della realtà
(che è il problema che ci preoccupa). Solo che in questo caso potremmo
accettare il processo dicendo che l’operatore di trasformazione che traduce in
metafora semplice il complesso sapere scientifico, l’abbiamo costruito noi e
si potrebbe sempre ritrasformarsi dalla metafora al reale(?).
La
descrizione dell’atteggiamento di un artista di fronte a queste possibilità
dell’informatica potrebbe essere positiva. Lui potrebbe vedere in essa un
potente strumento per aumentare ancor più il suo ruolo di libero immaginatore
di mondi e di strenuo combattente contro la ‘normalizzazione’, la
‘codificazione’ della realtà in una sola ‘vera’ realtà, quella che ci
dà la nostra innata metafora spazio-temporale basata sulle conoscenze
scientifiche.